Non E’ Un Bel Momento Per I Musicisti Texani: Dopo Jerry Jeff Walker Se Ne E’ Andato Anche Billy Joe Shaver.

billy joe shaver

Per la serie “se fossi Willie Nelson o Kris Kristofferson inizierei a fare gli scongiuri”, a soli cinque giorni dalla scomparsa di Jerry Jeff Walker https://discoclub.myblog.it/2020/10/25/purtroppo-e-arrivato-quel-tempo-da-venerdi-scorso-il-texas-e-un-po-piu-povero-a-78-anni-se-ne-e-andato-mr-bojangles-jerry-jeff-walker/ , tra i più validi esponenti del country texano d’autore pur essendo newyorkese d’origine, se ne è andato a causa di un ictus anche il grande Billy Joe Shaver, lui sì texano purosangue essendo nato a Corsicana 81 anni fa. Associato spesso al movimento Outlaw Country, Shaver è stato tra gli esponenti più autorevoli ed influenti della musica texana degli anni settanta, autore di grandissime canzoni che sono diventate veri e propri evergreen del genere, titoli come You Asked Me To, Honky Tonk Heroes, I’m Just An Old Chunk Of Coal, Black Rose (strepitosa, tra le più belle country songs di sempre), Old Five And Dimers Like Me, Willy The Wandering Gypsy And Me, I Been To Georgia On A Fast Train, Ride Me Down Easy, fino alla più recente Live Forever.

Allevato dalla madre in quanto il padre se ne andrà di casa prima della sua nascita, il giovane Billy svolge diversi lavori (tra i quali il mugnaio, occupazione che gli causa la perdita di due dita a causa di un incidente ma non gli impedirà di imparare a suonare la chitarra) prima di trovare la sua vena artistica in campo musicale: viaggiando in autostop per gli Stati Uniti arriva fino a Nashville, dove all’inizio degli anni 70 trova lavoro come songwriter a 50 dollari a settimana. La svolta arriva quando viene notato da un già famoso Waylon Jennings che, rimasto colpito dalla qualità delle sue canzoni, ne incide otto scrivendone una nona con lui (la già citata You Asked Me To) e pubblicandole tutte sul suo album del 1973 Honky Tonk Heroes, una cosa mai vista prima che inizia a far circolare il nome di Billy Joe all’interno dell’ambiente facendogli guadagnare anche un contratto discografico con la Monument per il suo esordio Old Five And Dimers Like Me. In poco tempo Shaver diventa uno dei nomi principali del cantautorato country di quegli anni, grazie sia alle sue esibizioni dal vivo, sia per il fatto che molti suoi brani vengono registrati da colleghi del calibro di Nelson, Kristofferson, David Allan Coe, George Jones ed addirittura Elvis Presley (ancora You Aksed Me To), mentre Johnny Cash una volta arriverà a definirlo il suo cantautore preferito.

Negli anni seguenti al suo esordio non inciderà moltissimo, mantenendo però una qualità media molto alta: due soli album per la Capricorn nei seventies, entrambi ottimi (When I Get My Wings e Gypsy Boy), e tre per la Columbia negli anni 80, gli splendidi I’m Just An Old Chunk Of Coal e Salt Of The Earth ed il discreto Billy Joe Shaver. Poi dagli anni novanta il nostro ritrova la vena e comincia ad incidere con buona cadenza e con risultati eccellenti, mischiando il suo solito country texano ad abbondanti dosi di rock, grazie anche all’apporto del talentuoso figlio Eddy Shaver alla chitarra elettrica: Tramp On Your Street del 1993 e Highway Of Life del 1996 sono tra i suoi dischi più belli, ma non sono di molto inferiori neppure i seguenti Victory e Electric Shaver; in mezzo, un live album formidabile (Unshaven: Live At Smith’s Olde Bar, 1995), in cui il country è quasi messo da parte a favore di un rock’n’roll decisamente elettrico e trascinante. Ma le tragedie familiari sono dietro l’angolo: nel 1999 scompaiono per cancro sia la madre di Billy Joe che la moglie Brenda (che il nostro aveva sposato per ben tre volte!), ed il 31 dicembre del 2000 se ne va per overdose di eroina a soli 38 anni anche Eddy.

