Anche Se Non Lo Trovate Nei Negozi, Vale La Pena Procurarselo! Uncut – Dylan Revisited

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VV.AA. – Dylan Revisited – Uncut/Bandlab UK CD

Tra meno di un mese, il 24 maggio, il grande Bob Dylan compirà 80 anni, e gran parte delle testate musicali nel mondo sono già da tempo in fibrillazione per festeggiare a modo loro l’evento. L’unico che sta brillando per il suo assoluto silenzio è proprio il diretto interessato, ma direi una bugia se mi dichiarassi sorpreso dal momento stiamo parlando di un personaggio che ha sempre detestato le autocelebrazioni (il famoso concerto-tributo del 1992 al Madison Square Garden era stato voluto dalla Columbia, e le immagini facevano capire benissimo che Bob avrebbe preferito di gran lunga essere da un’altra parte). Siccome anche la Sony non ha finora annunciato nulla a livello discografico, e non è detto che ci sia qualcosa in programma, vorrei parlarvi di un CD molto particolare oltre che bello, che non si trova nei negozi ma che non è neppure così difficile procurarsi. E’ tradizione delle riviste musicali inglesi, specialmente Classic Rock, Mojo ed Uncut, gratificare i suoi lettori con CD gratuiti allegati alle varie mensilità, perlopiù compilation di materiale già edito riguardanti solitamente uno specifico argomento.

Nel suo ultimo numero però Uncut ha fatto le cose in grande, regalando un dischetto intitolato Dylan Revisited che non è il solito tributo low-cost costruito con performances già note, ma una compilation di incisioni nuove di zecca realizzate apposta per la rivista, con la chicca di un inedito assoluto dello stesso Dylan! Una succosa opportunità di portarsi a casa un dischetto esclusivo, tra l’altro con una spesa minima: infatti l’uscita è acquistabile direttamente sul sito di Uncut, e per soli 12 euro (non pagate neanche la spedizione) riceverete a casa un numero molto interessante della rivista, oppure lo trovate nelle edicole e librerie piuù fornite. Un omaggio a Dylan a 360 gradi attraverso i ricordi di musicisti e produttori che lo hanno conosciuto, con più di un aneddoto divertente. E poi ovviamente c’è Dylan Revisited, in cui il Premio Nobel viene omaggiato da 14 belle riletture da parte di musicisti perlopiù emergenti, anche se non mancano i nomi di prima fascia, ma con tutte cover rispettose degli originali e nessuno sconfinamento in sonorità bislacche. Il CD si apre con il già citato inedito dylaniano: Too Late è una ballata acustica con una leggera percussione alle spalle tratta dalle sessions di Infidels (e che dovrebbe anticipare il sedicesimo volume delle Bootleg Series, dedicato proprio alle prolifiche sedute dell’album del 1983, in uscita pare entro l’anno, forse a luglio, visto che è in uscita anche un estratto in vinile per il Record Store Day), un brano che poi si sarebbe evoluto nella già nota Foot Of Pride. Una bella canzone eseguita in modo rilassato da Bob, che non somiglia molto a ciò che sarebbe diventata né come testo né come melodia (forse ricorda di più George Jackson, il raro singolo del 1971): dopo l’ascolto ho ancora più voglia del nuovo episodio delle Bootleg Series.

E partiamo con il tributo vero e proprio, che inizia col botto: Richard Thompson è un fuoriclasse assoluto, e This Wheel’s On Fire viene proposta con un bell’arrangiamento elettroacustico con l’ex Fairport che suona tutti gli strumenti, nel suo tipico stile tra folk e rock; Courtney Marie Andrews è ancora giovane ma già esperta, e ci delizia con un’interpretazione voce e chitarra della splendida To Ramona, forse un po’ scolastica ma meglio così che stravolta, mentre i Flaming Lips rivestono di una leggera patina pop-psichedelica l’eterea Lay Lady Lay, che mantiene però la sua struttura acustica. I canadesi Weather Station propongono Precious Angel, dal periodo “religioso” di Bob, in una rilettura molto diversa, pianistica e lenta, con la voce solista femminile di Tamara Lindeman quasi sussurrata che accentua il tono di preghiera del brano; rimaniamo in Canada con i grandi Cowboy Junkies, che fanno una scelta non scontata prendendo dal recentissimo Rough And Rowdy Ways la bella I’ve Made Up My Mind To Give Myself To You, che fanno diventare uno splendido valzer dal sapore folk con la voce inconfondibile di Margo Timmins che come al solito si rivela l’arma in più del quartetto: sembrano tornati di botto i Junkies di inizio carriera, una cover magnifica, meglio anche dell’originale.

L’ex Sonic Youth Thurston Moore non si perde in sonorità strane e rilegge Buckets Of Rain per voce e chitarra, da perfetto folksinger, la cantante e chitarrista originaria del Mali Fatoumata Diawara offre una versione tutta ritmo e colori di Blowin’ In The Wind (registrata a…Como!), molto diversa dall’originale ma piacevole, mentre invece la giovane irlandese Brigid Mae Power nel riproporre la bella One More Cup Of Coffee ricalca abbastanza le atmosfere di Desire, violino a parte. Knockin’ On Heaven’s Door è materia pericolosa, ma la indie band Low (che ha in comune con Dylan la città d’origine, Duluth) se la cava benissimo con una interpretazione convincente, lenta e ricca di pathos, facendola diventare una rock ballad notturna e misteriosa. Il duo folk formato da Joan Shelley e Nathan Salsburg rifà Dark Eyes in maniera rigorosa, Patterson Hood e Jay Gonzalez dei Drive-By Truckers sono bravi e lo dimostrano con una Blind Willie McTell sofferta, bluesata e desertica (ma l’originale dylaniano è insuperabile), e lo stesso fa l’ex Be Good Tanyas Frazey Ford con un’ottima The Times They Are A-Changin’ in veste folk-rock ballad elettrica, con chitarre ed organo al posto giusto.

Finale con Jason Lytle, frontman dei Grandaddy, che ci regala una buona versione rilassata di Most Of The Time, con chitarra acustica e piano a scontornare la melodia, e con Weyes Blood (nome d’arte di Nathalie Laura Mering) che affronta in maniera classica la lunga ed impegnativa Sad Eyed Lady Of The Lowlands, riuscendo a fornire una prova decisamente efficace. Un tributo perfettamente riuscito questo Dylan Revisited, serio e ben fatto, che meriterebbe una distribuzione ben più capillare che come allegato ad una rivista mensile.

Marco Verdi

Continua La Riscossa Dei “Giovani Talenti”! Tom Jones – Surrounded By Time

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Tom Jones – Surrounded By Time – EMI CD

Il fatto che tra i migliori album di questo primo terzo di 2021 ci siano i lavori di due quasi novantenni, Willie Nelson e Loretta Lynn, non depone certo a favore di un roseo futuro per la nostra musica. Ora a questo manipolo di giovanotti si aggiunge anche Tom Jones, che è un ragazzino in confronto ai due nomi appena citati in quanto di anni ne compirà “solo” 81 il prossimo giugno. Dopo una lunghissima carriera piena di successi pop ma anche di tanti passaggi a vuoto, il cantante gallese sta vivendo da una decade abbondante una vera e propria rinascita artistica: infatti, dopo essersi riaffacciato prepotentemente nelle parti alte delle classifiche con il tormentone danzereccio Sex Bomb nel 2000, Tom ha iniziato dal 2010 a pubblicare un album più bello dell’altro, reinventandosi interprete in chiave folk-blues-gospel-roots di brani tradizionali ed altri di autori contemporanei anche di stampo rock. Un percorso simile a quello intrapreso negli anni 90 da Johnny Cash con Rick Rubin (ma a differenza di Jones, l’Uomo in Nero non aveva mai smesso di fare musica di qualità, solo non se lo filava più nessuno), con il produttore Ethan Johns, figlio del mitico Glyn Johns, a fungere da mentore come Rubin era stato per Cash. Praise & Blame (2010), Spirit In The Room (2012) e Long Lost Suitcase (2015) erano tre dischi magnifici, nei quali il nostro, sempre in possesso di una grande voce, rileggeva con credibilità da vero musicista roots brani della tradizione o canzoni scritte da Hank Williams, Bob Dylan, Billy Joe Shaver, Los Lobos, Pops Staples, Leonard Cohen, Richard Thompson, Paul Simon, Willie Nelson, Tom Waits, Gillian Welch e Rolling Stones, un percorso culminato poi nel 2017 con lo splendido doppio Live On Soundstage, registrato appunto dal vivo.

