Dischi Così Brutti Negli Anni ’70 Non Li Avrebbero Mai Pubblicati, Ma Oggi Purtroppo Si. Humble Pie – Joint Effort

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Humble Pie – Joint Effort – Deadline Music/Cleopatra Records

Un nuovo album degli Humble Pie! Beh adesso non esageriamo: anche perché gli album “nuovi” che sono usciti postumi con il nome della band in copertina, dopo la tragica morte di Steve Marriott avvenuta  nell’aprile del 1991, diciamo che non sono stati propriamente memorabili,  penso a Back On Track, in teoria il loro 13° album di studio. Meglio le varie pubblicazioni di materiale d’archivio dal vivo, anche se non sempre di qualità sonora impeccabile, e soprattutto alcune ristampe, tra cui lo splendido box quadruplo con i concerti da cui fu estratto lo strepitoso Performance: Rockin’ The Fillmore, con le esibizioni complete del 1971. Ora arriva questo Joint Effort, pubblicato dalla Cleopatra (uhm!), che riporta nel retro della copertina “Recorded 1974-1975 At Clear Sound Studios”, quindi materiale d’epoca.

Però, tanto per partire subito bene, nella foto di copertina del CD c’è una immagine della band, dove il primo in basso a sinistra è Peter Frampton, che però non faceva più parte del gruppo del 1971, sostituito da Dave “Clem” Clempson,  che comunque, ammesso che ci sia, si sente pochissimo, rimangono Steve Marriott, chitarra e voce, Greg Ridley al basso (scomparso nel 2003), e Jerry Shirley che è stato scelto dall’autore delle note per integrarle con i suoi ricordi di quegli anni. E Shirley ricorda appunto che in quel periodo Marriott non era più molto coinvolto nel progetto Humble Pie, il suo principale desiderio all’epoca, all’insaputa degli altri, era quello di entrare negli Stones in sostituzione di Mick Taylor (vicenda che poi è andata come sappiamo) e quindi partecipava svogliatamente alle registrazioni di nuovo materiale che avrebbe dovuto andare su un disco poi uscito nel 1975 con il titolo di Street Rats, l’ultimo pubblicato dalla A&M che aveva richiamato il loro vecchio manager Andrew Loog Oldham per sovraintendere alle registrazioni che si tennero agli Olympic Studio di Londra e non nei Clear Sound Studios che erano di proprietà di Marriott.

Nel frattempo Steve aveva raggiunto un accordo con Oldham per registrare più o meno in contemporanea, appunto nei propri studios, un disco solista in compagnia di Greg Ridley, progetto che poi non si concretizzò mai, e alcune, se non tutte,  di quelle registrazioni sono quelle pubblicate oggi come Joint Effort,  appunto lo “sforzo comune” dei due. Dieci brani in totale, uno ripetuto in due diverse versioni, un paio di canzoni uscite anche su Street Rats, sia pure in versione diversa. Complessivamente un album molto raffazzonato, per usare un eufemismo: Think è proprio il brano di James Brown, presente anche con una versione n°2 in coda al CD, un pezzo super funky dove appaiono anche dei fiati non accreditati, la chitarra non parte mai e c’è un lungo assolo di sax, forse Mel Collins, mentre nella seconda parte appare un’armonica. This Old World è uno dei due brani firmati con Ridley, una discreta ballata di stampo soul melodico, con il suono che va e viene, Midnight Of My Life, meglio, rimane sempre in questo ambito gospel-soul, con coretti a oltranza, piano e zero chitarre.

Let Me Be Your Lovemaket, una cover del pezzo di Betty Wright, è cantata da qualcun altro, non so da chi (o meglio, dovrebbe essere Ridley, ma non è accreditato nelle note), ed è un altro modesto funky-rock. Interessante la versione “funkyzzata” di Rain dei Beatles, abbastanza simile però a quella già uscita su Street Rats, sempre con una seconda voce a duettare con Steve e un passabile lavoro della slide, quasi sommersa comunque dalla presenza invadente delle coriste. Snakes And Ladders è uno dei pezzi più rock, ma la qualità sonora non è memorabile e c’è sempre questa “misteriosa” seconda voce ossessiva che sommerge quella di Marriott e pure nella breve Good Thing non mi pare ci siamo proprio https://www.youtube.com/watch?v=rCuFmin7aIU . A Minute Of Your Time scritta e cantata da Ridley non risolleva più di tanto le sorti del disco, in Charlene, altro bozzetto funky, almeno si apprezza la voce unica di Marriott, ma è un po’ poco. Mi sembra la Cleopatra abbia colpito ancora una volta, quindi un CD solo per fans incalliti degli Humble Pie, probabilmente neppure per loro. Sono stato troppo cattivo forse? Ma gli Humble Pie erano un’altra cosa,

