Musica Per L’Infanzia, Ma Ottima Anche Per Gli Adulti! Sara Watkins – Under The Pepper Tree

Sara Watkins Under The Pepper Tree

Sara Watkins – Under The Pepper Tree – New West

Sara Watkins più o meno tutti sappiamo chi è: cantante e violinista assai eclettica, fondatrice con il fratello Sean e con Chris Tile dei Nickel Creek, una delle migliori band di country/bluegrass “contemporaneo”, in attività da fine anni ‘80 fino alla prima decade degli anni 2000, con un paio di reunion, nel 2014   e lo scorso anno per un Live At Fox Theater, autoprodotto e di difficilissima reperibilità, con il fratello ed alcuni amici ha dato vita anche al progetto Watkins Family Hour, autori di due deliziosi album https://discoclub.myblog.it/2015/08/28/simpatico-affare-famiglia-amici-watkins-family-hour/ , nel 2018 con le amiche Sarah Jarosz e Aoife O’Donovan ha registrato un eccellente disco sotto il moniker I’m With Her. E in questi anni, a partire dal debutto omonimo del 2009, prodotto da John Paul Jones degli Zeppelin, ha lanciato anche una solida carriera solista https://discoclub.myblog.it/2016/08/10/recuperi-estivi-gruppetto-voci-femminili-1-sara-watkins-young-all-the-wrong-ways/ : nei suoi dischi, oltre a country e bluegrass progressivo, ci sono anche morbidi elementi rock/pop e cantautorali, quindi cosa mancava?

Un bel disco di canzoni per bambini: ed ecco Under The Pepper Tree. Fermi, dove andate! Per bambini cresciuti e adulti a cui piace sognare, perché questo album è veramente piacevole e incantevole: sono nove cover, scelte tra musiche di film famosi, alcuni della Disney, standard della canzone americana, perfino un pezzo dei Beatles, scritto da John Lennon per Ringo, la dolce e sognante Good Night, che chiudeva il White Album, oltre a due brani scritti per l’occasione, il tutto suonato in punta di dita con grande classe da un gruppo di musicisti provetti, a partire dal produttore Tyler Chester, che suona anche una infinità di strumenti nel CD, Alan Hampton al basso e Ted Poor alla batteria, David Garza e Sean Watkins alle chitarre, Chris Thile, mandolino e voce, Rich Hinman alla pedal steel guitar, oltre alle armonie vocali di Aoife O’Donovan, Sarah Jarosz, Taylor Goldsmith (Dawes), Sam Cooper e alla stessa Sara Watkins, che canta, suona violino, chitarra acustica e piano elettrico. Alcuni dei musicisti citati appaiono come I’m With Her in Tumbling Tumbleweeds e come Nickel Creek in Blue Shadows On The Trail. Un disco ideale per placare i nervi provati dal Covid.

 Pure Imagination viene da Willy Wonka, atmosfere celestiali, violino accarezzante, come pure la voce cristallina di Sara che gorgheggia arrangiamenti complessi molto da musical, brano che poi confluisce senza soluzione di continuità in The Second Star To The Right da Peter Pan, poi arriva Blue Shadows On The Trail, il pezzo con i Nickel Creek, un vecchio standard di Roy Rogers, pura cowboy song con il picking splendido dei musicisti e armonizzazioni vocali sublimi. La dolcissima Edelweiss dove la Watkins duetta con la giovanissima figlia fa da preludio a Moon River, con contrabbasso, organo sullo sfondo, una chitarra acustica spagnoleggiante e la voce delicata che intona questa melodia senza tempo; la title track è un breve strumentale per solo violino, delizioso anche l’approccio per una calda When You Wish Upon A Star, altro classico Disney, questa volta da Pinocchio, chitarra elettrica appena accennata che precede l’arrivo dell’arpeggiata acustica in Night Singing, una ninna nanna originale scritta dalla stessa Sara che poi la dedica amorevolmente alla figlia.

La La Lu da Lady And The Tramp (o se preferite Lilly E Il Vagabondo) è un’altra soave canzone senza tempo a cui fa seguito il brano con le I’m With Her Tumbling Tumbleeweeds, voci in armonia, piano, pedal steel e violino per un’altra delizia. Blanket For A Sail sembra un pezzo di Norah Jones, anche per il timbro vocale della Watkins, che viene raggiunta da Goldsmith per questo country/swing jazzato e demodè, con ritmica appena accennata, violino e steel sempre pronti alla bisogna. Beautiful Dreamer è una canzone di Roy Orbison, spogliata dalla voce stentorea dell’autore, pur mantenendo la melodia del pezzo, mentre non poteva mancare una trasognata Stay Awake da Mary Poppins e pure “l’inno del Liverpool” You’ll Never Walk Alone, solo per voce e chitarra acustica, con il violino che entra nel finale, diventa un’altra ninna nanna per grandi e piccini e quando in chiusura un pianoforte diffonde le immortali note di Good Night possiamo andare a dormire sereni cullati dalla voce carezzevole di Sara Watkins.

Progetto inconsueto ma riuscito.

Bruno Conti

Qui Di Americano Non C’è Solo L’Anima. Aaron Watson – American Soul

aaron watson american soul

Aaron Watson – American Soul – Big Label CD

Il caso del countryman texano Aaron Watson andrebbe studiato, in quanto abbastanza incomprensibile dal punto di vista commerciale. Stiamo infatti parlando di un artista attivo da più di vent’anni (ha esordito nel 1999) che non ha mai inciso per una major ma sempre per label indipendenti, con risultati di vendite inizialmente poco significativi come tutti i casi di musicisti che fanno del vero country senza godere di una promozione adeguata e di una distribuzione capillare; poi, all’improvviso, l’album Real Good Time del 2012 si è spinto fino ad entrare nella Top Ten country, ed il successore The Underdog è arrivato addirittura in prima posizione. Da quel momento, ogni suo lavoro non ha mancato l’aggancio con posti di alta classifica, ma mentre un fatto del genere è abbastanza comune per artisti che approdano alle major e si piegano alle logiche commerciali cambiando in peggio il loro sound, nel caso di Watson stiamo parlando di uno che ha continuato a restare indipendente senza modificare di una virgola il tipo di musica proposta.

