Né Disco Nuovo Né Ristampa: Solo Grandissima Musica! Dave Alvin – From An Old Guitar

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Dave Alvin – From An Old Guitar: Rare And Unreleased Recordings – Yep Roc CD

Sono ormai diversi anni che Dave Alvin non ci regala un nuovo album di inediti, e per l’esattezza da Eleven Eleven del 2011, peraltro uno dei suoi lavori migliori https://discoclub.myblog.it/2011/07/04/elementare-watson-undici-album-undici-canzoni-dave-alvin-ele/ . Non è però che in questi nove anni l’ex chitarrista e principale compositore dei Blasters se ne sia stato con le mani in mano, dal momento che ha pubblicato due dischi di cover insieme al fratello Phil e, nel 2018, il riuscito Downey To Lubbock in partnership con Jimmie Dale Gilmore https://discoclub.myblog.it/2018/06/11/la-non-poi-cosi-tanto-strana-coppia-funziona-alla-grande-dave-alvin-jimmie-dale-gilmore-downey-to-lubbock/ . E quest’anno è uscito anche un altro ottimo disco https://discoclub.myblog.it/2020/03/06/un-dave-alvin-diverso-ma-sempre-notevole-the-third-mind/ . Ora il musicista californiano torna tra noi con From An Old Guitar, il cui sottotitolo Rare And Unreleased Recordings lascia capire che anche questa volta non siamo di fronte ad una proposta nuova di zecca, ma nello specifico ad una raccolta di brani pubblicati in passato ma di difficile reperibilità.

Infatti tra i sedici pezzi del disco troviamo canzoni provenienti da tribute albums da tempo fuori catalogo, brani pubblicati solo in forma “liquida” (e quindi mai in CD) ed anche due inediti assoluti. Un po’ come aveva fatto a fine 2018 John Mellencamp con Other People’s Stuff, che però era troppo breve (mentre From An Old Guitar dura 67 minuti) e raccoglieva diversi brani non così rari. Alvin è un grandissimo musicista, uno dei paladini del genere Americana, ed il bello del CD di cui mi accingo a parlare è che ha un’unitarietà ed una compattezza, oltre ad essere splendido, che lo fanno sembrare proprio un disco nuovo e non un collage di incisioni passate. From An Old Guitar è composto principalmente da cover (i brani originali sono solo tre), ed è un fantastico mix di rock’n’roll, folk, parecchio blues, country e ballate, tutti generi in cui Dave è in grado di dire la sua in maniera più che autorevole sia che si esibisca in veste acustica sia a capo di una rock band.Nelle varie canzoni troviamo qua e là membri dei Guilty Men e delle Guilty Women, l’ex sezione ritmica dei Blasters John Bazz e Bill Bateman, l’amico Chris Gaffney, scomparso ormai da diversi anni, gli abituali collaboratori Greg Leisz e Rick Shea oltre a luminari come Bill Frisell, i bassisti Dave Roe e Bob Glaub, il pianista Gene Taylor e l’ex BR5-49 Chuck Mead.

I pezzi meno rari dell’album sono due canzoni tratte dall’edizione “expanded” di Eleven Eleven (entrambe scritte da Alvin), ovvero il travolgente boogie chitarristico Beautiful City ‘Cross The River, con la fisarmonica di Skip Edwards che crea un accattivante contrasto sonoro (ma sentite che due assoli che piazza Dave) ed il sinuoso ma solido blues elettrico Signal Hill Blues, suonato in maniera molto classica con due chitarre, basso e batteria. Cinque pezzi sono presi da vari tributi, a partire da Link Of Chain di Chris Smither, sontuosa ballata in bilico tra country e blues con uno splendido interplay chitarristico tra l’acustica di Dave e la slide di Danny Ott ed un motivo di prima scelta. Amanda di Waylon Jennings (ma scritta da Bob McDill) è rifatta in perfetto stile valzerone texano, cantata alla grande e suonata anche meglio, Mobile Blue (Mickey Newbury) è puro country-rock elettrico dal ritmo spedito e melodia diretta e coinvolgente, molto Blasters, mentre la folkeggiante e cristallina On The Way Downtown di Peter Case è uno dei tanti momenti magici di un disco che è un piacere continuo: Gaffney si unisce a Dave nel ritornello ed il brano viaggia spedito che è una meraviglia.