Billy rimane comprensibilmente devastato (subisce anche un’operazione al cuore nel 2001 per un infarto occorsogli on stage che quasi lo uccide), ma essendo un texano dal pelo duro non si dà per vinto e continua a fare musica di alto livello, pubblicando ottimi album come Freedom’s Child, Try And Try Again, Billy And The Kid (in cui recupera incisioni inedite fatte con Eddy) ed il gospel-oriented Everybody’s Brother del 2007, anno in cui il nostro ha anche problemi con la giustizia per uno scontro a fuoco avvenuto in un bar di Lorena, Texas, durante il quale Billy spara in faccia ad un tizio (che ne uscirà miracolosamente ferito non gravemente) invocando poi la legittima difesa, che gli verrà riconosciuta al processo avvenuto nel 2010 (anche se la frase che Billy viene udito pronunciare prima di sparare, “Dove vuoi che ti colpisca?”, lascia qualche dubbio in merito). I continui problemi di salute che affliggeranno Shaver negli anni a venire gli consentiranno di pubblicare solo più un album, il peraltro bellissimo Long In The Tooth del 2014: ed è proprio con la prima canzone di quel disco, un duetto con Willie Nelson dal titolo emblematico di Hard To Be An Outlaw, che vorrei ricordarlo.

Riposa in pace, vecchio Honky Tonk Hero.

Marco Verdi

E, Come Al Solito, Il Vecchio Willie Non Sbaglia Un Colpo! Willie Nelson – First Rose Of Spring

willie nelson first rose of spring

Willie Nelson – First Rose Of Spring – Sony CD

A quasi un anno esatto da Ride Me Back Home https://discoclub.myblog.it/2019/07/07/forse-lunico-modo-per-fermarlo-e-sparargli-willie-nelson-ride-me-  torna il grande Willie Nelson, che nonostante l’età avanzata (ormai le primavere sono 87) non ha nessuna intenzione di ritirarsi e, anzi, continua a pubblicare dischi di qualità altissima: First Rose Of Spring è l’album di studio numero 70 per il musicista texano (senza contare i lavori in collaborazione con altri, i live e le colonne sonore: in tutto si arriva a 94), ed è manco a dirlo un disco splendido, superiore anche a Ride Me Back Home e di poco inferiore a Last Man Standing del 2018, che però era uno dei suoi migliori in assoluto. E’ vero che Willie fa parte di quegli artisti che non hanno mai veramente deluso, nemmeno negli anni ottanta quando la sua ispirazione era un po’ offuscata, o quando ha pubblicato album a sfondo reggae (Countryman) o strumentale (Night And Day, bello ma con una voce così come gli è venuto in mente di fare un disco non cantato?): da quando poi ha iniziato a collaborare col produttore Buddy Cannon lo standard qualitativo si è sempre mantenuto a livelli di assoluta eccellenza.

First Rose Of Spring è un disco tipico del nostro, con una serie di ballate di grande bellezza, suonate alla grande e cantate con la solita voce inimitabile nonostante gli anni: Cannon ha come di consueto messo a disposizione di Willie il solito manipolo di fuoriclasse (Bobby Terry alle chitarre, Kevin Grantt e Larry Paxton al basso, Mike Johnson alla steel, Chad Cromwell e Lonnie Wilson alla batteria e Catherine Marx alle tastiere, oltre naturalmente all’immancabile Mickey Raphael all’armonica), ma il resto è farina del sacco di Nelson, che ha interpretato alla sua maniera la solita serie di canzoni scelte con cura, scrivendone anche due nuove di zecca insieme allo stesso Cannon. L’album si apre con la title track, una languida country ballad scritta da Randy Houser e contraddistinta dalla grandissima voce di Willie in primo piano con dietro solo un paio di chitarre, l’armonica, una steel ed un organo appena accennati: la canzone è già bella di suo, ma il timbro vocale del leader e la sua interpretazione la rendono da pelle d’oca. Blue Star è il primo dei due pezzi nuovi, ed è un altro lento splendido dallo sviluppo rilassato e disteso, con un motivo di prim’ordine ed un suono caldo e coinvolgente, mentre I’ll Break Out Again Tonight (di Whitey Shafer ma resa popolare da Merle Haggard) è uno scintillante honky-tonk classico, un genere di canzone che Willie canta anche quando dorme ma riesce a farlo emozionando ogni volta.

