Un Doppio CD Molto Bello In Ricordo Di Un Autentico Outsider. David Blue – These 23 Days In September/Stories/Nice Baby And The Angel/Cupid’s Arrow

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David Blue – These 23 Days In September/Stories/Nice Baby And The Angel/Cupid’s Arrow – Morello/Cherry Red 2CD

Anche negli anni sessanta e settanta, cioè quando la buona musica vendeva ed andava in classifica, c’era una lunga schiera di artisti di talento che per vari motivi, tra i quali anche una buona dose di sfortuna, non riuscì ad assaporare il successo neppure per un weekend. Uno di questi “beautiful losers” è stato senza dubbio David Blue, cantautore di stampo classico e titolare di sette pregevoli album nella decade tra il 1966 ed il 1976, che ebbe il suo unico momento di gloria (forse più finanziaria che in termini di popolarità) quando gli Eagles incisero la sua Outlaw Man pubblicandola poi sull’album Desperado del 1973. Nato Stuart David Cohen a Providence, Rhode Island, da padre ebreo e madre cattolica, il nostro si spostò giovanissimo a New York dove iniziò a far parte della scena folk del Greenwich Village, diventando amico tra gli altri di Eric Andersen (che gli suggerì di cambiare il cognome da Cohen a Blue per il colore dei suoi occhi, dato che c’era già un David Cohen che bazzicava l’ambiente – e che poi diventerà membro di Country Joe & The Fish) e soprattutto di Bob Dylan, che lo stimava a tal punto da chiamarlo molti anni più tardi, nel 1975, a far parte della prima versione della Rolling Thunder Revue (nel film Renaldo & Clara David compare in una sola scena, mentre gioca a flipper in un bar) ed a partecipare nello stesso anno alla sessione fotografica per la copertina dei Basement Tapes (e pare che Blue ebbe il privilegio di essere presente mentre Dylan componeva Blowin’ In The Wind, che è un po’ come assistere a Leonardo che dipinge la Gioconda).

La prima testimonianza su disco del nostro avvenne su un album della Elektra del 1965 intitolato Singer Songwriter Project, una sorta di sampler di giovani talenti in cui David divideva lo spazio con Richard Farina ed i semi-sconosciuti Patrick Sky e Bruce Murdoch, ma l’esordio vero e proprio ci fu l’anno seguente con l’omonimo David Blue, sempre per la Elektra, un lavoro dal riscontro commerciale fallimentare che convinse l’etichetta a lasciare a piedi l’artista. Oggi la benemerita Cherry Red pubblica questo interessante doppio CD in cui vengono raccolti quattro album della carriera di Blue (senza bonus tracks), in ordine cronologico ma non consecutivi: nei due dischetti troviamo infatti il secondo disco These 23 Days In September (1968), il quarto Stories (1972), il quinto Nice Baby And The Angel (1973) ed il settimo ed ultimo Cupid’s Arrow (1976), lasciando quindi fuori il già citato David Blue oltre a Me e Com’n Back For More (che varrebbe comunque la pena di cercare).

Questa ristampa giunge quindi particolarmente gradita, in quanto pone sotto i riflettori un musicista artisticamente sfortunatissimo (come vedremo tra poco, anche nella vita) ed oggi totalmente dimenticato, ma che era in possesso di un indubbio talento e della capacità di scrivere ottime canzoni, oltre ad avere un approccio raffinato ed elegante nell’eseguirle. These 23 Days In September è un album che vede un David ancora un po’ acerbo e derivativo ma già sulla buona strada per diventare un artista completo: il disco è puro folk, con la voce stentorea del nostro e la sua chitarra al centro di tutto e pochi altri strumenti di contorno, tra cui la seconda chitarra del produttore Gabriel Mekler ed il pianoforte di Bob Rafkin. Il disco (uscito all’epoca per la Reprise) inizia con la drammatica ed emozionante title track che contrasta con la solare Ambitious Anna, dai sapori quasi caraibici, mentre altri pezzi degni di nota sono il valzerone folk The Grand Hotel, la struggente ballata pianistica The Sailor’s Lament ed il vibrante folk-rock The Fifth One.

