Un Bell’Omaggio Ad Un Autentico “Cult Artist”. VV.AA. – The Years: A Musicfest Tribute To Cody Canada

The Years A Musicfest Tribute To Cody Canada

VV.AA. – The Years: A MusicFest Tribute To Cody Canada – Right Ave/Thirty Tigers CD

Ho ancora nelle orecchie i due splendidi tributi a Merle Haggard e Willie Nelson che già mi ritrovo per le mani un altro concerto dal vivo in omaggio ad un songwriter di derivazione country-rock. Ma se Merle e Willie sono due vere e proprie leggende, il texano Cody Canada (fondatore e leader dei Cross Canadian Ragweed e da qualche anno solista con i Departed come backing band) è un musicista ancora giovane e con molti anni davanti a sè. Accostato più volte ad inizio carriera al movimento Red Dirt, Canada è uno di quelli che sia a capo dei CCR (vi ricorda qualcosa questo acronimo?) sia con i Departed non ha mai sbagliato un disco, e la sua miscela di country e rock è sempre stata sostenuta da una indubbia abilità nel songwriting. In tutto questo non pensavo che Cody fosse stimato a tal punto dai suoi colleghi dal diventare il soggetto di un concerto-tributo: The Years è infatti la trasposizione in CD di uno show registrato tra il 7 e l’8 gennaio 2020 al MusicFest di Steamboat Springs, in Colorado, e nel corso di 18 canzoni per circa 75 minuti di musica offre un’ampia e valida retrospettiva sul songbook di Canada.

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Il disco risulta quindi molto godibile, con una serie di performance acustiche ed elettriche ed un elenco di partecipanti in alcuni casi abbastanza noti ed in altri meno (tutti provenienti da Texas, Oklahoma e dintorni, ma niente superstars), e con la ciliegina della presenza del festeggiato in tre episodi. Apre la serata Parker McCollum con l’arioso country-rock Constantly, subito ritmo spiegato e chitarre al vento https://www.youtube.com/watch?v=43SWB-M6CzE , seguito dalla boogie band texana Copper Chief che rocca alla grande con Bang My Head e viene raggiunta sul palco dallo stesso Canada per una dimostrazione di puro southern rock. La Read Southall Band prosegue all’insegna dell’elettricità con la potente Don’t Need You, tra punk e garage music, e gli ottimi Reckless Kelly si prendono il centro della scena con la ruspante Fightin’ For, coinvolgente rockin’ country chitarristico che ricorda il primo Steve Earle https://www.youtube.com/watch?v=REMSQFRwE5w ; la bella 17 è decisamente più country e Jamie Lin Wilson la canta molto bene, e pure Randy Rogers ci delizia con una This Time Around intensa nonostante la veste sonora spoglia, voce e chitarra. Casey Donahew porta un po’ di spirito folk eseguendo 42 Miles con il solo ausilio di due chitarre ed un violino,

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A differenza del bravissimo Wade Bowen che con l’elettrica ballad di stampo younghiano Sick And Tired ci offre uno dei momenti migliori dello show, mentre sia Mike McClure che Bruce Robison scelgono di presentarsi da soli, riuscendo comunque ad emozionare con le belle Carney Man e Breakdown https://www.youtube.com/watch?v=P4UWrMSNspY . Courtney Patton ha una buona voce e fornisce una valida rilettura di Alabama (anche lei in acustico), ed in “splendid isolation” sono pure William Clark Green con la tenue Johnny’s Song, Bri Bagwell con Run To Me e soprattutto l’ottimo Stoney LaRue che ospita ancora Cody per duettare in maniera decisamente intensa su Broken https://www.youtube.com/watch?v=jhdVkluU_nM , mentre Doug Moreland ci regala uno degli highlights con una splendida e struggente ripresa di On A Cloud, puro folk con elementi irlandesi. Finale ancora acustico con Jade Marie Patek alle prese con la bluesata Dead Man e BJ Barham degli American Aquarium con la toccante The Years, ai quali si aggiunge il bonus finale di Canada che chiude la serata coinvolgendo da par suo il pubblico con una sentita Boys From Oklahoma. Un bel tributo quindi, non certo ai livelli di quelli a Nelson e Haggard ma neppure da ignorare a priori.