aaron watson american soul 1

Aaron fa del vero country elettrico e moderno, con le chitarre sempre in primo piano ed un bel senso del ritmo, un approccio sonoro che si mantiene tale anche nelle ballate: in più, è dotato di una buona penna e si circonda di sessionmen che suonano strumenti veri senza affidarsi a diavolerie tecnologiche. Il suo nuovo album American Soul conferma il trend, un riuscito disco di puro country che si lascia ascoltare con piacere dalla prima all’ultima canzone, dura il giusto (poco più di mezz’ora), è ben scritto e ben prodotto (da Watson stesso insieme a Phil O’Donnell), e presenta una serie di musicisti si cimentano con strumenti veri: tante chitarre, steel, violino, basso, batteria e pianoforte, con nomi noti come il fiddler Stuart Duncan e lo steel guitarist Milo Deering (Shawn Colvin, Don Henley, LeAnn Rimes). Il CD parte col piede giusto grazie al rockin’ country di Silverado Saturday Night, un concentrato di ritmo e chitarre dal bel refrain immediato, un brano adatto sia alle radio di settore ma anche perfetto per gli estimatori del vero country https://www.youtube.com/watch?v=7ilDymePPSw . Boots ha il passo lento ma l’accompagnamento è sempre elettrico ed il tasso zuccherino è tenuto ampiamente a bada, Whisper My Name inizia anch’essa come una ballata ma il ritmo non si fa attendere molto, la melodia è piacevole e tutto l’insieme funziona (non per niente è il primo singolo).

aaron watson american sooul 2

Best Friend è uno slow toccante e suonato in maniera impeccabile con violino e pianoforte a fare la loro parte, mentre Long Live Cowboys è rock’n’roll with a country touch, gradevole e texana al punto giusto, così come Stay che è solo un filo più “piaciona” ma ha ritmo e coinvolge. La title track è un’altra country ballad strumentata a dovere e senza mollezze di sorta, con l’ennesimo motivo che piace al primo ascolto https://www.youtube.com/watch?v=IT2swMXI7vU , ed ancora meglio è Out Of My Misery, brano cadenzato tra i più orecchiabili di tutto il disco. Chiusura in crescendo con la rockeggiante Touchdown Town, ancora con le chitarre in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=CHl3Vd3JKso , e con Dog Tags, suggestiva ballatona elettrica che non manca di toccare le giuste corde. Con American Soul Aaron Watson si conferma musicista coerente e credibile, due qualità che, fortunatamente, ogni tanto pagano ancora.

Marco Verdi

L’Erba (Tagliata) Del Vicino E’ Sempre Più…Blu! Sturgill Simpson – Cuttin’ Grass Vol. 2

sturgill simpson cuttin' grass vol. 2

Sturgill Simpson – Cuttin’ Grass Vol. 2 – High Top Mountain/Thirty Tigers CD

A pochi mesi dal primo volume https://discoclub.myblog.it/2021/01/08/meno-male-che-i-dischi-belli-li-sa-ancora-fare-sturgill-simpson-cuttin-grass-vol-1/  (ma per il download era già disponibile da fine 2020) esce il secondo episodio del progetto Cuttin’ Grass, due album nei quali l’ormai noto singer-songwriter Sturgill Simpson reinterpreta una serie di brani del suo songbook in chiave bluegrass. E quando dico bluegrass intendo il termine nella sua accezione più pura e tradizionale, senza la benché minima traccia di contaminazione rock o di altro genere: Sturgill ha scelto canzoni dal suo passato anche remoto (ma non recente: il pessimo Sound & Fury è ignorato anche in questo secondo volume) e le ha totalmente reinventate secondo i canoni della mountain music di settanta e passa anni fa, con una strumentazione totalmente acustica e con la batteria usata col contagocce.

sturgill simpson cuttin' grass vol. 2 1

Cuttin’ Grass Vol. 2 è quindi il logico prosieguo della prima parte, con gli stessi musicisti (Stuart Duncan al violino, Mark Howard e Tim O’Brien alle chitarre, Mike Bub al basso, Sierra Hull al mandolino, Scott Vestal al banjo e Miles Miller alle percussioni, e tutti quanti alle armonie vocali) ma diversa location di registrazione: se infatti il primo episodio era stato inciso ai piccoli Butcher Shoppe Studios di Nashville, per il seguito la combriccola si è spostata ai Cowboy Arms Studios, che erano di proprietà del grande Cowboy Jack Clement e di recente sono stati trasferiti ad un nuovo indirizzo ma sempre a Nashville. L’album, assolutamente gradevole e suonato benissimo così come il precedente, vede Simpson omaggiare soltanto due album della sua discografia, arrotondando il tutto come vedremo a breve con un inedito assoluto e due “quasi”: il disco a cui attinge maggiormente con sei pezzi su dodici è A Sailor’s Guide To Earth del 2016, con canzoni che se originariamente riflettevano il mood soul-pop-errebi di quel lavoro, qui si trasformano in perfette bluegrass songs, tra pezzi suonati a velocità supersonica con assoli a raffica (Call To Armshttps://www.youtube.com/watch?v=P7VYILfhh3w , brani cadenzati tra country e folk (Brace For Impact, la deliziosa Sea Stories, e la vibrante Keep It Between The Lines, dalla struttura melodica contemporanea) e limpide e cristalline ballate dal sapore bucolico (Oh Sarah, dal ritmo comunque sostenuto, e Welcome To Earth (Polliwog), lenta e struggente ma con una notevole accelerata dalla metà in avanti).

