Candidato Ai Grammy 2019 Come Miglior Album Folk, E’ D’Uopo Parlarne! Mary Gauthier – Rifles & Rosary Beads

mary gauthier rifles & rosary beads

Mary Gauthier – Rifles & Rosary Beads – Appaloosa/Ird CD 2018

Uscito a gennaio dello scorso anno, anche questo Rifles & Rosary Beads di Mary Gauthier, è rientrato nella categoria del “lo faccio io, lo fai tu” e alla fine nessuno ha scritto la recensione. Ma visto che il CD merita assolutamente, e in più di recente è entrato nella cinquina delle nominations dei Migliori Album Folk per gli imminenti Grammy Awards, l’occasione è ideale per parlarne. Considerando anche che la Gauthier è sempre stata una delle preferite del Blog e del sottoscritto in particolare. Se vi eravate persi gli album precedenti o non conoscete la sua storia, qui trovate la recensione del suo splendido album precedente https://discoclub.myblog.it/2014/07/30/ripassi-le-vacanze-sempre-la-solita-mary-gauthier-trouble-and-love/ (non ne ha mai fatti di scarsi, sempre livelli di eccellenza nella sua produzione), e all’interno del Post anche i link per leggere di quelli precedenti. Si diceva che il disco è uscito ormai da un anno, il 26 gennaio del 2018, ed è comunque rientrato nelle liste dei migliori di fine anno, comprese le nostre: disco, che nella edizione italiana, a cura della Appaloosa, contiene anche un libretto con i testi originali e  le traduzione a fronte, nonché la lista di tutti i musicisti che hanno suonato nell’album, che, anche se rientra nella categoria Folk, come al solito, vede comunque la presenza di alcuni musicisti di grande qualità, a partire dal produttore Neilson Hubbard, che suona anche la batteria, oltre al “nostro” Michele Gazich al violino (da sempre strumento cruciale nella musica di Mary) e viola, Kris Donegan Will Kimbrough, a chitarre e mandolino, Danny Mitchell, pianoforte e fiati, Michael Rinne al basso, oltre alle armonie vocali di Odessa Settles Beth Nielsen Chapman, nonché di Kimbrough e Mitchell.

Nelle canzoni del disco, che trattano il tema del ritorno alla vita normale dopo avere combattuto guerre in giro per il mondo, la Gauthier ha scelto di condividere i testi dei suoi brani con alcuni veterani (uomini e donne, e le loro famiglie) che raccontano le loro difficoltà a ritornare alla vita civile, quella normale, della società americana, dove “Fucili e grani del rosario” convivono in un difficile equilibrio, proprio iniziando con Soldiering On (“Non Mollare”), un brano che è quasi una dichiarazione di intenti, esposta con la solita voce caratteristica di Mary, piana,dolente e malinconica, ma anche appassionata, la voce di chi non ha avuto una vita felice e serena, ma ha dovuto fronteggiare mille difficoltà nel corso della sua esistenza, e le incorpora nelle sue composizioni e nel suo modo di porgerle: musicalmente il brano è comunque ricco ed affascinante, con le pennate della chitarra acustica che vengono poi rafforzate dal suono della chitarra elettrica di Kimbrough, del violino impetuoso di Gazich, di una sezione ritmica incalzante, quasi marziale, e quindi il suono esplode con forza dalle casse dell’impianto, forte e vibrante, se questo è folk datecene ancora, brano splendido che vive di picchi e vallate sonore, con la musica che sale e scende per accompagnare la narrazione.

Appurato che i testi sono splendidi ed importanti, ma ve li potete leggere comodamente nel libretto, concentriamoci sulla musica, che non è elemento secondario in questo album, anzi: Got Your Six è un folk-blues-rock vibrante, con la voce che sale d’intensità, ben sostenuta dalle armonie vocali, chitarra slide e violino dettano sempre i temi e la sezione ritmica segue con grinta. La splendida ballata country-rock The War After War, vista dal lato delle spose, e firmata anche dalla Nielsen Chapman, ha un suono ondeggiante e delicato, scandito in un modo che potrebbe rimandare al Neil Young dei primi anni ’70. Anche l’armonica, suonata dalla Gauthier sin dall’incipit di Still On The Ride, rimanda al vecchio Neil, ma poi il brano introduce anche un mandolino, piano, l’immancabile violino, per un suono ricco e maestoso che conferma la maestria della cantante di New Orleans nel saper creare melodie sempre di grande fascino; un pianoforte ed una chitarra acustica ci introducono poi alle atmosfere più intime e delicate della immaginifica Bullet Holes In the Sky, dove il lirico violino di Gazich illumina la narrazione di Jamie Trent, un veterano della Guerra del Golfo, mentre racconta una sua giornata durante un Veterans Day in quel di Nashville.

