Passa Il Tempo: Sono 40+1. Stray Cats – Rocked This Town: From LA To London

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Stray Cats – Rocked This Town – From LA To London – Surfdog/Mascot

L’anno scorso con 40 avevano festeggiato appunto il loro quarantesimo anniversario, con la reunion della formazione originale e il primo disco in studio di materiale nuovo dopo 26 anni: Brian Setzer, Slim Jim Phantom e Lee Rocker, gli Stray Cats originali, ormai tutti e tre vicini alla soglia dei 60 anni (anzi nel caso di Setzer superata), con Gretsch, contrabbasso e kit da batterista R&R pronti alla bisogna, si sono lanciati in un tour mondiale, che addirittura era partito nel 2018, per riproporre i loro classici, accanto anche ad alcuni dei brani nuovi, prima che arrivasse il ciclone Covid-19 a fermare la musica dal vivo in giro per il mondo. Quindi con ben 22 canzoni compattate in un CD singolo, dove la durata media raramente supera i 4 minuti (ma qualcuna ce n’è, non sono mica i Ramones), questo Rocked This Town: From LA To London, ancora una volta celebra il loro rockabilly revival con tanta grinta e anche classe, visto che Setzer in questi anni è diventato anche un apprezzato musicista in grado di spaziare tra swing e blues, con ottimi risultati.

La maggior parte delle canzoni è originale (più o meno, visto che l’ispirazione viene comunque dai gloriosi anni del R&R e del rockabilly) e qualche immancabile cover, ma se lo scopo dichiarato è quello di divertire i loro ascoltatori, anche non in presenza, ma su un CD, direi che il risultato è raggiunto. La musica quindi si gode anche da remoto, nella propria casa o in giro con cuffiette il piedino è subito pronto per tenere il tempo: qualità sonora ottima, e partenza con uno dei brani nuovi Cat Fight (Over A Dog Like Me) che comunque illustra perfettamente lo spirito R&R degli Stray Cats, eccellente assolo di chitarra di Setzer incluso https://www.youtube.com/watch?v=czwn7d_gEro , senza soluzioni di continuità si parte con il greatest hits, prima una brillante Runaways Boy, che era sull’omonimo album di debutto del 1981, e suona fresca oggi come allora, anzi la voce di Brian e la sua perizia alla solista sono aumentate dopo lunghi anni on the road, Too Hip Gotta Go era su Rant’n’Rave, brano preso sempre a grande velocità, ma più raffinato e meditato, con la chitarra ancora in grande spolvero, di nuovo dal 1° album una scoppiettante cover di Double Talkin’ Baby di Gene Vincent con le mani del nostro che volano sul manico della chitarra.

A seguire un altro dei brani del disco dello scorso anno, Three Time’s A Charm, dove il risultato è a tutto rockabilly https://www.youtube.com/watch?v=s39szCgOjYY , poi accolto da un boato arriva uno dei loro cavalli di battaglia, la sempre bellissima e felpata (manco a dirlo) Stray Cat Strut. Senza ricordare tutti i brani, comunque eccellenti a prescindere, vorrei ricordare la pimpante e di grande tecnica strumentale Mean Pickin’ Mama, l’omaggio a due degli idoli della band Gene And Eddie, con immancabili citazioni ad libitum, e ancora una rara ballata da crooner come la deliziosa I Won’t Stand In Your Way, un paio di cover strumentali come la countyreggiante Cannonball Rag di Merle Travis, eseguita dal solo Setzer alla elettrica e il celeberrimo e vorticoso surf di Dick Dale Misirlou, sempre con la maestria di Brian in bella evidenza https://www.youtube.com/watch?v=H7eFhKYO4P0 , come pure la divertente e sbarazzina (She’s) Sexy + 17, e anche l’altrettanto sexy Fishnet Stockings, un omaggio ad un altro dei grandi del rockabilly Dorsey Burnette con la sua My One Desire, presente solo nella versione in vinile.

