La Punta Di “Diamantini” Del Rock Italiano! Cheap Wine – Faces

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Cheap Wine – Faces – Cheap Wine Records/IRD CD

A due anni di distanza da Dreams https://discoclub.myblog.it/2017/09/26/anteprima-nuovo-album-grande-rock-made-in-italy-si-puo-fare-cheap-wine-dreams/ , che concludeva una ideale trilogia iniziata con Based On Lies e proseguita con Beggar Town, tornano i Cheap Wine, rock band pesarese guidata dai fratelli Diamantini (Marco alla voce e Michele alle chitarre, come sempre con la sezione ritmica di Andrea Giaro, basso, e Alan Giannini, batteria, e con le tastiere di Alessio Raffaelli) con Faces, decimo full-length di studio del quintetto e realizzato ancora grazie al crowdfunding. Faces è un album che, seppur “sganciato” dai tre precedenti, in un certo senso ne porta avanti le tematiche: i personaggi del disco sono infatti persone comuni, gente spaesata che mal si adatta alla realtà odierna, fatta di relazioni finte, di rapporti fittizi. Un mondo in cui tutti in un certo senso indossano una maschera e fanno finta di essere ciò che non sono, e coloro che cercano di distinguersi dalla massa vengono guardati come dei reietti, anche se ogni tanto qualcuno rischia la fuga da questa situazione opprimente.

*NDB Non essendoci ancora video pronti del nuovo album vi segnalo le date del tour di presentazione di Faces, a ritroso quelle ancora da effettuare.

23 novembre 2019
CANTU’ (CO) – All’1,35 Circa
22 novembre 2019
GATTORNA (GE) – Alzati Lazzaro
9 novembre 2019
LUGAGNANO DI SONA (VR) – Club Il Giardino
8 novembre 2019
CONCORDIA SAGITTARIA (VE) – Sacco & Vanzetti
2 novembre 2019
CHIARI (BS) – Salone Marchetti
1 novembre 2019
GENOVA – Ostaia Da-U Neo
31 ottobre 2019
FIRENZE – Teatro del Sale
4 settembre 2019
PESARO – Dalla Cira
16 marzo 2019
CANTU’ (CO) – All’1,35 Circa
15 marzo 2019
VIGNOLA (MO) – Stones Cafè
14 marzo 2019
FIRENZE – Teatro del Sale
7 febbraio 2019
PESARO – Prima Hangar
16 gennaio 2019
MILANO – Nidaba Theatre
15 gennaio 2019
MILANO – GhePensi M.I.
10 novembre 2018
LUGAGNANO DI SONA (VR) – Club Il Giardino
9 novembre 2018

L’unico modo di capire lo stato d’animo di queste persone è guardandole in faccia, perché le facce (da qui il titolo del CD) non tradiscono mai e raccontano anche senza parlare, basta saper leggere negli occhi altrui. I testi sono di conseguenza cupi, pessimistici, è difficile che filtri anche un piccolo raggio di sole, ed anche le musiche sono tese, dure, nonostante i nostri non tradiscano lo spirito rock’n’roll che li ha accompagnati durante tutta la carriera: Faces è quindi l’ennesimo album di puro rock da parte del quintetto, che canta in inglese non per snobismo ma perché l’inglese è appunto la lingua del rock. Le nove canzoni presenti in questo CD sono come sempre basate sul suono ruspante della chitarra di Michele, anche se ho l’impressione che stavolta le tastiere abbiano uno spazio maggiore rispetto a prima, pur non risultando affatto invadenti: un suono rock moderno, figlio dei nostri giorni, che in alcuni momenti mi ricorda non poco quello dell’ultimo album dei Dream Syndicate. Il CD si apre in maniera decisamente vigorosa con Made To Fly, una rock song affilata come una lama, che inizia con la chitarra elettrica a macinare riff, poi entra forte e chiara la voce di Marco e la sezione ritmica fa il suo dovere: un avvio potente, con Michele che chiude il brano con un lungo assolo purtroppo sfumato.

cheap wine foto

Head In The Clouds inizia con effetti sonori un po’ stranianti, poi entra la chitarra acustica ed il brano si apre a poco a poco fino all’ingresso dell’elettrica dopo la prima strofa, con la canzone che si trasforma in una rock ballad ancora molto tirata, con solito assolo torcibudella: dal vivo prevedo che farà faville. The Swan And The Crow è più distesa ma si avverte lo stesso una certa tensione, sembra quasi una ballatona urbana alla Iggy Pop; The Great Puppet Show è ancora rock’n’roll, caratterizzato dal suono potente della chitarra, ritmo sostenuto e feeling a mille: nessuno in Italia fa musica rock a questo livello, elettrica e coinvolgente. La title track, cupa, nervosa e dal suono moderno, fa veramente venire in mente il Sindacato del Sogno (e la voce non è distante da quella di Steve Wynn), mentre Misfit è una splendida rock ballad, tosta, diretta e dotata di un motivo di sicura presa: tra le più riuscite dell’intero lavoro. Molto bella anche Princess, uno slow d’atmosfera guidato dalla slide, un pezzo che non rinuncia comunque agli elementi rock e ricorda certe cose di Tom Petty. Finale con la trascinante Disguise, puro rock’n’roll dal ritornello vincente (altro pezzo che vorrei sentire live), e con New Ground, che nonostante mantenga un suono decisamente elettrico è più distesa e fluida.

