Un Esordio Fulminante: Garantisce La “Regia” Di Dwight Yoakam! King Leg – Meet King Leg

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King Leg – Meet King Leg – Sire/Warner CD

Devo essere sincero: mi sono avvicinato a questo disco solo quando ho visto che il produttore era Dwight Yoakam, cosa resa ancora più interessante dal fatto che colui che io considero il miglior countryman degli ultimi trent’anni solitamente non presta i suoi servizi su album altrui (perfino i suoi ha iniziato a produrli da poco, cioè da quando ha interrotto la sua lunga collaborazione con Pete Anderson). King Leg è una band proveniente da Los Angeles, ma può benissimo essere considerato anche il nome d’arte del suo leader Bryan Joyce, un rocker originario del Nebraska che del gruppo è cantante solista, autore dei brani e chitarrista ritmico (gli altri membri rispondono ai nomi di Stefano Capobianco – dalle chiare origini – alla chitarra solista, Kelly King alla batteria, Daniel Rhine al basso e tastiere e Dylan Durboraw al calliope, una sorta di strano organetto vintage che fa molto Tom Waits). Dopo aver mosso i primi passi a Nashville, Joyce/King Leg si è spostato a L.A., dove è stato notato dal leggendario Lenny Waronker, uno che nella sua carriera credo abbia imparato a riconoscere il talento, che lo ha voluto nei Capitol Studios ad incidere il suo debut album per la Sire, altra etichetta dal glorioso passato.

Ed il disco, Meet King Leg (uscito lo scorso Ottobre) è una piccola bomba, un concentrato davvero stimolante di rock’n’roll, pop, atmosfere vintage ed un vago approccio punk in alcuni brani: la presenza di Yoakam ha garantito il fatto di avere un suono perfetto (ed infatti è davvero scintillante), molto basato sulle chitarre, anche se lo stile di Bryan non è per niente country (tranne che in un pezzo), ma piuttosto una fusione di puro rock californiano alla Tom Petty con atmosfere alla Byrds, qualcosa dei Ramones ed un grande amore per Roy Orbison (anche dal punto di vista vocale ci sono dei riferimenti, ed anche una certa somiglianza con Morrissey, ed infatti a Nashville il nostro per un periodo ha guidato una cover band degli Smiths). Capisco che letti così questi nomi potrebbero fare anche a pugni, ma credetemi se vi dico che, come inserirete il CD nel lettore, tutto si amalgamerà subito alla perfezione: per certi versi questo disco mi fa venire in mente l’esordio degli Shelters (lì il produttore era Petty), la stessa bravura, lo stesso tipo di canzoni dirette (anche se in quel caso erano più rock), la stessa freschezza nella proposta musicale. E Dwight, che non è uno sprovveduto, ha addirittura voluto che Joyce e compagni aprissero i suoi concerti. Apre il CD Great Outdoors (che è anche il primo singolo), un brano tra rock’n’roll e power pop, con un gran ritmo, chitarre jingle-jangle ed un motivo molto diretto, condito dalla caratteristica voce tenorile di Bryan.

Cloud City è una rock ballad decisamente particolare: dopo un inizio acustico ed attendista il suono si elettrifica di brutto, con la sezione ritmica che pesta alla grande ed il nostro che gorgheggia da par suo. La deliziosa Walking Again è un honky-tonk elettrico, unico pezzo vicino al sound di Yoakam, guizzante e chitarristico, mentre Another Man è una ballata gentile e squisita, puro folk cantautorale, che ci fa capire che i nostri hanno parecchie frecce al loro arco. Your Picture è un coinvolgente pop’n’roll ancora con il suono ruspante delle chitarre ben in evidenza (ed un bellissimo ancorché breve assolo di slide), Comfy Chair è uno slow profondo, fluido e toccante, ma con la sua bella dose di rock che entra sottopelle, con una chitarrina molto anni sessanta (in pratica una grande canzone), ed è unita in medley alla tersa A Dream That Never Ends, uno splendido brano in puro stile vintage, alla Orbison, cantato molto bene e col solito bellissimo tappeto di chitarre, una delle migliori e più evocative del CD. Wanted è ritmata, limpida ed orecchiabile ancora tra The Big O e Tom Petty, con una melodia deliziosamente fruibile, Loneliness è un’ottima e solare pop song, anch’essa potenzialmente un singolo di grande presa: più va avanti e più mi sento di metterla tra le meglio riuscite. Il disco si chiude con la cristallina Seeing You Tonight, decisamente pettyiana e con il consueto splendido suono di chitarra, la strepitosa Moaning Lisa Screaming, con il suo bel chitarrone alla Duane Eddy, una rock song strumentale nella quale però Bryan si produce in suggestivi vocalizzi, e con la cover di Running Scared, proprio il classico di Orbison: materia pericolosa, ma Joyce e compagnia se la cavano alla grande, e senza fare il verso al leggendario rocker texano, senza sfigurare neppure nel famoso crescendo finale.

Ci sarà stato anche l’aiutino dalla regia (Dwight Yoakam), ma i King Leg si dimostrano un gruppo coi controfiocchi e Bryan Joyce un frontman con carattere, personalità e talento: alla faccia di chi pensa che il rock’n’roll sia morto o morente.

Marco Verdi