Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volumi 5-6: Something In The Air/At The Kit Kat Klub

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David Bowie – Something In The Air – Parlophone/Warner CD – 2LP

David Bowie – At The Kit Kat Klub – Parlophone/Warner CD – 2LP

Eccomi a parlare degli ultimi due volumi che vanno a completare Brilliant Live Adventures, cofanetto dedicato a sei concerti dal vivo di David Bowie nella seconda metà degli anni 90, una pubblicazione che ha attirato a sé una marea di critiche fin dal principio, a causa della scelta quantomeno discutibile di far pagare a parte i box vuoti, sia che fossero per i CD o gli LP, e non magari offrirli in omaggio almeno a chi prenotava in anticipo l’intera serie, opzione peraltro non disponibile. Niente però in confronto alle lamentele anche feroci in conseguenza proprio delle ultime due uscite di cui mi accingo a parlare: se infatti i primi quattro volumi erano sì in tiratura limitata ma sufficiente ad accontentare (quasi) tutti i numerosi fans del compianto musicista britannico, sia il quinto che il sesto episodio sono andati esauriti in mezz’ora circa ciascuno, con la maggior parte dei possibili acquirenti rimasta con un palmo di naso anche perché uno dei due siti esclusivi per la vendita è andato praticamente subito in crash. Un’operazione quasi fallimentare dal punto di vista gestionale (qualcuno l’ha addirittura definita la peggiore della storia), che ha costretto la Parlophone a stendere una lettera aperta di scuse ai fans con la vaga promessa di un prossimo riassortimento di stock per quanto riguarda gli ultimi due volumi.

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Ed inoltre, bisogna dirlo, non è che si stia parlando di chissà quali rarità imperdibili, ma di concerti che in gran parte erano già stati resi disponibili come download. Tornando comunque alla parte musicale, ecco nel dettaglio i famigerati ultimi due episodi della serie (ebbene sì, faccio parte dei “fortunati” che sono riusciti ad accaparrarseli), entrambi riguardanti il mini-tour del 1999 (solo otto date tra Europa e Stati Uniti, tra cui anche una all’Alcatraz di Milano) seguita alla pubblicazione dell’album Hours, un lavoro di buon livello nel quale Bowie tornava alla forma canzone classica dopo le sperimentazioni modernistiche di Outside e Earthling. Il quinto volume si intitola Something In The Air e documenta lo show di Parigi del 14 ottobre all’Elysée Montmartre, quindici brani in tutto (il concerto è completo) con David accompagnato da una solida band che suona molto più rock e meno “techno” di quella dei tour precedenti: rispetto ai primi quattro CD del box gli unici membri rimasti sono il tastierista Mike Garson e la bassista e cantante Gail Ann Dorsey, con l’aggiunta di Page Hamilton e Mark Plati alle chitarre, Sterling Campbell alla batteria ed i cori di Emm Gryner e Holly Palmer.

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Vista la scorpacciata negli altri CD di pezzi tratti da Outside e Earthling questa volta si è scelto di soprassedere, e la setlist vede un Bowie in forma e di ottimo umore spaziare lungo tutta la sua carriera essendo anche meno “avaro” di hits: intanto la serata si apre con una lucida rilettura per sola voce e piano della splendida Life On Mars?, una delle più belle ballate di sempre del  nostro https://www.youtube.com/watch?v=nRnbuDvk7zM , e poi trovano spazio anche brani popolarissimi e coinvolgenti come China Girl, Changes e la roccata Rebel Rebel, che chiude lo show. Chiaramente i pezzi di Hours hanno molto spazio, con cinque selezioni: Thursday’s Child, gradevole pop ballad vagamente tinta di soul, Something In The Air, cadenzata ed avvolgente https://www.youtube.com/watch?v=HRhjVNGqmIg , la bella Survive, un lento elettroacustico di presa immediata e con un ottimo guitar solo finale, Seven, delicata e toccante (tra le più belle della serata), che si contrappone alla dura e chitarristica The Pretty Things Are Going To Hell. Ma come in ogni concerto bowiano che si rispetti, il Duca Bianco va a pescare diversi “deep cuts”, cioè episodi meno conosciuti del suo vasto catalogo, come Word On A Wing, suadente slow dal tono quasi confidenziale, l’intrigante rock ballad Always Crashing In The Same Car, l’applaudita Drive-In Saturday, splendidamente sixties-oriented https://www.youtube.com/watch?v=qqQ__Jr77WE , e la rockeggiante ed obliqua Repetition. Dulcis in fundo, non mancano un paio di sorprese: dal primo album dei Tin Machine I Can’t Read, affascinante e ricca di pathos, e addirittura il ripescaggio dell’oscura Can’t Help Thinking About Me, un raro singolo pubblicato dal nostro per la Pye Records nel 1966, delizioso power pop elettrico con coretti, chitarre in evidenza e ritornello orecchiabile.

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Live At The Kit Kat Klub (il sesto ed ultimo CD) è invece inerente al concerto del 19 novembre in un piccolo locale di New York di fronte ad una platea di invitati, un’altra valida e godibile performance che però per dieci dodicesimi contiene brani già presenti nello show parigino  https://www.youtube.com/watch?v=vfpM1BbxPdY (un altro problema di questo cofanetto: la ripetitività), con le uniche due differenze che consistono nella potente Stay (da Station To Station), contraddistinta da un ossessivo riff chitarristico dal sapore quasi funky, e, da Earthling, l’ipnotica e non imperdibile I’m Afraid Of Americans.

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Il prossimo autunno la “Bowie Inc.” dovrebbe riprendere con le pubblicazioni dei cofanetti riepilogativi della carriera (fermi a Loving The Alien del 2018, che si occupava degli anni 80 di David), una serie di manufatti che finora si è attirata molte meno critiche del box Brilliant Live Adventures, a parte quella non trascurabile della poca presenza di brani rari o inediti.

Marco Verdi

Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volume 4: Look At The Moon!

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David Bowie – Look At The Moon! – Parlophone/Warner 2CD – 3LP

E siamo arrivati al giro di boa anche per il box dal vivo di David Bowie Brilliant Live Adventures, che si occupa di riunire concerti che il Duca Bianco tenne negli anni novanta e che in qualche caso erano usciti solo in streaming: è stato infatti pubblicato da poco (ed andato esaurito quasi subito) il quarto volume Look At The Moon!, il primo della serie in doppio CD (o triplo LP). Completamente inedito fino ad oggi, questo album documenta l’intero show di Bowie al Phoenix Festival il 20 luglio 1997, dove Phoenix è inteso come Fenice e non la città dell’Arizona, dal momento che la location è il villaggio di Long Marston in Inghilterra https://www.youtube.com/watch?v=5334YGBvuHI . Diciamo subito che Look At The Moon! è superiore al precedente LiveAndWell.com, che a mio parere era troppo sbilanciato verso le canzoni degli ultimi due album di David all’epoca, Outside e Earthling, due dei lavori più ostici dell’artista britannico con largo uso di elettronica e sonorità tecnologiche (ma i brani erano presi da varie date).

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Qui abbiamo una setlist più equilibrata con più di uno sguardo al passato ed anche un paio di sorprese nel finale, anche se va detto che delle hits bowiane che conoscono tutti (Space Oddity, Starman, Changes, Life On Mars) non ce n’è mezza. La performance del nostro è comunque una delle più valide tra quelle ascoltate finora in questo “box in progress”, merito di un eccellente stato di forma e della solida band che lo accompagna: Reeves Gabriels alle chitarre, Gail Ann Dorsey al basso e voce, Zachary Alford alla batteria e Mike Garson alle tastiere. Forse sei canzoni tratte da Earthling sono ancora troppe, ma se I’m Afraid Of Americans, Battle For Britain (The Letter), Looking For Satellites e Little Wonder non incontrano i miei gusti, Seven Years In Tibet è un pezzo abbastanza riuscito nonostante la veste sonora ultra-moderna, ed anche la pulsante Dead Man Walking risulta abbastanza piacevole (e presenta una notevole performance chitarristica da parte di Gabriels). Da Outside le scelte sono soltanto due, e se Hallo Spaceboy è uno dei brani più orecchiabili degli anni novanta bowiani, anche la cupa The Hearts Filthy Lesson a forza di sentirla riesco quasi a digerirla.

