IL Titolo Del Disco Dice Tutto! Tennessee Jet – The Country

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Tennessee Jet – The Country – Tennessee Jet/Thirty Tigers CD

Quando lo scorso anno ho recensito The Wanting https://discoclub.myblog.it/2019/12/01/una-doppia-razione-di-country-rock-come-si-deve-parte-seconda-cody-jinks-the-wanting/ , uno dei due album pubblicati praticamente in contemporanea da Cody Jinks, mi sono imbattuto in un nome, Tennessee Jet (co-autore e voce duettante nella title track), che non avevo mai sentito prima. Poche settimane fa ho poi visto che lo stesso personaggio aveva in uscita un album attorno al quale stavano piovendo critiche più che positive, The Country, e mi ci sono avvicinato pensando fosse il suo esordio: niente di più sbagliato, in quanto il titolare del CD (che in realtà si chiama TJ McFarland) ha già al suo attivo altri due lavori, il debutto omonimo uscito nel 2015 e Reata dell’anno dopo. Tennessee Jet (TJ da qui in poi) è un giovane countryman di Nashville con un aspetto che può ricordare un giovane Johnny Depp, ma la cosa più importante è che la sua musica è di quelle toste, elettriche e decisamente imparentate col rock.

TJ parte dalla lezione dei classici country singers del passato per poi dare alle sue canzoni un taglio moderno e vigoroso, suonato con grinta e cantato con la voce giusta, in alcuni casi rispettando la struttura tipica di un certo tipo di country ed in altri assumendo le sembianze come un vero e proprio rocker: la critica lo ha definito come un incrocio tra Dwight Yoakam ed i White Stripes, ma per la bontà delle composizioni inserite in questo disco (sue all’80%, più due cover di assoluta qualità) mi sento più di paragonarlo al primo dei due nomi, anche se comunque TJ è in possesso di uno stile suo. The Country è autoprodotto, e vede in session una solida band formata dai chitarristi Casey Diiorio e Eugene Edwards, gli steel guitarists Jamison Hollister e Jon Graboff (a lungo con Ryan Adams nei Cardinals) , il grande armonicista Mickey Raphael, i bassisti Scott Lee ed Eric Baines ed i batteristi Matt Pence e Mitch Marine, quest’ultimo per anni dietro i tamburi proprio con Yoakam. L’iniziale Stray Dogs è indicativa del sound del CD, una veloce country song elettrica dal motivo godibile e diretto (e con un riff che ricorda quello di I Want You di Bob Dylan), una parte strumentale guidata alla grande da steel e banjo ed un ritmo coinvolgente.

The Raven & The Dove, scritta con Jinks, è più attendista ma anche qui la melodia viene messa in primo piano, e vedo un’influenza texana tra Willie Nelson e Jerry Jeff Walker: il ritornello è splendido e la steel che ricama alle spalle del leader pure, mentre con Johnny siamo in pieno rockin’ mood, un pezzo duro, chitarristico e cadenzato che fa emergere lato più spigoloso del nostro (e qui qualche somiglianza con gli White Stripes in effetti c’è). Pancho & Lefty è il classico assoluto di Townes Van Zandt ed una delle canzoni più belle di sempre, e TJ intelligentemente non la stravolge ma la riprende in maniera fluida e distesa, lasciando scorrere la melodia immortale ed accompagnando il tutto in modo tradizionale, con la ciliegina della partecipazione vocale in duetto del già citato Cody Jinks oltre che di Elizabeth Cook e Paul Cauthen: Townes da lassù sorride soddisfatto.