sturgill simpson cuttin' grass vol. 2 2

Dal suo primo album, High Top Mountain, Sturgill riprende tre canzoni: le bellissime Hero e You Can Have The Crown https://www.youtube.com/watch?v=gRk4-sIaL7Y , che mantengono la struttura country originale anche se in veste “unplugged”, e Some Days, energica nel ritmo e dal motivo diretto ed immediato. Ci sono anche due pezzi risalenti al periodo dei Sunday Valley, la prima band del nostro che però non ha lasciato testimonianze su disco: Jesus Boogie, che a dispetto del titolo inizia come uno slow decisamente suggestivo, salvo poi crescere nel ritmo dopo un minuto grazie al banjo che dà il via alle danze, e la fulgida country ballad Tennessee https://www.youtube.com/watch?v=bo8DDMFC-9Q . Dulcis in fundo, Simpson propone l’inedita Hobo Cartoon, pezzo scritto insieme nientemeno che a Merle Haggard ma rimasto nei cassetti fino ad oggi, una splendida ed intensa ballata western che ha in ogni nota della toccante melodia i cromosomi del grande Hag https://www.youtube.com/watch?v=85c9-9UBazo . Un ottimo modo per concludere un secondo volume allo stesso livello del primo, e che ci fa sperare ancora di più che Sound & Fury sia stato soltanto un brutto incidente di percorso.

Marco Verdi

Tutti Bravi Ma…La Voce Dov’è? Dale Watson – Presents: The Memphians

dale watson presents the memphians

Dale Watson – Presents: The Memphians – BFD CD

Dale Watson, prolifico countryman nativo dell’Alabama ma texano d’adozione, è fermo discograficamente a Call Me Lucky del 2019, ma non è che nel frattempo se ne sia stato con le mani in mano. Al contrario, ha apportato alla sua vita un paio di cambiamenti piuttosto importanti: si è trasferito da Austin a Memphis (dove ha aperto anche un ristorante, Hernando’s Hideaway, ed uno studio di registrazione) e si è sposato con la singer-songwriter Celine Lee. Ma il passaggio a Memphis ha portato in Dale anche un mutamento dal punto di vista musicale, in quanto il suo nuovo lavoro The Memphians è in tutto e per tutto un tributo alla sua nuova città ed alle origini del rock’n’roll, un album in cui il nostro mostra influenze alternative a quelle dei suoi “honky-tonk heroes”: Elvis Presley, Carl Perkins, i dischi della Sun Records e, essendo Dale anche un valido chitarrista, gente come Scotty Moore, Hank Marvin, Duane Eddy e lo stesso Perkins. The Memphians è quindi un disco molto meno country del solito, ma che presenta un range sonoro che va dal rock’n’roll allo swing, dal rockabilly alla ballata anni 50 e che, soprattutto, non ci fa sentire la bella voce baritonale di Watson in quanto è un lavoro al 100% strumentale.

dale watson presents the memphians 1

A dire il vero quando ho letto questa notizia ho storto un po’ il naso, nello stesso modo in cui l’avevo storto nel 1999 (facendo le debite proporzioni tra i due artisti) quando Willie Nelson aveva pubblicato lo strumentale Night And Day: ad ascolto ultimato però devo ammettere che The Memphians risulta essere un dischetto godibile e ben fatto, che regala all’ascoltatore mezz’oretta indubbiamente piacevole, anche se io al Dale Watson cantante non rinuncerei mai. C’è anche un po’ di Italia, in quanto il secondo chitarrista (e co-autore con Watson di quattro pezzi, mentre gli altri sono del solo Dale) è il catanese trapiantato a Memphis Mario Monterosso, affiancato dalla sezione ritmica di Carl Caspersen al basso e Danny Banks alla batteria, e soprattutto dal bravissimo pianista T. Jarrod Bonta, collaboratore di lungo corso del leader, e dall’ottimo sassofonista Jim Spake. L’iniziale Agent Elvis è un chiaro omaggio a Duane Eddy, un pezzo cadenzato con chitarrone twang in evidenza ed il sax che si prende il suo spazio mentre in sottofondo la band accompagna con discrezione guidata dal pianoforte spazzolato da Bonta https://www.youtube.com/watch?v=5YMhC-Clr0k . Dalynn Grace, languida ballata d’altri tempi che fa venire in mente gli episodi più melodici di Elvis (ma la voce, come ho già detto, non c’è), con una chitarra vagamente hawaiana ed un ritmo da bossa nova https://www.youtube.com/watch?v=xX4jZ04UL38 , si contrappone alla spedita Alone Ranger, brano di stampo quasi western che riprende il sound degli Shadows, con sax ed organo che si ritagliano entrambi una parte da solisti https://www.youtube.com/watch?v=Xy81bQmz16s .

dale watson presents the memphians 2

Standin’ In Line è una gradevolissima canzone ritmata e ricca di swing, tra country e rockabilly con una spruzzata di jazz, Serene Lee riporta il CD su languide atmosfere da ballo della mattonella (mi aspetto di sentire arrivare Chris Isaak da un momento all’altro), Deep Eddy è un altro suggestivo pezzo che profuma di Shadows lontano un miglio, con un approccio raffinato ed una delle migliori performance chitarristiche del disco. Hernando’s Swang è ispirata al locale aperto da Dale a Memphis, ed è un coinvolgente brano a tutto swing con i soliti eccellenti spunti di piano e sax https://www.youtube.com/watch?v=JR3X_JYyXSM , Mi Scusi (avete letto bene) è puro rock’n’roll dal ritmo decisamente sostenuto https://www.youtube.com/watch?v=pKWrs3G_DpE , mentre 2020 riavvicina il nostro al country con una veloce canzone influenzata da Chet Atkins, e la conclusiva Remembering Gary vede Dale lasciarci con uno slow suadente e dall’aria nostalgica. Dopo anni di ottimo honky-tonk texano ci sta che Dale Watson possa cambiare genere, ma la scelta di non usare la voce ha reso The Memphians niente più di un piacevole divertissement.