Nel 1972 David entra a far parte del roster della neonata Asylum di David Geffen e pubblica Stories, il lavoro di un songwriter decisamente più maturo che viene prodotto dallo stesso Blue insieme a Rafkin ed a Henry Lewy, e che vede all’interno musicisti del calibro di Ry Cooder, Russ Kunkel, Joe Barbata, Chris Etheridge e Rita Coolidge, con gli archi arrangiati da Jack Nitzsche. L’album parte con l’intimista Looking For A Friend e si snoda attraverso altre sette canzoni, tra le quali meritano un cenno Sister Rose, bella ed intensa, la splendida House Of Changing Faces, ispirata alla dipendenza dall’eroina dell’autore e con la slide tagliente di Cooder in evidenza, strumento protagonista anche della conclusiva The Blues (All Night Long). Menzione a parte per Marianne, ballata dai sapori messicani dedicata dal nostro a Marianne Ihlen, proprio la musa ispiratrice di Leonard Cohen che ebbe una fugace relazione anche con David (evidentemente aveva un debole per i Cohen).

Con Nice Baby And The Angel Blue pubblica il suo lavoro più ambizioso fino a quel momento, facendoselo produrre da Graham Nash e chiamando a suonare nomi illustri come Dave Mason, Glenn Frey e David Lindley, oltre al ritorno di Etheridge al basso e Barbata alla batteria (ed il disco con le sue 25.000 copie sarà il più venduto in assoluto da David). Questo è anche l’album di Outlaw Man, una rock ballad elettrica che non solo è la più popolare tra quelle scritte da Blue (grazie, come abbiamo visto, agli Eagles), ma è anche una delle migliori, con un eccellente Mason alla solista. Decisamente belle anche Lady O’Lady, deliziosa folk song in purezza, la countreggiante True To You, la profonda On Sunday, Any Sunday, la roccata e coinvolgente Darlin’ Jenny (inconfondibile la slide di Lindley), la fulgida ed emozionante Dancing Girl, una delle più belle ballate del nostro, la coheniana (nel senso di Leonard) Troubadour Song ed il quasi rock’n’roll di Train To Anaheim, altro pezzo che avrei visto bene rifatto dalle Aquile.

E veniamo a Cupid’s Arrow, ultimo disco in assoluto di David, caratterizzato dalla produzione di stampo rock a cura di Barry Goldberg, che suona anche piano ed organo insieme ad un parterre di stelle che comprende Jesse Ed Davis ed ancora Lindley alle chitarre, Donald “Duck” Dunn al basso e Levon Helm alla batteria, oltre al cantante inglese Jackie Lomax ai cori. Spicca la stupenda title track, commosso omaggio del nostro a Phil Ochs, ma sono sopra la media anche la squisita country song The Ballad Of Jennifer Lee, le roccate e trascinanti Tom’s Song e I Feel Bad, la malinconica Cordelia, ancora sfiorata dal country, e l’elettrica e dylaniana Primeval Tune, decisamente bella. Da quel momento David smise con la musica e si dedicò alla carriera cinematografica (va detto, senza consegnare ai posteri nessuna interpretazione da ricordare), fino a quando un mattino di dicembre del 1982 un infarto lo stroncò mentre faceva jogging a New York (e siccome la morte sa essere ironica in maniera macabra, il fatto successe a Washington Square Park, proprio dove era iniziata la sua carriera musicale), portandolo via a soli 41 anni; come ulteriore beffa il suo corpo rimase non identificato per ben tre giorni dal momento che Blue non aveva addosso alcun documento, ennesima prova del fatto che ormai nessuno si ricordava più di lui.

Ragione in più per fare vostra questa ottima ristampa: farete giustizia, anche se tardiva, ad un cantautore che avrebbe meritato ben altro destino.

