Un Trio Di Gregari Ed I Loro Amici Si Divertono Alla Grande. The Texas Horns – Get Here Quick

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The Texas Horns – Get Here Quick – Severn Records

Il nome Texas Horns, scorrendo le note dei dischi di blues e soul, ricorre in decine di album ormai da svariate decadi, soprattutto nella persona del leader Mark “Kaz” Kazanoff, al sax tenore, ma anche i colleghi John Mills al sax baritono e Al (Adalberto all’anagrafe, giuro) Gomez alla tromba, non è infrequente trovarli nei credits di svariati album  di molti musicisti legati al genere, e non solo quelli provenienti dal Texas. Però, se non mi è sfuggito qualcosa, questo è solo il secondo disco che pubblicano a proprio nome dopo l’ottimo Blues Gotta Holda Me, uscito per la VizzTone nel 2015, e che prevedeva la presenza di alcuni ospiti nei vari brani: ma questa volta hanno fatto le cose in grande, infatti contando i nomi degli special guests riportati nel retro della copertina ce ne sono ben 17. Cantanti, chitarristi, tastieristi, bassisti e batteristi, ma niente armonicisti per l’occasione, anche perché con tre musicisti che soffiano con forza nei rispettivi strumenti a fiato, forse sarebbero risultati ridondanti.

Comunque tra pezzi cantati e strumentali il disco suona veramente gagliardo e pimpante, con una serie di canzoni che regalano allegria, classe e perizia tecnica a piene mani, un suono veramente fresco e godibile, come raramente capita di ascoltare, ma che non stupisce vista la bravura dei musicisti coinvolti, che ora vediamo. Oltre a tutto Kazanoff, a differenza dei pard, non è manco texano, essendo nato in Massachusetts, ma non stiamo a sottilizzare: l’iniziale Guitar Town, non quella di Steve Earle, ma un originale di Mills, mette subito le cose in chiaro su cosa aspettarsi, una sinuosa linea di chitarra  da parte di Anson Funderburgh, sostenuto da Johnny Moeller, Red Young alle tastiere, Guy Forsyth alla voce solista, Carolyn Wonderland alle armonie, ed una solida sezione ritmica con Russell Jackson al basso e Tommy Taylor alla batteria, sul tutto imperversano, sia a livello solista che di accompagnamento i fiati dei titolari del disco. I’m Doing Alright. At Least For Tonight, scritta da Kazanoff è anche meglio, ritmo sincopato ed irresistibile, la voce potente della Wonderland, anche alla chitarra elettrica, Nick Connolly alle tastiere, Chris Maresh al basso, e assoli di sax e tromba come piovesse; Feelin’ No Pain, di nuovo di Mills, è il primo strumentale, con Moeller che è la chitarra solista per l’occasione, altro brano da soul revue con Young al piano e Moeller appunto, a titillare il trio di fiatisti, sempre molto vivaci.

Fix Your Face l’ha scritta Gary Nicholson, che se la canta anche, lui viene da Nashville, Tennessee, ma come autore ha firmato brani per molti dei nostri preferiti (Buddy Guy, Bonamassa, Willie Nelson, Delbert McClinton, che stilisticamente ricorda molto, i primi che mi vengono in mente, bastano?) e in questo vibrante blues-rock, con Ronnie Earl alla chitarra in un assolo da urlo, tiene alto il livello del CD https://www.youtube.com/watch?v=NNkXqmTm1RM . Get Here Quick è un altro strumentale molto coinvolgente, fiati a manetta, il piano elettrico e la chitarra di Moeller, e vai con un rockin’ swing soul delizioso; per Love Is Gone, sempre del  buon Kaz come la precedente, arrivano la voce vellutata di John Nemeth e la chitarra di Denny Freeman, per  una splendida soul ballad ispirata da Dark End Of The Street, sempre con fiati a profusione, seguita da un altro vorticoso strumentale come 2018 con Moeller e Connolly in evidenza, e poi ancora, a seguire, troviamo un altro vocalist sopraffino come Curtis Salgado (il Blues Brother originale), che canta da par suo un errebì vibrante come Sundown Talkin’ https://www.youtube.com/watch?v=GHvmiDDs2Pk , prima di lasciare spazio ad un altro strumentale, Funky Ape, che svela le sue intenzioni sin dal titolo, Moeller e Connolly sempre protagonisti, mentre Kazanoff suona per l’occasione uno strano  synth dal “suono umano”.