Off To War è una struggente ballata acustica con un malinconico violino alle spalle, che dimostra la versatilità del nostro e la sua disinvoltura nello scrivere brani di ogni tipo; con la trascinante Hands On You siamo ancora in pieno trip rock’n’roll, ritmo, chitarre elettriche e slide e feeling formato famiglia (con in più un refrain accattivante), a differenza di Someone To You che è una deliziosa e languida honky-tonk ballad di stampo classico ma suonata con piglio moderno (e qui vedo Yoakam). La delicata ed acustica The Country, altro slow di qualità sopraffina, precede la seconda cover del disco, una splendida, creativa e sorprendente rilettura in puro stile folk-bluegrass elettrificato di She Talks To Angels dei Black Crowes, ancora con ritmo acceso ed il suono guidato da violino, mandolino e dobro. Chiude l’intima e soffusa Sparklin’ Burnin’ Fuse, altra ballata caratterizzata da uno script impeccabile ed ancora dall’ottimo uso della steel. Al momento il disco country dell’anno, almeno per il sottoscritto, è ancora quello di Colter Wall, ma questo terzo lavoro del talentuoso Tennessee Jet potrebbe facilmente entrare tra i primi cinque-sei della categoria.

Marco Verdi

Una Doppia Razione Di Country-Rock Come Si Deve: Parte Seconda. Cody Jinks – The Wanting

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Cody Jinks – The Wanting – Late August CD

Dopo essermi occupato di After The Fire, eccomi di nuovo a parlare del texano Cody Jinks, dal momento che, ad appena sette giorni di distanza dal disco appena citato, il nostro ne ha pubblicato un altro intitolandolo The Wanting. I due lavori sono stati incisi nelle medesime sessions e con gli stessi musicisti, ed in un certo senso sono due facce della stessa medaglia: se After The Fire era più incentrato sulle ballate, The Wanting è più rock, più elettrico, anche se non mancano i momenti più intimi. Anche la durata è diversa, dato che l’album di cui mi accingo a scrivere dura 44 minuti contro i 32 dell’altro, e ad un primo ascolto mi sembra anche più riuscito. Intendiamoci, sono entrambi bei dischi, ma io Jinks lo preferisco quando fa il texano duro e puro arrotando le chitarre ed alzando il ritmo, ed in The Wanting di momenti così ce ne sono a piene mani.

Proprio la title track apre l’album in maniera strepitosa, con un country-rock terso e limpido (scritto e cantato con Tennessee Jet, non Jed) dallo splendido ritornello che ha anche un tono epico, il tutto sostenuto da un ottimo riff di violino e da una bella steel sullo sfondo. Same Kind Of Crazy As Me è una western ballad elettrica e cadenzata dal notevole pathos, una strumentazione quasi da film ed un altro bellissimo refrain, Never Alone Always Lonely è invece una vibrante slow song dal suono sempre elettrico, con un bell’assolo chitarristico ed un’atmosfera che ricorda spazi aperti al tramonto, ed è seguita da Whiskey, country ballad solida e maschia, con le chitarre ancora in evidenza. Un ritmo pulsante e coinvolgente introduce Where Even Angels Fear To Fly, poi entrano violino e voce ed il brano si rivela essere un country-rock immediato e texano al 100%, tra i più riusciti del CD; Which One I Feed è un pezzo rock dal passo lento, ma intenso e sempre decisamente elettrico, con elementi quasi sudisti.

A Bite Of Something Sweet è viceversa puro country, con la steel che ricama da par suo dietro il vocione del nostro. The Plea è un’altra traccia che ha il sapore southern rock, complice anche una slide insinuante che percorre tutta la canzone, a differenza di It Don’t Rain In California (provate ad andare a San Francisco ad Agosto e poi mi dite se non piove), un lento dalla melodia toccante ed accompagnamento discreto in cui spiccano ancora steel e violino, brano che contrasta con la vigorosa Wounded Mind, rockin’ country che mantiene un mood da ballata ma è contraddistinto da improvvise sventagliate chitarristiche. Il disco si chiude con Ramble, pianistica e crepuscolare, e con la pimpante The Raven And The Dove, limpido e corale pezzo country & western come solo in Texas sanno fare, che reca tracce di Jerry Jeff Walker nell’orecchiabile ritornello.

