Preziose Missive Dal Passato. The Animals – The Complete Live Broadcasts 1 1964-1966

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The Animals – The Complete Live Broadcasts 1 1964-1966 – 2 CD Rhythm & Blues Records

Ammetto che quando ho letto le prime notizie di questo doppio CD dedicato agli Animals temevo il peggio: da dove è sbucata questa Rhythm And Blues Records, etichetta inglese specializzata in ristampe e compilations di materiale “antico”, diciamo dell’era pre-copyright, quindi con almeno 50 anni sul groppone, canzoni e album sui quali le case discografiche originali non sono più proprietarie esclusive dei diritti? Quindi spesso CD con un suono scadente, poche informazioni sulla provenienza dei brani,  libretti assenti o con note approssimative: niente di tutto ciò, siamo di fronte ad un lavoro fatto con i fiocchi, libretto di 16 pagine ricchissimo di notizie, lista dei brani estremamente dettagliata con indicazioni precise sulle trasmissioni radiofoniche da cui proviene ciascuno dei brani contenuti in questa antologia, e soprattutto un suono perlopiù sorprendentemente brillante e dettagliato (non in tutti i brani, forse sarebbe stato troppo pretenderlo), mono come è ovvio, visto che si tratta di registrazioni relative al periodo 1964-1966, al solito il problema probabile è la scarsa reperibilità.

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Già la discografia degli Animals è piuttosto complicata, con le versioni inglesi degli album dell’epoca (come succedeva per le discografie dei “rivali” Beatles e Stones, ma anche per tutti gli altri) senza i singoli di successo, poi inseriti in raccolte successive oppure nelle versioni americane degli LP, titoli ingannevoli, Animalism e Animalisms e via così. Se non siete dei partiti della band di Eric Burdon e quindi avete già tutti i loro album, l’ideale per conoscere il gruppo di Newcastle sarebbe recuperare il doppio antologico della Parlophone The Complete Animals, che attraverso 41 brani in ordine cronologico copre splendidamente il periodo dal 1964 al 1965, evitando doppioni e ripetizioni (è ancora disponibile a prezzo speciale,lo vedete qui sopra). Tornando a Broadcasts 1964-1966, qui il periodo seguito è più ampio e segue le esibizioni radiofoniche di quel quintetto, oltre al grandissimo Burdon alla voce, Alan Price all’organo, Hilton Valentine alla chitarra, il futuro manager di Jimi Hendrix Chas Chandler al basso e John Steel alla batteria (che guida ancora l’attuale incarnazione del gruppo). Detto che House Of The Rising Sun non c’è, il resto del materiale BBC, e di altre emittenti dell’epoca, riporta i grandi successi  ed una serie notevole di chicche che vanno a scavare in profondità nel repertorio tra R&B, Blues, R&R s e proto-rock che era nelle corde della band, una miscela esplosiva che aveva pochi rivali in Inghilterra, a parte gli Stones, i Them di Van Morrison, i primi Yardbirds e forse anche le band pre British Blues come quelle di Alexis Korner e Cyril Davies.

Il primo CD riporta cinque sessions per la trasmissione della BBC Saturday Club Session dal febbraio ’65 a marzo ’66, 27 brani + una intervista, inframmezzati ogni tanto dalle leggendarie ed affascinanti presentazioni vintage degli speaker dell’emittente britannica: qualche leggero e contenuto calo nella qualità sonora , ma anche versioni da sballo di Don’t Let Me Be Misunderstood, Dimples, Mess Around, Bring It On Home To Me, We’ve Gotta Get Out Of This Place, spesso più belle degli originali, con la chitarra di Valentine e l’organo e il piano di di Price a pennellare il sound, il basso pulsante di Chandler e la batteria di Steel a sostenere la voce potente, ispiratissima e negroide di Eric Burdon, una delle più grandi voci di sempre. Per non dire di versioni fantastiche di una jazzata In The Wee Wee Hours di Chuck Berry, Heartbreak Hotel di Elvis, rallentata ad arte, l’iniziale furiosa Gonna Send You Back To Walker con Eric che canta con un impeto formidabile, Drown In My Own Tears di Ray Charles, una splendida Work Song di Cannonball Adderley, tra le grandi hits dimenticavo una spumeggiante It’s My Life con il suo celebre riff e il ritornello incalzante, inside Looking Out del 1966, uno dei rari brani firmati dalla band, una scattante Sweet Little Sixteen e tantissime altre.