Tornano ancora Nicholson e Funderburgh per un altro tuffo nel sinuoso R&B di gran classe che risponde al nome di Soulshine, una delizia per i nostri padiglioni auricolari, come non manca di soddisfare anche l’unica ventura come vocalist di Kazanoff, che non sarà un gran cantante, anzi, ma si porta dietro tre chitarre soliste, di nuovo Moeller, poi Derek O’Brien alla slide e Jon Del Toro Richardson, per un pungente rock-blues di quelli vispi e briosi. A chiudere, un altro strumentale vigoroso, Truckload Of Trouble, dove Ronnie Earl e Denny Freeman si sfidano a colpi di chitarra, mentre Kazanoff, Mills e Gomez non stanno a guardare e dicono (anzi suonano) la loro. Proprio un bel dischetto, anche se siamo in ritardo sull’uscita, consigliatissimo.

Bruno Conti

85 E Non Sentirli: Il Suo Miglior Album Da Oltre 40 Anni. John Mayall – Nobody Told Me

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John Mayall – Nobody Told Me – Forty Below Records

John Mayall a novembre ha compiuto 85 anni, ma sembra non avere alcuna intenzione di chiudere la sua carriera: da qualche anno, più o meno in coincidenza con il 70th Birthday Concert, dove a festeggiare con lui l’avvenimento c’erano Eric Clapton e Mick Taylor, due dei suoi “alunni” preferiti nei Bluesbreakers, il musicista di Macclesfield, ha ripreso – ma aveva mai smesso? Sì, direi dalla metà anni ’70 e per buona parte degli ’80 – a macinare dischi di buona fattura, e soprattutto dal 2014, anno in cui ha firmato con la Forty Below Records, l’etichetta di Los Angeles fondata da Eric Corne (che produce con Mayall, anche questo Nobody Told Me), sta pubblicando una serie di album di buona fattura, inframmezzati anche dalla pubblicazione di materiale dal vivo d’archivio, come i due Live In 1967 https://discoclub.myblog.it/2016/05/10/chi-si-accontenta-gode-john-mayalls-bluesbreakers-live-1967-volume-two/ . Lo scorso anno era uscito pure un Three For Road, sempre Live, dove il nostro amico si esibiva appunto dal vivo, rivisitando il suo vecchio materiale, in una formazione priva , per la prima volta da molti anni, della chitarra solista, ed il risultato, come testimoniato su queste pagine virtuali, era stato più che soddisfacente https://discoclub.myblog.it/2018/04/05/quasi-85-anni-ma-ancora-in-gran-forma-john-mayall-three-for-the-road/ . Però già nel corso dello stesso 2018 aveva reintrodotto un (anzi una, per la prima volta una donna) chitarrista, la bravissima Carolyn Wonderland. 

Il nuovo disco in studio (se ho fatto bene i conti, dovrebbe essere il numero 36, a fronte più o meno di altrettanti Live e anche come raccolte ed antologie varie siamo su quella cifra, superando quindi i cento album complessivi in una discografia monumentale) è stato registrato tra gennaio e febbraio del 2018 allo studio 606 di Nothridge, California, di proprietà dei Foo Fighters, e per ribadire il concetto espresso dal buon John che” era tempo ancora una volta di utilizzare il fuoco di una chitarra elettrica” nella propria musica, e per non farsi mancare nulla, oltre alla Wonderland, ci sono ben cinque altri solisti impiegati come ospiti nel nuovo album, che risulta essere addirittura uno dei  più belli in assoluto della sua lunga carriera, a tratti in grado di rivaleggiare, come impeto e forza, con gli album classici degli anni ’60 e primissimi anni ’70. Lo stesso Mayall, a dispetto dell’età. è in grande spolvero a livello vocale, la sezione ritmica, con Greg Rzab al basso e Jay Davenport alla batteria, non fa rimpiangere quelle dei suddetti album, e poi gli ospiti, che ora vediamo, aggiungono proprio “fuoco”e fiamme, senza mai andare sopra le righe, nelle varie esibizioni, con il bonus in alcuni pezzi anche di una sezione fiati guidata da Ron Dziubla al sax.

