Il “Solito” Disco Di Ted Horowitz. Popa Chubby – It’s A Mighty Hard Road

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Popa Chubby – It’s A Mighty Hard Road – Popa Chubby Productions/Dixiefrog

Avevamo lasciato il nostro amico Ted Horowitz, alias Popa Chubby, alle prese con una antologia Prime Cuts: The Very Best Of The Beast From The East, che pescava dal meglio degli album della sua produzione precedente, quasi 30 anni tra alti e bassi, ma che aggiungeva anche un secondo CD di materiale inedito https://discoclub.myblog.it/2018/09/21/tutto-popa-e-niente-grasso-superfluo-si-fa-per-dire-popa-chubby-prime-cuts-the-very-best-of-the-beast-from-the-east/ . Quel disco per certi versi aveva anche sancito la fine della sua collaborazione con la earMusic, per quanto bisogna dire che comunque questo vale solo per il mercato europeo, negli Stati Uniti il tutto esce sempre per la propria etichetta PCP Popa Chubby Productions: così avviene anche per il nuovo It’s A Mighty Hard Road che in Europa verrà distribuito dalla Dixiefrog, un ritorno quindi all’etichetta che gli ha dato le migliori soddisfazioni e anche il titolo del Post è abbastanza simile ad un altro che avevo già usato nel recente passato https://discoclub.myblog.it/2016/11/19/il-solito-popa-chubby-the-catfish/.

A marzo Horowitz taglia il traguardo dei 60 anni e il veterano newyorchese festeggia l’evento con un buon album. Quindici canzoni dove il nostro, accompagnato come sempre dal fedele Dave Keyes a piano e organo, dal batterista Steve Halley nei primi quattro brani, che si alterna con Dan Castagna e con lo stesso Popa in parecchie tracce, che si occupa anche del basso quando non sono disponibili Brett Bass (?) e V.D. King. Tredici pezzi portano la firma di Horowitz, che aggiunge anche due cover finali, la classica I’d Rather Be Blind del terzetto Leon Russell/Don Nix/Donald Dunn, nonché una inconsueta Kiss di Prince. Come dicevo poc’anzi il disco, registrato quasi interamente ai Chubbyland Studios di New York, a parte le prime quattro tracce, presenta un Popa piuttosto motivato, come certifica subito l’iniziale The Flavor Is In The Fat, ovvero “Il Sapore E’ Nella Ciccia”, che è quasi una dichiarazione di intenti, uno dei suoi classici e robusti brani, dove Ted canta con vibrante impeto e la chitarra è pungente e subito libera di improvvisare con gusto, con le tastiere di Keyes e la ritmica a seguirlo come un sol uomo. Anche il rock-blues della potente title track ci presenta il vecchio Popa, quello dei giorni migliori; Buyer Beware, sui rischi di comprare una chitarra di seconda mano, è un divertente e movimentato shuffle che illustra ancora una volta l’approccio ruspante del nostro amico alle 12 battute, con tanto di citazione per l’amato Jimi Hendrix.

Ottima anche la flessuosa It Ain’t Nothin’ con un eccellente lavoro alla slide, molto piacevole anche la hard ballad Let Love Free The Way con una bella linea melodica e un lirico lavoro della solista, mentre la riffata If You’re Looking For Trouble illustra il suo lato più hard-rock, con risultati comunque apprezzabili e The Best Is Yet To Come è una deliziosa “soul ballad” che traccia, con una punta di ottimismo e speranza, la situazione sociale dell’America di Trump. Il titolo dell’album già esisteva, ma la canzone I’m The Beast From The East mancava all’appello, e quindi il buon Popa rimedia subito con un solido blues che coniuga lo stile “orientale” di NY con le classiche 12 battute di Chicago, in cui Chubby esprime il meglio del suo stile chitarristico. Non manca un rilassato brano strumentale Gordito, che ha profumi latini mescolati al blues del non dimenticato Peter Green, con Enough Is Enough che bacchetta ancora le tendenze “naziste” di Trump a tempo di funky-reggae e pedale wah-wah innestato a manetta, ma non soddisfa del tutto.

More Time Making Love è un classico brano di roots-rock di buona fattura e la divertente Why You Wanna Bite My Bones? viaggia sui binari di un piacevole boogie’n’roll, lasciando alla notturna ma irrisolta Lost Again l’ultimo posto libero per i brani originali. La citata I’d Rather Be Blind è vibrante e prevede una buona performance vocale del nostro, che poi improvvisa e cazzeggia nella cover di Kiss di Prince, con un uso sorprendente della armonica. Insomma, tirate le somme, il “solito” disco di Popa Chubby, più che positivo benché forse non eclatante.