Brothers ha un bel tiro rock, con chitarre e violino sugli scudi, siamo dalle parti di Lucinda Williams musicalmente, mentre il testo verte sulla parità tra uomini e donne anche nella carriera militare; la title-track Rifles & Rosary Beads, che parte lenta ed acustica, si sviluppa poi in un’altra malinconica ballata, con l’armonica struggente della Gauthier dal piglio quasi dylaniano che si innesta su una sorta di valzerone country, mentre la ovattata Morphine 1-2 è una folk ballad nello stile tipico della nostra, con un piano appena accennato a delineare la melodia che poi viene affidata nuovamente a Michele Gazich. It’s Her Love racconta degli incubi notturni dei veterani, temperati dall’amore di chi ti ha aspettato a casa ed ora è pronto a sostenerti con il proprio amore, sempre musicalmente sotto la forma di una intensa folk ballad, la cui struttura sonora vive su un leggero crescendo che si avvale dell’intervento discreto dei vari musicisti e di un cantato accorato della Gauthier, che si fa più assertivo ed affascinante nella devastante narrazione della sconvolgente Iraq, dove la musica serena e delicata di violino ed armonica contrasta con la durezza del testo. A chiudere il tutto la corale e sempre struggente Stronger Together, firmata oltre che da Ashley Cleveland, dalla Beth Nielsen Chapman, e dalla Gauthier, da altre sei mogli o sorelle di veterani artificieri devastati dagli effetti della guerra, un altro brano che mitiga la durezza dei contenuti con una melodia fiera e di grande intensità.

Vedremo se i giurati dei Grammy lo premieranno nella categoria Miglior Album Folk e avrà quindi la meglio sui dischi di Punch Brothers, Iron And Wine, Dom Flemons e della veterana Joan Baez, che mi pare la concorrente più agguerrita: in ogni caso, se non lo avete già, fate un pensierino su questo eccellente album di cui era d’uopo parlare in un “recupero” obbligatorio, merita la vostra attenzione.

Bruno Conti

 

Così Brave Ce Ne Sono Poche In Giro! Shannon McNally – Black Irish

shannon mcnally black irish

Shannon McNally  – Black Irish – Compass Records

Francamente non si capisce (o almeno chi scrive non lo capisce) perché Shannon McNally non sia una delle stelle più brillanti del circuito roots/Americana, quello stile dove confluiscono blues, rock, country, folk, swamp (soprattutto nei dischi della McNally che ha vissuto anche a New Orleans, e il cui ultimo album, prodotto da Dr. John, Small Town Talk, era un tributo alle canzoni di Bobby Charles http://discoclub.myblog.it/2013/04/20/un-tributo-di-gran-classe-shannon-mcnally-small-town-talk/ ).. Insomma catalogate sotto “buona musica” e non vi sbagliate. La nostra amica è del 1973, quindi non più giovanissima, diciamo nel pieno della maturità, anagrafica, compositiva, vocale, con otto album, compreso questo Black Irish, nel suo carnet. Non ha una discografia immane la brava Shannon, però pubblica dischi con costanza e regolarità, una media all’incirca di un album ogni due anni, dall’esordio con l’ottimo Jukebox Sparrows, uscito per la Capitol nel 2002,  dove suonava gente come Greg Leisz, Rami Jaffee, Matt Rollings, Jim Keltner, Bill Payne e via discorrendo, disco che la aveva inserita nel filone di gente come Shelby Lynne, Sheryl Crow, Lucinda Williams, Patty Griffin, e anche qualche tocco classico alla Bonnie Raitt. Poi negli anni a seguire ha alternato dischi propri ad altri di cover (Run For Cover e quello citato prima), alcuni molto belli, come Geronimo, Coldwater, l’ultima produzione di Jim Dickinson prima di lasciarci http://discoclub.myblog.it/2010/02/21/shannon-mcnally-coldwater/ , e anche Western Ballad, scritto e prodotto insieme a Mark Bingham.