E poi nel gran finale spettacolare, alcuni dei loro più grandi successi che mandano il visibilio il pubblico presente: quasi in sequenza ecco arrivare la potente Rock This Town, la recente e bluesata Rock It Off dove Setzer sembra un novello Thorogood, e naturalmente Built For Speed, fedele al suo titolo, per concludere con una colossale Rumble In Brighton, tra R&R e Clash. L’estate sarà anche finita, ma il divertimento ( si fa per dire) continua con questo ottimo Live che conferma che gli Stray Cats sono sempre un gran bel gruppo, anche 40, anzi quarantuno anni dopo i loro esordi.

Bruno Conti

Lo Springsteen Della Domenica: Divertimento Assicurato! Bruce Springsteen – Fair Grounds Race Course, New Orleans April 30, 2006

bruce springsteen new orleans 2006

Bruce Springsteen – Fair Grounds Race Course, New Orleans April 30, 2006 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 2CD – Download

Eccoci per il consueto appuntamento con gli archivi live di Bruce Springsteen, che questa volta propongono il primo concerto in assoluto del Boss con la Seeger Sessions Band, quel fantastico ensemble che nel 2006 pubblicò il favoloso We Shall Overcome – The Seeger Sessions, uno strepitoso album nel quale Bruce andava a recuperare una serie di brani della tradizione popolare resi noti in passato dal grande Pete Seeger, arrangiando il tutto in maniera assolutamente coinvolgente, passando con disinvoltura dal folk al country al bluegrass all’old-time music. Questo live, più corto del solito (è “solo” doppio), rappresenta l’esordio assoluto dal vivo del Boss con questa band, soltanto sei giorni dopo l’uscita del disco, al New Orleans Heritage & Jazz Festival. Sul blog collegato al sito che vende in esclusiva i concerti di Bruce questa scelta è stata anche criticata, un po’ perché c’era già una valida testimonianza ufficiale del tour (lo splendido Live In Dublin, anche in DVD), ed anche perché il nostro è uno che entra in “forma Champions” man mano che la tournée procede, mentre all’inizio ci potrebbero essere problemi di rodaggio. Ebbene, all’ascolto di questo doppio album sembra che il gruppo fosse già in giro da mesi, tale è l’affiatamento, e se forse può essere condivisibile il fatto che il concerto di Dublino sia più completo, anche qui la goduria musicale tocca vette altissime: tra l’altro questa serata è sempre stata molto cara al Boss, in quanto la capitale della Louisiana si stava provando a rialzare proprio in quel periodo dopo i devastanti effetti dell’uragano Katrina.

Il concerto è quindi splendido, un concentrato irresistibile di suoni e colori, nel quali il nostro scava a fondo nelle proprie radici, ma lo fa con l’energia e la grinta tipica da rocker: io li avevo visti due volte, a Milano e Torino, e mi ricordo due dei concerti più divertenti di sempre, con il pubblico che cantava a squarciagola canzoni che avevano anche un secolo sulle spalle. Non sto a nominare tutti i componenti della band, ci vorrebbe una recensione a parte (compreso Bruce sono in venti), ma di sicuro non posso non citare la strepitosa sezione fiati di sei elementi guidata da Richie “La Bamba” Rosenberg, il violino di Sam Bardfeld, il banjo di Mark Clifford, il piano ed organo di Charlie Giordano (che di lì a breve sostituirà il povero Danny Federici nella E Street Band), e le vecchie conoscenze Patti Scialfa e Soozie Tyrell alle voci (la Tyrell anche al violino). Il primo CD è occupato quasi completamente dai brani di The Seeger Sessions, dalla scintillante apertura tra gospel e dixieland della straordinaria O Mary Don’t You Weep, perfetta per New Orleans, agli scatenati country-grass Old Dan Tucker, My Oklahoma Home e John Henry, tutti potenziati dai fiati così da creare un formidabile “wall of sound” di stampo roots, alla stupenda Jesse James, che parte come una vivace country song e termina con un suono degno della Preservation Hall Jazz Band. Non mancano le radici irlandesi del nostro, con la drammatica Mrs. McGrath (peccato però per l’assenza di Erie Canal), o il folk appalachiano Eyes On The Prize, davvero emozionante e con uno strepitoso intermezzo dixieland; l’unica canzone appartenente al passato del Boss è Johnny 99, in una strana versione funkeggiante a mio parere non molto riuscita (preferisco quando la suona con gli E Streeters, puro rock’n’roll).