Con questi due album pubblicati praticamente insieme per un po’ dovremmo essere a posto con Cody Jinks, anche se, vista la qualità, non mi dispiacerebbe ne uscisse un altro tra qualche mese.

Marco Verdi

Una Doppia Razione Di Country-Rock Come Si Deve: Parte Prima. Cody Jinks – After The Fire

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Cody Jinks – After The Fire – Late August CD

Se fossimo ancora negli anni settanta, uno come Cody Jinks apparterrebbe senz’altro al movimento degli Outlaws. Texano, Jinks è infatti un countryman di quelli duri e puri, che non scendono a compromessi ma fanno la loro musica, infischiandosene se il risultato finale è buono per le radio oppure no: dotato di un’ottima voce e di una altrettanto valida capacità di scrittura, Cody ha il ritmo ed il rock’n’roll nel sangue, e la sua musica è sempre molto elettrica e decisa. Attivo da più di dieci anni, Jinks ha avuto una carriera che è cresciuta disco dopo disco, sia in qualità che in popolarità, ed i suoi ultimi due lavori, gli eccellenti I’m Not The Devil (2016) e Lifers (2018) https://discoclub.myblog.it/2018/07/31/almeno-per-ora-il-disco-country-rock-dellanno-cody-jinks-lifers/ , sono entrambi saliti nella Top Five della classifica country, e tutto senza modificare di una virgola il suono. Il nostro è anche un musicista incredibilmente prolifico, e lo dimostra ora pubblicando ben due album quasi in contemporanea, After The Fire e, ad una settimana di distanza, The Wanting.

Qui mi occupo del primo dei due lavori, un album di puro country-rock texano come d’abitudine, che non mancherà di soddisfare gli estimatori del musicista di Haltom City. A differenza dei dischi precedenti After The Fire ha però una netta prevalenza di ballate rispetto ai pezzi più mossi, mentre The Wanting come vedremo è più spostato sul versante rock. Niente paura però, in quanto Jinks non ha perso la bravura di scrivere belle canzoni (spesso collaborando con altri autori, tra cui Paul Cauthen, Josh Morningstar, Larry Hooper e la moglie Rebecca Jinks), né di rivestirle con un sound robusto e vigoroso: la noia è quindi bandita in queste dieci canzoni, anche grazie alla durata contenuta dell’album (32 minuti). Cody è accompagnato da una rodata band che sa il fatto suo, che comprende Chris Claridy  alla chitarra solista, Joshua Thompson al basso (e produzione del disco), David Colvin alla batteria, il bravissimo Austin Tripp alla steel, Drew Harakal al pianoforte e Billy Contreras al violino. Un drumming potente introduce la title track, un brano cadenzato ma dal passo lento, con chitarre arpeggiate ed una melodia profonda e diretta: il suono si apre a poco a poco e la ballata si rivela di ottimo livello, grazie anche alla bella steel in sottofondo.

Ain’t A Train ha un ritmo pulsante, un dobro che lavora nell’ombra ed il pezzo procede spedito verso il refrain, che è seguito da uno spettacolare cambio di tempo sottolineato da un vibrante assolo di violino: puro rockin’ country di alto livello. Yesterday Again è uno slow elettroacustico e disteso, ancora con la splendida steel di Tripp a punteggiare la melodia ed elevare il brano dalla media, Tell’em What It’s Like è puro country texano, un lento decisamente ben eseguito e con il consueto motivo avvolgente e piacevole fin dal primo ascolto: Cody in questo album è più balladeer del solito, ma la grinta non viene di certo messa da parte. Think Like You Think è ancora uno slow cadenzato di ottima fattura, country al 100% e con un uso ispirato degli strumenti (con steel e chitarra twang in evidenza); William And Wanda è toccante, suonata benissimo e cantata ancora meglio, mentre One Good Decision movimenta il disco con un godibilissimo honky-tonk elettrico dal gran ritmo, texano fino al midollo. La delicata ed acustica Dreamed With One è quasi folk, con Cody che ci mette tutto il feeling in suo possesso, ed anche Someone To You prosegue sul tema delle country ballads evocative; il CD termina con la coinvolgente Tonedeaf Boogie, un irresistibile western swing strumentale suonato come si faceva ai tempi di Bob Wills, con assoli a ripetizione dei vari strumenti, un divertissement che chiude l’album all’insegna di ritmo ed allegria.