Marco Verdi

Eccone Un Altro Che Non Sbaglia Mai Un Disco! Cody Canada & The Departed – 3

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Cody Canada & The Departed – 3 – Blue Rose/Ird CD

Nuovo album per il texano trapiantato in Oklahoma Cody Canada e per la sua attuale band, The Departed, nata dalle ceneri dei Cross Canadian Ragweed (il bassista Jeremy Plato è l’altro membro in comune ai due gruppi insieme a Cody, ed il trio è completato dal batterista Eric Hansen). Il titolo non troppo fantasioso del CD, 3, è peraltro anche fuorviante, in quanto i lavori del gruppo sono in realtà quattro, anche se uno di essi, Adventus, è accreditato genericamente ai Departed, senza la menzione di Canada (e forse è questa la ragione della bislacca numerazione): a dirla tutta esiste anche un disco del 2016, In Retrospect, a nome Jeremy Plato & The Departed, con quindi il bassista come frontman. Ma, considerazioni a parte sulla discografia della band, la cosa più importante è che 3 si rivela essere un gran bel disco di Americana al 100%, con un suono decisamente diretto e chitarristico ed una serie di ottime canzoni. Canada è sempre stato un songwriter coi fiocchi, e questo lavoro è una sorta di riepilogo delle sue influenze, che vanno dalla musica texana, al country-rock di matrice californiana, un po’ di southern ed anche rock puro alla maniera di Tom Petty e John Fogerty (con il quale condivide l’acronimo dell’ex band di appartenenza, CCR).

L’album è prodotto dallo stesso Canada insieme all’amico Mike McClure (a sua volta valido musicista in proprio ed esponente del movimento Red Dirt dell’Oklahoma), il quale partecipa anche in veste di chitarrista aggiunto, insieme a Cody Angel alla steel e Danny Barnes al banjo. Prima ho citato indirettamente i Creedence, e proprio allo storico gruppo di San Francisco si rifà il brano d’apertura, Lost Rabbit, un rock-blues potente e dal ritmo alto, decisamente diretto e chitarristico. Molto bella Lipstick, un folk-rock limpido e cristallino, che rimanda ai classici californiani degli anni settanta, con gran spiegamento di chitarre, ottima melodia e coretti al posto giusto; con A Blackbird siamo in territori bluegrass, c’è un banjo a guidare le danze, anche se l’approccio strumentale del resto della band e la vocalità del nostro sono più dal lato rock. Decisamente gustosa e texana Daughter Of The Devil, un rockin’ country vibrante, elettrico e con elementi sudisti, un pezzo che dal vivo dovrebbe dare il meglio di sé, mentre One Of These Days è una tersa ballata acustica, intima e cantautorale, eseguita con feeling ed estrema finezza.

Splendida Footlights, cover di un brano non molto noto ma ugualmente bellissimo di Merle Haggard, una fulgida western ballad ulteriormente impreziosita dal duetto vocale con Robert Earl Keen, altro texano doc (la cui voce è immediatamente riconoscibile); con Paranoid siamo in territori decisamente rock, Cody usa sia il pedale wah-wah che il talkbox, ed il pezzo, diretto come un pugno, mostra che il nostro può anche roccare di brutto, benché se come songwriting siamo un gradino sotto al resto. La ritmata e scorrevole Satellites And Meteors  è un altro bell’esempio di rockin’ country texano, con Canada che ricorda il primo Steve Earle, così come nella solida Unglued, elettrica e coinvolgente, mentre Sam Hain è una grande canzone rock, una ballata con le chitarre in primo piano, un motivo vincente ed un chiaro feeling alla Tom Petty: forse la migliore del CD. Che dire di Song About Nothin’, altro splendido country-rock elettrico, tra Petty ed i Byrds, anche questa tra le più piacevoli ed immediate; la singolare e saltellante Better sta tra pop e rock, con un synth usato in maniera intelligente. Il CD termina con la mossa e funkeggiante Betty Was Black And Willie Was White (scritta tra gli altri da Will Kimbrough ed incisa anni fa anche da Todd Snider), non tra le migliori, e con l’intensa 1800 Miles, una ballata elettrica crepuscolare e dall’indubbio pathos.

Da quando ha iniziato a fare musica, Cody Canada non mi ha mai deluso, ed anche con 3 conferma la sua più che positiva tendenza nel fare ottima musica.

