Strano Non Averci Pensato Prima: Allman Brothers Band – Fillmore West ’71 Box 4 CD, La Recensione.

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Allman Brothers Band – Fillmore West ’71 – 4 CD Allman Brothers Band Recording Company – 06-09-2019

Quest’anno, tra le varie ricorrenze, si festeggiano anche i 50 anni dalla nascita degli Allman Brothers; la data si  fa cadere il 26 marzo del 1969, quando i musicisti originali (incluso Gregg Allman che li aveva raggiunti da Los Angeles), entrarono in uno studio prove di Jacksonville, Florida per fare una bella jam sul tema di Trouble No More di Muddy Waters, loro futuro cavallo di battaglia. Poi il gruppo il 1° maggio si trasferì a Macon, Georgia, dove Phil Walden, stava fondando la Capricorn Records, e il resto è la storia del southern rock. E’ innegabile che la loro fama sia legata ai leggendari concerti dal vivo, di cui la punta di diamante fu At Fillmore East, il doppio album (e poi le varie diverse configurazioni che sono uscite nel corso degli anni, tra cui imperdibili queste uscite nel 2014 https://discoclub.myblog.it/2014/06/22/speriamo-sia-lultima-definitiva-versione-allman-brothers-band-the-1971-fillmore-east-recordings/ ), ma nei mesi e negli anni precedenti ai concerti del marzo del 1971 a New York, la band aveva suonato incessantemente in giro per tutti gli Stati Uniti, tra cui anche nell’altro famoso locale di proprietà di Bill Graham, il Fillmore West di San Francisco.

allman brothers three nights at fillmore west

Mai pubblicate prima a livello ufficiale, di queste date di fine gennaio esisteva, di non facile reperibilità ovviamente, un bootleg intitolato 1971 Three Night At The Fillmore West,  che vedete effigiato qui sopra, con i concerti del 28 – 29 e 31 gennaio. Ora l’etichetta personale del gruppo, che già negli scorsi anni aveva pubblicato diverso materiale di ottima qualità, l’ultimo di quali questo eccellente https://discoclub.myblog.it/2018/08/11/le-loro-prime-registrazioni-dal-vivo-di-nuovo-disponibili-allman-brothers-band-fillmore-east-february-1970/ , ha fatto uscire un cofanetto quadruplo con le registrazioni complete di tre serate, di cui la prima, quella del 29 gennaio è sicuramente un soundboard, ovvero presa direttamente dalla console, mentre delle altre si sa che sono state per molti anni nei cassetti di alcuni vecchi compagni di avventura di Duane Allman, Gregg Allman, Dickey Betts, Jaimoe, Berry Oakley e Butch Trucks, e ora appositamente restaurate per l’occasione sono state messe in commercio il 6 settembre.

Questo per quanto riguarda le buone notizie: purtroppo però il box è uscito solo per il mercato americano con un prezzo di circa 43 dollari, a cui sono da aggiungere le spese di spedizione dagli States, e per noi europei anche i costi doganali e le tasse per i dischi importati dal Nord America, con un esborso che alla fine non sarà indifferente (circa 60 euro). Comunque ecco la lista completa dei contenuti. Come potete vedere nel quarto CD, come bonus, c’è anche una versione di Mountain Jam, registrata alla Warehouse di New Orleans il 13 marzo del 1970, che supera i 45 minuti di durata!!! E vi propongo anche una recensione “veloce” brano per brano, anche se, come vedete, il repertorio subisce poche variazioni nelle diverse serate.