Il secondo CD è forse più dispersivo, ancora un brano dalle Saturday Club Sessions del 1966, poi si salta agli unici tre brani del marzo 1964, tratti dalla trasmissione A Whole Lotta Shakin’, una tripletta scoppiettante con Talkin’ Bout You, una rauca e selvaggia Shout e Around And Around: Bruce Springsteen  sintonizzato alla radio, probabilmente ascoltava e prendeva nota, poi brani dal vivo dallo spettacolo dei NME Poll Winners, con pubblico urlante, prevedono una primeva Boom Boom, una delle altre varie versioni di Don’t Let Me Misunderstood, mentre da  una trasmissione del 1965 una vibrante We’ve Gotta Get Out Of This Place, entrambi i brani poi ripetuti  in altri concerti come Gadzooks dell’aprile ’65 e dalla esibizione all’Olympia di Parigi per la RTL nel marzo del ’66, tantissima energia sempre, ma la qualità sonora è meno brillante, se no parleremmo di un album da 4 stellette. Ma tra le chicche finali, gli ultimi due brani registrati a Ready Steady Go del 16 settembre 1966 vedono Eric Burdon raggiungere sul palco la band di Otis Redding per una pimpante Hold On I’m Coming, e poi insieme al King Of Soul e a Chris Farlowe dare vita a una colossale versione di Shake. Le sei interviste conclusive, interessanti, sono probabilmente superflue, ma il resto, per dirla in due parole, forse tre, s’ha da avere.

Bruno Conti

Un’Abbondante Ed Ottima Colazione A Base Di Uova E Musica! Eggs Over Easy – Good’n’Cheap: The Eggs Over Easy Story

Eggs Over Easy Good 'N' Cheap The Story

Eggs Over Easy – Good’n’Cheap: The Eggs Over Easy Story – Yep Rock 2CD

Il mondo della musica rock è pieno di solisti o gruppi sconosciuti al grande pubblico o che non hanno mai neppure minimamente assaporato il successo, i classici artisti di culto, ma tra questi credo che un posto molto in alto in un’ideale classifica spetti senz’altro agli Eggs Over Easy, combo americano attivo perlopiù in Inghilterra all’inizio degli anni settanta, che, pur avendo di fatto inventato un genere e quindi influenzato una lunga serie di musicisti in gran parte britannici, ha inciso molto poco e venduto ancora meno, sebbene il loro album di debutto sia ancora oggi considerato un disco di riferimento. Ma andiamo con ordine: gli Eggs Over Easy (termine che sta a significare l’uovo fritto in padella da entrambi i lati, in contrapposizione con il sunny side up che è fritto da un lato solo, e quindi con i tuorli in bella vista) si formarono nel 1969 a New York per iniziativa del chitarrista Jack O’Hara e del pianista Austin De Lone (che si erano conosciuti a Berkeley), ai quali si unì presto il polistrumentista Brien Hopkins; il trio cominciò a farsi le ossa nei bar e club di New York e dintorni, fino a quando non furono notati da tale Peter Kauff che li spedì a Londra a registrare sotto la supervisione nientemeno che di Chas Chandler, ex bassista degli Animals e produttore/manager di Jimi Hendrix, con alla batteria prima Les Sampson e poi John Steel (un altro ex Animals), che divenne membro aggiunto del gruppo. Qualcosa però andò storto, più che altro per problemi legati alla casa di produzione cinematografica Cannon Films che patrocinava le sessions (dato che voleva entrare anche nel mondo della musica), ed il disco non vide mai la luce.