Ora Jones si rifà vivo a sei anni da Long Lost Suitcase con Surrounded By Time, un altro riuscito album che prosegue con la reinterpretazione di classici del passato tra pezzi noti ed altri più oscuri, ancora con Johns in cabina di regia ed anche responsabile di vari tipi di strumenti a tastiera e chitarre, e con la partecipazione di Neil Cowley anch’egli al piano, organo e synth, Nick Pini al basso e Dan See e Jeremy Stacey alla batteria. A differenza dei tre lavori precedenti però in questo album il suono è meno roots e decisamente più moderno, con uso abbastanza insistito di sonorità elettroniche mescolate ad altre più “tradizionali”, anche se a parte un paio di episodi in cui la modernità prende il sopravvento, il tutto è dosato con intelligenza (ci sono similitudini con certe cose di David Bowie ma anche con il Nick Cave più recente). E poi c’è Tom, che nonostante gli anni ha ancora una voce di una potenza formidabile, ed una classe che gli permette di interpretare al meglio qualsiasi tipo di canzone con qualsiasi tipo di arrangiamento: pollice verso invece per la copertina del CD, che ogni volta che la guardo mi fa venire in mente un rotolo di carta igienica…L’album inizia con le tonalità gospel di I Won’t Crumble With You If You Fall, un brano della folksinger ed attivista Bernice Johnson Reogon con la voce magnifica di Jones che si staglia quasi a cappella, dal momento che gli unici strumenti sono synth e basso che producono un effetto simile ai paesaggi sonori di Daniel Lanois.

The Windmills Of Your Mind è un noto pezzo del compositore francese Michel Legrand già inciso in passato tra gli altri da Dusty Springfield, Vanilla Fudge e Sting: Tom canta con grande padronanza della melodia mentre la band si produce in un accompagnamento pianistico di algida bellezza, con una leggera percussione e l’organo ad aggiungere pathos; con Pop Star, vecchia canzone di Cat Stevens (era su Mona Bone Jakon) il ritmo cresce, il brano ha una struttura blues ma qui è sostenuto da uno strano arrangiamento molto elettronico che non le rende pienamente giustizia, nonostante l’ingresso dopo la seconda strofa di un bellissimo pianoforte. Un sitar introduce No Hole In My Head di Malvina Reynolds, poi entra una ritmica martellante ed un organo decisamente sixties, per una traccia che si divide tra pop e psichedelia, un genere non abituale per Tom che però non fa una piega e canta con il solito carisma ed anche una buona dose di grinta. Talking Reality Television Blues è il brano che non ti aspetti, una canzone recente scritta da Todd Snider dal testo ironico tipico del songwriter di Portland, arrangiato alla guisa di un rock urbano (non esagero se penso ai Dream Syndicate), e per non smentire il titolo Jones parla invece di cantare. Non tra le mie preferite, anche se la coda finale chitarristica è notevole.

Anche I Won’t Lie (di Michael Kiwanuka) inizia con un tappeto sonoro quasi straniante, ma poi entra la chitarra acustica e Tom canta col cuore in mano trasformando un brano di moderno soul in una folk song pura nonostante l’atmosfera gelida creata dal synth sullo sfondo; This Is The Sea, uno dei capolavori dei Waterboys, è una grande canzone e qui viene riproposta in maniera più classica, con organo, chitarre e sezione ritmica in evidenza (sulla voce di Tom non voglio ripetermi): sette minuti splendidi. Interpretare Dylan sta diventando per Jones una piacevole abitudine dato che Praise & Blame si apriva con What Good Am I? ed in Spirit In The Room c’era When The Deal Goes Down: qui troviamo la bella One More Cup Of Coffee, che ha un inizio quasi jazzato per l’uso solista del basso ma poi entrano gli altri strumenti ed il pezzo mantiene l’andatura western dell’originale con il nostro che vocalizza alla grande, a differenza del traditional Samson And Delilah (l’hanno fatta in tanti, ma la versione più celebre è quella dei Grateful Dead) che assume sonorità etniche, quasi tribali, con un andamento incalzante e coinvolgente.

Tom omaggia anche Tony Joe White con Ol’ Mother Earth, ballata cadenzata e notturna in cui i suoni moderni si adattano perfettamente al tessuto melodico di base, con Jones che ricorre ancora al talkin’ ma in maniera più riuscita che nel brano di Snider; finale con il tributo a due musicisti jazz poco noti come Bobby Cole e Terry Callier, rispettivamente con I’m Growing Old, proposta in una nuda e struggente rilettura per sola voce e piano (e qualche loop non invasivo), e la lunga Lazarus Man, più di nove minuti di pura psichedelia moderna con la voce del leader che un po’ declama ed un po’ canta con il consueto feeling, mentre una chitarra liquida alla Jerry Garcia ricama sullo sfondo. Quindi un altro bel disco per il “vero” Principe di Galles, che dimostra di cavarsela alla grande anche in mezzo a suoni che non sempre gli appartengono.

Marco Verdi

Non Delude Neppure Questa Volta, Con Un Disco Acustico Disponibile Solo Per Il Download E In Vinile Colorato Limitato – Anders Osborne – Orpheus And The Mermaids

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Anders Osborne – Orpheus And The Mermaids – 5th Ward Records Download/Streaming e Vinile Limitato Colorato

Credo che per tutti coloro che amano la buona musica, oltre che un piacere, sia quasi un dovere conoscere quella di Anders Osborne. Nativo di Uddevalla, Svezia, è ormai da moltissimo tempo cittadino di New Orleans, Louisiana, dove arriva dopo una infanzia ed una adolescenza passate ad ascoltare blues, jazz, e i grandi cantautori, da Dylan a Joni Mitchell, Ray Charles e Lowell George, Neil Young e Jackson Browne, ma anche il cowboy di Belfast, Van Morrison): quando arriva negli States, fine anni ‘80, inizio anni ‘90, dopo il giusto periodo di gavetta, tra tour e le prime pubblicazioni con la Rabadash, una etichetta locale di New Orleans, ha la fortuna di trovare un contratto discografico per la Okeh, e pubblica nel 1995 l’eccellente Which Way To Here, che ottiene un discreto riscontro di vendite, con l’utilizzo dei suoi brani anche in colonne sonore di film importanti, e ottimi giudizi dalla critica.