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Tra i classici in scaletta effettivamente qualche successo c’è, a partire da una coinvolgente rilettura della saltellante The Jean Genie, proposta in un inedito arrangiamento boogie-blues (ed infatti è in medley con lo standard di Charles Brown Driftin’ Blues), e proseguendo con il duetto con la Dorsey su Under Pressure (ma Freddie Mercury era su un altro pianeta) e con il funkettone Fame, che non mi ha mai fatto impazzire ma in mezzo alle canzoni di Earthling fa un figurone. Poi abbiamo le title tracks di due album del periodo classico di David, ovvero una The Man Who Sold The World rifatta con i dettami sonori di Earthling ed una spedita e coinvolgente Scary Monsters (And Super Creeps), album dal quale viene tratta anche la danzereccia Fashion https://www.youtube.com/watch?v=BiB356hH0L0 ; ho tenuto per ultima (bis a parte) la canzone di apertura dello show, cioè una splendida rivisitazione della rock ballad Quicksand, un classico minore proveniente da Hunky Dory che viene suonata in maniera “normale” e che rappresenta uno dei momenti migliori della serata.

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Il finale mette in fila una rockeggiante versione della nota White Light/White Heat dei Velvet Underground, che Bowie era solito eseguire anche nei seventies, un’inattesa O Superman, unica hit della carriera di Laurie Anderson (quindi in pochi minuti abbiamo un pezzo di Lou Reed ed uno della sua futura consorte), cantata dalla Dorsey, e la meno nota Stay, brano di Station To Station che si adatta benissimo alle sonorità anni novanta del nostro. Al momento di scrivere queste righe non è ancora noto il contenuto del quinto e penultimo volume della serie, ma voci di corridoio parlano del concerto di Parigi del 1999.

Marco Verdi

 

Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volume 3: LiveAndWell.com

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David Bowie – LiveAndWell.com – Parlophone/Warner CD – 2LP

(Premessa: continuo con le recensioni di questa serie di pubblicazioni del Duca Bianco per puro dovere di cronaca, dal momento che ogni uscita è in edizione davvero limitata ed al momento esaurita. Compreso il già annunciato quarto volume, polverizzato solo con i pre-ordini).

Terzo appuntamento con il cofanetto “virtuale” (nel senso che il box per contenere sia i CD che gli LP è andato esaurito praticamente subito) Brilliant Live Adventures, che raccoglie sei album dal vivo registrati da David Bowie negli anni novanta e mai pubblicati fino ad ora in versione fisica, quando non completamente inediti. Dopo i primi due volumi Ouvrez Le Chien e No Trendy Rechauffé, che documentavano due show del 1995 tratti dal tour di Outside, con questa terza uscita ci spostiamo in avanti di due anni: infatti LiveAndWell.com è inerente alla tournée del 1997 seguita alla pubblicazione di Earthling, e se il titolo non vi suona nuovo avete ragione, in quanto era già stato realizzato una prima volta nel 1999 solo come download, e rimesso fuori lo scorso anno ma sempre in formato “liquido”.

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A differenza dei primi due volumi che riguardavano ciascuno un unico concerto, LiveAndWell.com contiene brani presi da diverse location (il Paradiso di Amsterdam, il Radio City Music Hall di New York, il Phoenix Festival ed il Metropolitan di Rio de Janeiro) e, se pensavate che sia Ouvrez Le Chien che No Trendy Rechauffé fossero troppo sbilanciati verso le canzoni nuove, qui abbiamo praticamente solo brani tratti da Outside e Earthling, due album tra i più sperimentali del nostro con sonorità art-rock, techno e drum’n’bass che all’epoca spiazzarono non poco i fans del Bowie più classico. Rispetto alla versione del 1999 però c’è l’aggiunta alla fine di due canzoni prese da dischi precedenti di David, anche se non esattamente due hits. La band che accompagna Ziggy è la stessa del tour di Outside ma senza Carlos Alomar, e cioè Reeves Gabriels alle chitarre, Gail Ann Dorsey al basso e voce, Zach Alford alla batteria e Mike Garson al piano, tastiere e synth. Nonostante non sia più la tournée di Outside il CD presenta ben cinque brani su dodici totali dal disco del 1995: i più ”orecchiabili” (termine in questo caso da prendere con le molle) sono la lenta e atmosferica The Motel e la pulsante Hallo Spaceboy, mentre sia l’ossessiva The Hearts Filthy Lesson che la cupa I’m Deranged https://www.youtube.com/watch?v=Kc-Cox7L2O4 e The Voyeur Of Utter Distruction (As Beauty) https://www.youtube.com/watch?v=ZjbBJ_51TnQ , che invece mette ansia (anche se alla fine c’è un notevole guitar solo), hanno sonorità stranianti ed a volte quasi dissonanti.

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I cinque pezzi presi da Eathling spostano ancora di più il suono verso un’ottica modernista in cui l’elettronica la fa da padrona, a partire da I’m Afraid Of Americans in cui l’unica cosa che ha una parvenza di classicità è la parte cantata. Telling Lies è piuttosto caotica ed alienante, Battle For Britain (The Letter) è un techno-rock discreto nella melodia ma strumentalmente discutibile, mentre la cadenzata Seven Years In Tibet non è affatto male https://www.youtube.com/watch?v=4_OLXd-a65Q (sorvolerei invece sulla brutta Little Wonder, che all’epoca uscì addirittura come primo singolo – ricordo un Bowie dai capelli arancioni proporla al Festival di Sanremo di fronte alle facce perplesse degli occupanti delle prime file). I due brani finali, entrambi strumentali, appartengono uno al passato prossimo di Bowie e solo l’ultimo agli anni settanta, mantenendo però sonorità in linea con le canzoni precedenti: Pallas Athena (da Black Tie White Noise, 1993) è pura dance music da club per fighetti, e V-2 Schneider è una delle pagine più oscure di Heroes, un brano influenzato dai Kraftwerk e quindi vi lascio immaginare dove andiamo a parare. LiveAndWell.com è quindi un live album che mi sento di consigliare solo ai “die-hard fans” di David Bowie: il già citato quarto volume della collana, Look At The Moon!, farà ancora parte del tour del 1997 ma presenterà anche canzoni meno ostiche essendo la riproposizione di uno show completo.

Marco Verdi

Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volume 2: No Trendy Réchauffé

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David Bowie – No Trendy Réchauffé – Parlophone/Warner CD – 2LP

Secondo appuntamento con il box “a rate” Brilliant Live Adventures, che raccoglierà sei concerti che David Bowie tenne negli anni 90, anche se per la maggior parte dei fans il cofanetto, nel senso di contenitore dei CD o LP, rischia di restare virtuale in quanto è esaurito praticamente da subito (e lo facevano pure pagare). Ad ottobre era uscito Ouvrez Le Chien, che documentava uno show del Duca Bianco a Dallas nel 1995 durante il tour di Outside, mentre oggi mi occupo di No Trendy Réchauffé, dedicato ad una serata sempre dalla stessa tournée ma inerente alla parte europea, e precisamente quella del 13 dicembre 1995 al National Exhibition Centre di Birmingham, ultimo concerto di quell’anno e che sarebbe dovuto uscire all’epoca come live album ma poi non se ne fece più niente (ancora non si sa nulla del terzo volume, che è previsto entro fine 2020, ma voci di corridoio indicano Something In The Air, un live del 1999 già uscito l’estate scorsa solo come download).

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Facendo parte dello stesso tour ed essendo stato registrato esattamente due mesi dopo lo show di Dallas, questo No Trendy Réchauffé ha parecchi punti di contatto con Ouvrez Le Chien: in primis la band, che è la stessa (e nella quale spiccano i due chitarristi Reeves Gabriels e Carlos Alomar, la bassista e cantante Gail Ann Dorsey ed il pianista Mike Garson), ed in secondo luogo la setlist, che è per circa metà identica. Infatti questa serata a Birmingham condivide con Dallas ben otto canzoni, tutte in versioni abbastanza simili: Look Back In Anger, The Voyeur Of Utter Distruction (As Beauty), The Man Who Sold The World, I Have Not Been To Oxford Town, Breaking Glass, Teenage Wildlife, Under Pressure e We Prick You. Come punto a favore di questo secondo volume mi sembra di notare una maggiore amalgama di gruppo, un Bowie più convinto e grintoso ed un suono più potente e coinvolgente, tutte cose che rendono quindi No Trendy Réchauffé leggermente superiore a Ouvrez Le Chien. Ci sono sei canzoni diverse rispetto al primo volume (sarebbero sette, ma una come vedremo tra poco è ripetuta), che partono con Scary Monsters (And Super Creeps) in una versione molto energica e nervosa, quasi pressante e decisamente più rock che sul disco originale del 1980, grazie anche all’apporto chitarristico di Gabriels.