Marco Verdi

Un Disco Dal Vivo Veramente “Mitico”, Anzi Due! Gov’t Mule – Bring On The Music – Live At The Capitol Theatre Parte 2

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Gov’t Mule  – Bring On The Music – Live At The Capitol Theatre

2 CD + 2 DVD Deluxe/ Mascot/Provogue – Esce il 19 Luglio

Per chi non si accontenta della versione in 2 CD di cui abbiamo parlato ieri vediamo cosa troviamo in più e di diverso nella versione Deluxe 2 CD + 2 DVD, anzi prima vediamo cosa non c’è delle due serate tenute nello scorso aprile: manca la cover di Effigy dei Creedence, Unring The Bell, Mr. High And Mighty, il bis finale con I’ll Be The One, un brano solista di Haynes, che incorpora la Blue Sky Jam, è questo è un vero peccato, Rocking Horse dalla prima serata e anche una Tributary Jam, a favore di un paio pezzi ripetuti più volte, comunque in diverse versioni, sia nella parte audio che video. Per la serie “purtroppo”, parlo per i portafogli degli acquirenti, bisognerà avere entrambe le edizioni::quella Deluxe, seguendo sempre il formato CD doppio, inizia con Hammer And Nails, la cover del brano degli Staple Singers, che era su Deep End Vol. 2, dal soul dell’originale al blues a tutta slide della loro rilettura, seguita da una granitica e lunghissima Thorazine Shuffle, oltre dodici minuti di super jam per uno dei loro cavalli di battaglia sin dai tempi di Dose, sempre da quel disco anche Larger Than Life, altro pezzo rock di quelli tosti, Forsaken Savior da Shout, contiene una citazione della bellissima Sad And Deep As You di Dave Mason, Broke Down On The Brazos è un altro massiccio pezzo rock costruito su un pantagruelico riff di basso di Carlsson, Endless Parade è una splendida ballata ripresa da High And Mighy, lirica e malinconica, con un altro assolo da manuale di Haynes, Lola Leave Your Light On è un’altra scarica zeppeliniana da Dèjà Voodoo e Blind Man In The Dark è la quintessenza del suono dei Gov’t Mule, potenza devastante, classe, improvvisazione alla ennesima potenza, tra wah-wah impazziti e ritmica in libertà, e sempre da quel periodo arriva anche Raven Black Night, altro limpido e complesso esempio della loro musica, traccia che chiude il primo CD della versione Deluxe quadrupla.

In apertura del secondo CD, TravelingTune, versione alternata, ancora più allmaniana, e una durissima Stone Cold Rage, nuovamente dal disco del 2017, di Whisper In Your Soul su Shout c’era una bella versione cantata con Grace Potter, qui viene forgiata in una strana ed inconsueta versione quasi psych-soul, sorniona e ricercata, mentre molto bella è la blues and soul ballad Little Toy Brain, con Warren sempre splendido alla solista, canzone che placa un attimo gli animi prima del pezzo forte dell’intero concerto, un magnifico e lunghissimo medley di oltre 17 minuti di Trane ed Eternity Breath della Mahavishnu Orchestra, che poi sfocia in una jam costruita intorno a una sontuosa St. Stephen dei Grateful Dead, con tutti e quattro i musicisti in grande spolvero ai rispettivi strumenti, per un quarto d’ora di grandissima musica (come se il resto non bastasse), minchia se suonano, scusate il francesismo (però, delitto di lesa maestà, questo medley non è stato inserito nella parte video del doppio DVD) . Un attimo per riprenderci e arriva un altro brano da Revolutions, una breve ma epica Pressure Under Fire e pure Fool’s Moon da Deep End Vol. 1 non è malaccio, si fa per dire, sempre rock magistrale, che precede l’altra versione di Revolutions Come…Revolutions Go, ancora 10:45 magici tanto per gradire e dallo stesso album anche Bring On The Music che dà il titolo a questo Live, altro brano notevole, dall’inizio in sordina, solo percussioni e chitarre e tastiere accarezzate, fino all’ingresso vigoroso della ritmica e il “consueto” crescendo strumentale, tra pause ed improvvise ripartenze che poi confluiscono nella ripresa di Traveling Tune (Part 2) che concludeva il concerto del 28 aprile e pure questo doppio CD magnifico.