Sarà anche “solo” un disco di blues elettrico, ma fatto da uno dei maestri assoluti del genere, che pare avere azzeccato, con l’aiuto di Corne,anche la scelta del materiale: What Have I Done Wrong, il celebre brano di Magic Sam, con uso della pimpante sezione fiati, presenta Joe Bonamassa come chitarra solista a fianco della Wonderland, perfetto in un misurato e reiterato assolo che ricorda molto il suo idolo Eric Clapton, ma anche, visto l’uso dei fiati, il suono dell’album Crusade, con Mayall che canta veramente alla grande. The Moon Is Full è un pezzo scritto da Gwendolyn, la moglie di Albert Collins, ed ha la forza dirompente dei migliori brani del chitarrista nero, grazie ad una prestazione sontuosa di Larry McCray alla solista, inconsueta la scelta del brano dove appare il canadese Alex Lifeson dei Rush (bellissimo il suo assolo peraltro), per un omaggio al compatriota Jeff Healey, in un brano dal suono classicheggiante Evil And Here To Stay, con la prima apparizione dell’armonica di Mayall, ottimo anche il lavoro al piano.

Anche Todd Rundgren, che dimostra di saper maneggiare il blues, pesca nel passato un brano di Little Milton, la fiatistica e gagliarda That’s What Love Will Make You Do; il primo dei tre brani dove Carolyn Wonderland è la chitarra solista, stranamente è un pezzo scritto proprio da Joe Bonamassa, una sinuosa Distant Lonesome Train a tutta slide, seguita da Delta Hurricane, un pezzo degli Uptown Horns, quindi con uso fiati, già nel repertorio di Larry McCray, dove per gli interscambi la chitarra solista è proprio quella di Bonamassa, sempre molto misurato ma anche decisamente “vigoroso”. Larry McCray torna per un omaggio al blues-rock di Gary Moore, con un brano del chitarrista irlandese, la flessuosa The Hurt Inside dalla solista fluente, anche in modalità wah-wah. L’ultimo ospite in ordine di apparizione è Steven Van Zandt, alle prese con un pezzo nuovo di Mayall, It’s So Tough, un brano a tempo di shuffle, puro Chicago blues, ma non mancano altre due canzoni scritte da Mayall, entrambe con la Wonderland come chitarra solista, la mossa  e brillante Like It Like You Do, e l’unico lento dell’album Nobody Told Me, un intenso slow cantato con gran classe da Mayall, con la Wonderland a centellinare note, per chiudere un album veramente splendido e sorprendente. Non lasciatevelo sfuggire. Esce domani 22 febbraio.

Bruno Conti

Tra Texas E Louisiana, Sempre Con Brio E Classe. Marcia Ball – Shine Bright

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Marcia Ball – Shine Bright – Alligator Records/Ird

Sono circa 50 anni che Marcia Ball fa musica, praticamente da quando era alla Louisiana State University, con quello che si ricorda, più o meno, come il suo primo gruppo,  i Gum. Già nel 1970 era però ad Austin, Texas, dove nascono  Freda And The Firedogs,  un disco nel 1972, tra country e rock, e dal 1974 parte la sua carriera solista,  alla prima prova discografica però solo nel 1978 con Circuit Queen, e poi, più solidamente, con l’ottimo Soulful Dress nel 1984. La nostra amica è sempre stata fedele ai suoi amori, la Louisiana e il Texas, e infatti anche questo Shine Bright è stato inciso tra Maurice, Louisiana e Austin, Texas: un altro connubio che funziona è quello con la Alligator con cui Marcia incide da più di 15 anni e che, disco dopo disco, le fornisce sempre eccellenti produttori, per il precedente The Tattooed Lady & The Alligator Man del 2014 era Tom Hambridge https://discoclub.myblog.it/2014/11/11/la-donna-illustrata-marcia-ball-the-tattoed-lady-and-the-alligator-man/ , questa volta tocca a Steve Berlin, che tutti ricordiamo con i Los Lobos, ma ha suonato e prodotto centinaia di dischi nella sua lunga carriera.