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Hallo Spaceboy è un brano ancora dalla ritmica sostenuta ed un mood abbastanza straniante ed ossessivo, anche se una delle qualità di Bowie era quella di riuscire a rendere sufficientemente fruibili anche pezzi all’apparenza ostici: in fondo al concerto i nostri la suonano di nuovo per quello che nelle intenzioni doveva essere il videoclip del nuovo singolo, immagini che però poi non verranno usate. La funkeggiante Strangers When We Meet è molto più diretta ed orecchiabile, una pop song di classe tipica di Bowie con qualche rimando a Heroes https://www.youtube.com/watch?v=TOz4G01rjYU , mentre la lenta The Motel dopo un inizio piuttosto cupo si sviluppa distesa e viene impreziosita da un eccellente uso del pianoforte da parte di Garson. Restano ancora da menzionare la danzereccia Jump They Say, non esattamente una grande canzone, e la classica Moonage Daydream (uno dei brani di punta di Ziggy Stardust https://www.youtube.com/watch?v=BWEnkX0fgoY ), che invece è splendida ed è ulteriormente migliorata da una strepitosa coda chitarristica di Gabriels, nella parte che in origine era di Mick Ronson.

Marco Verdi

Stevie Ray Vaughan 1954-1990. 30 Anni Fa Ci Lasciava L’Ultimo Guitar Hero, Parte I

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Nella notte tra il 26 e il 27 agosto del 1990 c’era nebbia nella zona del Resort di Alpine Valley, vicino a Lafayette, East Troy, Wisconsin, una località sciistica, ma anche un campo da golf, dove in una area limitrofa era situato l’Alpine Valley Music Theatre, un anfiteatro con una capacità di ospitare fino a 37.000 persone, all’epoca il più grande degli Stati Uniti. In quella nottata si erano esibiti Eric Clapton con la sua band e l’opening act Stevie Ray Vaughan con i Double Trouble. Sui quattro elicotteri che avrebbero dovuto portare molti dei presenti al concerto da Alpine Valley a Chicago, in uno era previsto dovessero salire con SRV il fratello Jimmie Vaughan con la moglie Connie, mentre all’ultimo momento scoprirono che i posti erano stati riservati all’agente di Clapton, una guardia del corpo e il tour manager, lasciando un solo posto libero oltre a quello del pilota e Stevie chiese se poteva salire lui visto che aveva fretta di recarsi a Chicago. Per una delle “sliding doors” della storia, come quella del famoso disastro aereo in cui nel 1959 persero la vita Buddy Holly, Richie Valens e “The Big Bopper”, The Day The Music Died, come cantò Don McLean in American Pie  , e in cui per un caso Waylon Jennings invece si salvò, cedendo il suo posto, mentre Vaughan, all’età di 35 anni, ci lasciò prematuramente.

Vediamo, in modo abbastanza dettagliato, quale è stato il suo lascito musicale.

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I Primi Anni, dal 1970 al 1980, le “origini” della leggenda.

Già all’inizio degli anni ‘60, sulla scia dell’ammirazione per il fratello Jimmie, e per cercare di “distrarsi” dalle violenze del padre Jimmie Lee, che terrorizzava la famiglia con il suo pessimo carattere, amplificato dall’abuso di alcol e che sfociò anche in successivi episodi di violenza diretta, Stevie Ray decise di rifugiarsi nella musica, prima dandosi alla batteria e al sax, ma poi già nel 1961 arrivò la prima chitarra: lentamente, attraverso l’ascolto di bluesmen come Albert King, Otis Rush e Muddy Waters, e poi i suoi idoli musicali Lonnie Mack e soprattutto Jimi Hendrix, SRV si costruì un solido patrimonio di influenze, che poi avrebbe messo a frutto nel corso degli anni successivi. Nel 1969, ad una audizione per il gruppo Southern Distributor, sapeva già suonare Jeff’s Boogie degli Yardbirds, nota per nota, e alla fine dell’anno incontra per la prima volta Tommy Shannon, ma le loro strade si dividono in fretta, poi arrivano i Liberation, i Texas Storm del fratello Jimmie e “jamma” pure dal vivo con gli ZZ Top.

Nel 1971 arriva il primo gruppo proprio, i Blackbird(s), non è chiaro, di cui esiste qualche documento sonoro, in registrazioni dal vivo del 1973, più o meno ufficiali che mi sono andato ad ascoltare: qualità sonora molto rudimentale, ma il talento già si intravede nello slow blues I Can’t Sleep, in My Babe e in una frenetica Barefootin’, mito o leggenda? Nel 1973 entra nella band di Marc Benno, dove c’è già il cantante/batterista Doyle Bramhall (il babbo), registrano un album per la A&M che viene rifiutato, e firmano un contratto con il manager degli ZZ Top, Bill Ham. Nel 1975 entra nel gruppo Paul Ray And The Cobras, con il sassofonista Joe Sublett, e con loro si costruisce una reputazione suonando nei locali di Austin, attraverso innumerevoli jam session, arrivando anche a pubblicare un singolo, ma poi lascia quando la band decide di optare per un suono più mainstream.

A questo punto arrivano i Triple Threat Revue, una band dal grande potenziale, con Lou Ann Barton come cantante, il veterano W.C. Clark al basso, padrino della scena locale, nonché autore di Cold Shot, e il batterista Freddie Pharaoh. Quando Clark lascia all’inizio del 1978, SRV decide di chiamare la band Double Trouble, dal titolo del famoso brano di Otis Rush, e un po’ alla volta arrivano, prima il batterista Chris Layton e poi Shannon, Nel frattempo Lenora Bailey, detta “Lenny”, diventa la sua ragazza e poi sarà sua moglie, ma iniziano a crescere i suoi problemi con alcol (ereditati dal padre) e droga, che diverranno nel corso degli anni sempre più simili ad una forte dipendenza, tanto che già alla fine del 1979 viene arrestato a Houston per uso di droga, e l’anno successivo condannato a due anni con la condizionale, problema che poi si riverbererà a lungo negli anni a venire.

1980-2000. L’Incontro con David Bowie e poi gli anni dei dischi con i Double Trouble.

Abbiamo detto che all’inizio del 1978 nascono i Double Trouble, ma la formazione definitiva si assesterà con l’arrivo di Tommy Shannon al basso nel gennaio del 1981. Cerchiamo di mettere un ordine la discografia di SRV in base alle date di registrazione e non a quelle di uscita, molte avvenute in modo postumo, magari con qualche scostamento di data.

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Stevie Ray Vaughan & Double Trouble – In The Beginning – 1992 Epic ****

Registrato il 1° aprile del 1980 allo Steamboat 1874 di Austin per un broadcast radiofonico: al basso c’è ancora Jackie Newhouse e mancano tre anni alla pubblicazione di Texas Flood il primo album, ma lo stile è già formato, un torrente di blues elettrico inarrestabile da 5 stellette, per il collega e critico Cub Koda, mentre Robert Chistgau del Village Voice parla di performance immatura, visto che parliamo di un disco dal vivo. A mio modesto parere è già un gran disco: per lo speaker è Stevie Vaughan, ma lui suona già come un uomo posseduto dalla sua chitarra, In The Open, un brano di Freddie King, ci consente di gustare quel suo stile unico ed inimitabile, un misto di blues (texano) e folate di rock hendrixiano, con note accatastate con impeto e violenza, ma anche con una tecnica invidiabile, il mondo ancora non lo sa, ma è arrivato, forse, l’ultimo dei “guitar heroes”.

40 minuti scarsi dove si susseguono una torrenziale Slide Night, dove va alla grande di bottleneck, seguita dalla programmatica e vorticosa They Call Me Guitar Hurricane di Guitar Slim, dove se si sente anche quella voce sgangherata e rotta, non da grande cantante, ma sincera. All Your Love (I Miss Loving) di nuovo di Freddie King, è un brano imprescindibile con cui si devono misurare tutti i grandi chitarristi, versione ruvida ma fascinosa e impetuosa, ragazzi se suonava! Vaughan, forse perché era l’ “ultimo arrivato”, nel suo stile riportava un po’ le influenze di tutti coloro che erano venuti prima di lui, ma aveva comunque un suo tocco, un sound che lo faceva riconoscere immediatamente, e che poi dopo la sua scomparsa avrebbe generato una lunga serie di epigoni, quando andava bene e di cloni, in molti altri casi.