Da allora inizia la solita trafila degli artisti di culto: prima una serie di dischi per la Shanachie, poi uno per la M.C. Records e il successivo contratto per la Alligator, dove pubblica complessivamente quattro dischi che sfiorano il livello del capolavoro, l’ultimo Peace, con la bimba in copertina che mostra il dito medio. Ma siamo arrivati alla grande crisi dell’industria discografica e quindi bisogna passare al fai da te: album creati in proprio e distribuiti tramite la sua Back On Dumaine Records, sempre molto belli, magari un filo inferiori ai precedenti, sempre difficili da trovare, per quanto pubblicati anche in CD https://discoclub.myblog.it/2016/06/01/nuove-avventure-underground-lo-svedese-new-orleans-anders-osborne-spacedust-and-oceans-views/ , incluso Freedom And Stars, la collaborazione come NMO insieme ai fratelli Dickinson https://discoclub.myblog.it/2015/02/23/disco-bellissimo-peccato-esista-nmo-anders-osborne-north-mississippi-allstars-freedom-and-dreams/ .

L’ultimo capitolo, il suo 17°, questo Orpheus And The Mermaids, è un ulteriore passaggio: esce solo per il downlaod oppure in vinile colorato costosissimo. Ma la musica rimane sempre di una bellezza inalterata, Osborne è forse meno incazzoso verso il mondo di un tempo (forse il fatto di avere ritrovato la sobrietà, grazie ad una famiglia con due figli, aiuta) ma è comunque in grado di sfornare brani di grande qualità che citano spesso i suoi punti di riferimento ricordati all’inizio: l’iniziale Jacksonville To Wichita, con l’armonica aggiunta ad una acustica arpeggiata, sta al crocevia tra Dylan, Young e Morrison, un brano malinconico e tremendamente bello, con citazioni di Townes Van Zandt nel testo e una serenità invidiabile. La successiva Light Up The Sun ha una struttura sonora più complessa, ma si basa sempre sulla calda voce di Anders e sulla sua chitarra, di cui è un virtuoso anche in modalità acustica, ogni tanto la voce viene raddoppiata, ma l’impianto complessivo è minimale, non per questo meno affascinante, in queste reminiscenze sulla vita che passa nella propria famiglia e sui suoi demoni tenuti a bada https://www.youtube.com/watch?v=vIw3kZJQbvo . Last Days In The Keys è una affettuosa e commossa dedica a Neal Casal scomparso suicida due anni fa, anche attraverso le storie di altri amici e persone che ci hanno lasciato attraverso questo atto estremo e disperato, che non perdona i momenti di sconforto e debolezza, sempre con la chitarra acustica e l’armonica che sottolineano questo racconto in modo crudo ma partecipe.

Forced To ha una struttura più bluesy, sempre con quel tocco da cantautore raffinato che me lo fa avvicinare ad un altro Beautiful Loser come il bravissimo Grayson Capps https://discoclub.myblog.it/2020/09/01/una-sorta-di-antologia-rivisitata-per-celebrare-un-grande-cantautore-grayson-capps-south-front-street-a-retrospective-1977-2019/ , senza dimenticare il primo “Bobby Dylan” https://www.youtube.com/watch?v=A81xq-1pukI  . Pass On By, accompagnata da un bellissimo video dedicato a New Orleans, pubblicato il giorno di Natale, e che vi consiglio di cercare, nella quale Osborne si destreggia tra accordature “normali” e uso del bottleneck per una canzone che ricorda un altro dei suoi preferiti, quel Jackson Browne di cui attendiamo a breve il nuovo album (ora si parla di luglio). Welcome To The Earth, voce riverberata e chitarra incalzante è un altro ottimo esempio di questo folk ricercato che sembra essere la chiave del nuovo album, Dreamin’, ca va sans dire, è più sognante, con una armonica che rimanda a Elliott Murphy e il tessuto musicale a Paul Simon, comunque bellissima https://www.youtube.com/watch?v=mfrK267VNG0 , mentre Earthly Things, di nuovo con la voce raddoppiata, emana ancora una aura di grande serenità attraverso un complesso lavoro di due chitarre acustiche e la conclusiva Rainbows ci riporta di nuovo al primo Neil Young, per l’uso della armonica, sempre con accenni dell’amato Jackson. *NDB Se volete provare ad acquistarlo lo trovate qui https://anders-osborne.myshopify.com/collections/orpheus-and-the-mermaids ma costa un bel 35 dollari più la spedizione dagli USA.

Bruno Conti

Un Ritorno A Sorpresa Ma Molto Gradito, Ora Anche In CD. Gillian Welch & David Rawlings – All The Good Times

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Gillian Welch & David Rawlings – All The Good Times – Acony/Warner CD

Lo scorso 10 luglio Gillian Welch ha messo online senza alcun preavviso All The Good Times, un intero album registrato con il partner sia musicale che di vita David Rawlings (ed è la prima volta che un lavoro viene accreditato alla coppia) rendendolo inizialmente disponibile solo come download, ma ora possiamo a tutti gli effetti parlare di “disco” in quanto è stato finalmente pubblicato anche su CD. Il fatto in sé è un piccolo evento in quanto Gillian mancava dal mercato discografico addirittura dal 2011, anno in cui uscì lo splendido The Harrow & The Harvest, ultimo lavoro con brani originali dato che Boots No. 1 del 2016 era una collezione di outtakes, demo ed inediti inerenti al suo disco di debutto Revival uscito vent’anni prima (anche se comunque la Welch è una delle colonne portanti del gruppo del compagno, la David Rawlings Machine, più attiva in anni recenti). Il dubbio che Gillian soffrisse del più classico caso di blocco dello scrittore mi era venuto, e questo All The Good Times non contribuisce certo a chiarire le cose dato che si tratta di un album di cover, dieci canzoni prese sia dalla tradizione che dal songbook di alcuni grandi cantautori, oltre a qualche brano poco noto.

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A parte queste considerazioni sulla mancanza di pezzi nuovi scritti dalla folksinger, devo dire che questo nuovo album è davvero bello, in quanto i nostri affrontano i brani scelti non in maniera scolastica e didascalica ma con la profondità interpretativa ed il feeling che li ha sempre contraddistinti, e ci regalano una quarantina di minuti di folk nella più pura accezione del termine, con elementi country e bluegrass a rendere il piatto più appetitoso. D’altronde non è facile proporre un intero disco con il solo ausilio di voci e chitarre acustiche senza annoiare neanche per un attimo, ma Gillian e David riescono brillantemente nel compito riuscendo anche ad emozionare in più di un’occasione, e se ne sono accorti anche ai recenti Grammy in quanto All The Good Times è stato premiato come miglior disco folk del 2020. Un cover album in cui sono coinvolti i due non può certo prescindere dai brani della tradizione, ed in questo lavoro ne troviamo tre: la deliziosa Fly Around My Pretty Little Miss (era nel repertorio di Bill Monroe), con Gillian che canta nel più classico stile bluegrass d’altri tempi ed i due che danno vita ad un eccellente guitar pickin’, l’antica murder ballad Poor Ellen Smith (Ralph Stanley, The Kingston Trio e più di recente Neko Case), tutta giocata sulle voci della coppia e con le chitarre suonate in punta di dita https://www.youtube.com/watch?v=knr3G8HLITw , e la nota All The Good Times Are Past And Gone, con i nostri che si spostano su territori country pur mantenendo l’impianto folk ed un’interpretazione che richiama il suono della mountain music più pura https://www.youtube.com/watch?v=CcHo_BtAO0o .