Il primo dischetto si chiude con tre brani di matrice gospel: la maestosa How Can A Man Stand Such Times And Live?, con l’arrangiamento più “rock” della serata, l’irresistibile Jacob’s Ladder, dal crescendo continuo, ed una rilettura lenta e toccante dell’inno We Shall Overcome, il brano più noto dell’intero progetto. Il secondo CD, solo sei canzoni, inizia con una travolgente versione boogie-woogie in stile big band (alla Brian Setzer) di Open All Night, uno degli highlights dello show, con una prestazione monstre della sezione fiati e del pianoforte, subito seguita dalla altrettanto irresistibile Pay Me My Money Down, perfetta per il singalong con il pubblico (me la ricordo ancora al Forum di Assago, ballava anche il servizio d’ordine). Pausa di riflessione con la splendida My City Of Ruins (dedicata a New Orleans), molto vicina all’originale e tra le più applaudite, e poi la festa riprende con il country-dixieland Buffalo Gals, divertimento puro, ed una You Can Look (But You Better Not Touch) quasi irriconoscibile, tra swing e cajun. Essendo nella “Big Easy”, il finale con una commovente e lenta When The Saints Go Marching In, uno degli inni della città, è perfetto, e chiude alla grande un altro episodio imperdibile di questa benemerita serie di concerti.

Già pregusto il prossimo della serie (che dovrei ricevere a giorni), che ci riporterà negli anni settanta, con uno degli show che hanno contribuito a costruire la leggenda di Bruce come performer.

Marco Verdi

Gary Hoey – Dust And Bones: Un Altro “Ex” Virtuoso Metal Convertito Al Blues? Bravo Comunque!

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Gary Hoey – Dust And Bones – Mascot/Provogue                                    

Gary Hoey è un (ex?) metallaro pentito che, da qualche tempo, come altri, si è convertito al blues(rock). Con una discografia di una ventina di album alle spalle, compreso questo, di cui molti di tipo Natalizio per la serie Ho! Ho! Hoey https://www.youtube.com/watch?v=BqDsSC5w5KU , il nostro amico, 55 anni ad agosto, appartiene alla categoria dei chitarristi “esagerati”, quella che vanta nelle proprie fila gente come Van Halen, Satriani, Steve Vai, Eric Johnson, e tutta la pattuglia che fa capo alla Blues Bureau Records di Mike Varney, quindi anche chitarristi come Rick Derringer, Pat Travers, Eric Gales e Chris Duarte, tanto per non fare nomi. Ma agli inizi di carriera, negli anni ‘80, fu uno dei candidati a sostituire Jake E. Lee nella band di Ozzy Osbourne, anche se poi venne scelto Zakk Wylde (che, detto per inciso, di recente ha pubblicato a sorpresa, almeno per me, un album, Book Of Shadows II, di ottima musica southern e roots https://www.youtube.com/watch?v=X_uOwN7OwH4, e già il primo della serie non era male). Nel 1993 ha avuto il suo maggior successo con una cover di Hocus Pocus, il celebre brano dei Focus, quello che per intenderci ha degli intermezzi yodel in una ferocissima scarica chitarristica a cura di Jan Akkerman (quello sì era un grande chitarrista https://www.youtube.com/watch?v=g4ouPGGLI6Q )