Don’t Let The Old Man In è la dimostrazione che i grandi interpreti riescono a migliorare anche brani di autori non proprio di prima fascia, nello specifico Toby Keith: altro limpido slow di matrice western con leggera orchestrazione alle spalle ed un tocco di Messico come sempre quando Willie imbraccia la sua Trigger; Just Bummin’ Around è una saltellante e swingata country song d’altri tempi (ed infatti è stato un successo negli anni cinquanta per Jimmy Dean), eseguita con la solita classe sopraffina, ed è seguita dalla tenue e bellissima Our Song di Chris Stapleton, altro pezzo country dal pathos notevole con una parte vocale di brividi, e dalla formidabile We Are The Cowboys di Billy Joe Shaver, una western song sferzata dal vento che è tra le ballate più belle uscite negli ultimi mesi, e che si candida come uno dei brani centrali del CD. La toccante Stealing Home (ma che voce!), scritta dalla figlia di Cannon, Marla, e la mossa e trascinante I’m The Only Hell My Mama Ever Raised, brano uscito dalla penna di Wayne Kemp (songwriter che scrisse tra le altre la famosa One Piece At A Time per Johnny Cash), precedono le conclusive Love Just Laughed, altra notevole ballatona e seconda canzone originale del disco, e Yesterday When I Was Young, vecchio successo di Roy Clark (ma l’autore è Charles Aznavour) che mette la parola fine in maniera struggente ad un album magnifico.

Marco Verdi

Ottimo Rockin’ Country Tutto Texano. Drew Fish Band – Wishful Drinkin’

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Drew Fish Band – Wishful Drinkin’ – Reel CD

Primo album per Drew Fish, altro giovane countryman proveniente da quella fucina di talenti che è il Texas, dopo un paio di EP usciti nel 2014 e 2016. Wishful Drinkin’ è un esordio col botto, un disco di puro country-rock texano di quelli che fanno saltare sulla sedia fin dal primo ascolto, in cui non manca l’apporto di violini e steel ma a dominare sono le chitarre ed il ritmo. Il suffisso “Band” fa figo e non impegna, dato che in realtà Drew è un solista che usa una lunga serie di sessionmen bravissimi anche se poco conosciuti, a parte Cody Braun dei Reckless Kelly e la cantante Pam Tillis, ma alla fine quello che più importa è che Wishful Drinkin’ è tra i migliori album di country elettrico da me ascoltati ultimamente, dieci brani originali dove, a parte un paio di ballate, il ritmo ed il feeling la fanno da padroni. La produzione poi è nelle sapienti mani di Adam Odor, che in passato ha collaborato con Dixie Chicks, Jason Boland, Pat Green e Randy Rogers, e che ha saputo valorizzare al massimo il suono diretto e potente del nostro.

Non c’è molto altro da dire, se non lasciare spazio alle canzoni dell’album, che iniziano alla grande con Lone Star Saturday Night, un country’n’roll irresistibile dal gran ritmo, voce sicura, chitarre in tiro ed il violino che fende l’aria, un avvio decisamente trascinante. La title track è un vivace honky-tonk elettrico sempre con il ritmo accentuato ed un gustoso botta e risposta a suon di riff tra chitarra elettrica e steel; la prima ballata è Every Damn Time, con il violino che si fa suadente ma la strumentazione resta asciutta e diretta e la seconda voce della Tillis aggiunge il tocco di soavità, ma con Better Place riparte subito il trip elettrico, un delizioso e cadenzato brano dal sapore western servito da una melodia vincente (e le chitarre, steel compresa, continuano a fare il loro lavoro alla grande). Devil You Know è un boogie-swing texano al 100% con il solito gran ritmo (non è più una sorpresa), train sonoro coinvolgente ed ottimi interventi di violino e pianoforte. 