Bruno Conti

Occhio Alla Fregatura, Sembra Diverso? Pat Travers & Carmine Appice – The Balls Album

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Pat Travers & Carmine Appice – The Balls Album – Cleopatra Records 

A chi è capitato di leggere le mie recensioni sa che, per usare un eufemismo, non sono un fan particolare delle produzioni dell’etichetta californiana Cleopatra Records, non tanto per la qualità dei contenuti, ma spesso proprio per i contenuti stessi. Mi spiego: l’arte del riciclo, soprattutto per quanto riguarda il problema dei rifiuti, è una iniziativa nobile, ma quando viene applicata alle produzioni discografiche incontra meno la mia approvazione. Spesso e volentieri nelle loro produzioni (e penso soprattutto ai tributi, ma anche ai cosiddetti dischi “nuovi”), i nostri amici di Los Angeles hanno l’abitudine di riciclare vecchi dischi già usciti, con nuovo titolo e copertina, ma con lo stesso contenuto, però senza dirlo o scriverlo sul CD, e questo è un comportamento da veri str…zi (sono stato autorizzato a usare il termine, quando ci vuole ci vuole). Qualche mese fa mi era capitato di parlarvi di The House Is Rockin’ il tributo a SRV, da loro pubblicato nel 2015, ma già uscito nel 1996 come Crossfire per un’altra etichetta http://discoclub.myblog.it/2015/08/14/sembra-nuovo-the-house-is-rockin-tribute-to-stevie-ray-vaughan/ , succede spesso anche con i dischi di Judy Collins e vari altri titoli.

Ora la storia si ripete, in quanto questo The Balls Album è praticamente la ripubblicazione di It Takes A Lot Of Balls (questa volta non hanno nemmeno cambiato il titolo di  molto), pubblicato in origine dalla SPV/Steamhammer nel 2004, naturalmente con la sequenza dei brani mescolata, senza dichiararlo da nessuna parte, anzi aggiungendo pure due brani come bonus. Oltre a tutto non stiamo parlando di un capolavoro assoluto della discografia, questo disco dell’accoppiata Travers/Appice non entrerà certo negli annali della storia, ma gli amanti di questo hard-rock-blues di grana grossa comunque non mancano e penso che non faccia piacere comprarsi lo stesso titolo due volte. Se però vi manca e l’accoppiata (che ha registrato vari album insieme) vi attizza, i due picchiano come fabbri, in brani che rispondono al nome di Taken, un poderoso boogie-blues che sembra il figlio bastardo di certe composizioni degli ZZ Top, con la chitarra di Travers che taglia in due l’etere e Carmine che una o due cose su come si suona la batteria comunque le conosce, in fondo neanche male. Better From A Distance alza subito la quota heavy e da lì in avanti non si fanno più prigionieri.

Il bello (o il brutto) è che anche i titoli cambiano leggermente, la prima canzone perde il sottotitolo Iguana Song, il successivo brano Escape The Fire, aveva un prefisso Can’t che nella nuova versione sparisce, e nonostante intermezzi acustici è sempre durissimo, per quanto, bisogna ammettere, ben suonato. In Rock Me, anche se sembra un pezzo degli Sweet gonfiato con il testosterone, Travers brandisce la sua chitarra con vigore e wah-wah a manetta, mentre la batteria di Appice è di una potenza devastante, e pure I Don’t Care è una fabbrica di riff, Remind Me To Forget You è hard rock brutale, con tocchi di slide, però una ballata pseudoacustica come Hey You non mi sembra nelle loro corde, anche se il lavoro della solista è sempre pregevole, e pure il reggae alla Police di I Can’t let you go era meglio lasciarlo alla band di Sting che lo faceva molto meglio: per il resto c’è molto hard rock violento, con titoli come Keep On Rockin’ o Gotta Have Ya (pure leggermente rappata?!?, ma per favore) e simili. Le due bonus Tonite e una cover di Never Gonna Give You Up, una cover di Barry White quasi metal, non sono memorabili. Proprio se siete in astinenza di “air guitar” davanti allo specchio.

Bruno Conti