[CD1: 1/29/1971]
1. Statesboro Blues E’ il brano che apre tutte le tre serate, stellare lavoro di Duane Allman alla slide con Dickey Betts che inizia ad interagire con lui alla seconda solista, Gregg Allman molto impegnato all’organo, ben evidenziato nel mixaggio, così come la sua voce espressiva, profonda e risonante, alle prese con questo classico di Blind Willie McTell. Ottimo il lavoro della sezione ritmica, con il basso di Berry Oakley spesso impiegato quasi in versione di solista aggiunto, come già facevano altri musicisti come Jack Bruce, Jack Casady Phil Lesh, per citarne alcuni, e anche la doppia batteria di Jaimoe Butch Trucks conferisce il classico drive potente e raffinato, con la classica miscela di blues, rock, improvvisazioni di impronta jazzistica, che sarebbe stata definita soutjern rock.
2. Trouble No More Anche questo pezzo, un omaggio al repertorio di Muddy Waters, vede l’eccellente lavoro di Duane alla slide, e anche se la chitarra di Betts è un po’ nascosta nel missaggio, è comunque sempre un bel sentire, con la band che tira come non ci fosse futuro, che invece da lì a poco sarebbe arrivato con il seminale Live At Fillmore East, album che li avrebbe fatti conoscere e rimane tuttora uno dei dischi dal vivo più importanti della storia del rock, e pazienza se in fondo questo Fillmore West in fondo ne duplica il repertorio. Sarà anche per maniaci degli Allman Brothers, ma si possono avere peggiori manie.
3. Don’t Keep Me Wonderin’ Da Idlewild South arriva questa canzone, la prima composizione originale firmata da Gregg Allman, un brano mosso e vivace dove l’organo è molto presente nell’economia del brano
4. In Memory Of Elizabeth Reed Poi arriva una eccellente versione della signature song di Dickey Betts, il lungo e pulsante strumentale dove l’improvvisazione e l’interscambio regnano sovrani, ma che ve lo dico a fare, se conoscete gli Allman questo era uno dei momenti topici dei concerti: 14 minuti e 28 secondi di pure delizie sonore, con le chitarre prima blandite ed accarezzate in perfetto unisono, poi libere di librarsi nelle praterie del rock in un crescendo inarrestabile, magnetico ed inarrivabile, l’arte della improvvisazione vicina alla perfezione con i due chitarristi pronti a sfidarsi ed ad integrarsi in modo magnifico, per poi lasciare spazio ad un lungo assolo di Gregg alla’organo ed al finale ferocissimo.. D’altronde il loro produttore dell’epoca Tom Dowd, era lo stesso che aveva lavorato nei dischi dei Cream e di John Coltrane, per non dire anche di Layla il disco di Derek & The Dominos, registrato pochi mesi prima.

5. Midnight Rider Sempre da Idlewild South arriva una delle più belle ballate rock mai scritte da Gregory Lanier Allman, la tipica canzone passionale ricca degli umori del profondo Sud ed impregnata dagli umori della musica soul, quanto del country. Peccato che in questo brano la qualità sonora ha un drastico calo qualitativo, non tragico, ma comunque decisamente avvertibile.
6. Dreams Per fortuna il suono torna subito decisamente a migliorare e possiamo gustarci uno dei loro massimi cavalli di battaglia in una versione “sognante” (scusate, ma mi è scappato), con la slide eterea ma pungente di Duane a punteggiarla ancora una volta, soprattutto nella lunghissima parte centrale strumentale dove anche il basso di Oakley è libero di improvvisare in piena libertà.

7. You Don’t Love Me Poi arrivano i due lunghi tour de force conclusivi del concerto, prima il brano di Willie Cobbs, con un insistito riff iniziale che è rimasto nella storia del rock e poi il classico southern rock-blues del sestetto al massimo della sua potenza in una versione di oltre 16 minuti che illustra la grande maestria della band nel padroneggiare la materia, con ripetute e continue serie di assoli, sempre diversi tra loro, grazie anche all’intricato lavoro dei due batteristi che imbastiscono continue sequenze percussive per sottolineare il duello ardente e feroce delle due chitarre nella parte centrale.
8. Whipping Post Anche questo pezzo scritto da Gregg quanto a riff non scherza, ancora potenza e classe dispensate dalla band che oltre a lavorare di fino ha anche un approccio quasi di pura violenza sonora, con continue scariche di note che si abbattono sull’ascoltatore per quasi 19 minuti di grandissima musica, che sfociano a tratti quasi nel free jazz puro.