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Non è un traditional nel vero senso della parola ma in fin dei conti è come se lo fosse il classico di Elizabeth Cotten Oh Babe It Ain’t No Lie (rifatta più volte da Jerry Garcia sia da solo che con i Grateful Dead), folk-blues al suo meglio con la Welch voce solita e Rawlings alle armonie, versione pura e cristallina sia nelle parti cantate che in quelle chitarristiche. Lo stile vocale di Rawling è stato più volte paragonato a quello di Bob Dylan, ed ecco che David omaggia il grande cantautore con ben due pezzi: una rilettura lenta e drammatica di Senor, una delle canzoni più belle di Bob, con i nostri che mantengono l’atmosfera misteriosa e quasi western dell’originale pur con l’uso parco della strumentazione https://www.youtube.com/watch?v=W2j_P_m7_sM , e la non molto famosa ma bellissima Abandoned Love, che in origine era impreziosita dal violino di Scarlet Rivera ma anche qui si conferma una gemma nascosta del songbook dylaniano. Ginseng Sullivan è un pezzo poco noto di Norman Blake, una bella folk song che Gillian ripropone con voce limpida ed un’interpretazione profonda e ricca di pathos https://www.youtube.com/watch?v=Ay3gdEQlV70 , mentre Jackson è molto diversa da quella di Johnny Cash e June Carter, meno country e più attendista ma non per questo meno interessante https://www.youtube.com/watch?v=HYt4rRgx5OU ; l’album si chiude con Y’all Come, una country song scritta nel 1953 da Arlie Duff e caratterizzata dal botta e risposta vocale tra i due protagonisti, un pezzo coinvolgente nonostante la veste sonora ridotta all’osso. Ho lasciato volutamente per ultima la traccia numero quattro del CD in quanto è forse il brano centrale del progetto, un toccante omaggio a John Prine con una struggente versione della splendida Hello In There, canzone scelta non a caso dato che parla della solitudine delle persone anziane, cioè le più colpite dalla recente pandemia (incluso lo stesso Prine) https://www.youtube.com/watch?v=hVKMw0owfEI .

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Nell’attesa di un nuovo album di inediti di Gillian Welch, questo All The Good Times è dunque un antipasto graditissimo, che ora possiamo goderci anche su CD.

Marco Verdi

La Fantastica Epopea Di Un Gruppo Fondamentale. Robbie Robertson And The Band – Once Were Brothers

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Robbie Robertson And The Band – Once Were Brothers – Magnolia BluRay – DVD

E’ con colpevole ritardo (su sollecitazione del titolare del Blog) che mi occupo di Once Were Brothers, splendido docu-film dedicato a The Band e narrato in prima persona da Robbie Robertson: dopo essere stato per breve tempo nei cinema, lo scorso anno è uscito in DVD e BluRay, ed il sottoscritto aveva aspettato ad accaparrarselo confidando in una edizione che comprendesse anche i sottotitoli in italiano, cosa che però non si è mai verificata. La recente ristampa deluxe di Stage Fright ha però riacceso in me l’interesse nel progetto, e devo dire che, vista la qualità del film, non so che cosa stessi attendendo! Once Were Brothers (prodotto dai registi premi Oscar Martin Scorsese e Ron Howard e diretto da Daniel Roher) è infatti una magnifica testimonianza sull’epopea di uno dei gruppi più fondamentali ed influenti della nostra musica, attraverso le voci dei protagonisti e di musicisti che in un modo o nell’altro devono molto al suono del quintetto canadese, una miscela vincente di rock, soul, errebi, blues, folk e country che oggi chiamiamo Americana ma che nella seconda metà degli anni sessanta in pratica non esisteva https://www.youtube.com/watch?v=bu1ksBNTTdw .

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Credetemi, l’assenza dei sottotitoli dopo pochi minuti dall’inizio della visione non sarà più un problema, in quanto Robertson parla un inglese comprensibilissimo ed in più porge le frasi con molta lentezza, ed anche gli ospiti, a parte un paio di casi, evitano accuratamente di mangiarsi le parole (le due eccezioni sono Levon Helm e Ronnie Hawkins). Dicevo degli ospiti, una parte importantissima in quanto a parte Robbie che funge da leader (d’altronde è l’ideatore del progetto) troviamo le testimonianze dei suoi ex compagni, ovviamente d’archivio dato che tre quinti del gruppo non è più tra noi (Garth Hudson, l’unico ancora in vita a parte Robertson, non appare in video ma presta la voce per un breve commento), e per lo stesso motivo risalgono agli anni novanta gli interventi di George Harrison.

238 The Band, Robbie and Dominique Robertson, Woodstock, NY, 1968.

238 The Band, Robbie and Dominique Robertson, Woodstock, NY, 1968.

Ma non è finita, in quanto il fiore all’occhiello sono coloro che hanno scelto di apparire nel film con interviste ex novo, gente del calibro di Bruce Springsteen, Eric Clapton, Van Morrison (una rarità), Taj Mahal, Peter Gabriel, David Geffen, i già citati Hawkins e Scorsese, la bellissima moglie di Robbie Dominique Robertson ed il loro primo produttore John Simon, mentre la partecipazione di Bob Dylan strombazzata sulla locandina del film si riduce ad un breve intervento estrapolato dal “suo” docu-film No Direction Home (manca invece stranamente Elton John, un altro i cui primi album risentivano parecchio della lezione dei nostri) https://www.youtube.com/watch?v=gHWha9M1Llo . Il film inizia con Robertson in studio di registrazione a dare gli ultimi ritocchi alla canzone che intitola il film (uscita nel 2019 all’interno del non eccelso Sinematic), e subito parte il racconto della sua infanzia e di come giovanissimo fosse stato fulminato sulla via del rock’n’roll in particolare da Chuck Berry. Poi c’è il ricordo della sua prima chitarra e quello, ben più traumatico, di quando sua madre (nativa americana di origine Mohawk) lo prese da parte per rivelargli che suo marito, James Robertson, non era il suo padre biologico, che in realtà era un ex giocatore d’azzardo ebreo in odor di mafia chiamato Alexander Klegerman, oltretutto ex galeotto ed in seguito rimasto ucciso in uno strano e poco chiaro incidente.

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Poi si passa al racconto delle sue prime band giovanili, fino a quando non fu notato da Hawkins che lo prese come chitarrista nei suoi Hawks, dove legò subito con Levon Helm (a cui per tutta la sua carriera, e nonostante i problemi che sorgeranno dopo tra i due, Robbie guarderà con profonda venerazione) e si rivelò anche un precoce songwriter, scrivendo due brani per Ronnie all’età di 15 anni. Poi si arriva agli anni sessanta ed al rapporto che gli cambierà la vita: quello con Dylan, conosciuto tramite la comune amicizia con John Hammond Jr. (quindi il bluesman, non il padre talent-scout che tra l’altro di Bob fu lo scopritore). Dylan in quel periodo aveva deciso per la famosa svolta elettrica e stava cercando una band che partisse in tour con lui, e gli Hawks erano la scelta perfetta; ma non fu tutto rose e fiori, in quanto come è ben noto la nuova veste sonora di Bob non fu molto apprezzata dai fans della prima ora, e molti concerti finivano con il pubblico che contestava pesantemente la band sul palco. Questo fatto esasperò Helm al punto da costringerlo a lasciare i compagni nel bel mezzo del tour (fu rimpiazzato in fretta e furia da Mickey Jones), ma durante la parte europea della tournée, per la precisione a Parigi, Robbie conobbe anche la sua futura (e in seguito divorziata, ma sono rimasti vicini) moglie, che nel film ricorda come all’epoca non parlasse una sola parola d’inglese.

Garth Hudson (left), Robbie Robertson, Levon Helm, Richard Manuel and Rick Danko of The Band pose for a group portrait in London in June 1971.

Garth Hudson (left), Robbie Robertson, Levon Helm, Richard Manuel and Rick Danko of The Band pose for a group portrait in London in June 1971.