Altro ottimo disco quindi per i Diamantini Brothers: i Cheap Wine sono da tempo una delle più belle realtà musicali del nostro paese, ed è una vergogna che dopo oltre vent’anni siano ancora “solo” una band di culto.

Marco Verdi

Anteprima Nuovo Album: Grande Rock Made In Italy? Si Può Fare! Cheap Wine – Dreams

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Cheap Wine – Dreams – Cheap Wine CD

Quest’anno i Cheap Wine, rock band italianissima originaria di Pesaro, festeggiano i vent’anni dal loro esordio discografico (il mini album Pictures), vent’anni di musica orgogliosamente indipendente e priva di compromessi. Personalmente non ho iniziato a seguirli da subito, avevo ascoltato un paio dei loro primi album e mi erano piaciuti, ma ritengo che la svolta artistica della loro carriera sia avvenuta prima con Freak Show (2007), ma più ancora con il bellissimo Spirits (2009), un lavoro maturo, profondo, decisamente “americano” e di un livello professionale davvero alto. Il live doppio dell’anno seguente, Stay Alive!, mi aveva poi letteralmente steso, un disco di una potenza e di un’intensità quasi impossibili da trovare in una band italica: mi aveva colpito a tal punto che lo avevo inserito tra i dieci dischi più belli di quell’anno, ed io non sono uno che guarda tanto all’interno dei propri confini quando si tratta di fare delle liste. Nel 2012 un altro disco bellissimo, Based On Lies, un album dai testi pessimistici e cupi, che narrava di una società allo sbando nella quale nessuno diceva la verità, una situazione ancor di più aggravata dalla crisi economica. Testi amari, ma grande musica, con alcune delle canzoni più belle del gruppo (Waiting On The Door, Give Me Tom Waits, la title track e la magnifica The Vampire), che rivelavano le nobili influenze della band guidata dai fratelli Marco e Michele Diamantini, da Bruce Springsteen a Neil Young, passando per Tom Petty ed anche gruppi “minori” (il virgolettato è ironico) come Dream Synidicate e Green On Red (ed il loro nome deriva proprio da un brano del primo disco della band di Dan Stuart, Gravity Talks…e meno male che non hanno scelto di chiamarsi Narcolepsy, che è il titolo della canzone che veniva dopo). Due anni dopo ecco Beggar Town, un disco ancora più cupo del suo predecessore, stavolta anche nelle musiche, con tracce anche di Leonard Cohen e Lou Reed, un vero e proprio seguito di Based On Lies, con i protagonisti delle canzoni che dovevano far fronte ai disastri causati dai problemi emersi sul primo disco, e trovare la forza di risollevarsi http://discoclub.myblog.it/2014/10/06/il-grande-rock-abita-anche-italia-molto-tempo-cheap-wine-beggar-town-album-concerto/ . Dopo un altro eccellente live, Mary And The Fairy (2015), i Cheap Wine hanno ora completato la trilogia con Dreams, un album di dieci canzoni selezionate accuratamente su una quantità decisamente superiore, e pubblicato tramite un crowdfunding iniziato i primi mesi di quest’anno (ne parlo in anteprima in quanto ho partecipato alla sottoscrizione e ne ho ricevuta una copia, il disco sarà in commercio in questi giorni, ufficialmente esce il prossimo 3 ottobre 2017 con distribuzione Ird).