Nonostante la delusione, gli EOE restarono un altro po’ a Londra, esibendosi con regolarità nei pub della città e suonando il loro repertorio fatto di cover ma anche di un gran numero di brani originali, in uno stile molto diretto che mischiava rock, pop, country e soul, attirando le attenzioni di giovani che poi sarebbero diventati musicisti famosi come Nick Lowe, Brinsley Schwarz, Elvis Costello e Graham Parker, ed inventando di fatto il “pub rock”. Tornati a New York, i tre (questa volta con Bill Franz alla batteria) ci ritentarono, incidendo un intero LP con canzoni diverse da quelle di Londra, sotto la produzione di un’altra leggenda, Link Wray, ed il disco che ne uscì, Good’n’Cheap, venne finalmente pubblicato dalla A&M nel 1972, purtroppo di nuovo nell’indifferenza generale. Ma chi doveva notarlo lo fece, e Good’n’Cheap diventò presto un disco di culto e considerato una pietra miliare del pub rock, influenzando non solo i quattro musicisti che ho citato prima, ma anche Dave Edmunds, i Dr. Feelgood di Wilko Johnson ed anche l’americano Huey Lewis (* NDB. Tramite i Clover di Alex Call, altra band da riscoprire, all’opera anche nel primo disco di Costello, My Aim Is True). Ma si sa, l’insuccesso è una brutta bestia, e dopo aver passato il 1973 a supportare in tour gruppi come Eagles e Yes (un po’ distanti dalla loro filosofia, specie i secondi), gli EOE di fatto restarono inattivi per il resto della decade, pubblicando solo un singolo nel 1976 per un’etichetta, la Buffalo Records, che fallì nello stesso momento in cui il 45 giri venne immesso sul mercato.

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Poi, dal nulla, nel 1981 (stavolta alla batteria c’era Greg Dewey) i tre fecero uscire il loro secondo album, Fear Of Frying, prodotto stavolta dal noto tastierista e cantante Lee Michaels, un buon disco anche se inferiore al predecessore, e che ebbe ancor minore impatto, convincendoli definitivamente che forse non era il caso di proseguire (e anche qui la casa discografica, la Squish Records, fallì poco dopo, pure sfigati i ragazzi). In seguito, De Lone rimase quello più attivo musicalmente (si fa per dire), con un solo album da solista nel 1991, De Lone At Last, peraltro bellissimo e con una strepitosa cover di Visions Of Johanna di Bob Dylan  , ed un altro disco in coppia con Bill Kirchen, ex chitarrista dei Commander Cody (oltre a fare il sessionman per Bonnie Raitt, Elvis Costello ed altri), mentre sia O’Hara che Hopkins (il quale passò a miglior vita nel 2007) rimasero piuttosto ai margini dell’industria musicale. Industria che oggi (nello specifico la Yep Roc, con distribuzione Universal negli USA), e direi finalmente, paga il proprio debito verso una delle band più sottovalutate della storia, pubblicando questo Good’Cheap: The Eggs Over Easy Story (per il titolo non si sono spremuti molto), un doppio CD che ha il solo difetto di costare parecchio, ma che ci presenta in un colpo solo tutto ciò che il gruppo ha inciso nella sua breve carriera, comprese le mitiche sessions londinesi. Chiaramente la parte del leone la fa Good’n’Cheap (rimasterizzato benissimo), un disco che ancora oggi suona fresco ed attuale, una miscela davvero superlativa di rock, country, blues, soul e pop, suonato con la tecnica e la raffinatezza di un gruppo di veterani ma con l’energia di una garage band. Undici canzoni che spaziano a largo raggio nei meandri della musica americana, un album che da solo, per chi ancora non ce l’ha, vale l’acquisto di questa antologia (ed era bella pure la copertina, un adattamento del capolavoro di Edward Hopper Nighthawks, quadro che ha ispirato anche Tom Waits per il suo Nighthawks At The Diner), a cominciare dalla splendida Party Party, una canzone pianistica dalla melodia anni sessanta, ritmo acceso ed ottime armonie vocali, subito seguita da Arkansas, una country song un po’ sbilenca ma di grande fascino, e dalla bellissima Henry Morgan, che in tutto e per tutto sembra un brano di The Band, ancora con il magnifico pianoforte di De Lone a condurre le danze.