Il fulcro del film è però naturalmente la trasformazione del gruppo da The Hawks a The Band, con i nostri che andarono a vivere a Woodstock nella famosa casa rosa che comparirà sulla copertina del loro primo album. Da qui ebbe inizio una serie di sessions tenute insieme a Dylan, loro vicino di casa (i famosi Basement Tapes), con Robertson che prese sempre di più confidenza con il songwriting al punto da arrivare a pubblicare un album fantastico e che introdurrà un sound totalmente nuovo (Music From Big Pink appunto), tra l’altro con Helm che era tornato con grande felicità di tutti a far parte del gruppo. Bella in particolare la rievocazione di Robertson su come gli fossero venuti in mente i primi versi di The Weight, che diventerà il loro brano più famoso, mentre Clapton ribadisce un concetto da lui espresso già altre volte, e cioè che Big Pink gli ha cambiato la vita, convincendolo che al mondo non c’era solo il blues. Il racconto prosegue poi con il successo di critica e pubblico del secondo fantastico album The Band, la nascita della primogenita di Robbie, e le prime crepe che arriveranno durante la lavorazione di Stage Fright, con Helm, Rick Danko e Richard Manuel dediti all’uso di droghe che spesso inibivano la loro efficacia in studio e la loro concentrazione (oltre a far loro rischiare la vita in molteplici incidenti d’auto).

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Da qui in poi il film subisce una decisa accelerazione, come se si fosse scelto di finire a cento minuti totali mentre si poteva benissimo arrivare alle due ore (ed è il difetto principale della pellicola, che gli costa almeno mezza stelletta in meno): da qui in poi gli album rimanenti del gruppo non vengono neppure nominati, ma ci si limita a raccontare come, su sollecitazione di Geffen, Roberston e famiglia lasciarono Woodstock (che il noto discografico ed allora presidente della Asylum definisce uno “shithole”, e direi che non serve la traduzione) per trasferirsi a Malibu dove presero una casa sulla spiaggia, cercando di coinvolgere anche gli altri quattro membri della band che però reagirono con meno entusiasmo (ed infatti Hudson vive a Woodstock ancora oggi). Poi c’è un brevissimo accenno al fortunato tour americano del 1974 ancora con Dylan e subito si passa allo show d’addio del novembre 1976 al Winterland di San Francisco immortalato nel mitico film The Last Waltz.

robbie robertson levon helm

Nella parte finale Robertson si limita a rievocare i problemi che avrà dopo lo scioglimento del gruppo con Helm, il quale gli imputerà il mancato riconoscimento della co-scrittura di alcune canzoni ed il pagamento delle relative royalties: i due non si rivolgeranno più la parola fino alla morte di Levon, e Robertson esprime il suo rammarico per non aver potuto far pace con l’amico dal momento che quando lo andò a trovare sul letto di morte non era già più capace di intendere. E qui troviamo un altro piccolo difettuccio del film (inferiore però come importanza a quello della durata), e cioè il fatto che durante la narrazione sentiamo solo la campana di Robbie, cosa in fondo comprensibile dato che il progetto è il suo e chi avrebbe potuto smentirlo non è più comunque tra noi, ma che lascia comunque un sapore latente di agiografia. Ma sono comunque quisquilie: Once Were Brothers è un signor “rockumentario”, che racconta in maniera coinvolgente ed anche toccante la storia di uno dei gruppi più importanti si sempre. Da non perdere.

Marco Verdi

Breve Ma Intenso! Thom Chacon – Marigolds And Ghosts

thom chacon marigolds and ghosts

Thom Chacon – Marigold And Ghosts – Pie Records/Ird

Si avvicina la stagione delle calendule, e i fantasmi, anche quelli del passato, sono sempre di moda, quindi, forse un po’ a sorpresa, ma non troppo, esce il nuovo album di Tom Chacon, (ho scoperto omonimo di un calciatore uruguiano) appunto Marigolds And Ghosts: un disco da classico folksinger e songwiter quale è il nostro amico di Boulder, Colorado, ma nativo del Sud California, zona geografica che spesso e volentieri è protagonista delle sua canzoni, e dove è stato registrato il nuovo album, il quinto, compreso un raro live ad inizio carriera. Si dice nel titolo di un disco breve, ma intenso, nove canzoni per 27 minuti, un po’ come certi vecchi dischi di uno dei suoi eroi musicali, ovvero Bob Dylan, con il quale Thom ambirebbe a collaborare, e dal quale è sicuramente influenzato, oltre ad averne preso a prestito il bassista, Tony Garnier, impegnato al contrabbasso per l’occasione.

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Chacon, voce calda, profonda, ma anche rauca e vissuta, come detto poc’anzi, intensa, predilige la forma della ballata per i suoi brani: nel disco precedente, l’ottimo Blood In The Usa, c’era anche l’impiego della batteria, di un organo, Garnier pure al basso elettrico, il produttore è rimasto lo stesso anche nel CD attuale, ovvero Perry Margouleff, che firma pure un paio di brani con Thom, e ha deciso di optare per un suono più minimale, scarno, ridotto all’osso, una voce e una chitarra acustica, qualche molto occasionale sbuffo di armonica e la scansione ritmica del contrabbasso. Ma la musica arriva comunque, forte e chiara, grazie all’espressività di quella voce, sempre partecipe ed appassionata: la title track, solo con acustica arpeggiata e contrabbasso, racconta la storia del processo di disintossicazione di un amico di Chacon, durante la detenzione in prigione  https://www.youtube.com/watch?v=YLuoUDnNGWk, mentre la placida Monsoon Rain ci racconta la sua visione della vita in Colorado, terra di laghi e foreste, dove la vita scorre seguendo i ritmi della natura, Church Of The Great Outdoors, scritta con Margouleff, è una ennesima ballata dolente, tipica del suo repertorio, e racconta nuovamente dell’amore per la naura, visto attraverso gli occhi della madre.

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Florence John, con il dobro di Tyler Nuffer a fare da contrappunto è più ampia ed avvolgente, sempre con quell’immancabile aura tra folk e country quasi arcano che vive nella musica del nostro amico, che ovviamente non dimentica il suo impegno politico e sociale nella splendida Borderland, dedicata alle storie dei migranti sulla frontiera tra Stati Uniti e Messico, rispondendo per certi versi alla chiamata di Neil Young di non dimenticare questo problema, che si spera migliorerà, con l’avvento della amministrazione Biden, dopo gli anni sciagurati di Trump. Sorrow racconta nuovamente, in modo più personale, della vita dei suoi genitori, una canzone affettuosa che racconta storie di fede religiosa e dell’impatto che hanno avuto anche nella vicenda di Thom; A Better Life riprende il tema degli immigranti, con qualche piccolo accenno di speranza in una vicenda comunque sempre buia e tempestosa, con la musica che scorre fluida a sottolineare le parole, nel classico mood del perfetto songwriter, tratto che avvicina la sua musica a quella di Mary Gauthier, altra collega che Chacon ammira molto.

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Kenneth Avenue, di nuovo firmata con Margouleff, è una riflessione anche amara, ma appassionata sui suoi anni giovanili, della separazione dei suoi genitori, che a dispetto della loro fede cristiana, comunque divorziarono quando il nostro amico aveva 18 anni , segnandone forse la visione della vita. Per l’ultimo brano, la malinconica ed elegiaca Angel Eyes, fa la sua apparizione anche l’armonica che con poche note decise e vibranti arricchisce il tessuto sonoro di una canzone che penso probabilmente piacerebbe allo Springsteen più folk ed intimista e chiude in modo degno questo album profondo e personale.