Marco Verdi

Una Bella Sorpresa, Non Più Solo Per Pochi Intimi! Drift Mouth – Loveridge Is Burning

drift mouth loveridge is burning

Drift Mouth – Loveridge Is Burning – Wild Frontier CD

A volte le belle cose hanno origine quasi per caso. I Drift Mouth sono una creatura nata nel 2006 per iniziativa di Lou Poster, songwriter, cantante e chitarrista di Columbus, Ohio, che formò un gruppo con altri musicisti per registrare un album “privato” da regalare al padre che era andato in pensione dopo 37 anni passati a lavorare nelle miniere della West Virginia. Negli anni Poster ha tenuto vivo il gruppo con diversi cambiamenti al suo interno, ma solo nel 2016 a iniziato ad incidere in maniera professionale: prima un singolo, poi nel 2018 il primo album (Little Patch Of Sky) ed ora il secondo lavoro Loveridge Is Burning, che però è il primo ad avere una distribuzione più estesa. Dopo averlo ascoltato, posso affermare che Poster ha fatto bene a riprendere in mano il gruppo con continuità, in quanto ci troviamo di fronte a un ottimo lavoro di puro rock americano, una musica elettrica e chitarristica con elementi country e folk, suonata con grande energia dalla band e cantata da Lou con una bella voce profonda (ricorda vagamente quella di Chris LeDoux, che però era più country).

drift mouth loveridge is burning 1

Poster si rivela essere un autore di notevole spessore, e le canzoni vengono fuori benissimo grazie anche all’essenzialità del suono: infatti dopo tutti i cambiamenti i Drift Mouth sono ora un classico trio chitarra-basso-batteria, con la sezione ritmica nelle mani di Jess Kauffman (la cui seconda voce è una costante in tutto il disco) e David Murphy, mentre gli interventi esterni si limitano all’organo in un brano ed al violino in un altro. Un album di puro rock’n’roll quindi, prodotto dallo stesso Poster in maniera asciutta e diretta, che inizia ottimamente con Dare D’Evel & The Snake River Canyon, splendida canzone folk-rock elettrica dal ritmo cadenzato e melodia di prim’ordine, impreziosita dalle armonie vocali della Kauffman e da un refrain da applausi https://www.youtube.com/watch?v=Ib23oPqjDQM . The Ghost Of Paul Weaver è il rifacimento del singolo del 2016, un vibrante country & western con la chitarra in primo piano ed un approccio decisamente rock e ricco di pathos https://www.youtube.com/watch?v=GnLETTPf5EU ; ottima anche Iris, solida rock ballad sferzata dal vento che rimanda a LeDoux oltre che per la voce anche per il mood sonoro https://www.youtube.com/watch?v=0vxYb6qHZd8 .

drift mouth loveridge is burning 2

La title track è la prima delle canzoni scritte da Lou nel 2006 per il padre, una rock song di stampo classico con l’aggiunta di un organo sullo sfondo, un motivo rilassato ed il solito gran lavoro chitarristico, mentre Lifeguard e Tennessee Highway sono due deliziose ballate elettroacustiche alle quali serve poco per emozionare, bastano una bella melodia https://www.youtube.com/watch?v=RoDx9rsNavA , strumenti dosati al punto giusto ed una bella dose di feeling. The Book Of Allison è puro rock’n’roll, sanguigno e trascinante https://www.youtube.com/watch?v=7bCn8cVwH2s , ed ancora più aggressiva è Chase After Me Sheriff, un pezzo tra punk-rock e Link Wray, ritmo alto e chitarra più in tiro che mai; Myra ha un motivo classico di stampo quasi tradizionale (ricorda vagamente The Long Black Veil) che si contrappone ad una base strumentale elettrica e moderna, e prelude alla conclusiva Bad Song, acustica, intensa ed arricchita da un malinconico violino. I Drift Mouth, anche se nati per gioco (anzi, per un regalo) sono una bella realtà.

Marco Verdi

Dopo Willie Nelson, Ecco Una “Giovane Promessa” Al Femminile! Loretta Lynn – Still Woman Enough

loretta lynn still woman enough

Loretta Lynn – Still Woman Enough – Legacy/Sony CD

Se Willie Nelson a quasi 88 anni pubblica ancora grande musica con sorprendente regolarità, lo stesso si può dire di quella che può essere definita la sua controparte femminile, cioè la leggendaria Loretta Lynn, che di anni ne sta per compiere 89 (sia lei che Willie sono nati ad aprile). Tornata ad ottimi livelli, anche di vendite, nel 2004 con Van Lear Rose (prodotto da Jack White), la Lynn si è poi presa una lunga vacanza per ritornare più agguerrita che mai nel 2016 con l’altrettanto riuscito Full Circle, il primo di cinque album pianificati con la produzione di John Carter Cash, figlio del grande Johnny Cash. Dopo il natalizio White Christmas Blue ed il sempre valido Wouldn’t It Be Great del 2018 https://discoclub.myblog.it/2018/10/07/appendere-la-chitarra-al-chiodo-magari-tra-dieci-anni-loretta-lynn-wouldnt-it-be-great/ , ora Loretta torna tra noi con un altro bellissimo lavoro intitolato Still Woman Enough (stesso titolo della sua autobiografia pubblicata nel 2002), sotto la supervisione della figlia Patsy Lynn Russell e del solito Cash Jr. Still Woman Enough non sposta di una virgola il suono e lo stile della Lynn (ma a quasi novant’anni mi stupirei del contrario), country che più classico non si può, cantato alla grande con un timbro vocale decisamente giovanile (anche Nelson, tanto per continuare col parallelo, ha ancora una grande voce, ma dimostra tutti i suoi 87 anni) e suonato con classe immensa da un manipolo di luminari di Nashville.