Bruno Conti

Prosegue La “Striscia” Del Blues. Popa Chubby – Two Dogs

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Popa Chubby – Two Dogs – earMusic/Edel

Popa Chubby o se preferite Ted Horowitz, visto che in teoria il nome d’arte dovrebbe appartenere al gruppo (come racconta lui stesso, attribuendo la paternità del nickname al grande tastierista di Parliament/Funkadelic Bernie Worrell), poi, per estensione, è ovvio che essendo Horowitz l’unico membro fisso della band, il nomignolo è rimasto legato a lui. Confesso che non saprei dirvi che numero sia questo nuovo album nella sua discografia, direi almeno 25 in circa altrettanti anni di carriera deve averli pubblicati. Come sempre i migliori sono i primi, e quelli dal vivo, ma Popa Chubby, a parte forse un paio di volte, con l’ex moglie Galea, non è mai andato sotto il livello di guardia, ed i suoi dischi sono sempre abbastanza soddisfacenti, con delle punte di eccellenza. Anche questo Two Dogs non devia dalla regola aurea del “Blues according to Popa Chubby”, che è stato anche il titolo di un suo disco: per l’occasione Horowitz ha inciso solo materiale originale (ma poi non ha resistito, e alla fine dell’album comunque ci sono un paio di cover di pregio). Dopo Catfish dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/11/19/il-solito-popa-chubby-the-catfish/ , il primo per la earMusic, quindi dai gatti si passa ai cani, ma il risultato di fondo non cambia: il tastierista è il “solito” Dave Keyes, un nome, una garanzia, da molti anni con il “Chubby”, per il resto, si segnala la presenza alla batteria di Sam Bryant, uno ha che suonato per diversi anni nella band di Kenny Wayne Shepherd, e quindi è abbastanza uso al blues-rock diciamo energico di Popa Chubby, che comunque incorpora anche da sempre elementi soul e R&B.

L’album si apre con It’s Alright, un classico pezzo blues alla Horowitz, chitarra fluida e pungente, un ritmo influenzato, come ricorda lo stesso Chubby nel filmato, dai vecchi ritmi Detroit della Motown, quel pop errebì gioioso che imperava negli anni ’60, con le tastiere di Keyes molto presenti a controbilanciare il lavoro della solista, uno dei suoi pezzi migliori degli ultimi anni; Rescue Me dovrebbe essere una vecchia canzone mai incisa in passato per svariati problemi, che questa volta trova la via del nuovo disco, altro brano positivo e vibrante, tra R&R e blues, a tutto riff, con la chitarra sempre pungente del nostro, mentre Preexisting Order un brano che verte sull’health care americana, ha un ritmo quasi da soul revue, con l’intervento di fiati rotondi a dare corpo ad un’altra canzone dove si respira un’aria musicale brillante e positiva. Sam Lay’s Pistol è un altro pezzo che viene dal passato, scritto con l’ex moglie Galea, narra le vicende incredibili e grottesche di Sam Lay, il vecchio batterista che fu con i grandi della Chess e del blues (pure con Butterfield Blues Band e quindi presente alla svolta elettrica di Dylan) che aveva l’abitudine di portare sempre con sé una pistola, con cui una volta si sparò per sbaglio, anche negli zebedei, brano leggero e piacevole ancora una volta, ma suonato con il solito piglio deciso che sembra caratterizzare questo Two Dogs;la cui title-track è un bel esempio del classico blues degli episodi più funky del nostro, giro rotondo di basso, ancora i fiati presenti e chitarrina insinuante con wah-wah in evidenza.

Niente male pure Dirty Old Blues un rock-blues tirato e brioso, con Popa Chubby che va alla grande di slide, un pezzo da “Instant Grat” lo definisce, e in effetti la gratificazione è immediata; e il groove è potente e coinvolgente anche nella successiva Shakedown, un wah-wah hendrixiano incontra un ritmo da Memphis e dintorni e il divertimento è assicurato. Wound Up Getting High è la preferita dello stesso Horowitz, una sorta di southern ballad, solo piano e chitarra acustica, con piccoli interventi dell’elettrica; Clayophus Dupree è il primo dei due strumentali del disco, dove si apprezza tutta la tecnica del nostro che è chitarrista di pregio e dal feeling unico, molto piacevole anche il lavoro dell’organo di Dave Keyes che fa molto Booker T & The Mg’s, mentre lo stesso Popa Chubby siede alla batteria, novello Al Jackson. Me Won’t Back Down  rientra nell’agone più funky-rock della musica del nostro, ma mi sembra uno degli episodi meno convincente del disco, al di là del solito buon lavoro al wah-wah, eecellente Chubby’s Boogie, l’altro pezzo strumentale dell’album, un tributo a Freddie King, ma pure con rimandi alla musica degli Allman Brothers, grazie alle twin guitars suonate dallo stesso Horowitz, notevole anche Keyes al piano, una delle migliori tracce del CD, che comunque segnala in generale un ritorno alla miglior forma del nostro. Come testimoniamo anche le due bonus tracks dal vivo poste in coda all’album: una Symphathy For The Devil, tratta dal tour di Big, Bad And Beautiful, con il classico brano degli Stones che riceve un trattamento Deluxe e una più intima e raccolta Hallelujah, il brano di Leonard Cohen via Jeff Buckley, solo per chitarra e piano, quasi dieci minuti per una versione molto sentita e commovente.