[CD2: 1/30/1971]
1. Statesboro Blues La serata successiva, che è la terza della loro residenza al Fillmore di San Francisco, come detto ripropone in linea di massima lo stesso repertorio dei precedenti concerti, e quindi vediamo i brani esclusivi eseguiti per l’occasione (per la verità uno solo nella scaletta del 30 gennaio), detto che comunque i brani non sono identici e si possono comunque ascoltare sfumature diverse nelle improvvisazioni della band, magari non ascoltateli in sequenza,
2. Trouble No More
3. Don’t Keep Me Wonderin’
4. In Memory Of Elizabeth Reed
5. Stormy Monday Il classico slow blues di T-Bone Walker riceve un trattamento sontuoso, con Gregg che la canta con vibrante passione, mentre Duane e Dickey rilasciano una serie di notevoli interventi chitarristici, prima dell’assolo jazzato dell’organo.
6. You Don’t Love Me
7. Whipping Post

[CD3: 1/31/1971 Part I]
1. Statesboro Blues L’ultimo concerto riserva qualche sorpresa, viene ripristinata Midnight Rider con qualità sonora eccellente e un arrangiamento sbarazzino e complesso dove anche le percussioni rivestono una parte importante nell’insieme.
2. Trouble No More
3. Don’t Keep Me Wonderin’
4. In Memory Of Elizabeth Reed
5. Midnight Rider
6. Hoochie Coochie Man Versione veramente “cattiva” di questo classico di Muddy Waters con Berry Oakley al microfono per una eccellente prestazione sottolineata da un gruppo veramente infervorato per l’occasione, peccato di nuovo per una delle chitarre con un segnale più debole in uno dei canali dello stereo, ma è un peccato veniale, compensato comunque dall’altra..
7. Dreams
8. You Don’t Love Me

[CD4: 1/31/1971 Part II]
1. Hot ‘Lanta Il concerto decisamente più lungo, si protrae anche nel quarto CD con una versione breve, ma magmatica ed intensissima di questo brano strumentale firmato in modo collettivo dalla band, ancora in feroce modalità improvvisativa, anche con brevi assoli di batteria di Jaimoe e Butch Trucks.

2. Whipping Post E per concludere la serata una versione monstre di quasi 21 minuti del pezzo che all’epoca concludeva quasi sempre i loro concerti, la più bella di quelle presente nel quadruplo CD, ascoltare per credere.
Bonus Track:
3. Mountain Jam Live At The Warehouse, New Orleans, LA 3/13/1970 (first release of this version).Come bonus i compilatori di questo cofanetto hanno aggiunto la loro celeberrima e libera variazione sul tema di First There Is A Mountain di Donovan, che per l’occasione del concerto alla Warehouse di New Orleans (quella del Live degli Hot Tuna) raggiunge la durata record di 45 minuti e 43 secondi (!!!). Il suono è leggermente più “rustico” ma la qualità complessiva della esecuzione ne giustifica assolutamente l’inclusione con la band che sprigiona già il magnetismo sonoro che poi avrebbero perfezionato nell’anno a seguire.

Forse avete già molti dei Live, ufficiali e non, che sono usciti in questi anni, comprese le innumerevoli versioni dei concerti del Fillmore East, ma forse questo piccolo box varrebbe la pena del “piccolo” sacrificio economico. Eventualmente, buona ricerca.

Bruno Conti

Janis Joplin, Gli Anni Del “Grande Fratello” 1966-1968 – Cheap Thrills E Il Rock Non Sarà Più Lo Stesso Parte II

A giugno, su invito dei Mamas And Papas che lo organizzavano, insieme a Lou Adler, Derek Taylor ed altri, partecipano al Monterey Pop Festival (la parola rock non era ancora stata sdoganata), ottenendo un successo clamoroso. Il loro “geniale” manager dell’epoca non diede il permesso al regista D.A. Pennebaker, che stava filmando l’evento, di riprendere il loro set del sabato 17 giugno, senza prima essere pagati. Ovviamente gli organizzatori entusiasti della loro esibizione pensarono di inserire la band di nuovo nel programma della domenica, e così fu fatto, anche se suonarono solo due brani, contro i cinque del giorno prima, ma l’esecuzione di Ball And Chain, il pezzo di Big Mama Thornton, è entrato giustamente negli annali della storia della musica rock, come una delle più straordinarie, viscerali, commoventi, performance di sempre, con Janis Joplin che lasciò completamente senza fiato il pubblico presente: sintomatico è il “wow” che si vede formarsi sulle labbra di Mama Cass Elliott alla fine dell’esibizione e la sua amica Michelle Phillips che pensava che la Joplin avesse cantato come una rediviva Bessie Smith. In un Festival ricco di momenti straordinari ed unici, quel brano rimane scolpito nella memoria collettiva, insieme alle esibizioni di Jimi Hendrix, con chitarra incendiata e performance stellare, Otis Redding che porta la musica soul alla conoscenza di tutti con un set altrettanto incendiario, scomparendo poi solo sei mesi dopo nel famoso incidente aereo, e gli Who, con batterie e chitarre che volavano sul palco mentre Townshend e Moon si “incazzavano” a comando.