Bruno Conti

Parte “Rockumentario” E Parte Fiction, Ma Nell’Insieme Una Vera Goduria! Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story

rolling thunder revue scorsese dylan

Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story – The Criterion Collection Blu-Ray – DVD

E’ finalmente disponibile da pochi giorni su Blu-Ray o DVD la versione fisica di Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story (peccato che costi un botto), splendido lungometraggio diretto da Martin Scorsese uscito nel 2019 per la piattaforma Netflix, che documenta appunto la prima parte del leggendario tour di Bob Dylan con la Rolling Thunder Revue, un gigantesco carrozzone di musicisti, poeti ed artisti di vario genere che girò l’America nel biennio 1975-1976: in particolare il film si concentra sul ’75, quando la tournée girava perlopiù nei piccoli teatri con concerti che spesso venivano organizzati senza molto preavviso, prendendo spunto un po’ dai “Medicine Show” di fine ottocento ed un po’ dalla Commedia Dell’Arte italiana (mentre nel ’76 Dylan, anche per rientrare dalle perdite dell’anno prima – la troupe la doveva comunque pagare – si esibì in arene più convenzionali per un concerto rock degli anni 70) https://www.youtube.com/watch?v=RulpXOLn6BI .

last waltz

Non è la prima volta che Scorsese si cimenta con film a sfondo musicale: a parte il mitico The Last Waltz vorrei ricordare il film-concerto Shine A Light dei Rolling Stones o la splendida biografia di George Harrison Living In The Material World, e, con Dylan stesso come protagonista, il capolavoro No Direction Home, probabilmente uno dei migliori “rockumentari” di sempre se non il migliore. Rolling Thunder Revue non raggiunge quei livelli ma non ci va neanche troppo lontano, ed in due ore e venti minuti che scorrono in un baleno ci delizia con uno strepitoso mix di scene inedite girate all’epoca, altre prese dal famoso film Renaldo And Clara ed alcune interviste recenti ai protagonisti, oltre ovviamente a diverse performance musicali https://www.youtube.com/watch?v=uDikcwqQDr8 . Tra gli intervistati la parte principale è ovviamente quella dello stesso Dylan (non era scontata la sua presenza visto il personaggio), che come spesso capita tende a commentare con ironia le varie fasi del tour cercando di togliergli quella patina di leggenda, affermando tra il serio ed il faceto di non ricordare quasi nulla di ciò che avvenne, e sentenziando alla fine che a distanza di 40 anni della Rolling Thunder Revue non è rimasto niente, “solo cenere”.

no direction homerenaldo e clara

Altre interviste, a parte alcune “particolari” che vedremo tra poco, riguardano Joan Baez, che si ricongiungeva in tour con Bob a distanza di dieci anni, il giornalista Larry “Ratso” Sloman, incaricato da Rolling Stone di seguire il carrozzone, il poeta Allen Ginsberg (in immagini di repertorio essendo morto nel 1997), anch’egli tra i protagonisti della tournée, alcuni musicisti ed ospiti dei vari concerti (Roger McGuinn, Ramblin’ Jack Elliot, Ronee Blakely, David Mansfield, uno spettacolare Ronnie Hawkins uguale a Babbo Natale), l’attore, scrittore e drammaturgo Sam Shepard, ingaggiato da Dylan per lo script di Renaldo And Clara, ed l’ex pugile Rubin “Hurricane” Carter, protagonista all’epoca di un celebre caso di malagiustizia cantato da Bob nella nota Hurricane. Il film inizia con le immagini dei rehearsals per il tour, in cui un Dylan rilassato e sorridente improvvisa varie canzoni in studio tra le quali Rita May, Love Minus Zero/No Limit ed il classico di Merle Travis Dark As A Dungeon. Poi ci si sposta al Gerde’s Folk City di New York, famoso locale del Village in cui un giovane Dylan mosse i primi passi e nel quale all’inizio del 1975 ci fu una rimpatriata sotto gli occhi estasiati del proprietario Mike Porco: le immagini mostrano Bob che si esibisce con la Baez ed altri musicisti che entreranno a far parte della RTR (si intravedono Bob Neuwirth e David Blue), e poi lo inquadrano tra il pubblico (seduto vicino a Bette Midler) assistere ad una performance di Archer Song da parte di Patti Smith accompagnata alla chitarra da Eric Andersen.

patti smith rtrIl film si dipana poi in veri momenti di vita on the road (con Dylan che spesso è alla guida del tour bus): non vi racconto le varie scene per filo e per segno, ma vorrei segnalare un paio di momenti divertenti che riguardano Ginsberg, che prima legge il suo Kaddish ad una platea di arzille pensionate in una sala bingo e poi, visto che man mano che il tour proseguiva il suo spazio on stage era sempre più ridotto, per rendersi utile dà una mano alla troupe con i bagagli (questa scena era presente sulla versione di Netflix ma sul Blu-Ray viene solo accennata) https://www.youtube.com/watch?v=iUD5snx-XOo . Ci sono anche due momenti notevoli dal punto di vista musicale, il primo toccante con Dylan che suona The Ballad Of Ira Hayes di Peter LaFarge di fronte ad una platea di Indiani d’America, ed il secondo straordinario con una versione superba di Coyote di Joni Mitchell cantata dalla stessa cantautrice canadese accompagnata da Dylan e McGuinn alle chitarre, il tutto a casa di Gordon Lightfoot che, in canottiera, osserva i tre sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=zeaO5UZ5OcI .

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Ma il film ha fatto parlare di sé anche per quattro interviste a personaggi inventati o che narrano storie non vere, una cosa molto “da Dylan” alla quale lo stesso Bob si è prestato volentieri. La prima riguarda il fantomatico Stefan Van Dorp, che in teoria dovrebbe essere il regista originale delle immagini del 1975 ma in realtà non è mai esistito e nelle interviste viene interpretato dall’attore Martin Von Haselberg, marito tra l’altro della Midler. Poi ci sono le testimonianze di Jim Gianopulos, che è un vero discografico (ed attuale presidente della Paramount) e qui viene presentato come il promoter del tour ma in realtà non ebbe mai nulla a che vedere con esso, e del senatore Jack Tanner che non esiste, essendo l’attore Michael Murphy che riprende un suo personaggio di una serie TV degli anni 80 diretta da Robert Altman. E poi, dulcis in fundo, abbiamo il “fake” più succoso di tutti, in cui una stupenda Sharon Stone (è incredibile come stia invecchiando splendidamente senza l’aiuto apparente della chirurgia estetica) racconta di quando appena diciannovenne andò ad un concerto del tour con sua madre indossando una maglietta dei Kiss e fu notata nel backstage da Dylan che scambiò con lei qualche battuta, ed incontrandola di nuovo qualche settimana dopo la convinse ad unirsi al tour come aiuto-costumista, lasciando intendere che tra i due ci sia stato anche un breve flirt.

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La cosa pare essere totalmente inventata, anche perché la Stone all’epoca di anni ne aveva 17 e quindi una relazione con Dylan avrebbe potuto creare qualche imbarazzo, però è raccontata dai due in maniera decisamente credibile: inoltre qui si apre un altro mini-fake, e cioè che Bob aveva avuto l’idea di dipingersi la faccia prima dei concerti con la RTR dopo aver assistito ad uno show proprio dei Kiss, al quale era stata portato dalla violinista Scarlet Rivera che all’epoca usciva con Gene Simmons (è falso che il trucco facciale dei membri della band sia stato influenzato dalla hard rock band di New York, ma stranamente il fatto che Simmons e la Rivera si vedessero sembra vero). Last but not least, i vari momenti musicali presenti sono davvero di altissimo profilo in quanto Dylan all’epoca era all’apice come performer ed anche disponibile verso i fans (divertente il siparietto quando qualcuno dal pubblico urla “Bob Dylan for President!” ed il nostro risponde ridendo “President of what?”) https://www.youtube.com/watch?v=9wKi3_W6sQo .