Ma tutti album comunque decisamente sopra la media, compreso il tributo a Bobby Charles, dopo il quale si è presa una lunga pausa, per mille problemi, un divorzio, la malattia terminale della madre che poi è morta nel 2015, il fatto di dovere crescere una figlia, che comunque non hanno diminuito la sua passione per la musica: anzi, trovato un nuovo contratto con la Compass, Shannon McNally pubblica un album che è forse il suo migliore in assoluto.. Alla produzione c’è Rodney Crowell, uno abituato a lavorare con le voci femminili: dalla ex moglie Rosanne Cash a Emmylou Harris, per citarne due “minori”! Crowell si è portato due ottimi chitarristi come Audley Freed e Colin Linden, e in ordine sparso una sfilza di vocalist, presenti anche come autrici, da Beth Nielsen Chapman, Elizabeth Cook, Emmylou Harris, oltre a Cody Dickinson, Jim Hoke, Byron House, Michael Rhodes, ed altri musicisti pescati nel bacino della Nashville “buona”. Shannon questa volta scrive poco, ma la scelta dei brani è eccellente e l’esecuzione veramente brillante, vogliamo chiamarle, cover, versioni, riletture, o come dicono quelli che parlano bene “parafrasi”, il risultato è sempre notevole: dall’ottima apertura con la bluesy dal tiro rock, You Made Me Feel For You, scritta da Crowell, e dove si apprezza subito la voce leggermente roca e potente della McNally, vissuta e minacciosa, passando per la poca nota ma splendida I Ain’t Gonna Stand For It di Stevie Wonder (era su Hotter Than July), che diventa un country got soul eccitante, con strali di pedal steel e coriste in calore (penso Wendy Moten e Tanya Hancheroff); e ancora una splendida Banshee Moan, scritta con Crowell, una ballata con tocchi celtici, dove Shannon canta con un pathos disarmante, convogliando nella sua voce tutte le grandi cantanti citate fino ad ora.

Molto bella anche I Went To The Well, scritta con Cary Hudson dei Blue Mountain, dove sembra che ad accompagnarla ci siano Booker T & The Mg’s, per un brano gospel-soul di gran classe, sempre cantato con assoluta nonchalance; Roll Away The Stone, scritta con Garry Burnside della famosa famiglia, sembra Gimme Shelter degli Stones in trasferta sulle rive del Mississippi, con Jim Hoke impegnato in un assolo di sax che avrebbe incontrato l’approvazione di Bobby Keys. Altro grande brano, in origine e pure in questa versione, una Black Haired Boy scritta da Guy e Susanna Clark, cantata con tenerezza ed amore, con le armonie vocali splendide, affidate a Emmylou Harris ed Elizabeth Cook, che ti fanno rizzare i peli sulla nuca. Low Rider è un brano oscuro ma di grande valore di JJ Cale, blues-swamp-rock come non se ne fa più, cantato con voce calda e sensuale; Isn’t That Love è un pezzo nuovo, scritto da Crowell e Beth Nielsen Chapman, anche alla seconda voce,  una ballata country-soul dal refrain irresistibile, dove si apprezza vieppiù la voce magnifica della McNally. The Stuff You Gotta Watch è un pezzo di Muddy Waters, trasformato in un R&R/Doo-wop blues dal ritmo galoppante, assolo di armonica di Hoke incluso; Prayer In Open D di Emmylou Harris era su Cowgirl’s Prayer, un country-folk intimo cantato (quasi) meglio di Emmylou, comunque è una bella lotta. E la cover di It Makes No Difference della Band è pure meglio, forse il brano migliore del disco, cantata e suonata da Dio (quel giorno aveva tempo), quindi perfetta. E per chiudere in gloria una versione di Let’s Go Home di Pops Staples, uno dei brani più belli degli Staples Singers, country-soul di nuovo “divino”, anche visto l’argomento. Io ho scritto quello che pensavo, ora tocca a voi. Per me, fino ad ora, in ambito femminile, uno dischi migliori del 2017.

Bruno Conti