Comunque i Big Brother & The Holding Co., che nei sei mesi precedenti vissuti in California, in una sorta di ritiro in una comune a Marin County, provando, riprovando, esibendosi anche dal vivo e probabilmente dedicandosi anche ad “attività ludiche”, erano diventati una fior di band, diedero l’impressione di essersi trasformati in un gruppo solido e complessivamente di grande spessore. Diciamo che l’uscita dell’album, avvenuta solo ad agosto, e con un suono che non era quello esibito a Monterey, pur godendo della spinta di quell’evento e rimanendo in classifica per una trentina di settimane, non andò oltre il 60° posto. Comunque nell’album ci sono alcuni brani che, pur non essendo versioni definitive e soddisfacenti, a causa della produzione poco incisiva di Bob Shad, sono rimaste a lungo nel repertorio di Janis: canzoni come Bye Bye Baby, Light Is Faster Than Sound, All Is Loneliness e soprattutto Down On Me, sono rimasti comunque nel repertorio live della band, diventando dei piccoli classici, e anche Women Is Losers e Call On Me non erano male, senza dimenticare che nella riedizione dell’album da parte della Columbia, per capitalizzare sulla fama raggiunta dopo l’esibizione a Monterey e il successo crescente, vennero aggiunti due brani, entrambi pubblicati come singoli, The Last Time, e soprattutto Coo Coo, uno dei pezzi suonati nella prima esibizione al Festival di Monterey.

Per avere una idea piuttosto approfondita delle vicende della band vi consiglio l’ottimo DVD edito dalla Eagle Vision nel 2009, relativo al documentario girato nel 2001 da Michael Burlingame, intitolato Big Brother And The Holding Co. With Janis – Nine Hundred Nights, che traccia in modo preciso e molto ben documentato ed in oltre due ore, l’intero percorso artistico della band, dalla scelta del nome, ad un capitolo dedicato alla scena psichedelica, i primi incontri tra i vari protagonisti, fino all’ingresso nella formazione di Dave Getz e Janis Joplin, i concerti all’Avalon e al Fillmore, un altro capitolo dal titolo piuttosto esplicito “Drugs Everywhere”, l’esibizione trionfale al Monterey Pop Festival, con le due canzoni dello show della domenica, CombinationOf The Two e Ball And Chain, l’arrivo del nuovo manager Albert Grossman, e l’inizio della preparazione del nuovo album Sex, Dope and Cheap Thrills.

Sex, Dope And Cheap Thrills

Il 1968 inizia con la prima tappa della conquista della Costa Est degli Stati Uniti, i Big Brother arrivano a New York per alcuni concerti all’Anderson Theatre, tra cui il primo in assoluto il 17 febbraio del 1968, e meno di un mese dopo, l’8 marzo,  inaugurano il Fillmore East di Bill Graham. Le recensioni dei giornali locali non furono molto positive, dicendo che gli strumenti erano scordati e il volume era a livelli micidiali, tanto che si usciva dal concerto con le orecchie che fischiavano. Dai filmati dell’epoca si percepisce che in effetti i cinque non erano forse il massimo della finezza e della precisione, però il suono che usciva dagli amplificatori era potente e vibrante e la loro cantante una vera forza della natura anche in questi spettacoli indoor: il 7 aprile, durante le registrazioni per Cheap Thrills, i Big Brother parteciparono ad una serata di veglia al Generation Club, un piccolo locale di New York, denominata Wake For Martin Luther King, in ricordo del grande politico ed attivista, che era stato assassinato 3 giorni prima a Memphis, alla serata di cui esistono riprese non ufficiali, erano presenti molti musicisti importanti, tra cui Jimi Hendrix che si vede ai piedi del palco durante l’esibizione del gruppo.