Another You è un lento elettroacustico intenso e con tutti i suoni a posto, anche se io Drew lo preferisco in pezzi come la seguente High Rolling Home, altro rockin’ country decisamente elettrico e dal mood contagioso (con tracce di Waylon e Billy Joe Shaver): sentire per credere. One Beer At A Time è potente, grintosa e con una chitarra che cavalca il ritmo per tutta la durata del brano; il CD termina con Baby Just Let Go, ballatona elettrica davvero bella ed evocativa, e con la strepitosa Waiting For The Sun, puro country & western sferzato dal vento che evoca paesaggi a perdita d’occhio tra rocce, canyon, cactus e pompe di benzina abbandonate. Drew Fish Band: segnatevi questo nome, ne sentiremo parlare ancora.

Marco Verdi

Disco Dopo Disco E’ Sempre Più Bravo! Hayes Carll – What It Is

hayes carll what it is

Hayes Carll – What It Is – Dualtone CD

Nuovo album per il cantautore texano Hayes Carll, uno che incide con il contagocce (sei album in diciotto anni di carriera), ma potete stare certi che quando pubblica qualcosa riesce sempre a distinguersi dalla banalità. La peculiarità di Carll è che il livello dei suoi lavori è in continuo crescendo, ed ogni suo disco ha sempre qualcosa in più del precedente: Lovers And Leavers (2016) https://discoclub.myblog.it/2016/04/05/piu-countryman-songwriter-completo-hayes-carll-lovers-and-leavers/  era meglio di KMAG YOYO (2011), che a sua volta era meglio di Trouble In Mind (2008). E What It Is, il suo CD nuovo di zecca, già al primo ascolto si rivela il migliore di tutti, un album composto da una serie di canzoni splendide sempre nello stile tipico del nostro: musica country d’autore, di alto livello e decisamente coinvolgente, ma sono ben presenti anche elementi folk, rock’n’roll e perfino soul. Una cosa che contraddistingue le canzoni di Carll sono anche i testi, intelligenti e sempre sul filo di un’ironia alla John Prine, quando non sfociano nel puro sarcasmo alla Randy Newman. Infine, una spinta alla riuscita di What It Is deve averla data anche la situazione sentimentale di Hayes, che si è fidanzato con la bella e brava Allison Moorer (una delle tante ex mogli di Steve Earle), ed il mio non è solo gossip fine a sé stesso, in quanto la musicista dai capelli rossi è coinvolta anche artisticamente in questo disco, in quanto ne è la produttrice (insieme a Brad Jones), ha scritto diversi brani insieme al suo boyfriend, ed è pure presente in qualità di corista (con Bobby Bare Jr., figlio di cotanto padre).

Un gran bel disco quindi, oltre che per le canzoni anche per i musicisti coinvolti, tra i quali si segnalano il noto Fats Kaplin al violino, mandolino, banjo e steel (fondamentale il suo contributo), Will Kimbrough alle chitarre ed il bravissimo pianista e organista Gabe Dixon. Dodici canzoni, una meglio dell’altra: si parte con None’Ya, eccellente ballata countreggiante, cadenzata e diretta, con un motivo di quelli che restano in testa immediatamente ed un bellissimo violino. Irresistibile poi Times Like These, un rock’n’roll dal ritmo travolgente, elettrico quanto basta ed ancora con il violino a fungere come elemento di disturbo: impossibile tenere il piede fermo, siamo dalle parti del miglior Billy Joe Shaver (anche come timbro vocale); davvero bella anche Things You Don’t Wanna Know, un pezzo stavolta dal chiaro sapore soul (una novità per Hayes), con il nostro che dimostra di essere più che credibile usando fiati ed organo in maniera magistrale, il tutto servito da una melodia decisamente orecchiabile. Che dire di If I May Be So Bold? Una scintillante country song elettrica ancora con Shaver in testa (ma anche Johnny Cash), ritmo alto e gran godimento, mentre Jesus And Elvis è uno slow ancora dal chiaro approccio country, limpido e scorrevole, che ha il passo delle migliori composizioni di John Prine (anche nel testo, tra il poetico e lo scherzoso): splendida anche questa.