Il quinto ed ultimo brano tratto da un tributo è il formidabile rockin’ country Dynamite Woman, un classico di Doug Sahm che Alvin fa suo con una performance decisamente contagiosa. Ed ecco una delle parti più interessanti del CD, vale a dire sette pezzi pubblicati solo sul sito web della Yep Roc e quindi mai prima di oggi in formato fisico: si parte con un’ottima rilettura del classico di Bob Dylan Highway 61 Revisited, con Dave che usa il talkin’ alla John Lee Hooker (e la sua voce baritonale aggiunge fascino), mentre la parte strumentale tra blues e boogie è una goduria. Variations On Earl Hooker’s Guitar Rumba è uno strepitoso strumentale dal ritmo latineggiante scritto dal musicista citato nel titolo, con un sublime assolo pianistico di Joe Terry subito doppiato dalla fisa di Gaffney e Dave che ci regala fraseggi che sembrano uscire da una revue degli anni 50, al punto che mi aspetto quasi l’entrata della voce di Raul Malo da un momento all’altro. Albuquerque, di Papa Link Davis, è rifatta in puro spirito rock’n’roll con il nostro che va giù dritto di wah-wah ben sostenuto da una ritmica granitica ed un’armonica bluesy.

Perdido Street Blues (antico brano dei New Orleans Wanderers scritto da Lil Hardin, seconda moglie di Louis Armstrong) è un altro strumentale godurioso e swingatissimo, con prestazioni superbe di Dave alla chitarra, Taylor al piano e Leisz alla steel, un divertimento unico sia per loro che suonano che per noi che ascoltiamo; Krazy And Ignatz, terza ed ultima canzone composta da Alvin, è uno splendido duetto blues ancora strumentale tra la national guitar del leader ed il dobro di Cindy Cashdollar. Chiudono i sette brani pubblicati per la prima volta su CD una cadenzata e sanguigna rilettura del blues di Willie Dixon Peace ed una ripresa di Man Walks Among Us di Marty Robbins in veste di moderna western ballad. Dulcis in fundo, ecco i due inediti assoluti: Inside è la toccante cover di un brano dello scomparso Bill Morrissey, un pezzo fluido e disteso che dimostra la bravura di Dave anche in veste di balladeer, mentre Who’s Been Here è un duetto tra Alvin e Christy McWilson su un vecchio blues di Bo Carter trasformato in un trascinante country’n’roll con chitarre e dobro in evidenza. E’ un peccato che From An Old Guitar non sia un vero “nuovo” album: saremmo infatti di fronte ad uno dei dischi dell’anno.

Marco Verdi

Il Secondo Capitolo Di Un Narratore “Affascinante”. Ed Romanoff – The Orphan King

ed romanoff the orphan king

Ed Romanoff – The Orphan King – Pinerock Records

Questo signore Ed Romanoff, si era fatto conoscere sei anni fa con lo splendido album omonimo d’esordio, pubblicato all’età di 53 anni, disco puntualmente come sempre passato quasi inosservato. La storia artistica di Romanoff (origini irlandesi e adottato da una famiglia russa), inizia sul finire degli anni ’90 ma poi deve la svolta della sua carriera anche all’amicizia con Mary Gauthier, che lo porta a scrivere a quattro mani con la stessa proprio il brano The Orphan King, apparso sul disco The Foundling, scoprendo quindi tardivamente di volersi reinventare “songwriter”.