Fine della digressione. Tin Pan Alley (aka Roughest Place In Town) un pezzo di Robert Geddins (bluesman poco noto che però ha scritto anche Mercury Blues e My Time After A While) era già nel repertorio di Stevie e verrà inserito nella ristampa potenziata in CD del 1999 di Texas Flood, uno slow blues di quelli dove il solista deve “soffrire” per contratto, magari mentre fa le classiche faccine dei chitarristi quando creano i loro assoli. Love Struck Baby scritta da SRV sarà il primo singolo estratto da Texas Flood con tanto di video su MTV, qui già perfettamente delineato, un R&R per le le future generazioni, che Chuck Berry e Keith Richards sono sicuro hanno apprezzato; Tell Me di Howlin’ Wolf e Shake For Me di Willie Dixon, sempre scritta per il “Lupo”, sono due omaggi ai grande suono della Chess, mentre Live Another Day, un altro brano originale di SRV, uscirà poi su Texas Flood con il titolo I’m Crying.

Eccellente serata, peccato che lo scopriremo solo nel 1992, quando il CD verrà pubblicato postumo. Anche se il gruppo era conosciuto solo in Texas, la loro reputazione inizia a crescere, e su raccomandazione di Jerry Wexler che li vede in una serata al Continental Club di Austin, e quindi li consiglia a Claude Nobs, il patron del Festival di Montreux, vengono scritturati per una serata alla manifestazione svizzera.

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Live At Montreux 1982 & 1985 – 2 CD Epic Legacy 2001 e 2 DVD Legacy 2004 ****/****1/2

Visto che non si possono scindere ne parliamo insieme, ma cronologicamente partiamo dalla serata al Casino di Montreux del 17 luglio 1982. Stevie Ray Vaughan e i Double Trouble sono degli illustri sconosciuti in Europa, e inoltre vanno a suonare in uno dei templi del jazz mondiale, dove però nel corso degli anni hanno suonato anche artisti dei generi più disparati. Ovviamente il fatto che il pubblico, preparato per uno spettacolo “acustico”, si trovi davanti tre scalmanati che suonano un blues elettrico ad alto voltaggio, di cui uno vestito come Zorro, con tanto di cappello da giocatore d’azzardo e Stratocaster del ‘59 ad altezza fianchi, non aiutò molto.

Il suo manager dell’epoca racconta che “boos e oos” erano quasi alla pari, con le disapprovazioni prevalenti, ma il set, ascoltato e visto al momento dell’uscita ad inizio anni 2000, riascoltato oggi mi sembra più che adeguato, e qualcuno tra il pubblico, leggi David Bowie, apprezzò molto, tanto da proporgli all’impronta di suonare nel suo prossimi disco Let’s Dance, e Jackson Browne, dopo un after hours di jam che andò avanti fino al mattino del giorno dopo, gli propose di registrare gratuitamente nei suoi studios personali, cosa che poi fu fatta. Come dicevo, più che adeguato, con un medley strumentale eccitante di Hideaway e una Rude Mood, presa a velocità boogie da ritiro della patente, e se non hanno cambiato il sottofondo sonoro, mi sembra che il pubblico all’inizio sia soddisfatto a giudicare dagli applausi, fischi per ora pochi, la sezione ritmica tira alla grande e SRV suona sempre come uno posseduto dal Blues, colla chitarra che va ovunque, con diverse citazioni hendrixiane.

Pride And Joy con il suo riff ripetuto è già un classico istantaneo, il nostro amico ci regala una performance “cazzuta” (Si può dire? Ormai l’ho scritto) e il mito inizia a materializzarsi in una serie di assoli micidiali, e qui ammetto che una parte del pubblico, si dice almeno quello delle prime file, comincia ad inquietarsi. Segue una versione da manuale, di oltre 10 minuti, di Texas Flood, lo slow blues elettrico elevato a pura potenza, il figlio illegittimo di Red House, torrido e senza requie, forse parte dei presenti avrebbe apprezzato maggiormente il fratello Jimmie, più rigoroso nelle 12 battute, ma che però in quegli anni ci dava dentro di brutto anche lui con i Fabulous Thunderbirds, ma c’era l’altro fratello, e quindi prendere o lasciare.

Pochi lasciano e lui li prende di petto con Love Struck Baby e poi con una soffertissima Dirty Pool, il brano scritto con Doyle Bramhall babbo, un altro blues lento di quelli superbi, lasciateli fischiare avrà pensato, come un novello Bob Dylan a Newport, sempre di Festival parliamo: “regala” ancora al pubblico, che continua ad incazzarsi, una fumante Give My Back My Wig di Hound Dog Taylor, a tutto boogie e con slide in libertà e chiude con una veemente Collin’s Shuffle del grande Albert. Quando torna a Montreux nel 1985 è diventato una superstar del (rock)blues, e non più un semi sconosciuto senza contratto discografico da fischiare, nella band c’è anche Reese Wynans all’organo e il concerto è decisamente più lungo, il doppio come durata, la foga è la stessa, ma il nostro è afflitto da problemi di alcol e droga non indifferenti, per quanto suoni ancora come una cippa lippa.

Scuttle Buttlin’ è una partenza da sballo (mi è scappato), uno strumentale vibrante, con le tastiere di Wynans a doppiare la chitarra fremente di SRV, l’hendrixiana Say What con wah-wah a manetta e lo slow blues Ain’t Gone N’ Give Up On Love provengono entrambe dal recente Soul To Soul, mentre Pride And Joy è uno dei suoi brani più belli e conosciuti, con Wynans al piano, seguita da una cover eccellente di Mary Had A Little Lamb di Buddy Guy e da un tour de force letale di oltre 13 minuti per Tin Pan Alley con Johnny Copeland come ospite (nella versione in CD, Copeland è presente anche in una veemente Cold Shot e in Look At Little Sister); poi arriva l’omaggio diretto all’amatissimo Jimi Hendrix con una travolgente e magica Voodoo Chile (Slight Return), uno dei pochi che ha potuto avvicinare la maestria superba del mancino di Seattle.

E c’è tempo ancora per una torrenziale Texas Flood, e per un altra ballata blues sontuosa come Life Without You dove uno Stevie particolarmente ispirato distilla note dalle sua chitarra, ricordando con orgoglio al pubblico presente che tre anni prima era tempo di fischi, mentre ora era tempo di Grammy. Si chiude con la jazzata Gone Home e con un’altra perla tra Jimi e Stevie Ray come Couldn’s Stand The Weather. Un grande concerto.

Ma facciamo rewind e torniamo al gennaio del 1983: Vaughan entra in studio con David Bowie per registrare Let’s Dance, dove appare in sei brani, compresa la title track e China Girl, per un album che diventa uno dei maggiori successi anni ‘80 per il Duca Bianco, vendendo 1 milione di copie negli USA. Sulla scorta di questi eventi la Epic lo mette sotto contratto a marzo del 1983, anche se nel frattempo SRV e soci, con l’aiuto del grande talent scout e produttore John Hammond, avevano già registrato a fine ‘82 proprio al Down Town Studio di Jackson Browne in quel di L.A., il loro album di debutto.

Fine prima parte.

Bruno Conti

Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volume 1: Ouvrez Le Chien

david bowie ouvrez les chiens live in dallas 95

David Bowie – Ouvrez Le Chien – Rhino/Warner CD – 2LP

La serie di cofanetti dedicati alle varie ere della carriera di David Bowie è ferma a Loving The Alien del 2018 (che prendeva in esame gli anni 80), ma è stato confermato da poco che nel 2021 verrà stampato il prossimo volume, che riguarderà la decade seguente. Nel frattempo chi gestisce gli archivi del compianto musicista inglese se ne è inventata un’altra, cioè un cofanetto a puntate, come se fosse un’enciclopedia, che si occuperà di concerti inediti che il Duca Bianco tenne nella seconda metà degli anni 90. Brilliant Live Adventures 1995-1999 è il titolo del box, che raccoglierà sei CD (o 12 LP) di altrettanti concerti che verranno pubblicati in tiratura limitata e con cadenza mensile, tre prima di fine anno e tre nei primi mesi del 2021, ed in vendita esclusivamente sul sito di Bowie https://www.musicglue.com/david-bowie/  (*NDB Sembra già esaurito) o nello store online della Rhino. Un’operazione diversa dal solito ma comunque apprezzabile specie per i fans di Bowie, se non fosse per un fastidioso particolare: se pensate che il cofanetto vuoto che servirà a contenere CD o LP vi verrà spedito con l’ultima uscita (o magari con la prima se sottoscriverete “l’abbonamento” alla serie completa, opzione comunque non contemplata) è meglio che vi ricrediate, in quanto se volete il box lo dovete pagare poco meno di venti dollari (neppure poco, ed in più sui siti di cui sopra è esaurito praticamente dal primo giorno, anche se dovrebbero stamparne degli altri).