Che Carll sia in stato di grazia lo si capisce anche da brani come American Dream, apparentemente un tipo di country song già sentita prima, ma con una marcia in più data dalla brillantezza della scrittura e dall’accompagnamento delizioso da parte della band (ottimo l’intreccio tra chitarre, violino e mandolino); Be There è una ballata fluida, intensa e melodicamente impeccabile (il refrain è perfetto), con una sezione d’archi che la rende emozionante. Beautiful Thing, ancora a metà tra country e rock’n’roll, è nobilitata da un ritmo coinvolgente e dal formidabile pianoforte di Dixon; un banjo apre la squisita What It Is, che porta il disco in territori bluegrass, ed è inutile dire che sia Hayes che la band danno il loro meglio anche qui. Il CD volge (purtroppo) al termine, il tempo di ascoltare ancora Fragile Men, lenta, epica e con un arrangiamento da film western, la potente Wild Pointy Finger, tra country e southern, e con l’intima e folkie I Will Stay, solo voce, chitarra ed archi.

Dopo un inizio in sordina finalmente anche il 2019 sta cominciando a produrre dischi degni di nota, e questo nuovo tassello della carriera di Hayes Carll è al momento nella mia Top Five.

Marco Verdi

Uno Splendido Omaggio Al Country Texano Anni Settanta. Steve Earle & The Dukes – So You Wannabe An Outlaw

steve earle so you wanna be an outlaw

Steve Earle & The Dukes – So You Wannabe An Outlaw – Warner CD – Deluxe CD/DVD

Dopo il piacevole ma piuttosto disimpegnato disco di duetti con Shawn Colvin di un anno fa http://discoclub.myblog.it/2016/06/21/buon-debutto-nuovo-duo-shawn-colvin-steve-earle-colvin-earle/ , torna Steve Earle con uno degli album più belli della sua ormai più che trentennale carriera. So You Wannabe An Outlaw è un CD di brani originali che, come lascia intuire il titolo, è anche un sentito tributo ad una certa musica country texana dei seventies, meglio conosciuta come Outlaw Music, che aveva i suoi massimi esponenti in Willie Nelson, Waylon Jennings e Billy Joe Shaver, un country robusto ed elettrico e non allineato con i precisi dettami commerciali di Nashville. Ma questo album è anche un omaggio di Steve alla sua gioventù, ed ai suoi primi passi come songwriter, quando venne preso dal grande Guy Clark sotto la sua ala protettiva (e Guy viene ricordato in una delle canzoni più intense del disco). Dal punto di vista sonoro So You Wanna Be An Outlaw è il lavoro più country di Earle da moltissimi anni a questa parte, se escludiamo il disco The Mountain inciso con la Del McCoury Band (che però era molto più legato ai suoni folk appalachiani), ed è forse il primo album a ricollegarsi direttamente ai due suoi fulminanti dischi d’esordio, Guitar Town ed Exit 0. Il suono è robusto, con Waylon come influenza principale, la produzione è dell’ormai inseparabile Richard Bennett, e la band che lo accompagna, oltre a qualche ospite che vedremo, sono i fedeli Dukes, che nella formazione attuale comprendono Chris Masterson alla chitarra solista, Eleanor Whitmore al violino e mandolino, Kelley Looney al basso, Brad Pemberton alla batteria, Ricky Ray Jackson alla steel e Chris Clark alle tastiere e fisarmonica.