Bruno Conti

Il “Solito” Popa Chubby, E Basta -The Catfish

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Popa Chubby – The Catfish – earMUSIC/Edel

Il “Pesce gatto” in un certo senso è il re dei pesci di acqua dolce, soprattutto dei fiumi e dei laghi americani, ma è anche una delle figure ricorrenti in alcune delle iconografie classiche del Blues, e per Popa Chubby che si è autoproclamato “The King Of The New York City Blues” era quasi inevitabile che prima o poi si arrivasse a questo titolo. E il nostro amico Ted Horowitz lo fa in quello che è il suo esordio per una nuova etichetta discografica, la earMUSIC, che si avvicenda alla Dixiefrog e alla Blind Pig, oltre alla Provogue che per un paio di album aveva distribuito i prodotti dell’artista americano. The Catfish arriva dopo il buon doppio dal vivo dello scorso anno Big, Bad and Beautiful ed il precedente I’m Feelin’ Lucky (The Blues According To Popa Chubby), un album dai risultati altalenanti almeno per il sottoscritto, dopo le buone prove per la Provogue. Devo dire che ad un primo ascolto questo album non mi aveva convinto del tutto, ma poi risentito a volumi consoni, cioè alti, tutto comincia, almeno nella prima parte, ad assumere un senso: dalla scarica di adrenalina del vigoroso funky-blues-rock dell’iniziale Going Downtown, con wah-wah a tutta manetta e la sezione ritmica Matt Lapham, basso e Dave Moore, batteria che ci dà dentro di brutto, all’altrettanto virulenta Good Thing che qualcuno ha voluto accostare al funky di Prince, ma secondo chi scrive si avvicina più a quello classico di Sly & Family Stone o al limite dei Parliament/Funkadelic, con decise galoppate della solista del Popa che maltratta di gusto la sua chitarra, ben coadiuvato anche dal piano del bravo tastierista Dave Keyes.

Anche la versione reggae e strumentale del famoso classico degli Everly BrothersBye Bye Love al primo giro non mi aveva acchiappato subito, mi era parsa pacchiana, ma ai giusti volumi si gusta il suono rotondo e corposo del basso, le accelerazioni della batteria e soprattutto della solista di Popa Chubby che si diverte un mondo a rifare questa piccola perla del primo rock. Cry Till It’s A Dull Ache ha qualche retrogusto del suono Muscle Shoals che usciva dai dischi soul della Memphis dell’epoca dorata, mista alle solite energiche folate del blues chitarristico del musicista newyorkese, ben sostenuto anche dalle tastiere di Keyes che in tutto il disco aggiungono piccole coloriture extra al solito sound da power trio. In Wes Is More il nostro amico addirittura si cimenta con il jazz after hours del grande Wes Montgomery, in un brano felpato ed inconsueto dove si apprezza tutta la perizia tecnica di Chubby e soci. Motorhead Saved My Life è un brano “duretto” anziché no (anche se non come potrebbe far pensare il titolo) dove Horowitz rende omaggio ad uno degli “eroi” musicali” della sua formazione musicale giovanile, Lemmy, già coverizzato in passato con una versione di Ace Of Spades che era su The Fight Is On, e qui trattato con un impeto più garage che metal, per quanto energico.

Il brano migliore di questo The Catfish è probabilmente un intenso slow intitolato Blues For Charlie, dove Popa Chubby rende omaggio alle vittime degli attentati di Parigi, capitale di quella che è ormai diventata la sua seconda patria, la Francia, il pezzo è splendido, uno strumentale intenso e lancinante, dove il nostro amico esplora con grande tecnica e feeling il manico delle sue chitarre (qui raddoppiate) per una delle migliori performances della sua carriera discografica, veramente un grande blues. Dirty Diesel è un onesto pezzo rock con qualche deriva hendrixiana, quello più selvaggio dei singoli iniziali, anche se da quelle parti eravamo su un altro pianeta, ma l’amico si impegna e poi ci stupisce in uno strano urban jazz quasi Davisiano, dove la figlia Tipitina è impegnata alla tromba con la sordina, in quello che è un esperimento riuscito a metà, una fusione tra hip-hop e jazz che non mi convince del tutto. Last Time Blues è un piacevole blues con uso di organo, che non resterà negli annali della storia del genere, mentre la title-track racconta la storia del re del fiume, il Pesce gatto, con un brano dal vago sentore southern, anche in questo caso buono ma non memorabile. Il finale è affidato ad una cover acustica di C’Mon In My Kitchen, dove Popa Chubby si esibisce al dobro, ben supportato dal piano di Keyes buona versione ma anche in questo caso niente per cui strapparsi le vesti. Insomma, per riassumere, il disco parte molto bene, ha alcune punte di eccellenza e poi si smorza un po’ nel finale, ma nel complesso è onesto e positivo, il “solito Popa Chubby (vedasi titolo del Post sugli Stones)!

Bruno Conti