The Factory è un soul urbano diretto e roccato, suonato davvero da Dio, la liquida Face Down In The Meadow presenta echi di errebi bianco tipico di gruppi come Animals e Box Tops, la squisita Home To You è un pop-rock di gran classe, mentre la limpida Song Is Born Of Riff And Tongue è una toccante ballata country con una bella chitarra messicaneggiante. Per finire addirittura in crescendo con la scintillante Don’t Let Nobody, un rock tinto di errebi molto trascinante, lo stupendo country-rock Runnin’ Down To Memphis, ancora guidato da un piano fantastico, la nitida Pistol On A Shelf, uno slow coi controfiocchi (ancora con The Band in mente) ed il rock’n’roll Night Flight, con echi quasi bowiani. Poi abbiamo il rarissimo singolo del ’76, che comprende il rockabilly I’m Gonna Put A Bar In The Back Of My Car (And Drive Myself To Drink), bel titolo non c’è che dire, e ancora con un pianoforte da urlo, e la divertita Horny Old Lady, un honky-tonk d’altri tempi ma dal tasso alcolico elevato.

Chiudono il primo CD le undici canzoni di Fear Of Frying, un lavoro più che dignitoso, con alcune zampate ed altre canzoni più normali, e che comunque ci regala un’altra mezz’ora abbondante di piacevole ascolto. Tra gli highlights abbiamo la tesa Scene Of The Crime, l’orecchiabile folk-rock Forget About It, la bellissima e corale Louise, che non avrebbe sfigurato su Good’n’Cheap, l’ottimo soul annerito You Lied, la solare, alla Jimmy Buffett, Driftin’ e la ruspante Mover’s Lament, con Hopkins che sia vocalmente che come stile ricorda non poco Levon Helm. Il secondo CD dura molto meno, ha solo dodici canzoni, ma sono quelle del famoso disco prodotto da Chandler nel 1971 e mai pubblicato, un album fatto e finito che già faceva intravedere il talento dei ragazzi (ed i brani sono tutti inediti, nessuno di questi è mai stato ripreso in seguito), anche se, col senno di poi, forse questo LP non avrebbe avuto lo stesso impatto di Godd’n’Cheap, che era obiettivamente superiore. Comunque la buona musica non manca di certo, a partire dalla bellissima Goin’ To Canada, un country-rock dalla melodia corale strepitosa ed accompagnamento di prima qualità, seguita a ruota da I Can Call You, molto diversa, quasi interiore ma comunque degna di nota, e dalle vivaci Right On Roger e Country Waltz, entrambe quasi beatlesiane (la seconda molto di più). Give Me What’s Mine e Waiting For My Ship sono entrambe gradevoli ma un gradino sotto, mentre Across From Me ha ancora elementi del gruppo di Robbie Robertson, ed è valida; January è un po’ irrisolta, ma non disprezzabile, mentre la countreggiante e pianistica Give And Take è semplicemente deliziosa. Il CD termina con la robusta Funky But Clean, la tenue I’m Still The Same (che però ha più l’aspetto di un demo) e la jazzata e raffinata 111 Avenue C, tra le più interessanti.

Nonostante il costo non proprio basso, una ristampa che non dovrebbe mancare nella collezione di chiunque legga questo blog abitualmente (ma neanche in quella degli occasionali!), in quanto ha il merito di mettere finalmente sotto i riflettori un gruppo troppo a lungo ignorato.

Voi pensate al pane ed al succo d’arancia: le uova le portano loro!

Marco Verdi