Il doppio DVD splendidamente ripreso con ben nove telecamere dal fotografo e regista Danny Clinch riporta un corposo estratto dai due concerti, pizzicando sia dalla versione standard che da quella deluxe, 23 brani in tutto, sempre non seguendo la sequenza originale, ma con interviste con la band, riprese dietro le quinte, fotografie ed altre chicche,  pur se con la pecca appena citata. Concludendo, in ogni caso, in una parola, “mitico”.

Bruno Conti

Il Ritorno Di Un Disco Bello Ma Quasi Dimenticato. Dave Mason & Cass Elliot

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Dave Mason & Cass Elliot – Dave Mason & Cass Elliot – Cherry Red/Universal CD

All’inizio del 1971 il cantante e chitarrista inglese Dave Mason, membro fondatore dei Traffic, era già entrato ed uscito ben due volte dal gruppo guidato da Steve Winwood e Jim Capaldi (ed era in procinto di unirsi a loro per la terza volta, anche se per un solo tour), oltre ad aver pubblicato l’anno prima il suo primo e più riuscito album solista, Alone Together, che aveva ottenuto anche un discreto successo. Ma Mason non era del tutto soddisfatto, ed avrebbe voluto aumentare la sua fama anche in America, e così ebbe l’idea di registrare un disco assieme a Cass Elliot (che aveva conosciuto da poco grazie ad un amico in comune), ancora molto popolare negli USA in quanto ex voce solista femminile dei Mamas And Papas. Dave entrò quindi con la giunonica cantante negli studi Record Plant di Los Angeles insieme ad un ristretto gruppo di musicisti (i noti Paul Harris e Russell Kunkel rispettivamente alle tastiere e batteria e Bryan Garo al basso) per registrare una decina di pezzi in puro West Coast style, un genere tra country e rock che all’epoca andava decisamente per la maggiore. “Mama” Cass ebbe l’onore di avere il disco accreditato a sé stessa nella stessa misura di Mason, anche se il suo contributo si limitava alle armonie vocali e con un solo pezzo cantato interamente da sola (ed anche dal punto di vista della scrittura il suo nome compariva come co-autrice in appena due brani).

Una mossa apparentemente da gentleman da parte di Dave, ma che nascondeva una certa paraculaggine in quanto il nostro sperava così di conquistare una fetta maggiore di pubblico statunitense. Dave Mason & Cass Elliot era da tempo fuori mercato (su CD era uscito brevemente nel 2008), ed ora la Cherry Red lo ripubblica con una rimasterizzazione degna di nota, pur non aggiungendo materiale extra (non so se ce ne fosse, di sicuro ci sarebbe stato dato che l’album dura poco più di mezz’ora). Ed il disco è ancora decisamente fresco e piacevole a quasi cinquant’anni dalla pubblicazione, un lavoro all’insegna di un country-rock suonato benissimo e cantato ancora meglio (c’è anche la presenza alla voce di Leah Kunkel, sorella di Cass e moglie del batterista Russell), con parti strumentali di grande finezza ed una serie di canzoni che mostrano la bravura con la penna di Mason, autore spesso sottovalutato. L’iniziale Walk To The Point è una ballata basata sul suono di chitarra e piano ed uno squisito mood californiano perfetto per l’epoca, con armonie vocali stratificate che ricordano non poco quelle di Crosby, Stills & Nash (anche se qui Mama Cass rimane abbastanza nelle retrovie). On And On è decisamente più elettrica e mossa, con un bel riff iniziale seguito da una melodia limpida ed orecchiabile che sfocia in un bellissimo refrain corale: puro pop-rock della West Coast, con l’aggiunta di una notevole performance chitarristica di Mason.