Un’iniziativa antipatica che però non rovina la bontà dell’operazione, che getta finalmente luce su una fase della carriera di Bowie finora non documentata da alcun live ufficiale. La prima uscita, di cui mi occupo oggi, si intitola Ouvrez Le Chien, ed è la testimonianza di un concerto a Dallas nell’ottobre del 1995, già pubblicato lo scorso luglio ma solo in streaming, registrato durante il tour promozionale dell’album Outside (anzi, 1.Outside, dato che nell’idea originale avrebbe dovuto essere il primo episodio di una trilogia che poi non si è concretizzata), un lavoro complesso e tra i più sperimentali del nostro, un concept ambientato in un futuro distopico in cui l’omicidio è diventato una forma d’arte, con protagonista il fittizio detective Nathan Adler: il disco, che vedeva David alle prese con sonorità art-rock quando non trip-hop e techno (e rinverdiva la sua collaborazione con Brian Eno, ferma a Lodger del 1979), ebbe un ottimo successo di critica ed anche di pubblico, nonostante parecchi fans del Bowie più classico rimasero spiazzati davanti a certi arrangiamenti. Il tour che ne seguì ottenne però qualche critica negativa, sia per la brevità di alcuni spettacoli (infatti il CD del quale mi accingo a parlare, che dura 67 minuti, è il concerto completo, anche se in realtà mancano cinque pezzi suonati all’inizio insieme ai Nine Inch Nails), ma soprattutto per l’apparente rifiuto del leader di suonare le sue canzoni più famose, dando viceversa grande spazio al nuovo album e andando a ripescare brani più oscuri dai dischi del passato.

Se per un fan accorso all’epoca a vedere uno dei concerti questo poteva costituire un problema (a me è successo con Lou Reed, purtroppo l’unica volta che sono riuscito a vederlo, nel 2006 al Teatro Ventaglio Nazionale di Milano: solo 12 canzoni in tutto, di cui 11 non proprio “conosciutissime” – a parte Street Hassle, che però dal vivo ve la raccomando – ed una Sweet Jane suonata come unico bis ma in maniera decisamente scazzata), per l’ascoltatore odierno avere a che fare con un live di Bowie diverso dai soliti può addirittura rappresentare uno stimolo in più. Bowie sul palco non è mai stato un trascinatore come Springsteen o i Rolling Stones, ma era comunque un grande professionista che raramente deludeva il pubblico con performance sottotono, ed aveva la prerogativa di circondarsi sempre di musicisti formidabili: nello specifico in Ouvrez Le Chien abbiamo Reeves Gabriels e Carlos Alomar alle chitarre, Gail Ann Dorsey al basso, Zachary Alford alla batteria, Peter Schwartz e Mike Garson alle tastiere e George Simms alle backing vocals insieme alla Dorsey, Gabriels ed Alomar, mentre David si cimenta qua e là al sassofono. Il CD si apre in maniera potente con la frenetica Look Back In Anger (da Lodger), un brano molto rock con la band che picchia duro e Bowie che canta con grinta; dalla cosiddetta “trilogia berlinese” arrivano anche, più avanti nel concerto, Breaking Glass (da Low), pop-rock urbano che riesce a coinvolgere a dovere per merito dell’ottima prestazione del gruppo, e da Heroes la poco nota Joe The Lion, quasi un rock’n’roll ma alla maniera del nostro, quindi non canonico ma in ogni caso piuttosto trascinante.

Da Outside abbiamo ben sei pezzi, a partire dall’inquietante primo singolo The Hearts Filthy Lesson, un mix tra rock e suoni tecnologici algidi che trasmette un senso di angoscia e alienazione, ma che dal vivo risulta più solida e meno artefatta che in studio, fino a diventare quasi piacevole nonostante le sonorità oblique. The Voyeur Of Utter Destruction (As Beauty) ha una ritmica pressante ed una chitarra decisamente rock sullo sfondo, con le tastiere che danno il tocco di modernità e Gabriels che piazza un assolo torcibudella; I Have Not Been To Oxford Town è più fluida e sembra quasi un errebi tecnologico dal ritmo sostenuto e con un ritornello corale abbastanza immediato, mentre Outside è una rock ballad cupa, oscura e con un marcato ricorso all’elettronica, ma che l’interpretazione rilassata di Bowie riesce a rendere fruibile grazie anche ad una performance vocale degna di nota. Gli ultimi due pezzi tratti dall’album del 1995 sono We Prick You, troppo sintetica e piuttosto bruttina, e I’m Deranged, sorta di funk-rock futuristico di non facile assimilazione e con un finale quasi psichedelico, ma suonato benissimo. Da Hunky Dory, forse il suo album più famoso e più bello insieme a Ziggy Stardust, David esegue con grande vigore la non popolarissima Andy Warhol, un brano funkeggiante ed annerito (ma su quel disco c’era di meglio).

Poi finalmente abbiamo un pezzo più conosciuto anche se non è propriamente una hit, vale a dire la title track dell’album The Man Who Sold The World, ballata tipica dei primi anni del nostro che qui assume una veste sonora decisamente più moderna, con in evidenza ancora la chitarra lancinante di Gabriels. Finale con la cover danzereccia di Nite Flights dei Walker Brothers, tratta da Black Tie White Noise e, da Scary Monsters, la tersa e deliziosa Teenage Wildlife, ottima e coinvolgente rock song chitarristica. Tra le due, l’unico vero brano da greatest hits del concerto, ma è una hit planetaria: si tratta infatti di Under Pressure, famossissimo funky-pop originariamente scritto ed inciso da David insieme ai Queen, qui con la Dorsey a fare le veci di Freddie Mercury. Il prossimo live di questo cofanetto “a rate” riguarderà un’altra serata del tour di Outside, ma scelta nell’ambito delle date europee.

Marco Verdi

Altre Due Ristampe, Fondamentalmente (In)Utili: Derek And The Dominos – Layla/David Bowie – Metrobolist

derek and the dominos layladerek and the dominos layla vinile

Entrambe le uscite quest’anno (come molti altri dischi “importanti”) festeggiano il 50° Anniversario dall’uscita, ma iniziamo con Derek And Dominos, Layla, o meglio Layla And Other Assorted Love Songs, per dargli il suo titolo completo, album splendido che, quantomeno, vede una nuova e speciale lussuosa edizione in vinile quadruplo, quella che vedete effigiata qui sopra, ma il disco fu già ristampato più volte, la prima volta nel 1990, con The Layla Sessions 20th Anniversary Edition, pubblicata all’epoca in più versioni, anche in tripla musicassetta (ebbene sì ai tempi si usava ancora), ma soprattutto nel classico box formato 12″ che comprendeva 3 CD: l’album originale rimasterizzato, il secondo dischetto intitolato The Jams, cinque improvvisazioni tra i 12 e i 20 minuti, registrate durante le sessions originali, un paio anche con Duane Allman e una con Dickey Betts, tutte assolutamente strepitose, e infine nel terzo CD, dal titolo esplicativo Alternate Masters, Jams And Outtakes, ulteriore materiale inedito. In più nel box c’era un bel librettino e una busta formato A4 che riportava, foglio per foglio, tutte le informazioni dettagliate relative alle canzoni del disco, estratte dai fogli allegati ai master originali, con i nomi dei musicisti e quali parti musicali e quale strumento aveva suonato ciascuno nelle suddette canzoni, anche chi usava il bottleneck e così via.

derek and the dominos layla 20th

Ovviamente il cofanetto qui sopra è fuori catalogo da tempo, ma nell’ambito dell’usato circola ancora, a prezzi molto variabili, e se vi capita cercatelo e acquistatelo, perché questa è la versione da avere. Poi nel 2011 (sapete che le case discografiche non sempre sono molte precise nelle date delle ripubblcazioni) esce la 40th Anniversary Edition,
doppio CD, con un dischetto in meno di quella del 1990 (ovviamente le jams), ma con un contenuto Bonus Material – Singles, TV, Second Album Sessions, molto differente dal CD omologo della prima ristampa, e quindi molto interessante per i patiti di Eric Clapton, anche se una parte era già uscita nel primo box di Crossroads, e quindi, per dirla con Rino Gaetano, Spendi Spandi Effendi. Però nel 2011 esce anche la Super Deluxe Ultimate Collector’s Edition con aggiunta la edizione potenziata del doppio dal vivo In Concert con molte tracce extra, la versione in doppio vinille del disco originale, un libro rilegato e altro, ma non il dischetto con le jams. Oltre naturalmente alla versione in CD singolo dell’album, che è l’unica tuttora in produzione (sì, il doppio, se vi sbattete un po’, lo trovate ancora).