Il risultato di questi ulteriori anni passati dopo il primo lavoro è il nuovo album, registrato a Palenville (NY), nello studio fienile del produttore Simone Felice (Felice Brothers, Lumineers), dove Ed voce e chitarra si porta appresso validi collaboratori come lo stesso Felice alla batteria, il fratello James Felice alle tastiere e fisarmonica, il bravissimo polistrumentista Larry Campbell alle chitarre, basso, mandolino, cetra e violino, Lee Nadel al basso, Cindy Cashdollar alla steel guitar e lap steel, Kenneth Pattengale del duo Milk Carton Kids alle chitarre, e come coriste la sue colleghe Rachael Yamagata, Cindy Mizelle, e la moglie di Campbell, Teresa Williams, tutti einsieme danno vita a tredici canzoni piene di suggestioni, ma nello stesso tempo estremamente vive.

Fin dalla prima canzone Miss Worby’s Ghost, si percepisce l’abilità narrativa di Ed, bissata poi nella seguente Elephant Man (uno dei sei brani composti con Crit Harmon), una romanza musicata e cantata quasi alla Kris Kristofferson, dove spiccano sublimi armonie vocali, per poi passare al country-rock arioso di una A Golden Crown, dove si riconosce benissimo il violino di Campbell, e la pedal-steel della Cashdollar, priam di proporre la sua versione della citata pianistica title-track The Orphan King, con in sottofondo una intrigante tromba e Teresa Williams alle armonie vocali, mentre il moderno e delizioso “bluegrass” di Without You, vede brillare Kenneth Pattengale alla voce, chitarra e mandolino. Le narrazioni diventano ancora più briose con la melodia vivace di Leavin’ With Somebody Else, cantata in falsetto in stile Roy Orbison, mentre nella seguente Less Broken Now, le armonie femminile sono a carico di Cindy Mizelle, per poi passare alla “perla” del disco, la meravigliosa The Ballad Of Willie Sutton (una intensa storia alla Bonnie & Clyde), interpretata con trasporto dalla voce baritonale dall’autore, che poi si ripete nella tranquillità di ballate come l’acustica I’ll Remember You, e la riflessiva e notturna The Night Is A Woman (con le brave Yamagata e Mizelle alle armonie). Ci si avvia (purtroppo) alla parte conclusiva del lavoro con un’altra ballata di spessore (che pare evocare lo spirito di Cohen) come l’incantevole Blue Boulevard (Na Na Na), dove giganteggiano ancora una volta il violino celtico e il mandolino di Larry Campbell, ancora una intrigante e quasi recitativa “ode” come Lost And Gone, e infine a chiudere, come coronamento finale di un eccellente lavoro,  il “soul-blues” elettrico di una grintosa e narrativa Coronation Blues, dove spiccano le vari voci femminili in un nostalgico stile che rievoca il classico stile Stax.

Come già ricordato in altre occasioni, molto spesso capita di scoprire musicisti che, per una ragione o per l’altra, non hanno la giusta considerazione di tante altre acclamate “stars”, un tipo che dopo tutto il vagabondare per gli stati americani, si è impegnato a scrivere canzoni sulla in tarda età, avendo come “mentori” artisti del calibro di Darrell Scott, Beth Nielsen Chapman, Josh Ritter, e come la già citata grande Mary Gauthier. Ed Romanoff vive e lavora a Woodstock, nello stato di New York, e con questo The Orphan King merita ancora una volta segnalazione in virtù del suo (in)consueto stile narrativo, in cui ascoltando con attenzione il disco si possono scorgere punti di contatto con personaggi del livello di John Prine e Eric Taylor (di cui peraltro sembrano essersi perse le tracce), sicuramente un “cantautore-narratore” che vale la pena di conoscere https://www.youtube.com/watch?v=v-B1rrh6v0A , e spero che, prendendosi i suoi giusti tempi, continuerà a comporre canzoni e produrre album per gli anni a venire: in fondo come diceva il famoso Maestro Manzi, non è mai troppo tardi. Nel frattempo, fin d’ora, a parere di chi scrive, sicuramente una delle sorprese, e la canzone, dell’anno!

Tino Montanari