Marco Verdi

Dal Vivo E Dal Texas! 1: Robert Earl Keen – Robert Earl Keen – Live Dinner Reunion

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Robert Earl Keen – Live Dinner Reunion – Dualtone 2CD

Robert Earl Keen, texano doc, è uno dei migliori countrymen venuti fuori dal Lone Star State (e non solo) negli ultimi trent’anni. Diretto discendente della scuola cantautorale di Townes Van Zandt e di Guy Clark, Robert ha sempre affiancato alle sue ballate tipicamente texane brani dal piglio più elettrico, diventando in breve tempo un autore tra i più considerati e più coverizzati: le sue canzoni sono state infatti interpretate negli anni da un largo range di artisti di primo piano, come Joe Ely, The Highwaymen, Dixie Chicks, Lyle Lovett, George Strait e Nanci Griffith. Keen è sempre stato uno che ha pensato a lungo i propri album, ed infatti ne ha pubblicati soltanto 12 in 32 anni di carriera, ma con risultati qualitativi sempre ottimi, dall’esordio di No Kinda Dancer, allo splendido A Bigger Piece Of Sky (ancora oggi il mio preferito), passando per i notevoli Gringo Honeymoon, Picnic, Gravitational Forces ed arrivando ai più recenti The Rose Hotel e Ready For Confetti. Ad una discografia di studio numericamente parsimoniosa Robert ha sempre affiancato un’attività live molto densa, ed il numero di dischi dal vivo pubblicati negli anni, ben sei escluso quello di cui sto per scrivere, è sintomatico.

Live Dinner Reunion, il suo nuovo doppio CD (che, come dicevo, è il settimo registrato on stage), è però un album particolare, in quanto è il seguito, esattamente vent’anni dopo, di N. 2 Live Dinner, il suo lavoro live più famoso e di successo, una sorta di greatest hits dal vivo dell’epoca: questo nuovo lavoro è la versione 2.0 di quell’album, e come allora è stato registrato al mitico Floore’s, un country store & restaurant aperto da ben 70 anni nel piccolo centro di Helotes, appena fuori San Antonio, e dal quale sono passate tutte le massime leggende della musica texana. Live Dinner Reunion è il disco dal vivo definitivo per Keen, vuoi per il fatto che prende in esame i pezzi più noti di tutta la sua carriera, vuoi per il fatto che è inciso e prodotto con tutti i crismi (da Lloyd Maines, il miglior produttore texano in circolazione), ma anche per il nutrito numero di ospiti di prestigio presenti per duettare con Robert. E poi, naturalmente, c’è proprio Keen, a suo agio come non mai sul palco (ed il pubblico è caldissimo e conosce tutti i brani a menadito), intrattiene alla grande durante tutte le 17 canzoni presenti (le tracce indicate sulla confezione del CD sono 26, ma nove sono dialoghi e presentazioni), accompagnato da una solidissima band di sei elementi guidata dal chitarrista Rich Brotherton, con la steel guitar ed il dobro di Marty Muse, il mandolino di Kym Warner, il violino indiavolato di Brian Beken, e l’ottima sezione ritmica formata da Bill Whitbeck al basso e Tom Van Schaik alla batteria.

Non mancano le tipiche ballate polverose ed arse dal sole del nostro, come la fluida e distesa Feelin’ Good Again, che apre la serata, la western oriented I Gotta Go e l’honky-tonk Merry Christmas From The Fam-O-Lee, amatissima dal pubblico; è rappresentato molto bene anche il lato rockin’ country di Keen, con l’epica Gringo Honeymoon, texana al 100%, il divertente rock-grass Hot Corn, Cold Corn, la strepitosa Shade Of Gray, un racconto western dal pathos enorme, ed una sfavillante versione tutta ritmo della splendida Amarillo Highway, uno dei classici di Terry Allen (che avrei voluto vedere sul palco con lui, ma non si può avere tutto). E poi ci sono gli ospiti, nomi che danno lustro alla serata ed al songbook di Keen, a partire dal grande Lyle Lovett con la languida This Old Porch (scritta proprio con Robert) e con il classico di Jimmie Rodgers T For Texas, proposta in una deliziosa versione elettroacustica, seguito dal bravo Cory Morrow con l’intensa I’ll Go On Downtown, una delle più belle ballate dello show, e da Bruce Robison con la splendida No Kinda Dancer, una delle più conosciute del nostro. Tre ospiti nel primo CD e tre anche nel secondo: Cody Braun (Reckless Kelly) nella saltellante Wild Wind, puro country, Cody Canada nella lunga Lonely Feelin’, un brano folkeggiante di grande impatto, con una parte centrale chitarristica da urlo, ma soprattutto il grande Joe Ely nello splendido finale di serata, con la formidabile The Road Goes On Forever, la signature song di Keen, valorizzata dalla carismatica voce di Joe che non ha perso un’oncia della sua bellezza (e non è un duetto, canta solo Ely).

Non c’era bisogno di questo Live Dinner Reunion per confermare che Robert Earl Keen è uno dei più validi songwriters texani in circolazione, ma se amate il genere il suo acquisto diventa quasi d’obbligo.

Marco Verdi