Che senza tenere la media frenetica di show, spesso giornaliera, che aveva avuto nel biennio 1966/1967 in vari locali di tutta la California, con la pausa della trasferta a Chicago, anche nel 1968, si esibì comunque a Phiadelphia, Detroit, Boston, di nuovo a Chicago, e anche in altre serate al Generation Club, il tutto mentre procedevano le registrazioni per il nuovo album, iniziate il 2 marzo ai Columbia Recording Studios di New York e portate a termine a quelli di Hollywood il 20 maggio, con qualche traccia registrata ai Golden State Recorders di San Francisco, con la produzione di John Simon, che dopo avere prodotto un disco di Gordon Lightoot, venne chiamato da Albert Grossman a produrre Cheap Thrills, ma raggiungerà fama imperitura con la Band. Delle vicissitudini e dei contenuti completi del “nuovo” album potete leggere nella recensione in un altro post nel Blog https://discoclub.myblog.it/2019/01/08/correva-lanno-1968-7-una-rara-occasione-in-cui-la-ristampa-forse-supera-loriginale-big-brother-the-holding-co-sex-dope-cheap-thrills/ . Il disco, come è noto avrebbe dovuto chiamarsi Sex, Dope And Cheap Thrills, ma il titolo fu rigettato dalla Columbia, come pure la foto di copertina, che li vedeva diciamo poco vestiti, o se preferite, quasi completamente ignudi, su un letto di una camera d’albergo: quindi eliminati il sex e il dope, rimasero i Cheap Thrills la cui immagine fu affidata al grande disegnatore Robert Crumb, che realizzò una copertina che comunque nel “fumetto” realizzato, la sua quota lisergica e sessuale ce l’aveva comunque, e rimane una delle copertine più celebri di sempre.

Big Brother And The Holding Company Sex Dope And Cheap Thrills coverBig Brother And The Holding Company Cheap Thrills

Mentre il gruppo, rientrato in California, continua ad esibirsi in concerti a raffica, tra cui epocali sono quelli pubblicati nel 1998, come Live At Winterland 1968, con il meglio delle due serate del 12 e 13 aprile, e Live At the Carousel Ballroom1968, con la serata del 23 giugno, altro concerto formidabile che li fotografa in uno degli ultimi momenti di grande splendore. Non perché non ce ne saranno altri, ma perché Janis Joplin cominciava già a meditare di lasciare il gruppo per registrare un “album soul” https://www.youtube.com/watch?v=-oni7BjLcVQ . Comunque il 12 agosto esce l’album, sotto forma di finto live, con gli applausi aggiunti da John Simon, perché quello era il progetto iniziale, salvo un brano Ball And Chain che, nonostante il LP riporti fu registrato al Fillmore, in effetti viene dal concerto al Winterland Ballroom citato poc’anzi. Il disco raggiunse la vetta delle classifiche americane, dove rimase per otto settimane consecutive, non male se pensate a quali e quanti album c’erano in circolazione in quella annata straordinaria. Complessivamente il LP vendette due milioni di copie e pure Piece Of My Heart fu un grande successo arrivando fino al 12° posto delle classifiche dei singoli.

Come complemento potremmo aggiungere che il DVD ricordato prima, contiene anche un affascinante e lunga sequenza che riprende la band proprio mentre prova alcuni brani dell’album, tra cui ripetute e molto dibattute, con Simon, quelle per Summertime, una delle canzoni più importanti di quelle sessions. Alla fine dell’estate Janis annuncia ufficialmente la sua decisione di andarsene e il 1° Dicembre del 1968 a San Francisco tiene il suo ultimo concerto con i Big Brother. Non finisce qui, ma il seguito è un’altra storia, quella di Janis da sola, to be contined…