After The Fire ci presenta quindi un Cody Jinks diverso e più meditativo, ma non per questo meno interessante.

Marco Verdi

Almeno Per Ora, Il Disco Country-Rock Dell’Anno! Cody Jinks – Lifers

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Cody Jinks – Lifers – Rounder/Concord CD

Dopo aver riscosso un ottimo successo di critica e pubblico con l’ultimo album I’m Not The Devil, il texano Cody Jinks ha trascorso il 2017 a ripubblicare i suoi lavori precedenti https://discoclub.myblog.it/2018/05/02/anche-se-materiale-di-qualche-anno-fa-un-bellesempio-di-moderno-country-rock-cody-jinks-adobe-sessions/ , in un caso anche intervenendo sul suono ed aggiungendo brani (Less Wise). Ora Cody pubblica un disco nuovo di zecca, e se I’m Not The Devil vi era piaciuto, penso proprio che Lifers vi entusiasmerà. Ci troviamo di fronte infatti ad uno strepitoso album di grandissimo country-rock elettrico, suonato in maniera splendida e prodotto ancora meglio (da Joshua Thompson e Arthur Penhallow), con in più una serie di canzoni di prima qualità. Jinks appartiene di diritto alla schiera dei nuovi Outlaws, una corrente che si rifà a certa country music texana degli anni settanta che aveva in Waylon Jennings, Willie Nelson e Billy Joe Shaver gli esponenti di punta, ed oggi viene tenuta in vita da gente come Chris Stapleton, Jamey Johnson e Whitey Morgan. Con Lifers però Cody riesce a fare ancora meglio dei nomi appena citati (con l’unico dubbio per quanto riguarda Stapleton, che è di un livello superiore proprio come musicista e songwriter), grazie alla sua ottima vena di autore e cantante, ma anche per merito di un solidissimo gruppo di musicisti, che ha nella chitarra solista di Chris Claridy, nella sezione ritmica potentissima formata dal già citato Thompson al basso e da David Colvin alla batteria e nella splendida steel guitar di Austin Trip i suoi punti di forza.

L’inizio è sfolgorante con Holy Water, una rock song potente e decisamente elettrica, con una sezione ritmica formato macigno e la steel che prova a stemperare il tutto: voce forte, melodia orecchiabile e suono scintillante, un avvio da sballo. Una chitarra acustica suonata con forza ed un piano elettrico introducono Must Be The Whiskey, country-rock vigoroso e pieno di ritmo, un sound davvero magnifico tra chitarre elettriche, steel ed il nostro che canta con una presenza notevole https://www.youtube.com/watch?v=jpeB8p4b8Sg . Somewhere Between I Love You And I’m Leavin’ è una slow ballad cantata e suonata nel modo giusto, senza il minimo cedimento a mollezze varie, e proprio il suono ed il feeling fanno la differenza con le decine di ballate sfornate mensilmente a Nashville (per dire, il batterista picchia come un fabbro anche qui); la robusta title track è un rockin’ country deciso, ancora dal ritmo trascinante (il basso pulsa che è una meraviglia) ed un ritornello vincente, Big Last Name è un travolgente rock’n’roll texano al 100%, roba che neanche il miglior Dale Watson, con chitarre e piano sugli scudi ed un ritmo irresistibile. Desert Wind (scritta come la precedente insieme a Paul Cauthen) è una pura western song, anche questa splendida con il suo chitarrone twang, il ritmo cadenzato e l’atmosfera da film, Colorado è una ballatona che avrebbe potuto scrivere John Denver (non solo per il titolo) se fosse stato texano e meno legato a sonorità mainstream: bellissima e toccante.