cheapwine2017web

Dreams è un lavoro più ottimistico dal punto di vista dei testi, e descrive il bisogno di amore e di sogni che hanno le persone per affrontare i problemi, e per sogni si intendono quelli che si fanno per il futuro ma anche quelli notturni, magari strani e particolari ma che possono anche lasciare sensazioni bellissime. Per quanto riguarda le musiche invece Dreams è a mio parere superiore a Beggar Town, e si mette sullo stesso piano di Based On Lies, diventando uno dei più belli del gruppo pesarese, almeno a mio giudizio: Marco Diamantini è un cantante dalla voce calda e con sfumature che gli permettono di passare con disinvoltura da un genere all’altro, il fratello Michele un chitarrista formidabile, potente e vigoroso ma quando serve anche raffinato, tecnica e feeling allo stato puro, Alessio Raffaelli un tastierista ormai indispensabile al suono della band, e la sezione ritmica formata da Andrea Giaro (basso) ed Alan Giannini (batteria, un macigno, il Kenny Aronoff, o Max Weinberg, italiano) è tra le migliori al momento nella nostra penisola. Il CD, in digipak e con i testi scritti sia in inglese che in italiano, inizia con la tonante Full Of Glow, una rock’n’roll song chitarristica dal ritmo trascinante e basso e batteria che picchiano come fabbri, come se Steve Wynn fosse per un giorno il cantante dei Rolling Stones. Una parola per la pulizia e la qualità del suono, davvero spettacolare. Naked ha un intro di chitarra younghiano, ma subito entra un organo insinuante ed il brano si sviluppa sinuoso e diretto nello stesso tempo, con Michele che inizia ad arrotare alla grande, peccato soltanto che l’assolo sia sfumato nel finale. La cadenzata The Wise Man’s Finger, con un ottimo lavoro di piano elettrico, è suadente e con un mood notturno, una melodia fluida che Marco porge nel modo migliore, con una punta di “viziosità” che non guasta, mentre Pieces Of Disquiet è scura, cupa e drammatica, cantata con un tono di voce basso e ricco di fascino, ed uno uso intrigante del piano, un pezzo che rimanda quasi alle cose migliori di Nick Cave: il brano ha uno sviluppo ricco di pathos e dimostra che i ragazzi sono ormai una realtà di livello internazionale, grande canzone.

Bellissima anche Bad Crumbs And Pats On The Back, una rock song dura e diretta come un pugno, con la chitarra che fende l’aria da par suo, ed il motivo è decisamente immediato; Cradling My Mind è una ballata sempre elettrica ma con un mood più rilassato, e Marco dimostra di avere una buona duttilità vocale: una boccata d’aria fresca prima di tornare in ambito rock’n’roll con l’irresistibile For The Brave, gran ritmo, chitarre a palla ed organo dal suono vintage, impossibile tenere fermo il piede (dal vivo farà certamente faville). I Wish I Were The Rainbow è splendida, una rock ballad dal suono classico, un organo caldo ed una melodia distesa e fluida, per uno dei testi più ottimisti del disco, una sorta di ringraziamento verso una persona cara per l’aiuto che fornisce nell’affrontare le difficoltà quotidiane. Il CD, 44 minuti spesi benissimo, termina con la dolce Reflection, un raro episodio acustico con tanto di violoncello e tastiere anni sessanta, quasi pop ma di gran classe, e con la title track, un pezzo che nel testo riassume tutto il senso del disco (citando anche il titolo del primo album della trilogia, Based On Lies), mentre musicalmente è un altro slow intenso ed emozionante, con Marco che lo interpreta in maniera decisamente toccante, un misto di cantato e talkin’, quasi alla Roger Waters, ed un crescendo strumentale notevole, un finale perfetto per un altro splendido lavoro.

Ho pochi dubbi: in questo momento i Cheap Wine sono la migliore rock band italiana. E se dovessero passare dalle vostre parti, non fateveli sfuggire. (*NDB. Saranno a Milano allo Spazio Teatro 89 sabato 14 ottobre, proprio a presentare il nuovo album).

Marco Verdi

Un Altro “Piccolo” Grande Tributo, Made In Italy! Lowlands And Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set

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Lowlands And Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set – Route 61 Music

L’arte della cover (praticata soprattutto in alcuni EP) e quella del “tributo” non sono sicuramente sconosciute a Edward Abbiati, il leader dei Lowlands, che già nel 2012, in occasione del Record Store Day di quell’anno, aveva realizzato un album Better World Coming che voleva commemorare il 100° Anniversario della nascita di Woody Guthrie, pubblicato come “Lowlands and Friends” e che riuniva appunto molti amici dell’area di Pavia e dintorni http://discoclub.myblog.it/2012/06/24/proseguono-i-festeggiamenti-better-world-coming-lowlands-fri/ . Questa volta, dopo l’album solista pubblicato da Ed con Chris Cacavas, un paio di collaborazioni con Lucky Strikes e Plastic Pals, la lista dei musicisti impegnati nel nuovo album si è ampliata a raccogliere amici da tutto il mondo: alcuni dall’Italia, ma anche dall’Inghilterra, dalla Svezia, dagli Stati Uniti e dall’Australia. Il disco è stato registrato, con zero budget (come ricorda lo stesso Ed nelle note esaustive del libretto), in salotti, cucine, studi di registrazione e sale prova, con l’apporto gratuito degli “amici” impiegati nell’anno circa che ci è voluto per completare questo progetto.