Bruno Conti

Supplemento Della Domenica: Anticipazione. Non Solo Un’Operazione Di Marketing, Ma Anche (Finalmente) Un Gran Bel Disco! Santana – Santana IV

santana iv

Santana – Santana IV – Santana IV Records/Thirty Tigers CD

Quando, sul finire dello scorso anno, ho letto la notizia che Carlos Santana aveva riformato la band dei suoi primi tre, storici album (Santana, Abraxas, Santana III) ho storto un po’ il naso, in quanto la cosa mi puzzava di espediente per rilanciare una carriera che aveva di nuovo preso una china discendente. Diciamo che sul chitarrista di origine messicana ero anche un po’ prevenuto, in quanto non sono mai stato un suo grande fan: dando per assodata la sua abilità con lo strumento (davvero formidabile) ed anche il fatto che con quei primi tre album aveva inventato un suono (mescolando ritmi latini, blues, psichedelia e rock, ricavandone un cocktail unico, rubando lo show, come si dice in gergo, anche a Woodstock, dove si esibì da totale sconosciuto), è anche vero che poi ha vissuto di rendita per tutto il resto della carriera (o almeno da Borboletta in poi), riciclandosi all’infinito senza più trovare l’ispirazione, ma anzi cercando sempre di più il successo commerciale, a discapito della qualità delle registrazioni.

Quasi relegato al ruolo di vecchia gloria per tutti gli anni ottanta e novanta, ha avuto un improvviso colpo di coda nel 1999 con l’album Supernatural, uno dei dischi più venduti di tutti i tempi, e che ha riportato in auge il suo nome, grazie anche a singoli perfetti come Smooth e Corazon Espinado (ma il disco era, a mio parere, discreto, non certo un capolavoro); il successivo Shaman vendette molto meno, e la qualità ricominciò a scemare, e non sono serviti altri quattro album (Guitar Heaven, per usare un’espressione cara a Bruno, era una tavanata galattica *NDB Infatti, inserito tra i peggiori dischi del 2010)) per rilanciarsi.L’interesse per questo nuovo disco (e per la reunion) era dunque molto alto: Carlos ha richiamato a sé il chitarrista Neal Schon ed il tastierista/organista e vocalist Gregg Rolie (entrambi, dopo la prima esperienza con Santana, hanno formato i Journey, nei quali Schon milita ancora oggi, mentre Rolie li ha lasciati nel 1981 tentando una poco fortunata carriera da solista, rientrando nei Santana per un paio di album, e militando in seguito in una delle mille line-up della All-Starr Band di Ringo), oltre al batterista Michael Shrieve ed al percussionista Mike Carabello; le uniche concessioni alla band attuale di Carlos sono il bassista Benny Rietveld (David Brown non è più tra noi da tempo) e l’altro percussionista Karl Perazzo. 

Santana IV, fin dal titolo (che si ricollega dunque idealmente al terzo album) e dalla copertina rimanda a quei giorni gloriosi ma, sorpresa delle sorprese, anche il contenuto musicale è notevole: Carlos, forse grazie anche alla rinnovata collaborazione coi vecchi amici, sembra aver ritrovato l’ispirazione, e tra i sedici brani del CD (non ci sono edizioni deluxe) non c’è una sola nota da buttare (solo un paio di leggeri cali). Il nostro è sempre un grande chitarrista, e questo lo sapevamo, ma l’intesa che ha con il resto del gruppo (specie con Rolie, altro grande protagonista del CD) è tale che sembra quasi che non si fossero mai separati. I brani sono tutti accreditati al gruppo stesso, e rappresentano tutto il mondo di Santana a 360 gradi, tanto rock, lunghi assoli, un suono caldo dominato da organo e percussioni, ma anche struggenti brani d’atmosfera, un cocktail che in certi momenti sembra far rivivere l’antico splendore, e che rende Santana IV di gran lunga il miglior disco di Carlos da quarant’anni a questa parte.

