Ancora A Proposito Di Chitarristi. Michael Landau – Rock Bottom

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Michael Landau – Rock Bottom – Mascot/Provogue

Michael Landau è il classico “chitarrista dei chitarristi”, un musicista molto stimato dai colleghi, poco conosciuto direttamente dal grande pubblico, anche se il suo nome appare nei credits di almeno 800 album (forse anche di più!) dalla metà degli anni ’70 a oggi: quando qualcuno ha bisogno di un musicista nell’area di Los Angeles e dintorni, ma anche nel resto del mondo, il nome di Landau è uno dei più ricorrenti. Ha iniziato come chitarrista nella band di Boz Scaggs e poi si è subito tuffato nel remunerativo mondo dei sessionmen, negli anni ’80 e ’90 (insieme a Steve Lukather, Michael Thompson e Dan Huff) :era raro che ci fossero dischi di rock in quegli anni, soprattutto registrati in California, dove non suonasse il nostro amico. Non sempre, anzi raramente, in dischi che ci appartengono a livello di gusto (e tuttora alterna partecipazioni agli album di Ramazzotti e Tiziano Ferro, con quelle alla Steve Gadd Band,oppure  con James Taylor o Beth Hart), in passato però ha suonato anche con Joni Mitchell, Miles Davis, Pink Floyd, ma pure in una valanga di “tavanate galattiche” che vi risparmio. Il chitarrista però è uno di quelli bravi, come dimostrano i suoi rari album solisti, gli ultimi un Live del 2006 e un Organic Instrumentals del 2012, dove può indulgere anche alla sua passione per un jazz (rock) alla Allan Holdsworth e simili, oppure nei Renegade Creation, con Robben Ford, in cui viene praticato un rock-blues muscolare, comunque di eccellente fattura tecnica http://discoclub.myblog.it/2010/12/27/posso-solo-confermare-michael-landau-robben-ford-jimmy-hasli/ .

Tra i vari gruppi, poco noti, in cui aveva militato Landau in passato, c’erano stati ad inizio anni ’90 i Burning Water, autori di quattro album, band in cui c’erano anche il fratello Teddy Landau al basso, il cantante David Frazee, entrambi li ritroviamo ora in questo Rock Bottom, insieme al nuovo batterista Alan Hertz. Il disco è in uscita oggi 23 febbraio, ed è il classico album che unisce le varie passioni di Michael: c’è molto rock, ma anche brani dove spicca l’acrobatico stile jazzato di Landau, che in passato è stato definito una sorta di Jimi Hendrix per il 21° secolo, in quanto secondo qualche critico “estroso e visionario” potrebbe suonare la musica che il mancino di Seattle stava per intraprendere al tempo della sua scomparsa, una fusione di jazz e rock. Potrebbe essere, perché di “nuovi Jimi Hendrix” ce ne sono stati quanti i nuovi Dylan, ma l’originale era uno solo. Comunque il nuovo CD complessivamente è decisamente buono, con parecchi brani sopra la media, e altri meno eccitanti: l’iniziale Squirrels, dove si apprezza anche l’eccellente apporto dell’organo di Larry Goldings, che è il tastierista aggiunto in tutto l’album, ha quasi venature leggermente psichedeliche e sognanti, con l’ottima voce di Frazee in primo piano e le evoluzioni della solista di Landau, che subito si accompagnano all’eccellente lavoro ritmico del gruppo, dove spicca il basso del fratello Teddy Landau, partenza molto interessante.

Poi ribadita nella rocciosa Bad Friend, in effetti hendrixiana e roccata, ma anche raffinata, una specie, più o meno, di Red Hot Chili Peppers meno proni alle derive commerciali degli ultimi album, con la chitarra di Michael Landau, anche in modalità wah-wah, veramente dappertutto; Gettin’ Old, con i suoi tocchi jazz e atmosferici può rimandare ai lavori di Holdsworth con i Tempest o di Ollie Halsall con i Patto, grande tecnica ma anche spirito rock. We All Feel The Same è un blues futuribile nello stile dell’amico Robben Ford, sospeso e felpato, con le tastiere che scivolano sullo sfondo, mentre la chitarra pennella note ad effetto in grande souplesse e Frazee canta in modo davvero brillante, We’re Alright vira nuovamente verso un rock robusto e anche accattivante, con i suoi riff ripetuti e un groove molto coinvolgente, sempre nobilitato dalle scariche micidiali della solista di Landau . One Tear Away è una sorta di doom rock con vaghi retrogusti sabbathiani, senza violenze metal, ma con il gusto per un’improvvisazione raffinata ed elegante che riscopre il miglior rock progressivo degli anni ’70 https://www.youtube.com/watch?v=YHEtbAe46m4 ; Poor Dear è un solido rock-blues tra Cream e Steve Miller Band, mentre Freedom è una ballata jazz crepuscolare, da suonarsi in qualche nightclub d’elite di New York ed Heaven In the Alley un’altra pigra e ciondolante ballad fuori dagli schemi e alquanto irrisolta, ma con il solito assolo prodigioso. Chiude l’album Speak Now, Make Your Peace uno “strano” blues notturno parlato, molto minimale ma poco coinvolgente, al di là dell’immancabile assolo strabiliante della chitarra, doppiata dell’organo, che lo risveglia nel finale. Per chi ama i chitarristi, ma non solo.

Bruno Conti