L’energica e tonante Can’t Quit Enough è Waylon sotto steroidi, chitarre su chitarre, piano e steel che reclamano spazio ed un finale strumentale strepitoso, mentre con l’evocativa 7th Floor abbiamo una maestosa ed emozionante western tune dai toni southern, suonata e cantata in maniera esemplare (grandi l’assolo di chitarra ed il crescendo strumentale finale), un brano magnifico senza se e senza ma; il CD termina con la fluida ballad Stranger, dall’atmosfera crepuscolare, e con Head Case, suggestivo brano che inizia come una folk song d’altri tempi (voce, chitarra e violoncello), ma che con l’ingresso della band si tramuta nell’ennesimo country-rock di squisita fattura.    Spero che l’appropinquarsi delle vacanze estive non vi faccia ignorare questo disco: sarebbe musicalmente delittuoso.

Marco Verdi

Anche Se Materiale Di Qualche Anno Fa, Un Bell’Esempio Di Moderno Country-Rock. Cody Jinks – Adobe Sessions

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Cody Jinks – Adobe Sessions – Cody Jinks CD

Cody Jinks, countryman texano dal pelo duro, sulla stessa onda di gente come Jamey Johnson e Whitey Morgan, ha avuto un ottimo ed inaspettato successo con il suo ultimo lavoro I’m Not The Devil (2016), che è entrato addirittura nella Top 5 country: questa cosa ha dato entusiasmo al nostro, che ha deciso di ripubblicare quattro dei suoi primi sei album, da tempo introvabili (in un caso, Less Wise, aggiungendo anche dei brani in più e migliorando il suono). Di questa serie di lavori, uno dei più riusciti è sicuramente questo Adobe Sessions (uscito originariamente nel 2015), un album di puro country-rock texano al 100%, elettrico e pieno di feeling, con un suono forte, vigoroso ed una produzione decisamente professionale ad opera di Josh Thompson, che è anche il bassista del ristretto gruppo di musicisti che accompagna Cody (e che viene completato da Jon Wallace, chitarre, Milo Deering, steel, violino e dobro, ed Earl Darling, batteria).

Una band di pochi elementi ma di tanta sostanza, responsabile di un suono potente e senza fronzoli, ma anche capace di alzare il piede dall’acceleratore quando necessario. E poi naturalmente c’è Jinks con le sue canzoni, dodici esempi di puro Outlaw country che deve molto al suono di Waylon Jennings (uno che viene citato come influenza molto più dopo la morte che da vivo), a partire dall’iniziale What Else Is New, un rockin’ country elettrico dal ritmo intenso e dal suono maschio e vigoroso. Bella anche Mamma Song, gustoso honky-tonk alla maniera texana, dominato dal vocione di Cody e dalla steel, un pezzo che ricorda un po’ anche il primo Steve Earle; Cast No Stones è una western ballad profonda, zero mollezze o cedimenti nel suono, mentre We’re Gonna Dance è una scintillante country tune elettrico, dotata ancora di un motivo diretto e che si ascolta tutto d’un fiato.

Birds, con una languida steel sullo sfondo, è invece puro country, rilassato e con un’atmosfera quasi malinconica, non lontana dallo stile di Chris Isaak, Loud And Heavy torna al suono grintoso e ha un approccio melodico intrigante, direi cinematografico (film western, ovviamente), mentre David è country al 100%, fluida, diretta, godibile e suonata benissimo. Me Or You è un lentaccio alla George Jones, la breve Folks un pezzo intimo ed attendista, dal ritmo spedito ma soffuso allo stesso tempo, Ready For The Times To Get Better un altro country & western di ottima fattura, a partire dalla linea melodica fino al contorno strumentale, con le chitarre in primo piano. Finale con la deliziosa Dirt, country-rock terso e vivace con chiare tracce di Texas (splendida la steel), e con Rock And Roll, che nonostante il titolo è un’intensa ballata acustica full band. Un bel dischetto: ora che Cody Jinks ha risistemato (quasi) tutto il suo back catalogue, siamo pronti per un lavoro tutto nuovo. (*NDB nell’attesa i Pink Floyd country, bellissima cover peraltro  https://www.youtube.com/watch?v=9joAHhzm6EY )