Ma è inutile perché il prossimo 13 novembre i prodi discografici ripubblicano la versione 2011, quindi sempre senza le jam session, ma anche in versione quadruplo vinile, che vi riporto qui sotto, e vale come contenuti anche per il doppio compact disc (più il brano High, che si trova solo nell’antologia Eric Clapton: Life in 12 Bars del 2018).

LP1/ LP2
Side A
1. I Looked Away
2. Bell Bottom Blues
3. Keep On Growing
4. Nobody Knows You When You’re Down And Out

Side B
1. I Am Yours
2. Anyday
3. Key To The Highway

Side A
1. Tell The Truth
2. Why Does Love Got To Be So Sad?
3. Have You Ever Loved A Woman

Side B
1. Little Wing
2. It’s Too Late
3. Layla
4. Thorn Tree In The Garden

LP3 / LP4 – Bonus Material (*denotes previously unreleased on vinyl)
Side A
1. Mean Old World – Layla Session Out-take
2. Roll It Over – Phil Spector Produced Single B-Side
3. Tell The Truth – Phil Spector Produced Single A-Side

Side B
1. It’s Too Late* – Live On The Johnny Cash TV Show, November 5, 1970
2. Got To Get Better In A Little While* – Live On The Johnny Cash TV Show, November 5, 1970
3. Matchbox with Johnny Cash & Carl Perkins* – Live On The Johnny Cash TV Show, November 5, 1970
4. Blues Power* – Live On The Johnny Cash TV Show, November 5, 1970

Side A
1. Snake Lake Blues* – From April/May 1971 Sessions For The Dominos’ Second Album
2. Evil* – From April/May 1971 Sessions For The Dominos’ Second Album
3. Mean Old Frisco* – From April/May 1971 Sessions For The Dominos’ Second Album
4. One More Chance* – From April/May 1971 Sessions For The Dominos’ Second Album

Side B
1. High – From April/May 1971 Sessions For The Dominos’ Second Album
2. Got To Get Better In A Little While Jam* – From April/May 1971 Sessions For The Dominos’ Second Album
3. Got To Get Better In A Little While* – From April/May 1971 Sessions For The Dominos’ Second Album

Questo per la cronaca: se non vi ho convinto compratevi Layla per l’ennesima volta, visto che il disco è uno dei capolavori assoluti di Clapton.

david bowie metrobolist

Il 6 di novembe per la Parlophone/Rhino, esce invece David Bowie Metrobolist (The Man Who Sold The World 50th Anniversary Edition), che non è il nome di qualche squadra dell’Est (quello è il Metalist, dall’Ucraina), ma, come dice il sottotitolo della ristampa, il secondo album di Bowie, con il titolo e la copertina che avrebbe dovuto avere ai tempi: giutificazione forse debole, considerando che non ho mai visto riedizioni di Yesterday dei Beatles come Scrambled Eggs, o nell’ambito di Bowie David Bowie (aka Space Oddity)  e infatti i fans di David, costretti a sborsare, se vogliono, nessuno li obbliga, altri soldi (visto che di prodotti di Bowie ne escono a raffica) per una ennesima (in)utile edizione del disco che vedete qui sotto, senza nessuna traccia extra o outtake:va bene, è stato remixato ex novo da Tony Visconti, il produttore del disco originale. Possiamo aggiungere che la copertina è quella della versione americana di The Man Who Sold The World, ma nella grafica gli hanno cambiato il titolo, disco che in effetti in Gran Bretagna era uscito alcuni mesi dopo il 10 aprile del 1971, e non a novembre 1970. Ma quindi dobbiamo attenderci una ulteriore ristampa la prossima primavera? Anche se nel 2015 ne è già uscita una.

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1. The Width Of A Circle
2. All The Madmen
3. Black Country Rock
4. After All
5. Running Gun Blues
6. Saviour Machine
7. She Shook Me Cold
8. The Man Who Sold The World
9. The Supermen

Quindi potrebbero risultare utili solo se non avete questi dischi: chi vivrà vedrà, alla prossima.

Bruno Conti

eric clapton crossroads 2019

P.S. A novembre, il 20, di Eric Clapton (e soci) esce anche questo sopra, ne parliamo prossimamente.

Dopo Ziggy E Prima Del Duca Bianco C’Era David “L’Americano”. David Bowie – I’m Only Dancing (The Soul Tour 74)

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David Bowie – I’m Only Dancing (The Soul Tour 74) – Parlophone/Warner Record Store Day 2CD – 2LP

Aldilà del dolore per l’improvvisa scomparsa del loro idolo nel gennaio del 2016, negli ultimi anni i fans di David Bowie hanno avuto di che leccarsi i baffi tra live inediti, i quattro cofanetti retrospettivi con gli album della sua discografia ed anche qualche aggiunta (una serie che però è ferma a Loving The Alien del 2018, che prendeva in esame gli anni ottanta della popstar inglese) ed il bellissimo box quintuplo dello scorso anno Conversation Piece, con le sessions ed i demo casalinghi inerenti all’album del 1969 Space Oddity. Quest’anno si è invece deciso di celebrare (si fa per dire) The Man Who Sold The World, disco del 1970 di Bowie che il sei novembre verrà rimesso sul mercato, remixato ma senza mezza bonus track, con il titolo di Metrobolist (che sembra fosse il nome originale dell’album) e la copertina cambiata con una tra l’altro delle più brutte viste ultimamente: in poche parole, un’iniziativa ridicola.

Gli estimatori del Duca Bianco si possono comunque consolare con un nuovo live inedito uscito a fine agosto in occasione della prima parte del Record Store Day (che quest’anno a causa del Covid è stato diviso in tre), sia in doppio LP che in doppio CD: I’m Only Dancing (The Soul Tour 74) come suggerisce il titolo si occupa di uno show tratto dalla tournée del 1974 per promuovere l’album Diamond Dogs, e precisamente del concerto del 20 ottobre al Michigan Palace di Detroit (al quale manca la parte finale per problemi tecnici, sostituita però da quella registrata al Municipal Auditorium di Nashville il 30 novembre). Non è la prima volta che questo tour, che si svolse esclusivamente tra Canada e Stati Uniti, viene documentato ufficialmente, e la sua particolarità fu quella di essere diviso in tre parti con tre band diverse: il famoso album dal vivo dell’epoca David Live si occupava di un concerto a Philadelphia nel primo periodo (giugno-luglio), la seconda parte (settembre) è stata presa in esame tre anni fa in Cracked Actor, mentre il CD di cui mi occupo oggi è inerente alla terza fase.

Un’altra caratteristica fu che tra il primo e secondo segmento (quindi in agosto) Bowie incise le canzoni che avrebbero formato l’anno seguente l’album Young Americans, un disco con un suono influenzato dal soul ed errebi di Philadelphia, e la restante parte del tour da settembre in poi sarà ispirata da questo tipo di sound: da qui il nomignolo “The Soul Tour” (o anche “The Philly Tour”). I’m Only Dancing vede Bowie in ottima forma (con una voce leggermente arrochita dai molti concerti) accompagnato da un gruppo di prima qualità, cosa normale per il nostro che si è sempre affidato a musicisti formidabili: Earl Slick alla chitarra solista, Carlos Alomar alla ritmica, Mike Garson alle tastiere, la futura star del sax David Sanborn, il noto bassista Willie Weeks, Dennis Davis alla batteria, Pablo Rosario alle percussioni e ben sei backing vocalists, tra i quali spicca l’allora sconosciuto Luther Vandross, anch’egli destinato ad una carriera di grande successo.

Il doppio CD, poco meno di 90 minuti in tutto, è piacevole dalla prima all’ultima canzone grazie ad una miscela accattivante tra rock, soul, errebi e funky, un concerto scoppiettante che inizia con la classica Rebel Rebel e continua con l’altrettanto popolare John, I’m Only Dancing (Again), mettendo in fila in maniera brillante brani la cui fama è arrivata fino ad oggi come Changes, The Jean Genie (dall’arrangiamento quasi blues), Suffragette City, Rock’n’Roll Suicide e Diamond Dogs ed altri meno noti come la funkeggiante 1984, la potente rock ballad Moonage Daydream (con grande assolo finale di Slick), la soulful Rock’n’Roll With Me, che a dispetto del titolo è uno slow, e, vista la location, non poteva mancare la roccata Panic In Detroit.David offre anche in anteprima quattro pezzi da Young Americans: la title track, puro blue-eyed soul, l’elegante ballata Can You Hear Me, l’inedito It’s Gonna Be Me (che uscirà sulle future ristampe), e l’annerita Somebody Up There Likes Me, con Sanborn protagonista. Dulcis in fundo, Bowie si diverte a proporre cover abbastanza eterogenee infilandole qua e là, alcune appena accennate ed altre in medley creati appositamente: ascoltiamo quindi una suadente Sorrow dei McCoys, la celeberrima Knock On Wood di Eddie Floyd, la meno nota Foot Stompin’ (The Flares) ed uno standard jazz degli anni venti intitolato I Wish I Could Shimmy Like My Sister Kate; infine, c’è anche un doppio omaggio a Beatles e Rolling Stones, rispettivamente con Love Me Do e It’s Only Rock’n’Roll (But I Like It).