E il risultato è veramente eccellente: l’idea di base del disco in questo caso non era quello di scegliere le migliori o le più belle canzoni di Townes Van Zandt, ma riproporre la scaletta completa dell’ultimo concerto dell’artista texano, tenuto al Borderline di Londra il 3 dicembre del 1996, poco più di un mese prima della sua morte, avvenuta il 1° gennaio del 1997, lo stesso giorno in cui scompariva, tanti anni prima, anche Hank Williams. A fare da trait d’union e “presentatore” delle singole canzoni la voce narrante di Barry Marshall-Everitt, il tour manager di Van Zandt, nonché all’epoca anche del locale, DJ radiofonico veterano a The House Of Mercy Radio e tra i primi supporters dei Lowlands in terra d’Albione. Detto per inciso, nella stessa data, venti anni dopo, una pattuglia più ristretta, ma agguerrita, di Lowlands & Friends, ha portato anche il progetto sul palco dello Spazio Teatro 89 di Milano (un bellissimo posto per sentire concerti, un po’ di pubblicità gratuita). Ma torniamo all’album e vediamo i vari brani e gli ospiti che si susseguono; trattandosi della riproposizione di un concerto ci sono anche alcuni brani che non portano la firma di Van Zandt: e l’apertura è proprio affidata a una cover di una canzone di Lightning Hopkins, un blues, e considerando che Edward non si ritiene un esperto in materia, ha chiamato per eseguire My Starter Won’t Start Maurizio “Gnola” Glielmo e la sua band, in più anche Kevin Russell dei Gourds (la band da un cui brano prende il nome la band i Pavia).

L’esecuzione è tosta e tirata, Russell canta la sua parte con una voce alla Muddy Waters, lo Gnola lavora con la chitarra di fino e il risultato finale è un solido blues elettrico, dove si apprezza anche l’armonica di Richard Hunter. Che rimane, insieme a Gnola, anche per la successiva Loretta, apparsa in origine pure nel mitico Live At The Old Quarter, e che grazie alla presenza di Stiv Cantarelli e della sua slide, si trasforma in un febbrile country-blues, tra battiti di mani e piedi e tanta energia profusa dai musicisti. Pancho And Lefty è il brano più noto di Townes (Emmylou Harris e Willie Nelson tra i tanti che l’hanno cantata) e forse anche il più bello, qui in una versione solare e corale, con Ed, Matthew Boulter dei Lucky Strikes e Sid Griffin dei Coal Porters (ma un tempo anche dei Long Riders) che si dividono le parti vocali e Michele Gazich che aggiunge il suo magico violino alle operazioni, versione splendida. A conferma che nel disco, ove possibile, si è privilegiato un approccio energico nella interpretazione delle canzoni, chi meglio degli italiani Cheap Wine poteva donare una patina rock alla versione di Dollar Bill Blues, dove le chitarre di Michele Diamantini e Roberto Diana sono veramente sferraglianti, e Ed Abbiati e Marco Diamantini si dividono la linea vocale. Anche Buckskin Stallion mantiene questa verve elettrica, con Antonio Gramentieri dei Sacri Cuori alla solista e Winston Watson e Joe Barreca, la sezione ritmica. Katie Bell Blues è più intima e raccolta, Richard Lindgren alla voce e upright piano e Francesco Bonfiglio alla fisarmonica.

Un gradito ritorno è quello di Will T Massey che duetta con Ed in una raccolta versione di Marie. E ottimo anche l’approccio full band per la splendida Waiting Around To Die (la preferita di Abbiati), con Chris Cacavas, seconda voce, piano e chitarra, di nuovo Gazich, anche i fiati, Villani e Paganin, ancora Gnola, Watson e Lowlands assortiti, compreso “Rigo” Righetti; A Song For con l’australiano Tim Rogers degli YOU AM I, privilegia un approccio più acustico, come pure la successiva Short Haired Woman Blues, l’altro blues di Lightning Hopkins, cantata in duetto con il gallese Ragsy, mentre la cover di Presley (?!) di Ballad Of The Three Shrimps, vede di nuovo lo Gnola, Mike “Slo Mo” Brenner alla lap steel e le voci femminili delle No Good Sisters. Brenner passa allo slide bass per una rauca versione di Sanitarium Blues “recitata” da Ed, Will T Massey, Tim Rogers e Rod Picott, che rimane poi per una eccellente versione di Tecumseh Valley (un altro dei tanti capolavori di Van Zandt), registrata in cucina e che si trasforma lentamente in una dolente Dead Flowers degli Stones, con lap steel e fisarmonica. La chiusura del disco è affidata a Colorado Girl, un altro dei pezzi country di Townes, che qui, grazie all’apporto degli svedesi Plastic Pals, diventa una gioiosa rock song chitarristica con Chris Cacavas all’organo e Jonathan Segel dei Camper Van Beethoven al violino, di nuovo una bellissima versione, come quelle presenti in tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=iWG-hXvgmso . Veramente un tributo con i fiocchi.

Bruno Conti