Marco Verdi

Tra Country E Letteratura, Alla Maniera Texana! Zane Williams

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Zane Williams – Bringin’ Country Back – Texas Like That CD

Nel mondo della musica country, texana e non, solitamente i testi non hanno un’importanza determinante: il più delle volte le canzoni girano intorno agli stessi argomenti, che siano cowboys, donne, macchine, bevute in compagnia o da soli, cuori infranti e, nei casi più estremi, bad boys. Per questo un artista come Zane Williams, texano di Abilene, è visto come un’anomalia, in quanto coniuga ad una musica molto diretta ed elettrica, al 100% riconducibile al Lone Star State, una serie di testi poetici, letterari, spesso introspettivi e proprio per questo decisamente contrastanti con il tipo di suono proposto. Zane non incide per una major, è nato e probabilmente morirà indipendente, troppo vera e ruspante la sua musica e troppo poco omologati i suoi testi per poter interessare il dorato, ma anche vuoto, mondo di Nashville: ma al nostro va bene così, ha sempre inciso con regolarità dal 2006 in poi ed è sempre riuscito a pubblicare i suoi lavori, oltre ad ottenere ingaggi per poter suonare dal vivo.

Bringin’ Country Back è il suo sesto album, un anno dopo Texas Like That (in mezzo anche un’antologia, intitolata Snapshot, con un brano nuovo) e, se possibile, preme ancor di più l’acceleratore su un tipo di musica molto texana, un country rock intenso, ritmato, maschio e vibrante, con un ristretto gruppo di musicisti non famosi ma che badano al sodo, e la produzione asciutta di Erik Hearst (Josh Abbott Band, Eli Young Band). Piccola curiosità: il titolo del CD, Bringin’ Country Back, gli è venuto in mente dopo aver assistito ad un concerto di Cody Jinks, altro countryman con le palle ed autore di un disco tra i più belli dell’anno nel suo genere, I’m Not The Devil. Il disco si apre proprio con la title track, una country song decisamente texana, figlia di Waylon e con un accompagnamento robusto ed elettrico (anche violino e steel suonano guizzanti e per nulla languidi), e Zane ha la voce giusta. La saltellante Honkytonk Situation ha nel titolo quello che potete aspettarvi, con la memoria del miglior George Jones (che, non dimentichiamo, era texano pure lui), mentre Slow Roller è limpida e distesa, con il canto più rilassato del nostro ed un buon refrain.

Hello World, ancora mossa, è puro country rock, sapido e godibile, la ritmatissima Church Of Country Music è un gustoso swing elettrico, una modernizzazione con un pizzico di rock della lezione di Bob Wills; That’s Just Me ha un leggero retrogusto southern, sia per l’uso del piano elettrico che per il sapore errebi, I Don’t Have The Heart è invece una ballata dai toni comunque non smorzati, anzi nel ritornello il ritmo è sempre alto, mentre la bella You Beat All I’ve Ever Seen è uno slow di stampo western e condito dalla solita melodia diretta. Keep On Keepin’ On, caratterizzata da un bel uso del violino, è grintosa quanto basta, Goodbye Love è il pezzo più lento del CD, non è male ma io preferisco quando Zane fa il texano dal pelo duro, come nella conclusiva Willie’s Road, uno dei pezzi più riusciti, vibrante, cadenzata e coinvolgente come è giusto che sia un brano dedicato al grande Willie Nelson. Gli americani, in quanto di madre lingua, avranno magari anche la possibilità di godere delle capacità letterarie di Zane Williams, a noi comunque basta la sua musica.

Marco Verdi