Un buon live quindi, forse non indispensabile per l’acquirente occasionale (anche perché non costa pochissimo), ma che gli appassionati di David Bowie si saranno probabilmente già accaparrati.

Marco Verdi

Un Bel Box Per Celebrare La Premiata Ditta “Iggy & Ziggy”. Iggy Pop – The Bowie Years

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iggy pop bowie years box

Iggy Pop – The Bowie Years – Virgin/Universal 7CD Box Set

Nel 1974 Iggy Pop era ad un bivio: sciolti definitivamente gli Stooges (cult band proto-punk definita “tra le più rumorose del pianeta”) ed immerso fino al collo nell’uso di droghe, il rocker del Michigan sembrava un musicista finito, solo, ed incerto su cosa fare della propria vita. L’aiuto venne dall’amico David Bowie (che aveva già collaborato con lui remixando l’ultimo album degli Stooges Raw Power), ospitandolo in quella che in quegli anni era la sua città, Berlino, ed esortandolo a piantarla con gli stravizi ed a riprendere in mano la sua carriera musicale; i due così incomincarono a scrivere canzoni insieme, brani che saranno l’ossatura dei primi due dischi da solista di Iggy, The Idiot e Lust For Life, usciti entrambi nel 1977. Ma Bowie non si limitò a collaborare con l’Iguana alla stesura dei brani, ma accettò di produrli contribuendo anche a suonare tastiere, chitarre e sax e reclutando musicisti che facevano parte del suo giro, come il chitarrista Carlos Alomar e la sezione ritmica formata dai fratelli Tony e Hunt Sales (che in futuro formeranno con lui i Tin Machine). Avere Bowie alla consolle era poi una garanzia, in quanto il Duca Bianco aveva da poco rilanciato la carriera dei Mott The Hoople, producendo il loro comeback album All The Young Dudes e scrivendo la celebre title track, ed era stato responsabile anche del capolavoro di Lou Reed Transformer.

Ed il risultato finale non smentì la fama di David (che in quel periodo era una delle rockstar più in voga al mondo), in quanto sia The Idiot che soprattutto Lust For Life sono ancora oggi considerati i due migliori album di un Iggy Pop tirato nuovamente a lucido: nonostante ciò il successo fu deludente, ed a poco servì la tournée promozionale che vedeva Bowie addirittura all’interno della band (ma Pop – nato James Newell Osterberg – è sempre stato un rocker di nicchia, dato che l’unico vero successo lo avrà negli anni ottanta con l’album Blah Blah Blah ed il singolo Real Wild Child, entrambi guarda caso prodotti ancora da Bowie). I due album in questione costituiscono l’ossatura del cofanetto di cui mi accingo a scrivere, un box di sette CD chiamato appunto The Bowie Years (titolo che non mi fa impazzire in quanto secondo me sminuisce la figura di Pop, ma forse un The Berlin Years avrebbe avuto minor appeal commerciale), che oltre a The Idiot e Lust For Life ripropone anche il live uscito all’epoca T.V. Eye, un dischetto di rarità ed outtakes (che vere outtakes non sono, come vedremo), e ben tre diversi concerti dal vivo sempre del 1977, ovviamente inediti. (NDM: per chi non volesse sostenere la spesa del box, i due album originali sono usciti anche in versione doppia deluxe: The Idiot con accluso uno dei tre live “nuovi” – a Cleveland, presso l’Agora Ballroom di “springsteeniana” fama – e Lust For Life con T.V. Eye sul secondo CD).Ma ecco una disamina dei contenuti del cofanetto.

CD 1: The Idiot. Questo album risente parecchio dell’influenza di Bowie (e di Berlino), in quanto vede un Iggy meno feroce di quando era a capo degli Stooges e più sperimentale, con brani di stampo rock che però presentano anche elementi di musica elettronica di ispirazione “kraut”. Il disco si apre con il funk-rock molto bowiano di Sister Midnight, e prosegue prima con la cadenzata ed intrigante Nightclubbing (con grande lavoro di Alomar alla chitarra) e poi con la coinvolgente Funtime, che vede Iggy cantare “alla Lou Reed” e Bowie gigioneggiare da par suo durante tutto il brano. Detto dell’insolita Tiny Girls, soffusa, lenta e raffinata (e con un lungo assolo di David al sax), The Idiot è anche l’album in cui compare la versione originale della famosa China Girl, con la quale proprio Bowie avrà successo negli anni ottanta in una versione pop-rock-dance, anche se per me il brano migliore del disco è l’ipnotica ed avvolgente rock ballad chitarristica Dum Dum Boys.

CD 2: Lust For Life. Uscito a soli cinque mesi da The Idiot, questo lavoro è decisamente più diretto e rock’n’roll, con meno sperimentazioni e più chitarre. Intanto contiene la splendida The Passenger, grande rock’n’roll song che ad oggi è il pezzo più noto di Iggy (anche se su singolo uscì solo come lato B), dotata di uno dei riff più trascinanti di sempre, ma anche la title track è un gran pezzo, con una lunga e coinvolgente introduzione a tutto ritmo ed Iggy che fa uscire il suo particolare carisma (e la potente e diretta Sixteen non è certo da meno). Ottime anche Some Weird Sin, che aumenta la quota rock’n’roll del disco con un brano di grande appeal chitarristico, e l’orecchiabile Success, che stranamente mi ricorda qualcosa di molto vicino al Jersey Sound. Infine, troviamo ancora due canzoni che Bowie riproporrà negli eighties, cioè la deliziosa ballad Tonight (Ziggy la canterà in duetto con Tina Turner) e l’incalzante Neighbourhood Treat.

CD 3: T.V. Eye – 1977 Live. Album dal vivo uscito nel 1978 di soli 36 minuti, che vede un Iggy in gran forma a capo di un gruppo comprendente Bowie alle tastiere ed il futuro Heartbreaker Scott Thurston alla chitarra ritmica (la solista è di Stacey Heydon). Otto canzoni registrate a Cleveland, Kansas City e Chicago, con versioni decisamente più crude e rock di brani tratti dai due album del ’77 (due a testa: Funtime e Nightclubbing da The Idiot e la title track e Sixteen da Lust For Life) e quattro versioni assolutamente incendiarie di brani degli Stooges, le tonitruanti T.V. Eye, I Got A Right ed il classico I Wanna Be Your Dog, mentre la lenta ed ipnotica Dirt è al limite della psichedelia. CD 4: Edits & Outtakes. Il CD più deludente del box: solo dieci pezzi (ma l’ultimo è una recente intervista ad Iggy) ma nessun vero inedito, bensì una manciata di versioni “edit” uscite su singolo e quattro missaggi alternati di Dum Dum Boys, Baby, China Girl e Tiny Girls, praticamente identici agli originali.

CD 5-6-7: Live In 1977. Tre dischetti registrati rispettivamente al Rainbow Theatre di Londra, all’Agora di Cleveland (ma con tracce diverse da quelle apparse su T.V. Eye) ed ai Mantra Studios di Chicago. Tre ottime testimonianze della forma di Iggy dal vivo con altrettante performance abbastanza simili tra loro: l’unica magagna (ma non da poco) è la qualità amatoriale della registrazione del concerto di Londra, con un suono “fangoso” da bootleg appena discreto, mentre il live a Cleveland è inciso benissimo e quello a Chicago è una via di mezzo tra i due ma decisamente più accettabile del primo. Il repertorio è basato per la maggior parte su brani del periodo Stooges che sui due album del 1977 (anche perché all’epoca di questi tre concerti Lust For Life non era ancora uscito, e sono presenti in anteprima solo Tonight e Turn Blue), con versioni ancora più infuocate e punkeggianti che in T.V. Eye ed highlights del calibro di Raw Power, 1969, Gimme Danger, I Need Somebody, Search And Destroy e la già citata I Wanna Be Your Dog.