E nel disco si alternano anche moltissimi musicisti di notevole spessore, alcuni noti, altri meno, ma tutti con il giusto “tocco”: ne ricordiamo alcuni, Eric Adcock e Red Young che si avvicendano all’organo (al piano c’è già una piuttosto bravina),  Conrad Choucroun alla batteria, Mike Schermer alla chitarra, ci sono anche cinque suonatori ai fiati, oltre a Berlin, che si succedono nei vari brani, e le “amiche” della Ball, Shelley King e Carolyn Wonderland, che prestano le loro splendide voci  per questo album. Non occorre ribadire che ancora una volta il disco si muove in tutte le mille sfaccettature della musica di Marcia Ball: dall’immancabile boogie-woogie al soul, passando per R&B e gospel, il gumbo di New Orleans, tra swamp e blues, l’arte della ballata, il tutto condito, quasi inutile dirlo, da tanto piano, suonato in modo splendido dalla nostra amica, che nel 2015 ha vinto il  ‘Pinetop Perkins Piano Player’ award, che nel 2013 e 2014 era andato a Victor Wainwright https://discoclub.myblog.it/2018/04/14/un-grosso-artista-in-azione-in-tutti-i-sensi-victor-wainwright-the-train-victor-wainwright-and-the-train/ .

Dodici brani in tutto, otto originali della Ball, uno di Ray Charles, uno di Jesse Winchester, la deliziosa e sfrenata Take A Little Louisiana, che tra cajun e zydeco, e sulle ali della fisarmonica di Roddie Romero, ci porta alla conclusione di questo variegato viaggio. Ma prima troviamo anche il R&B cadenzato e fiatistico di Ernest Kador, che però gli appassionati della buona musica conoscono come Ernie K-Doe, con un vecchio brano del 1962 I Got To Find Somebody, che ancora oggi suona fresco e pimpante.  Il  roadhouse party di R&B, se vogliamo impossessarci di un termine con cui viene definita la musica di Marcia Ball, era partito con il groove contagioso della title track dove la musicista di Vinton, Louisiana (ancora in possesso di una buona voce, nonostante le quasi 70 primavere)  e le sue amiche King e Wonderland si scambiano intrecci vocali di pregio, mentre il piano  e la chitarra di Schermer, oltre all’organo di Young, viaggiano alla grande.

Ci sono altri divertenti esempi di party music, come la mossa e speziata They Don’t Make ‘Em Like That, scritta con Gary Nicholson, e che ricorda certi brani di Fats Domino, altra grande influenza della Ball, o Life Of The Party, un brano di puro Mardi Gras, tra derive caraibiche e New Orleans soul.  Il brano di Ray Charles  What Would I Do Without You  è una sontuosa soul ballad nello stile del “genius”, ma anche il contributo di Shelley King, una robusta e profetica  When The Mardi Gras Is Over, non è da trascurare, con il piano di Marcia e i fiati che impazzano. Ma pure la sequenza di sei canzoni firmate dalla Ball non manca di divertire ed affascinare, da Once In A Lifetime Time, ancora pura Louisiana, alla bluesata Pots And Plans, la incantevole gospel ballad World Full Of Love, la contagiosa perla soul  I’m Glad I Did What I Did , con i suoi florilegi pianistici, il boogie Too Much For Me, testimoniamo di una musicista ancora in piena forma. Se volete gradire.

Bruno Conti

“Con Un Piccolo Aiuto Dai Suoi Amici”, Un Gran Bel Disco! Fabrizio Poggi And The Amazing Texas Blues Voices

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Fabrizio Poggi  And The Amazing Texas Blues Voices – Appaloosa/Ird

Questi sono i dischi che ci piacciono, al di là dei contenuti musicali (che sono ottimi), il titolo rende subito l’idea e ci spiega a cosa ci troviamo di fronte: Fabrizio Poggi,  armonicista di pregio, ha fatto un disco con delle “Stupefacenti” Voci Blues Texane, chiarissimo! Il titolo, ovviamente, è stato registrato in quel di Austin al Wire Recording Studio, con lo stesso Fabrizio alla produzione e l’ottimo ingegnere del suono Stuart Sullivan (vincitore di due Grammy per album di Jimmie Vaughan e Pinetop Perkins), che si occupa della parte tecnica. Il nostro amico questa volta non canta, si “limita” a suonare l’armonica in tutti i brani. Il gruppo che lo accompagna per l’occasione non è quello dei Chicken Mambo, ma ci sono ottimi musicisti locali riuniti per l’occasione, Bobby Mack e Joe Forlini, alle chitarre elettriche e slide, Cole El Saleh, a piano e organo, Donnie Price, basso e Dony Wynn, batteria. Prima di addentrarci nei contenuti e negli ospiti che celebrano insieme a Fabrizio il Blues Texano contemporaneo (ma anche quello classico) vi ricordo che questo è il 20° album di Poggi, dopo Il Soffio Della Libertà dello scorso anno incentrato sul blues e sui diritti civili http://discoclub.myblog.it/2015/07/27/ne-pensa-cento-ne-fa-fabrizio-poggi-il-soffio-della-liberta/  e l’eccellente Spaghetti Juke Joint che ipotizzava uno zampino italiano nella nascita delle 12 battute classiche http://discoclub.myblog.it/2014/11/03/quindi-abbiamo-inventato-anche-il-blues-fabrizio-poggi-chicken-mambo-spaghetti-juke-joint/ .