E le canzoni di Steve sono, ripeto, tra le migliori che il nostro ha messo su CD da molti anni a questa parte, cosa ancora più significativa dal momento che il musicista texano d’adozione fa parte di quella ristretta schiera di artisti che non ha mai sbagliato un disco. L’album inizia benissimo con la title track, robusta country song che fa molto Waylon & Willie, in cui Earle fa la parte di Jennings e Willie Nelson fa…sé stesso, accompagnati dai Dukes in maniera energica con grande uso di steel e violino, ma anche di chitarre elettriche. Molto bella anche Lookin’ For A Woman, tempo cadenzato, melodia fluida e solare, voce del nostro leggermente arrochita e solito gran gioco di chitarre https://www.youtube.com/watch?v=eaj4iv58s0E ; The Firebreak Line è un delizioso rockabilly elettrico, gran ritmo e Steve pimpante come non lo sentivo da anni, mentre News From Colorado è una delicata ballata di stampo acustico (scritta assieme all’ex moglie Allison Moorer), dominata dalla voce imperfetta ma vissuta del leader. La tonica If Mama Coulda Seen Me ha poco di country, in quanto è un rock’n’roll tra il Texas e gli Stones, anche se il motivo sembra davvero uscire dalla penna di Waylon, Fixin’ To Die non è il classico di Bukka White ma un brano originale dallo stesso titolo, ed anche qui la base è blues, ma ad alta gradazione rock, di sicuro il pezzo meno in linea con le atmosfere del disco, mentre This Is How It Ends è un duetto con Miranda Lambert (che è anche co-autrice del brano), una squisita country ballad dal ritmo spedito e melodia cristallina, tra le più belle del CD.

The Girl On The Mountain, ancora lenta ed intensa, e con violino e steel più languidi che mai, precede due scintillanti honky-tonk, You Broke My Heart (con Cody Braun dei Reckless Kelly al violino) e la più elettrica Walkin’ In L.A., nella quale partecipa il leggendario countryman texano Johnny Bush con il suo vocione, due pezzi decisamente riusciti e godibili, che verrebbero approvati anche da uno come Dwight Yoakam. Il country elettrico di Sunset Highway, il più vicino come suono ai primi due album di Steve, ed il toccante e sentito omaggio a Guy Clark di Goodbye Michelangelo, chiudono positivamente il CD “normale”: sì, perché esiste anche una versione deluxe che, oltre ad un DVD aggiunto (con dentro il making of, il videoclip della title track ed un commento canzone per canzone da parte di Steve), presenta quattro brani in più, quattro cover scelte appunto nel repertorio dei tre più famosi Outlaws citati prima, ovvero Waylon, Willie e Shaver. Di quest’ultimo Steve propone Ain’t No God In Mexico, mentre di Nelson vengono scelte le poco note Sister’s Coming Home e Down At The Corner Beer Joint (unite in medley), e l’altrettanto oscura Local Memory, mentre di Waylon abbiamo la famosa Are You Sure Hank Done It This Way, rifatta alla grande da Steve, con spirito da vero rocker. L’ho già detto ma è doveroso ripeterlo: So You Wannabe An Outlaw è un grande disco, uno dei migliori di sempre di Steve Earle.

Marco Verdi

Tra Cacca Di Gallina (Vero!) E Chitarre! Dale Watson & His Lonestars – Live At The Big T Roadhouse

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Dale Watson & His Lonestars – Live At The Big T Roadhouse – Red House/Ird