loretta lynn still woman enough.jpg 1

Un gruppo folto di musicisti con al loro interno nomi notissimi come Paul Franklin alla steel, Ronnie McCoury al mandolino, Shawn Camp e Randy Scruggs alle chitarre, Dennis Croutch e Dave Roe al basso, Matt Combs al violino e, come vedremo tra poco, una manciata di famose colleghe di Loretta a duettare con lei. Puro country, di piacevolissimo ascolto e che una volta di più ci mostra un’artista che, nonostante l’età e la splendida carriera ricca di successi, non ha ancora perso la voglia di fare musica. L’album, tredici canzoni, è diviso a metà tra rifacimenti di brani già interpretati in passato ed altri affrontati per la prima volta: l’unico pezzo veramente nuovo è la title track che apre il CD (scritta da Loretta insieme alla figlia), un country-rock elettrico e sorprendentemente grintoso specie per un’ottuagenaria: gran voce, ritmo cadenzato, un bel mix di chitarre acustiche, elettriche e dobro con la ciliegina della presenza di Reba McEntire e Carrie Underwood ad alternare e sovrapporre le loro ugole a quella di Loretta https://www.youtube.com/watch?v=BB5FHS3eJ_c . I brani “nuovi” proseguono con due omaggi alla Carter Family, una deliziosa e cristallina ripresa della popolare Keep On The Sunny Side in puro stile bluegrass (grande canzone e grandissima voce, una cover da brividi) ed una limpida I’ll Be All Smiles Tonight, dal motivo ammaliante e gustoso accompagnamento per sole chitarre, mandolino ed autoharp.

loretta lynn still woman enough.jpg 2

Chiudono il lotto dei pezzi mai incisi prima dalla Lynn due riprese di altrettanti traditionals: la solare I Don’t Feel At Home Anymore, ancora dal sapore bluegrass tra dobro, chitarra e mandolino, e la nota Old Kentucky Home (di Stephen Foster, quello di Oh, Susanna! e Hard Times Come Again No More), con quattro strumenti in croce e la voce inimitabile di Loretta per un altro esempio di eccellente country d’altri tempi, oltre ad una trascinante e ritmata rilettura dell’evergreen di Hank Williams I Saw The Light, tra country e gospel, suonata in modo eccelso. E veniamo alle riproposizioni di brani già pubblicati in passato, a partire dall’incantevole Honky Tonk Girl, luccicante esempio, indovinate, di honky-tonk classico suonato in maniera sopraffina (splendidi il pianoforte e la steel), seguita da una versione particolare di Coal Miner’s Daughter, la signature song di Loretta, che non canta ma si limita a recitare il testo in maniera indubbiamente suggestiva, accompagnata solo da un banjo. One’s On The Way è uno splendido honky-tonk elettrico (l’autore è il grande Shel Silverstein) con ben cinque chitarre più la steel e la seconda voce di Margo Price, due ugole strepitose al servizio di una melodia di prim’ordine https://www.youtube.com/watch?v=tmH95_a2Vtk .

loretta lynn - margo price

loretta lynn – margo price

I Wanna Be Free è un country-rock mosso ed orecchiabile, cantato come al solito in modo scintillante, mentre Where No One Stands Alone è un antico gospel di Lister Mosie che Loretta trasforma in una superba country ballad pianistica decisamente toccante al tempo di valzer lento (ma sentite come canta!). Chiudono il CD, forse il migliore tra quelli registrati negli studi del figlio di Cash, la dolce ed emozionante My Love e la guizzante You Ain’t Woman Enough, altra strepitosa honky-tonk song in cui la Loretta divide il microfono con un’altra “ragazzina”, Tanya Tucker https://www.youtube.com/watch?v=8LKJRJYPTZc . Non posso che augurare a Loretta Lynn una vita ancora lunga e piena di salute, in modo da poter godere nell’immediato futuro di altri dischi del livello di Still Woman Enough. 

Marco Verdi

Un Ritorno A Sorpresa Ma Molto Gradito, Ora Anche In CD. Gillian Welch & David Rawlings – All The Good Times

gillian welch & david rawlings all the good times are past & gone

Gillian Welch & David Rawlings – All The Good Times – Acony/Warner CD

Lo scorso 10 luglio Gillian Welch ha messo online senza alcun preavviso All The Good Times, un intero album registrato con il partner sia musicale che di vita David Rawlings (ed è la prima volta che un lavoro viene accreditato alla coppia) rendendolo inizialmente disponibile solo come download, ma ora possiamo a tutti gli effetti parlare di “disco” in quanto è stato finalmente pubblicato anche su CD. Il fatto in sé è un piccolo evento in quanto Gillian mancava dal mercato discografico addirittura dal 2011, anno in cui uscì lo splendido The Harrow & The Harvest, ultimo lavoro con brani originali dato che Boots No. 1 del 2016 era una collezione di outtakes, demo ed inediti inerenti al suo disco di debutto Revival uscito vent’anni prima (anche se comunque la Welch è una delle colonne portanti del gruppo del compagno, la David Rawlings Machine, più attiva in anni recenti). Il dubbio che Gillian soffrisse del più classico caso di blocco dello scrittore mi era venuto, e questo All The Good Times non contribuisce certo a chiarire le cose dato che si tratta di un album di cover, dieci canzoni prese sia dalla tradizione che dal songbook di alcuni grandi cantautori, oltre a qualche brano poco noto.