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Le canzoni presenti, in parte o complete (e che comunque si trovano tutte sul cofanetto The 1975 Live Recordings del 2019) https://www.youtube.com/watch?v=HCAiAf21K20 sono Mr. Tambourine Man, When I Paint My Masterpiece, una strepitosa A Hard Rain’s A-Gonna Fall in versione rock-blues, I Shall Be Released e Blowin’ In The Wind in duetto con la Baez, Hurricane, The Lonesome Death Of Hattie Carroll (splendida anche questa), Isis, Oh Sister, Simple Twist Of Fate, One More Cup Of Coffee https://www.youtube.com/watch?v=4viQhTmhDX8  ed una Knockin’ On Heaven’s Door in cui Bob divide il microfono con McGuinn https://www.youtube.com/watch?v=4viQhTmhDX8 . Il dischetto, oltre a contenere un bellissimo libretto con foto inedite e scritti di Shepard e Ginsberg, è masterizzato digitalmente con la tecnologia 4K e tra gli extra contiene una esauriente intervista a Scorsese e tre performance aggiuntive (e complete)  https://www.youtube.com/watch?v=SqmTfkf7GRg di Tonight I’ll Be Staying Here With You, Romance In Durango e Tangled Up In Blue; l’unica pecca per chi non fosse troppo padrone della lingua straniera è il fatto che i sottotitoli siano solo in inglese per i non udenti (ma non escludo come già successo per il film su Harrison una versione italiana fra qualche mese. Un film quindi che non esito a definire impedibile: siamo solo a febbraio ma potremmo già avere per le mani il DVD/Blu-Ray dell’anno.

Marco Verdi

Best Of 2020: Il Meglio Dell’Anno In Musica Da Riviste E Siti Internazionali. Parte II, Alcuni Siti

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Per concludere questa disamina sulle classifiche del meglio del 2020 in ambito musicale, vediamo ora i risultati di alcuni siti, scelti tra quelli che ci sembrano più vicini ai gusti del Blog. Le liste, estrapolate dai siti stessi, riguardano sempre i primi cinque, a parte AllMusic che li presenta senza un ordine preciso, per cui ho scelto io 5 titoli, tra quelli con il voto più alto.

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Bob Dylan – Rough And Rowdy Ways

https://www.youtube.com/watch?v=3NbQkyvbw18

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Laura Marling – Song For Our Daughter

https://discoclub.myblog.it/2020/07/18/altra-uscita-monca-solo-in-download-cd-e-vinile-previsti-a-settembre-comunque-un-album-veramente-molto-bello-laura-marling-song-for-our-daughter/

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Sault – Untitled (Rise) Album di “neo-soul” molto interessante che qui sotto potete ascoltare integralmente.

https://www.youtube.com/watch?v=iKWwRdbOhB0

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Fiona Apple – Fetch The Bolt Cutters come avrebbero detto a Mai Dire Gol album ostico e anche agnostico, che però appare in ben 94 delle liste di fine anno.

https://www.youtube.com/watch?v=yM63Tzv-uZg

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Bob Mould – Blue Hearts Questo appare “solo” in cinque liste, ma è uno dei migliori dell’ex Husker Du.

https://www.youtube.com/watch?v=k5F-aj171QM

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Anche https://americansongwriter.com/best-albums-of-2020/

Come fa il sottoscritto, anche il sito americano non li indica in nessun ordine particolare, per cui ne estrapolo tre tra i più sfiziosi, visto che questo sito è tra quelli che prediligo per “scoprire” titoli interessanti sulla mia stessa lunghezza d’onda: gli altri due nella Top dell’anno sono Springsteen e Chris Stapleton.

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Jimmy LaFave – Highway Angels…Full Moon Rain Raro disco autoprodotto che nel 1988 era uscito solo in cassetta e anche in questa nuova edizione in CD del 2020 rimane comunque di difficile reperibilità.

https://www.youtube.com/watch?v=IGSEEQlwUV4

steep canyon rangers arm in arm

Steep Canyon Rangers – Arm In Arm Un gioiellino di eccellente fattura.

https://www.youtube.com/watch?v=xBvSsBjhm8I

Waxahatchee saint-cloud

Waxahatchee – Saint Cloud Una delle voci femminili “sconosciute” più interessanti in circolazione.

https://www.youtube.com/watch?v=yHuhABPbOaE

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Chris Stapleton – Starting Over

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Bruce Springsteen – Letter To You

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1) Fiona Apple – Fetch The Bolt Cutters

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2) Waxahatchee – Saint Cloud

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3) Run The Jewels – RTJ4

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4) Sault – Untitled (Rise)

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5) Perfume Genius – Set My Heart on Fire Immediately

https://www.youtube.com/watch?v=BMELeKrLuv0

Ci sarebbero anche Pop Matters e Pitchfork ma i risultati sono più o meno identici a quelli di altri classici, per cui direi di concludere qui.

Da domani riprendiamo la programmazione abituale con Post nuovi e recuperi di titoli rimasti indietro tra le uscite del 2020.

Bruno Conti

Best Of 2020: Il Meglio Dell’Anno In Musica Da Riviste E Siti Internazionali. Parte I Le Riviste.

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Sia pure in ritardo rispetto agli anni precedenti ecco il consueto sguardo su quanto hanno decretato riviste cartacee (come noterete non c’è più Q, che ha chiuso a settembre dopo 34 anni) e siti internazionali sui migliori dischi dell’anno appena passato: come saprà chi legge questo Blog il sottoscritto ogni volta trova poco da condividere con i risulati di queste classifiche, ma a livello informativo e di curiosità vi propongo una selezione di queste Year End Lists. Cominciamo da quella stilata da un sito aggregatore che con certosina pazienza fa una media dei punti ricavata da tutte le classifiche e il risultato, almeno la Top 5, la vedete qui sotto: rispetto al passato, pur nella mancanza dei dischi che piacciono a chi scrive su questo Blog, almeno un paio di dischi che si salvano ci sono. Il logo iniziale è preso dal New Yorker.

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1) Fiona Apple – Fetch The Bolt Cutters

https://www.youtube.com/watch?v=GT8HHHuvfK8

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2) Phoebe Bridgers – Punisher

https://www.youtube.com/watch?v=Tw0zYd0eIlk

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3) Run The Jewels – RTJ

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4) Taylor Swift – folklore

https://www.youtube.com/watch?v=osdoLjUNFnA

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5) Dua Lipa – Future Nostalgia

Non proprio da strapparsi i capelli per la gioia come vedete, a parte forse Fiona Apple, la cui musica mi ha sempre intrigato: ecco comunque un po’ delle classifiche di riviste e siti vari, dove in alcuni andiamo decisamente meglio, a partire da

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5. Fleet Foxes — Shore

https://www.youtube.com/watch?v=6Jrh1IRv6Pw

Questo album per ora è disponibile solo per il download, in CD uscirà solo il 5 febbraio 2021, ed è il motivo per cui non ne abbiamo ancora parlato,  visto che il disco merita.