The Bowie Years è quindi un cofanetto che non può mancare nella collezione dei fans di Iggy Pop (e dello stesso Bowie), mentre per gli altri saranno sufficienti le riedizioni doppie di The Idiot e Lust For Life.

Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 16. Ed Anche Space Oddity Compie 50 Anni, Ma Viene Celebrato “In Incognito”! David Bowie – Conversation Piece

david bowie conversation piece

David Bowie – Conversation Piece – Parlophone/Warner 5CD Box Set

Quest’anno gli estimatori di David Bowie non hanno avuto il solito volume dei box sets riepilogativi della carriera del musicista scomparso nel Gennaio del 2016 (una serie comunque più interessante per i neofiti che per i fans, dato la scarsità di materiale inedito), ma sono stati gratificati di un’operazione per loro ancora più stuzzicante. Facciamo un passo indietro di qualche mese, e cioè a quando la Parlophone ha pubblicato tre cofanetti esclusivamente in vinile intitolati rispettivamente Spying Through A Keyhole, Clareville Grove Demos e The “Mercury” Demos, in cui venivano pubblicate delle sessions in gran parte inedite del biennio 1968-1969 inerenti all’allora imminente “vero” debutto discografico del futuro Duca Bianco (l’album David Bowie, uscito per la Deram nel 1967 e pochissimo rappresentativo dello stile che il nostro avrà in seguito, è sempre stato trattato alla stregua di una falsa partenza). Anche il disco del 1969 si intitolerà David Bowie, quasi a voler rimarcare che quello sarà il vero debutto (negli Stati Uniti verrà invece ribattezzato in maniera secondo me un po’ idiota, Man Of Words, Man Of Music), ma oggi con quel nome il disco lo conoscono in tre, dato che dal 1972 ogni ristampa lo identificherà come Space Oddity, dal titolo della splendida ballata che apre il lavoro, uno dei brani più leggendari di Bowie che diede il via ad una lunga serie di canzoni a tema “spaziale” (e che venne pubblicata come singolo solo cinque giorni prima della missione Apollo 11 sulla Luna).

Oggi Space Oddity viene celebrato in maniera sontuosa ancorché un po’ strana, con un box che non mette in evidenza il nome dell’album ma lo nasconde preferendo recare il titolo Conversation Piece: cinque CD in cui troviamo i contenuti delle tre pubblicazioni in vinile citate in precedenza (che avevano un costo esageratamente alto) ulteriormente arricchite di altri 12 inediti, più due versioni corredate da bonus tracks dell’album originale del 1969, uno con il mix dell’epoca ed uno rifatto apposta per questo box (quest’ultimo disponibile anche separatamente), che occupano rispettivamente il quarto e quinto CD del box. Il cofanetto tra l’altro è splendido dal punto di vista “fisico”, uno dei più belli tra quelli usciti ultimamente: un librone dalla copertina dura pieno di foto rare, note brano per brano, crediti e vari scritti e testimoianze (tra cui quella di Tony Visconti, produttore dell’album e futuro partner artistico inseparabile per David), con i cinque CD infilati in  pratiche “tasche” poste all’inizio ed alla fine del libro. Risentiamo dunque con grande piacere Space Oddity (la versione remix del 2019 è incisa tra l’altro in maniera spettacolare), un lavoro che presentava diversi musicisti di gran nome, tra cui il futuro Yes Rick Wakeman alle tastiere, il batterista dei Pentangle Terry Cox, il chitarrista Tim Renwick, il bassista Herbie Flowers e l’arrangiatore Paul Buckmaster, mentre l’altro bassista John Lodge è solo omonimo di quello dei Moody Blues.

La title track rimane un capolavoro assoluto, ma anche i restanti brani mostrano il talento di un artista che di lì a poco diventerà uno dei più popolari al mondo: non manca qualche ingenuità (la pur bella Cygnet Committee è tirata un po’ troppo per le lunghe, Memory Of A Free Festival, con Marc Bolan ai cori, è pretenziosa), ma non mancano nemmeno ottime canzoni come l’energica e roccata Unwashed And Somewhat Slightly Dazed, l’orecchiabile Janine, il pop etereo della gentile An Occasional Dream, la folkeggiante God Knows I’m Good; troviamo anche per la prima volta all’interno della tracklist il bel brano che dà il titolo al box, originariamente omesso per problemi di durata e riciclato come lato B di un singolo. Come bonus nei due dischetti finali del cofanetto ci sono missaggi alternativi di tre brani dell’album, la versione rifatta di Wild Eyed Boy From Freecloud per un lato B, e la rilettura in italiano di Space Oddity intitolata Ragazzo Solo, Ragazza Sola, con parole di Mogol ma anche con il significato originale del testo completamente stravolto (e poi la pronuncia italiana di Bowie non è proprio impeccabile). Ma come ho già accennato prima le vere chicche del box sono contenute nei primi tre dischetti, dei quali vado a fare una veloce disamina.

CD 1. Le prime dodici tracce sono tutti home demos del 1968 in cui Bowie suona tutto da solo, in alcuni casi aggiungendo anche cori sempre con la propria voce: a parte un primo frammento di Space Oddity e la leggerina London Bye Ta-Ta sono tutti brani abbastanza oscuri, con titoli come April’s Tooth Of Gold, The Reverend Raymond Brown, When I’m Five, Angel Angel Grubby Face eccetera, pezzi che in alcuni casi avrebbero dovuto formare un ipotetico secondo album per la Deram. Tra pop, folk, reminiscenze beatlesiane ed un leggero tocco di psichedelia ci troviamo di fronte ad un documento di alto valore storico più che artistico, dato che le canzoni presenti non sono certo indimenticabili (anche se alcune di esse avrei voluto risentirle in una veste più consona, come In The Heat Of The Morning, Goodbye 3D (Threepenny) Joe e Love All Around). Gli otto pezzi che seguono risalgono all’inizio del 1969 e vedono David accompagnato alla chitarra e voce da John “Hutch” Hutchinson: tra i brani presenti troviamo altri tre tentativi di Space Oddity, che presenta già la struttura nota ma che lo stylophone suonato da Bowie riveste di sonorità sperimentali, una prima versione di An Occasional Dream, la vivace e bucolica Ching-A-Ling ed una cover di Life Is A Circus, oscura canzone dei misconosciuti Djinn. Il CD termina con due incisioni in solitaria di David (Conversation Piece e la dylaniana Jerusalem) ed alla prima versione pubbicata ufficialmente di Hole In The Ground (con George Underwood), uno tra gli inediti più mitizzati del nostro.

CD 2. Il sottotitolo di questo dischetto è The “Mercury” Demos, in quanto la fonte è un master tape in mono con la tracklist scritta a mano dall’A&R della Mercury Calvin Mark Lee. Dieci pezzi incisi nel ’69 ancora con Hutchinson, tra i quali spiccano finalmente titoli che poi finiranno su Space Oddity, come la title track, Janine (con il ritornello che scimmiotta scherzosamente quello di Hey Jude), An Occasional Dream, Conversation Piece, I’m Not Quite (che diventerà Letter To Hermione) e Lover To The Dawn, che si evolverà nel tour de force di Cygnet Committee. Ci sono però anche altre cose, come le già ascoltate in veste diversa Ching-A-Ling, Life Is A Circus e When I’m Five, oltre ad una cover molto intima di Love Song di Leslie Duncan, che l’anno seguente Elton John renderà popolare incidendola per l’album Tumbleweed Connection. Un bel CD, con Bowie rilassato ma perfettamente “dentro” alle canzoni ed autore di una serie di performance impeccabili. CD 3. Il terzo dischetto è una miscellanea che comprende versioni mono incise per la Decca di In The Heat Of The Morning e London Bye Ta-Ta, una take elettrica di Ching-A-Ling, molto interessante, una Space Oddity full band alternata ma sempre bellissima, un paio di missaggi in mono di pezzi noti e due diverse BBC Sessions, con solo due canzoni che finiranno su Space Oddity (Janine e Unwashed And Somewhat Slightly Dazed) ed altre che rimarranno rare o inedite, come Let Me Sleep Beside You, Karma Man e Silly Boy Blue.

Vedremo il prossimo anno se questo (ottimo) cofanetto sarà un episodio isolato, tendente a celebrare un album comunque importante in quanto diede il via ad una delle più luminose carriere della storia del rock, o se invece sarà solo la prima di versioni “super deluxe” di tutti gli album della discografia di David Bowie. In questo secondo caso, iniziate fin d’ora a risparmiare ed a fare spazio sui vostri scaffali.

 Marco Verdi