gillian welch & david rawlings all the good times are past & gone 1

A parte queste considerazioni sulla mancanza di pezzi nuovi scritti dalla folksinger, devo dire che questo nuovo album è davvero bello, in quanto i nostri affrontano i brani scelti non in maniera scolastica e didascalica ma con la profondità interpretativa ed il feeling che li ha sempre contraddistinti, e ci regalano una quarantina di minuti di folk nella più pura accezione del termine, con elementi country e bluegrass a rendere il piatto più appetitoso. D’altronde non è facile proporre un intero disco con il solo ausilio di voci e chitarre acustiche senza annoiare neanche per un attimo, ma Gillian e David riescono brillantemente nel compito riuscendo anche ad emozionare in più di un’occasione, e se ne sono accorti anche ai recenti Grammy in quanto All The Good Times è stato premiato come miglior disco folk del 2020. Un cover album in cui sono coinvolti i due non può certo prescindere dai brani della tradizione, ed in questo lavoro ne troviamo tre: la deliziosa Fly Around My Pretty Little Miss (era nel repertorio di Bill Monroe), con Gillian che canta nel più classico stile bluegrass d’altri tempi ed i due che danno vita ad un eccellente guitar pickin’, l’antica murder ballad Poor Ellen Smith (Ralph Stanley, The Kingston Trio e più di recente Neko Case), tutta giocata sulle voci della coppia e con le chitarre suonate in punta di dita https://www.youtube.com/watch?v=knr3G8HLITw , e la nota All The Good Times Are Past And Gone, con i nostri che si spostano su territori country pur mantenendo l’impianto folk ed un’interpretazione che richiama il suono della mountain music più pura https://www.youtube.com/watch?v=CcHo_BtAO0o .

gillian welch & david rawlings all the good times are past & gone 2

Non è un traditional nel vero senso della parola ma in fin dei conti è come se lo fosse il classico di Elizabeth Cotten Oh Babe It Ain’t No Lie (rifatta più volte da Jerry Garcia sia da solo che con i Grateful Dead), folk-blues al suo meglio con la Welch voce solita e Rawlings alle armonie, versione pura e cristallina sia nelle parti cantate che in quelle chitarristiche. Lo stile vocale di Rawling è stato più volte paragonato a quello di Bob Dylan, ed ecco che David omaggia il grande cantautore con ben due pezzi: una rilettura lenta e drammatica di Senor, una delle canzoni più belle di Bob, con i nostri che mantengono l’atmosfera misteriosa e quasi western dell’originale pur con l’uso parco della strumentazione https://www.youtube.com/watch?v=W2j_P_m7_sM , e la non molto famosa ma bellissima Abandoned Love, che in origine era impreziosita dal violino di Scarlet Rivera ma anche qui si conferma una gemma nascosta del songbook dylaniano. Ginseng Sullivan è un pezzo poco noto di Norman Blake, una bella folk song che Gillian ripropone con voce limpida ed un’interpretazione profonda e ricca di pathos https://www.youtube.com/watch?v=Ay3gdEQlV70 , mentre Jackson è molto diversa da quella di Johnny Cash e June Carter, meno country e più attendista ma non per questo meno interessante https://www.youtube.com/watch?v=HYt4rRgx5OU ; l’album si chiude con Y’all Come, una country song scritta nel 1953 da Arlie Duff e caratterizzata dal botta e risposta vocale tra i due protagonisti, un pezzo coinvolgente nonostante la veste sonora ridotta all’osso. Ho lasciato volutamente per ultima la traccia numero quattro del CD in quanto è forse il brano centrale del progetto, un toccante omaggio a John Prine con una struggente versione della splendida Hello In There, canzone scelta non a caso dato che parla della solitudine delle persone anziane, cioè le più colpite dalla recente pandemia (incluso lo stesso Prine) https://www.youtube.com/watch?v=hVKMw0owfEI .

gillian welch & david rawlings all the good times are past & gone 3

Nell’attesa di un nuovo album di inediti di Gillian Welch, questo All The Good Times è dunque un antipasto graditissimo, che ora possiamo goderci anche su CD.

Marco Verdi

Uno Straordinario Viaggio Musicale Nel Tempo. Tony Trischka – Shall We Hope

tony trischka shall we hope

Tony Trischka – Shall We Hope – Shefa

Annunciato da tempo, ecco finalmente il CD di Shall We Hope un progetto al quale Tony Trischka stava lavorando da più di 12 anni: quello che comunemente si definisce un concept album, incentrato sulle vicende della Civil War americana di due secoli fa, per il quale lo stesso Trischka ha composto, musica e parole, un ciclo di brani che, partendo dalla battaglia di Gettysburg del luglio 1863, e andando avanti e indietro nel tempo, per esempio la foto di un ritrovo di veterani in occasione del 75° Anniversario dell’avvenimento nello studio del presidente Franklin Delano Roosevelt nel 1938, in una sorta di fiction storica di fantasia ricostruisce le traversie di alcuni personaggi che avrebbero potuto partecipare a quelle vicende. Il nostro amico ha poi coinvolto diversi musicisti e attori per interpretare i personaggi di questo acquarello, utilizzando gli stilemi sonori del bluegrass, del country, della old time music, del gospel, in definitiva della musica popolare americana, anche del blues e qualche elemento orchestrale, per questo progetto che ha subito un drammatica accelerazione dopo gli eventi a Capitol Hill, in quel di Washington, dell’inizio di gennaio del 2021, che si sono intrecciati proprio con le tematiche della Guerra Civile.

tony trischka shall we hope 1

Trischka, molto succintamente, è una sorta di leggenda del bluegrass americano, una carriera che discograficamente inizia 50 anni fa quando Tony pubblica il primo disco con i Country Cooking, ma già in precedenza era considerato uno dei banjoisti più influenti delle nuove generazioni con i Down City Ramblers, tra gli eredi dei nomi storici del bluegrass, influenzato dai grandi dello strumento, da Earl Scruggs in giù, ma soprattutto dal Kingston Trio e a sua volta una influenza su Bela Fleck, con compagni di avventura come Richard Greene, David Grisman, Kenny Kosek, Andy Statman e via dicendo. Il nostro amico è stato molto prolifico negli anni ‘70, ‘80 e ‘90, e nella prima decade degli anni 2000, poi ha rallentato l’attività, ma ha comunque realizzato, sempre per la Rounder, sua etichetta storica, un album come Great Big World nel 2014, ricco di ospiti e tra i migliori della decade scorsa, mentre già lavorava a questo nuovo progetto, dove, come detto, ha coinvolto molti “amici”. Il risultato è un disco dove il bluegrass non è forse preminente come uno potrebbe pensare, benché il banjo di Trischka sia abbastanza presente nei brani che attraverso diversi intrecci, raccontano le storie di amore, morte, guerra, dissidi, schiavismo, che portano alla battaglia di Gettysburg, raffigurata nella copertina dell’album.