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4. Bill Callahan — Gold Record
La canzone del video si intitola Ry Cooder.

https://www.youtube.com/watch?v=m74apAtI2X8

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3. Fontaines D.C. — A Hero’s Death

https://www.youtube.com/watch?v=jLNt8aMNbvY

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2. Fiona Apple — Fetch the Bolt Cutters

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1. Bob Dylan — Rough and Rowdy Ways

https://www.youtube.com/watch?v=pgEP8teNXwY

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5. Thundercat – It Is What It Is

https://www.youtube.com/watch?v=lqDs_quhy0I

https://www.youtube.com/watch?v=rwHQdqxCQQU

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4. Drive-By Truckers – The New OK

https://discoclub.myblog.it/2020/12/23/il-secondo-disco-del-2020-anche-meglio-del-precedente-drive-by-truckers-the-new-ok/

phoebe bridgers punisher
3. Phoebe Bridgers – Punisher
2. Fleet Foxes – Shore

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1. Bob Dylan – Rough and Rowdy Ways

Rolling Stone Best Albums

Rolling Stone Albums

5. Dua Lipa – Future Nostalgia
4. Bob Dylan – Rough and Rowdy Ways
3. Bad Bunny – YHLQMDLG
2. Fiona Apple – Fetch the Bolt Cutters
1. Taylor Swift – folklore

Spin non lo leggo più da una ventina di anni, per cui direi che per le poche riviste musicali cartacee può bastare, nella seconda parte ci occupiamo di alcuni siti.

Fine prima parte.

Bruno Conti

In Ritardo Ma Ci Siamo: Il Meglio Del 2020 Secondo Disco Club, Parte III

best of 2020

POLL 2020 Tino Montanari

Disco Dell’Anno

bob dylan rough and rowdy ways

Bob Dylan – Rough And Rowdy Ways

Canzone Dell’Anno

Bob Dylan – Murder Most Foul

https://www.youtube.com/watch?v=3NbQkyvbw18

Esordio Dell’Anno

country westerns country westerns

Country Westerns – Country Westerns

https://discoclub.myblog.it/2020/06/27/un-nuovo-gruppo-alternativo-sotto-il-cielo-di-nashville-country-westerns-country-westerns/

Cofanetto Dell’Anno

johnny cash complete mercury albums

Johnny Cash – The Complete Mercury Recordings 1986-1991

Ristampa Dell’Anno

richard & linda thompson hard luck stories front

Richard & Linda Thompson – Hard Luck Stories

https://discoclub.myblog.it/2020/09/12/richard-linda-thompson-la-coppia-regina-del-folk-rock-britannico-box-hard-luck-stories-parte-ii/

Tributo Dell’Anno

willie nile uncovered

Various Artists – Willie Nile Uncovered

https://discoclub.myblog.it/2020/09/10/anche-willie-nile-ha-il-suo-pregevole-e-meritato-tribute-album-various-artists-willie-nile-uncovered/

Disco Rock

lucinda williams good souls better angels

Lucinda Williams – Good Souls Better Angels

https://discoclub.myblog.it/2020/04/24/sferzate-blues-e-ballate-elettriche-urticanti-dalla-citta-degli-angeli-lucinda-williams-good-souls-better-angels/

Disco Rock Blues

roomful of blues in a roomful of blues

Roomful Of Blues – In a Roomful Of Blues

Disco Rhythm & Blues

sharon jones just dropped in

Sharon Jones & The Dap-Kings – Just Dropped In

Disco Blues

dion blues with friends

Dion – Blues With Friends

https://discoclub.myblog.it/2020/06/17/un-altro-giovanotto-pubblica-uno-dei-suoi-migliori-album-di-sempre-dion-blues-with-friends/

Disco Soul

bettye lavette blackbirds

Bettye Lavette – Blackbirds

Disco Folk

june tabor oysterband fire & fleet

June Tabor & Oysterband – Fire & Fleet / A Tour Memento

https://discoclub.myblog.it/2020/05/10/per-gli-amanti-del-folk-di-classe-june-tabor-oysterband-fire-fleet/

Disco Country

colter wall western swing

Colter Wall – Western Swings & Waltzes And Other Punchy Songs

Disco Cajun & Bluegrass

michael doucet lacher prise

Michael Doucet – Làcher Prise

https://discoclub.myblog.it/2020/06/18/un-bel-disco-dalle-radici-incontaminate-michael-doucet-lacher-prise/

Disco World Music

tamikrest tamotait

Tamikrest – Tamotait

Disco Jazz

kandace springs the women who raised me

Kandace Springs – The Women Who Raised Me

https://www.youtube.com/watch?v=Ycpy2jtuoiw

Disco Oldies

Johnny Hallyday – Son Reve Americain

Disco Live

ruthie foster big band live at the paramount

Ruthie Foster Big Band – Live At The Paramount

https://discoclub.myblog.it/2020/05/19/un-gioiello-di-concerto-ruthie-foster-big-band-live-at-the-paramount/

Disco Italiano

graziano romani augusto

Graziano Romani – Augusto / Omaggio Alla Voce Dei Nomadi

https://discoclub.myblog.it/2020/10/18/il-vangelo-di-augusto-secondo-graziano-graziano-romani-augusto/

DVD Musicale

fabrizio de andrè + PFM Il Concerto ritrovato

Fabrizio De Andrè & PFM – Il Concerto Ritrovato

bruce springsteen letter to you

Bruce Springsteen – Letter To You

white buffalo on the widow's walk

White Buffalo – On The Widow’s Walk

https://discoclub.myblog.it/2020/05/26/passeggiando-sulle-strade-polverose-del-west-the-white-buffalo-on-the-widows-walk/

otis gibbs hoosier national

Otis Gibbs – Hoosier National

https://discoclub.myblog.it/2020/11/04/cantastorie-pittore-e-artista-di-culto-otis-gibbs-hoosier-national/

scott mcclatchy six of one

Scott McClatchy – Six Of One

Ray Wylie Hubbard – Co-Starring

sam burton i cang with you

Sam Burton – I Can Go With You

https://www.youtube.com/watch?v=p6bJt3i7H3A

jerry joseph the beautiful madness

Jerry Joseph – The Beautiful Madness

matt berninger serpentine prison

Matt Berninger – Serpentine Prison

https://www.youtube.com/watch?v=zjGeJXWg7SE

Paul Sage – Retreat

emma swift blonde on the tracks

Emma Swift – Blonde On The Tracks

nadia reid out of my province

Nadia Reed – Out Of My Province

https://discoclub.myblog.it/2020/03/15/alla-scoperta-della-joni-mitchell-neozelandese-nadia-reid-out-of-my-province/

mary bridget davies stay with me

Mary Bridget Davies – Stay With Me

https://discoclub.myblog.it/2020/06/06/unaltra-discepola-di-janis-mary-bridget-davies-stay-with-me-the-reimagined-songs-of-jerry-ragovoy/

diana jones song to a refugee

Diana Jones – Song To A Refugee

https://discoclub.myblog.it/2020/10/21/una-affacinante-cantautrice-tradizionalista-diana-jones-song-to-a-refugee/

mary chapin carpenters the dirt and the stars

Mary Chapin Carpenter – The Dirt And The Stars

sarah siskind modern appalachia

Sarah Siskind – Modern Appalachia

https://discoclub.myblog.it/2020/07/12/nuovi-e-splendidi-album-al-femminile-parte-2-sarah-siskind-modern-appalachia/

Lori McKenna – The Balladeer

Sass Jordan – Rebel Moon Blues

mary coughlan life stories

Mary Coughlan – Life Stories

Blue Highways – Long Way To The Ground

blackie and the rodeo kings king of this town

Blackie And The Rodeo Kings – King Of This Town

Snarky Puppy – Live At The Royal Albert Hall

teseky brothers live at the forum

Teskey Brothers – Live At The Forum

cowboy junkies ghosts

Cowboy Junkies – Ghosts

https://discoclub.myblog.it/2020/04/12/una-sorpresa-nelluovo-di-pasqua-cowboy-junkies-ghosts/

The War On Drugs – Live Drugs

weight band life is a carnival

The Weight Band – Live Is A Carnival

Sophia – Holding On / Letting Go

Levellers – Peace

Tino Montanari