La versione di Hoey era molto più alla Van Halen, con un sound abbastanza grossolano, ma poi il nostro amico lentamente, nel corso degli anni, si è avvicinato al blues, pubblicando un Deja Blues nel 2013 https://www.youtube.com/watch?v=V2EUPq-0wVA , che era il suo primo (o forse secondo) approccio alle 12 battute, per la verità non male, pur sempre nel suo suono abbastanza duro e tirato. Ora, nella presentazione al nuovo album, dice che in questo Dust And Bones vuole unire al blues le sue radici rock, e quindi cosa otteniamo? Un disco di rock-blues, ma va!? In molte pedisseque cartelle stampa Hoey viene presentato come uno dei primi 100 chitarristi di tutti i tempi nella classifica di Rolling Stone, ma non mi ricordo di avercelo mai visto, e in effetti, più modestamente, appare in quella del sito Digital Dream Door, tra molti metallari e, vergognosamente, prima di musicisti come Roy Buchanan, Warren Hayes, Joe Walsh e Leslie West, basti dire che John Petrucci dei Dream Theather è all’11° posto assoluto! Con tutto il rispetto un bel bah mi scappa! Fine della digressione.

Comunque anche Gary Hoey approda alla Mascot/Provogue, “casa” di Joe Bonamassa, Warren Haynes, Walter Trout, Robben Ford, questi sì tra i migliori chitarristi contemporanei e realizza un disco onesto, registrato in trio, con AJ Pappas al basso (a lungo con Popa Chubby) e Matt Scurfield alla batteria (già con Lita Ford, di cui tra un attimo): un album di power trio rock-blues con leggere derive surf (in passato Hoey ha collaborato anche con Dick Dale) e rockabilly, vedi l’eccellente tributo a Brian Setzer, nel vorticoso rockabilly di Who’s Your Daddy. Per il resto abbiamo il classico sound della Mascot, dalla rocciosa iniziale Boxcar Blues, un omaggio a Robert Johnson via Led Zeppelin, dove Gary Hoey si destreggia con abilità al bottleneck, passando per il notevole festival wah-wah della “sudista” Born To Love You, dove sembra di ascoltare gli ZZ Top, con tanto di eccellente e pungente assolo alla Billy Gibbons, o ancora nella ballata atmosferica Dust And Bones che ricorda certe cose del Bonamassa più duro. Non manca il tributo (un po’ ruffiano, ma ben suonato) a Johnny Winter di Steamroller, dove la slide di Hoey viaggia a tutta birra su un agile accompagnamento della sua sezione ritmica. Poi troviamo la classica “power ballad” da classifica, o così sperano, una Coming Home registrata in duetto con Lita Ford, che ricorda certe ballate strappalacrime di Prince o Bryan Adams, non orripilante ma quasi ai limiti della decenza, e il blues dove sarebbe, mi viene da chiedere?

Ghost Of Yesterday, di nuovo a tutto wah-wah, torna ai vecchi vizi dell’AOR anni ’80 e ‘’90 e per quanto Gary sia un virtuoso della Fender, ce ne sono a decine come lui. This Time Tomorrow, decisamente migliore, rende omaggio ad un altro dei miti di Hoey, Robin Trower, con un classico slow d’atmosfera, dove però si coglie la non proprio grande valentia vocale del chitarrista di Boston, che peraltro si evidenzia in tutto l’album, meglio quando suona. Back Up Against The Wall è un bello shuffle che mi ha ricordato certe cose del compianto Jeff Healey, con un ricorrente tema di chitarra, e Blind Faith è un’altra stilettata di rock-blues a colpi di slide e wah-wah, non male, anche se risaputa. Conclude Soul Surfer, piacevole brano strumentale, una sorta di surf music per gli anni 2000 che ci permette di gustare ancora una volta il virtuosismo di Gary Hoey, perché, in tutta onestà, come si usa dire, per suonare suona! Esce il 29 luglio.

Bruno Conti