michael daves

michael daves

Con i protagonisti che si alternano al proscenio nei 18 brani, attraverso le figure dei vari artisti che li impersonano, con una scelta di stili musicali impiegati quantomai eclettica: nel breve preludio Clouds Of War, tra rumori di battaglia, l’attore John Lithgow recita alcuni versi con una orchestra sullo sfondo, il primo brano, This Favored Land, ambientato nel cimitero di Gettysburg nel 1938, con il banjo protagonista, assieme a mandolino e violino, con Phoebe Hunt che è la voce solista nella canzone, saltando altri interludi ricorrenti nella narrazione https://www.youtube.com/watch?v=Jvm70KIqYds , On The Mississippi (Gambler’s Song), una mossa ed intricata bluegrass tune che ci introduce al personaggio di Cyrus, un soldato, la cui storia d’amore con Maura è il trait d’union della vicenda, interpretato dall’ottimo Michael Daves, voce squillante e chitarra, uno dei musicisti più interessanti della nuova scena acustica americana https://www.youtube.com/watch?v=k5DHQlqUdUg , Maura, manco a farlo apposta è interpretata dalla bravissima Maura O’Connell, irlandese, ma da anni trasferita a Nashville, che purtroppo nel 2013 ha annunciato il suo ritiro dalla carriera solista, ma che ogni tanto ci regala la sua splendida voce, come nella superba ed evocativa ballata Carry Me Over The Sea dove il bluegrass si intreccia con la musica celtica https://www.youtube.com/watch?v=lZcC0w5Za4E .

maura o'connell

maura o’connell

La successiva The General, cantata ancora da Daves, racconta la storia della famosa locomotiva impiegata durante la guerra, altro limpido esempio del bluegrass complesso impiegato nell’album https://www.youtube.com/watch?v=SgsHrY80lS0 , I Know Moon-Rise, cantata dalla brava Catherine Russell, è un gospel a cappella con coro, che narra la sepoltura di una schiava morta durante il conflitto e il cui corpo torna in Africa https://www.youtube.com/watch?v=GOYSSisH27I . Leaving This Lonesome Land è cantata con pathos dal grande bluesman Guy Davis, anche all’armonica https://www.youtube.com/watch?v=QcFfW52gddQ , che poi legge la lettera all’amata inviata da John Boston, uno schiavo scampato alla guerra, ma non si è mai saputo se riuscì a ricongiungersi con la moglie, mentre Gotta Get Myself Right Back To You conclude il segmento di brani cantati da Davis. A seguire troviamo Big Round Top March/Drummer Boys un brano fiatistico ed eccentrico scritto da Van Dyke Parks, e dedicato ai tamburini impiegati nel conflitto, con la seconda parte, quella che annuncia l’arrivo della battaglia cantata da Brian O’Donovan, il papà di Aoife, e sembra quasi un pezzo dei Pogues https://www.youtube.com/watch?v=c_20ALj5N2I .

tony trischka shall we hope 2

Torna Daves per Christmas Cheer (This Weary Year), una deliziosa ballata folk, sempre con violino, mandolino e il banjo guizzante di Trischka https://www.youtube.com/watch?v=XYn0zQddryo , e poi si unisce a Maura O’Connell nella bellissima e struggente Dearest Friend And Only Lover che racconta l’incontro dei due amanti, brano orchestrale accompagnato da una sezione archi https://www.youtube.com/watch?v=1zQT_p6PAQc , e ancora la breve Soldier’s Song cantata a cappella dai Violent Femmes, un altro breve interludio narrato da Lithgow relativo a John Boston, e infine i due brani che concludono la vicenda, entrambi cantanti da Michael Davis, la sospesa e sognante Clouds Still Drift Across The Sky, ricca di archi e la mossa Captain, Oh My Captain, ancora dai chiari contorni sonori bluegrass ,con il banjo di Tony in evidenza e anche gli ottimi Dominick Leslie al mandolino e Brittany Haas al violino, eccellenti in tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=bCh0hxQygqk , che termina con il postludio F.D.R, In Gettysburg, 1938, che è il discorso di Roosevelt letto da John Litghow. Veramente un disco mirabile realizzato in modo perfetto.

Bruno Conti

Meno Male Che Il Country E’ Un’Altra Roba! The Reklaws – Sophomore Slump

reklaws sophomore slump

The Reklaws – Sophomore Slump – Universal Canada CD

I Reklaws sono un duo vocale formato dai fratelli Stuart e Jenna Walker (Reklaw è Walker letto al contrario), che ancora prima di pubblicare il secondo disco hanno già acquisito una certa popolarità in patria. Canadesi dell’Ontario, i due hanno esordito nel 2019 con Freshman Year, un album inciso a Nashville con musicisti locali e pubblicato dal distaccamento canadese della Universal: personalmente ho sempre qualche sospetto quando un gruppo o un solista “saltano” la gavetta e si mettono nelle mani di una major cominciando a vendere bene fin da subito, e purtroppo l’ascolto di Sophomore Slump, secondo lavoro dei fratelli Walker, ha confermato le mie paure. Siamo infatti di fronte ad un album che è country solo nelle intenzioni (e forse neppure in quelle), dal momento che le dodici canzoni contenute sono l’espressione del peggior pop usa e getta made in Nashville, una musica radiofonica con i suoni calibrati al millimetro, melodie un po’ fasulle e zero feeling.

reklaws sophomore slump.jpg 1

Prodotto come il precedente da Todd Clark, Sophomore Slump ha tutte le carte in regola per superare il successo del suo predecessore, ma il suo pubblico di riferimento non sono gli appassionati che ascoltano veramente la musica, bensì tutti quelli dal palato non troppo fine che si limitano ad un download distratto e per i quali il massimo della musica sono i talent show. Canzoni come l’iniziale Not Gonna Not, un pezzo elettrico dal refrain orecchiabile dove però tutto è studiato a tavolino https://www.youtube.com/watch?v=Qh_qwavQfyU , il pop senza sostanza di Got Me Missing, che non lascia nulla una volta terminato l’ascolto, o You Problem, brano qualunque che affonda in un marasma di suoni elettronici da mani nei capelli (country? Ma per favore…) https://www.youtube.com/watch?v=R94K3W13Jb4 .