To Be Free è solare, piacevole e ha uno stile che rimanda parzialmente ai Byrds (ma quelli della fase finale della carriera), con la Elliot che si fa sentire maggiormente ed un bel finale pianistico e leggermente orchestrato, mentre Here We Go Again è di stampo più acustico e folk, ed è anche l’unico brano in cui la voce solista è esclusivamente di Cass, ancora con una sezione archi arrangiata con gusto e misura. La movimentata Pleasing You è un gradevole botta e risposta tra Dave e le sorelle Elliot (o Cohen, che è il loro vero cognome), e vede ancora il piano di Harris splendido protagonista (e Paul da lì a breve entrerà nei Manassas di Stephes Stills), Sit And Wonder è intensa e melodicamente impeccabile, una delle migliori dell’album, con un ritornello perfetto; Something To Make You Happy, nella quale i due leader duettano in maniera sicura denotando una certa intesa, è allegra ed immediata, e fu scelta all’epoca come primo singolo. Too Much Truth, Too Much Love, più intima, è dotata di un motivo delizioso ed un arrangiamento cristallino dai toni quasi caraibici, nonché di un irresistibile finale con ritmo in crescendo: bellissima. Chiudono l’album la rockeggiante Next To You, con Mason ancora ottimo alla chitarra elettrica, e con Glittering Facade, godibile e raffinata ballad contraddistinta da un vivace organo, dalle solite inappuntabili armonie vocali e da uno strepitoso finale in cui Dave rilascia un assolo acustico da applausi. Dopo questo disco la carriera di Mason continuerà fino ai giorni nostri, con ancora qualche successo minore a metà degli anni settanta, mentre Mama Cass sarà decisamente più sfortunata, in quanto un attacco cardiaco se la porterà via nel sonno nel 1974, a soli 32 anni.

Un motivo in più per non ignorare questa bella ristampa.

Marco Verdi

Finalmente La Degna Ristampa Di Un Disco Mitizzato! Delaney & Bonnie – Motel Shot

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Delaney & Bonnie – Motel Shot (Expanded) – Real Gone CD

Periodo felice questo per la riscoperta del catalogo di Delaney & Bonnie, duo formato dal cantautore e chitarrista Delaney Bramlett e dalla cantante, ed all’epoca moglie, Bonnie O’Farrell Bramlett, che a cavallo tra gli anni sessanta e settanta fu responsabile di alcuni tra i più bei dischi in circolazione all’epoca: a pochi mesi dalla ristampa dell’ottimo To Bonnie From Delaney, la benemerita Real Gone (e grazie al noto archivista Bill Inglot) ha appena rieditato uno dei dischi più belli e celebri della coppia, Motel Shot. E’ anche il più raro, in quanto per anni l’unica versione disponibile in CD era un’edizione giapponese difficile da trovare ed esageratamente costosa:(*NDB Anche se pure la nuova edizione non costa molto meno) questa ristampa, oltre a presentare le dodici canzoni originali opportunamente rimasterizzate, presenta anche otto outtakes mai sentite, diventando quindi praticamente imperdibile (però non capisco perché hanno dovuto cambiare la copertina: quella originale forse non era il massimo, ma questa odierna fa sembrare il CD un bootleg o un’antologia a basso costo).

delaney and bonnie motel shot

Motel Shot, quarto album di studio del duo, è anche il più particolare, in quanto è basato su una session piuttosto informale tenutasi nell’appartamento di Bruce Botnick (l’ingegnere del suono nei dischi dei Doors), con diverse canzoni improvvisate ed un suono al 95% acustico, e un alone gospel che pervade tutti i brani; l’album doveva uscire nel 1970 per la Elektra, ma per varie peripezie fu spostato in avanti di un anno e fu pubblicato dalla Atlantic, che però giudicò il materiale troppo informale, al limite dell’amatoriale, e pretese di mescolarlo con registrazioni più professionali da tenersi nei loro studi. L’album che poi uscì fu quindi una sorta di ibrido tra i brani incisi a casa di Botnick, principalmente cover, e le canzoni registrate in studio, scritte da Delaney: il risultato finale fu comunque eccellente, al punto che per molti Motel Shot è il miglior album inciso dai nostri (su questo non concordo, per me il più bello rimane il loro esordio, Home): un lavoro forse non perfetto dal punto di vista tecnico, ma altamente ricco di anima e feeling, con brani di derivazione gospel e la solita formula del duo che mischia alla grande rock, blues e soul.