In tutti questi anni di ascoltatore ne ho viste (anzi, sentite) tante, ma un disco dal vivo che fungeva da colonna sonora per una serata al bingo (la nostra tombola) mi mancava: in più, non un bingo normale, ma un Chicken Shit Bingo, una pratica pare diffusa in certe zone del Texas, che consiste nel liberare una gallina sopra una tavola che riproduce i novanta numeri della tombola, ed aspettare che il pollastro faccia i suoi bisogni, ed il vincitore è il possessore del numero che viene “coperto” dagli escrementi del pennuto https://www.youtube.com/watch?v=ZxU7U9Hm-5U ! Una pratica a mio parere un po’ idiota e pure leggermente rivoltante, ed il fatto ancora più stupefacente è che tra i suoi fans ci sia anche Dale Watson, countryman texano dal pelo duro, ben noto su queste pagine http://discoclub.myblog.it/2013/02/10/qui-si-va-sul-sicuro-dale-watson-and-his-lonestars-el-rancho/, che spesso e volentieri allieta queste serate con la sua band, come succede in questo Live At The Big T Roadhouse, registrato nel Marzo di quest’anno a St. Hedwig. Watson è una garanzia, uno di quelli che non tradiscono, e dai quali sai esattamente cosa aspettarti: verace country-rock texano al 100%, ritmato, elettrico e coinvolgente, tra honky-tonk scintillanti, brani dal deciso sapore swing e rockabilly al fulmicotone, il tutto condito dalla calda voce baritonale del nostro. Nei suoi oltre vent’anni di carriera Dale ci ha regalato parecchi album, quasi tutti più che riusciti (basti ricordare i vari episodi delle sue Truckin’ Sessions), ed anche diversi dischi dal vivo, dei quali quest’ultimo è senz’altro il più particolare, data la peculiare situazione in cui viene registrato.

Watson, che come al solito canta e suona l’unica chitarra presente on stage, è accompagnato dal suo combo di fiducia, i Lonestars (Chris Crepps al basso, Mike Bernal alla batteria e l’ottimo “Don Don” Pawlak alla steel), e ci intrattiene per più di un’ora con le sue Texas country songs: l’unico problema, se vogliamo, è il fatto che sul disco siano stati messi anche i momenti che con la musica hanno poco a che vedere, come le occasionali proclamazioni dei vari vincitori del bingo, improvvisati jingle pubblicitari di Dale a favore della Lone Star Beer (la sua preferita, ma chi se ne frega dopotutto) e cazzeggi vari che a mio parere interrompono il ritmo tra una canzone e l’altra, al punto che, delle 35 tracce presenti, solo 19 sono brani effettivi. Sono certo che questi momenti goliardici saranno apprezzati dagli americani (dal momento che impazziscono per dei polli che defecano sopra un tavolo…), ma a noi europei interessa soprattutto la musica, anche perché Watson quando parla sembra che di galline ne abbia ingoiate un paio intere, facendo capire ben poco ai non anglofoni.

Gli episodi coinvolgenti non mancano di certo, dalla sigla della serata Big T’s, un rockabilly elettrico con Dale che si atteggia a novello Johnny Cash, a Sit And Drink And Cry, spedito honky-tonk con una guizzante steel, o la supertexana Where Do You Want It, dedicata a (ed ispirata da) Billy Joe Shaver (e con un ficcante assolo del nostro). Ma tutto il CD, tolte le interruzioni, offre ritmo da vendere, sudore ed ottima Texas music, come la swingata Everybody’s Coming In St. Hedwig, Texas, il boogie I Gotta Drive, la scintillante Honky Tonkers Don’t Cry, la deliziosa ballad Smile, ancora figlia di Cash, la messicaneggiante Tienes Cabeza De Palo, la fluida I Lie When I Drink, uno dei classici di Watson. E poi abbiamo anche tre cover, di cui due tratte dal repertorio di Merle Haggard (una splendida The Fugitive, nota anche come I Am A Lonesome Fugitive, e The Bottle Let Me Down, suonata con grande rispetto dell’originale) ed una roccata e vibrante resa di Amos Moses di Jerry Reed. 

Ancora un buon disco quindi per Dale Watson, che sarebbe stato ancora meglio se ne avesse pubblicato anche una versione senza dialoghi ed interruzioni che, obbiettivamente, spezzano il ritmo della serata.

Marco Verdi