Entrambi erano contraddistinti dalla presenza di vari ospiti di pregio, caratteristica da sempre presente nei dischi del musicista lombardo, e il nuovo segue questa tradizione. I nove ospiti che si alternano sono tutti, più o meno, texani Doc (o “naturalizzati”), come Mike Zito, che viene da St. Louis, Missouri, e Guy Forsyth, da Denver, ma vive a Austin da 25 anni. Anche le età sono molto diverse: si va dagli 87 anni di Lavelle White ai 77 di W.C Clark, con gli altri che hanno una età media tra i 40 e i 60 anni. A parte Zito e Ruthie Foster, non sono forse molto famosi, tutti accomunati però da una gran voce. Ma andiamo con ordine: ad aprire le danze è Carolyn Wonderland, voce solista e chitarra in Nobody’s Fault But Mine, il brano “originale” di Blind Willie Johnson,  gran versione, tra blues e gospel, con classico call and response tra la voce strepitosa della Wonderland e quelle di Shelley King e Mike Cross, con brevi soli della stessa Carolyn e dell’armonica di Fabrizio. Ruthie Foster alle prese con Walk On, vecchio brano di Ruth & Brownie McGhee, tramutato in un aggressivo e tirato blues con uso di doppia slide. Sempre mantenendo lo spirito gospel grazie alle voci di King, Cross e Wonderland, con il buon Poggi che aggiunge il suo peso specifico all’armonica. Poteva mancare un omaggio a Muddy Waters? Certo che no! E quindi vai con Forty Days And Forty Nights, grande prestazione vocale e chitarristica (anche lui alla slide) per Mike Zito, che conferma una volta di più di essere un grande talento, con l’armonica di Poggi che risponde colpo su colpo  Dopo una tripletta così tocca a W.C. Clark, ancora in grande spolvero vocale, che ci regala un suo pezzo Rough Edges (nel vecchio 45 giri originale suonava anche Stevie Ray Vaughan), che ha tutti i crismi del grande blues texano, tra chitarre ed armoniche ruspanti.

Poi è la volta della super veterana Miss Lavelle White, 87 anni suonati, anche lei non autoctona, viene dalla Louisiana, ma vive in Texas da 70 anni e ci racconta che Mississippi, My Home, uno slow blues lungo e sontuoso con la solista della Wonderland in evidenza, ma anche gli altri strumentisti, in particolare piano e armonica in overdrive, e la voce vissuta ma ancora ricca di pathos della Lavelle. Bobby Mack aveva già scaldato la sua chitarra negli altri brani, ma ora è protagonista assoluto in Neighbor, Neighbor, un pezzo dove sembra quasi di sentire i vecchi Bluesbreakers di John Mayall. Mike Cross, con Lorkovic al piano, propone un proprio pezzo Many In Body, un altro gospel corale con uso di soul. Poi tocca ad un’altra signora che forse molti non conoscono, Shelley King, che ha fatto un paio di album accompagnata dai Subdudes e ha collaborato in passato con Levon Helm, molto bella la sua Welcome Home, con voce roca e felpata sostenuta dagli altri colleghi, mentre armonica e chitarra si scatenano. Di nuovo Mike Cross con la propria Wishin’ Well, ancora classico blues elettrico. Manca all’appello Guy Forsyth, ultimo ospite in ordine di apparizione ma non per l’impegno profuso, ottimo il traditional Run On, solo la voce poderosa di Forsyth, la sua National resophonic guitar e footstomp, a duettare con l’armonica Fabrizio Poggi nell’unico brano acustico di questa raccolta.

Che dire? Ottimo e abbondante. Esce in questi giorni.

Bruno Conti