Lo strumento protagonista dell’album è sicuramente lo splendido pianoforte di Leon Russell, centrale in ognuna delle canzoni, ma se guardiamo i nomi degli altri musicisti coinvolti c’è da godere solo a leggere: dai soliti noti Bobby Whitlock e Carl Radle, al grande Duane Allman alla slide in tre pezzi, passando per l’allora chitarrista dei Byrds, Clarence White, per finire con un’altra leggenda, Gram Parsons, alla chitarra e voce. Senza dimenticare Bobby Keys ed il suo sax, il violinista e banjoista John Hartford, Dave Mason alla chitarra, il super batterista Jim Keltner e Joe Cocker ai cori (manca invece, e stranamente, Eric Clapton). L’inizio è particolare, sembra quasi un rehersal, ma si nota che l’ensemble è in stato di grazia, con una rilettura straordinaria del traditional Where The Soul Never Dies, solo piano, tamburello e coro ma un’intensità da brividi, brano che confluisce direttamente nell’inno della Carter Family Will The Circle Be Unbroken e nella lenta (e classica) Rock Of Ages, quasi a voler formare una mini-suite gospel (ed anche la trascinante Talkin’ About Jesus, con la voce di Cocker chiaramente riconoscibile, avrà lo stesso trattamento). C’è spazio anche per un classico country come Faded Love di Bob Wills, alla quale i nostri cambiano completamente veste facendolo diventare un toccante lento soul, sempre con il piano di Russell a tessere la melodia.

La parte blues è formata da Come On In My Kitchen (Robert Johnson), proposta in una eccellente versione stripped-down  molto annerita (e con Duane alla slide acustica), e da Don’t Deceive Me (Chuck Willis), dal ritmo strascicato e performance vocale strepitosa da parte di Bonnie. Poi ci sono i quattro pezzi originali scritti da Delaney: Long Road Ahead, ancora dai sapori gospel, un chiaro brano dall’impronta sudista, guidato di nuovo dallo splendido pianoforte di Leon, la deliziosa Never Ending Song Of Love, una canzone saltellante di ispirazione quasi country, che è anche stato il più grande successo come singolo della coppia (ed è stata incisa in anni recenti anche da John Fogerty), la corale Sing My Way Home, fluida, distesa e dalla melodia influenzata dall’amico George Harrison (ancora Allman alla chitarra, stavolta elettrica) e la southern Lonesome And A Long Way From Home (già incisa da Clapton sul suo debutto solista). A completare il quadro, una spedita versione, ancora molto gospel, di Going Down The Road Feelin’ Bad, che proprio in quegli anni diventerà un classico nei concerti dei Grateful Dead.

Tra le otto bonus tracks, tutte provenienti dalle sessions originali in casa Botnick, ci sono tre versioni alternate di brani poi apparsi sul disco (Long Road Ahead, Come On In My Kitchen e Lonesome And A Long Way From Home, quest’ultima meglio di quella poi pubblicata, con una parte strumentale da urlo), una cover cristallina, guidata dalla chitarra acustica, di I’ve Told You For The Last Time, un brano poco conosciuto di Clapton, anch’esso proveniente dall’esordio di Manolenta, un rifacimento più informale della bella Gift Of Love (apparsa due anni prima su Accept No Substitute, secondo album della coppia), un blues acustico abbastanza improvvisato ma interessante, intitolato semplicemente Blues, ed un finale ancora a tutto gospel con What A Friend We Have In Jesus e la famosissima Farther Along. Una ristampa dunque imperdibile, che anche se non è il lavoro migliore di Delaney & Bonnie rimane comunque un grande disco, oltre che una fulgida testimonianza di un periodo irripetibile della nostra musica.

Marco Verdi