The-Reklaws-Friends-Dont-Let-Friends-Tour-Alone-at-Torontos-Budweiser-Stage-shot-by-Trish-Cassling-for-thereviewsarein-8285

Questo non è un disco di quelli che si raddrizza man mano che si prosegue, anzi può solo peggiorare, e ciò viene confermato da I’m Down, che poteva essere una buona ballata se si fosse limitata al binomio voce-piano ma poi purtroppo arrivano i soliti suoni plastificati ed il tutto perde di intensità https://www.youtube.com/watch?v=7dotWBb4ZPQ , da So Crazy It Just Might Work, dalla melodia qualunque, e da Your Side Of A Broken Heart, che non sa di niente (ed è meglio stendere un velo pietoso sull’arrangiamento). Gli ultimi quattro brani (Where I’m From, Beer Can, Godspeed e la ridicola Karma, che sembra la sigla di un cartone animato) non aumentano di certo il livello già traballante del disco, e neppure ci riesce la versione acustica di Where I’m From inserita alla fine come bonus, dal momento che non è solo un problema di sonorità ma anche di scrittura. In poche parole, un CD da evitare.

Marco Verdi

Breve Ma Intenso! Thom Chacon – Marigolds And Ghosts

thom chacon marigolds and ghosts

Thom Chacon – Marigold And Ghosts – Pie Records/Ird

Si avvicina la stagione delle calendule, e i fantasmi, anche quelli del passato, sono sempre di moda, quindi, forse un po’ a sorpresa, ma non troppo, esce il nuovo album di Tom Chacon, (ho scoperto omonimo di un calciatore uruguiano) appunto Marigolds And Ghosts: un disco da classico folksinger e songwiter quale è il nostro amico di Boulder, Colorado, ma nativo del Sud California, zona geografica che spesso e volentieri è protagonista delle sua canzoni, e dove è stato registrato il nuovo album, il quinto, compreso un raro live ad inizio carriera. Si dice nel titolo di un disco breve, ma intenso, nove canzoni per 27 minuti, un po’ come certi vecchi dischi di uno dei suoi eroi musicali, ovvero Bob Dylan, con il quale Thom ambirebbe a collaborare, e dal quale è sicuramente influenzato, oltre ad averne preso a prestito il bassista, Tony Garnier, impegnato al contrabbasso per l’occasione.

thom chacon marigolds and ghosts 3

Chacon, voce calda, profonda, ma anche rauca e vissuta, come detto poc’anzi, intensa, predilige la forma della ballata per i suoi brani: nel disco precedente, l’ottimo Blood In The Usa, c’era anche l’impiego della batteria, di un organo, Garnier pure al basso elettrico, il produttore è rimasto lo stesso anche nel CD attuale, ovvero Perry Margouleff, che firma pure un paio di brani con Thom, e ha deciso di optare per un suono più minimale, scarno, ridotto all’osso, una voce e una chitarra acustica, qualche molto occasionale sbuffo di armonica e la scansione ritmica del contrabbasso. Ma la musica arriva comunque, forte e chiara, grazie all’espressività di quella voce, sempre partecipe ed appassionata: la title track, solo con acustica arpeggiata e contrabbasso, racconta la storia del processo di disintossicazione di un amico di Chacon, durante la detenzione in prigione  https://www.youtube.com/watch?v=YLuoUDnNGWk, mentre la placida Monsoon Rain ci racconta la sua visione della vita in Colorado, terra di laghi e foreste, dove la vita scorre seguendo i ritmi della natura, Church Of The Great Outdoors, scritta con Margouleff, è una ennesima ballata dolente, tipica del suo repertorio, e racconta nuovamente dell’amore per la naura, visto attraverso gli occhi della madre.

thom chacon marigolds and ghosts 2

Florence John, con il dobro di Tyler Nuffer a fare da contrappunto è più ampia ed avvolgente, sempre con quell’immancabile aura tra folk e country quasi arcano che vive nella musica del nostro amico, che ovviamente non dimentica il suo impegno politico e sociale nella splendida Borderland, dedicata alle storie dei migranti sulla frontiera tra Stati Uniti e Messico, rispondendo per certi versi alla chiamata di Neil Young di non dimenticare questo problema, che si spera migliorerà, con l’avvento della amministrazione Biden, dopo gli anni sciagurati di Trump. Sorrow racconta nuovamente, in modo più personale, della vita dei suoi genitori, una canzone affettuosa che racconta storie di fede religiosa e dell’impatto che hanno avuto anche nella vicenda di Thom; A Better Life riprende il tema degli immigranti, con qualche piccolo accenno di speranza in una vicenda comunque sempre buia e tempestosa, con la musica che scorre fluida a sottolineare le parole, nel classico mood del perfetto songwriter, tratto che avvicina la sua musica a quella di Mary Gauthier, altra collega che Chacon ammira molto.

thom chacon marigolds and ghosts 1

Kenneth Avenue, di nuovo firmata con Margouleff, è una riflessione anche amara, ma appassionata sui suoi anni giovanili, della separazione dei suoi genitori, che a dispetto della loro fede cristiana, comunque divorziarono quando il nostro amico aveva 18 anni , segnandone forse la visione della vita. Per l’ultimo brano, la malinconica ed elegiaca Angel Eyes, fa la sua apparizione anche l’armonica che con poche note decise e vibranti arricchisce il tessuto sonoro di una canzone che penso probabilmente piacerebbe allo Springsteen più folk ed intimista e chiude in modo degno questo album profondo e personale.

Bruno Conti