L’album si apre con la strana (ma interessante) Yambu, con la sua ritmica tribale e la chitarra wah-wah che duetta abilmente con l’organo di Rolie, ed il cantato che sembra un inno propiziatorio di qualche tribù ad una divinità: un inizio spiazzante, ma anche accattivante. Shake It porta il disco su territori più rock: ancora gran gioco di percussioni, Rolie canta con grinta e Schon fornisce un aggressivo background ritmico sopra il quale si staglia splendida la chitarra del leader. Anywhere You Want To Go è il primo singolo dell’album: dopo un intro in cui i musicisti sembrano accordare gli strumenti, parte una ritmica tipica del nostro, subito doppiata dall’organo, un suono caldo, chitarra stellare ed un motivo molto orecchiabile, un pezzo dalla struttura simile a Oye Como Va. Un brano riuscito, radiofonico ma di sostanza allo stesso tempo. La lunga Fillmore East già dal titolo evoca l’epoca gloriosa della band (ed è anche un omaggio a Bill Graham che lo ha scoperto): inizio lento ed ipnotico, con la chitarra del nostro che sembra faticare a trovare una linea melodica, poi circa a metà il brano parte deciso anche se non ci sono cambi di ritmo. Non il brano migliore del CD, e forse con quel titolo si doveva fare meglio.

Love Makes The World Go Round (titolo non originalissimo) vede la presenza di Ronald Isley, leggendario leader degli Isley Brothers, alla voce solista: la base strumentale è tipica, il connubio chitarra/organo da manuale, ed il vocione di Ronald dona un sapore errebi solitamente estraneo al suono di Santana; Isley resta anche per il pezzo successivo, la potente Freedom In Your Mind, un rock venato di funky dal suono “grasso” e solita chitarra magistrale, che fa muovere volentieri il piedino. Da questi primi brani è lampante come Carlos sia maggiormente dentro al suono ed alle canzoni che nei suoi ultimi dischi, nei quali i suoi assoli risultavano posticci quando non appiccicati alla bell’e meglio, senza un minimo di feeling. La ritmatissima Choo Choo, con i suoi insistenti riff di organo ed il suo mood coinvolgente, è un tripudio di suoni e colori, ed è il Santana che tutti volevamo (e qui il chitarrista è meno all over the place del solito, infatti il vero protagonista è Rolie); il brano sfocia in una scatenata jam session intitolata All Aboard, che purtroppo finisce quasi subito.

Suenos è un lento d’atmosfera decisamente evocativo, nel quale il nostro sostituisce il furore elettrico con una splendida chitarra spagnoleggiante, una canzone sullo stile di classici come Europa e Samba Pa Ti: sarà anche auto-riciclaggio, ma avercene! Caminando è un festival di suoni e percussioni, anche se ogni tanto spunta un synth non proprio graditissimo ed il cantato è stranino, mentre Blues Magic è splendida, uno showcase per le due chitarre di Carlos e Neal, che si alternano con assoli liquidi ben supportati dalla voce di Rolie: grande pathos, uno dei momenti migliori del disco. Echizo è uno strumentale dai toni epici, solito magistrale gioco di percussioni e Santana e Schon che duellano alla grande (vince Carlos, ma Neal vende cara la pelle), chi ama i brani per chitarra qui troverà trippa per gatti; ottima anche Leave Me Alone, di nuovo il Santana più tipico, una canzone decisamente godibile e fluida, un potenziale singolo (anche meglio di Anywhere You Want To Go), mentre in You And I si riaffaccia il lato romantico del nostro, anche se c’è un sottofondo di tensione che dà un tono pinkfloydiano al pezzo (e Carlos nel finale fa i numeri). Il CD si conclude con la solare Come As You Are, ancora ritmo a mille ed un motivo godibilissimo (quasi un calypso caraibico, uno dei pezzi più immediati del disco), e con la lunga Forgiveness, solito inizio lento e fluido nel quale gli strumenti scaldano i muscoli, poi sia Carlos che Neal iniziano a far cantare le chitarre, ed il brano assume quasi le caratteristiche di uno space rock.

Sono il primo ad essere felice del fatto che Carlos Santana sia ancora tra noi, qualitativamente parlando: spero solo che Santana IV non sia un fuoco di paglia, e che non dobbiamo attendere altri quarant’anni per il quinto capitolo, perché non ce la possiamo fare, né noi, né soprattutto loro! Il disco esce il 15 aprile.

Marco Verdi