From Los Angeles California, The Dawes II: Una Buona Conferma Del Loro Ritorno Sulla Retta Via. Dawes – Good Luck With Whatever

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Dawes – Good Luck With Whatever – Rounder Records

Ascoltate questi ragazzi, sono davvero forti!” Questa frase, rivolta a me e ai miei quattro amici nel backstage del Jazzaldia Festival di San Sebastian, nell’ormai lontano 24 luglio 2011, veniva non certo da uno qualunque ma dall’illustre protagonista di quella fredda e piovosa serata, Jackson Browne, e si riferiva ai quattro giovani musicisti che avrebbero suonato con lui e prima di lui, i californiani Dawes, supportati per quel breve tour europeo anche dal loro produttore, l’ottimo Jonathan Wilson. E in effetti se la cavarono egregiamente, sia presentando i pezzi del loro secondo album Nothing Is Wrong nel set di apertura, sia suonando in modo impeccabile i classici del loro illustre mentore, For Everyman, The Pretender, Running On Empty e parecchi altri, chiudendo la serata con un inatteso quanto brillante omaggio al grande e sempre compianto Warren Zevon.

I due fratelli Griffin e Taylor Goldsmith, rispettivamente il batterista e il chitarrista, nonché lead vocalist e compositore, insieme al bassista Wylie Gelber e al tastierista Tay Strathairn (dopo breve tempo rimpiazzato da Alex Casnoff) avevano esordito nel 2009 con il promettente North Hills, facendo subito intendere le loro potenzialità nel riproporre un sound molto influenzato dal folk rock westcoastiano degli anni settanta. Seguirono, con un notevole crescendo qualitativo, altri tre lavori, il già citato Nothing Is Wrong (2011), Stories Don’t End (2013) e quello che tuttora considero il migliore della loro discografia, All Your Favorite Bands, pubblicato nel 2015 https://discoclub.myblog.it/2015/06/03/from-los-angeles-california-the-dawes-all-your-favourite-bands/ . L’anno seguente giunse, del tutto inatteso, il vero passo falso della loro ancor breve carriera. We’re All Gonna Die (già dal titolo non esattamente beneaugurante) esibiva una serie di canzoni modeste, soffocate da una valanga di overdubs, suoni sintetizzati e pattern elettronici. Dall’ imbarazzante singolo When The Tequila Runs Out e relativo video si ricavava la spiacevole impressione che i nostri quattro si fossero presi una colossale sbronza in campo creativo. Per fortuna, almeno sul palco, aggiustarono il tiro come dimostra il discreto live album, venduto solo sul loro sito, We’re All Gonna Live.

Senza dubbio una delle cause del loro rinsavimento va attribuita al ritorno in cabina di regia di Jonathan Wilson che ha determinato il ritorno a suoni e arrangiamenti adeguati alle loro caratteristiche nel positivo Passwords, uscito un paio d’anni fa https://discoclub.myblog.it/2018/08/04/al-solito-buon-rock-californiano-ma-possono-fare-meglio-dawes-passwords/ .

Per produrre il nuovo Good Luck With Whatever, i Dawes si sono affidati nientemeno che a Dave Cobb, un nome una garanzia, come dimostrano le innumerevoli brillanti pubblicazioni discografiche da lui curate negli ultimi anni, e il risultato si vede, e sente, eccome! I suoni e le armonie vocali tornano a risplendere, Lee Pardini, ultimo tastierista aggregatosi al gruppo quattro anni fa, lascia perdere sintetizzatori e amenità del genere per dedicarsi con ottimi esiti soltanto al pianoforte e all’hammond e, non ultimo, la qualità dei brani torna ad essere degna del loro passato. Si parte subito col piede giusto nell’iniziale Still Feel Like A Kid, il singolo più recente pubblicato a fine agosto, un robusto e accattivante inno all’eterna giovinezza che deriva dal suonare in una band, con tanto di coretti che citano i Beach Boys, in omaggio all’età dell’oro del sound californiano. Piano e chitarra elettrica aprono la title-track, un bel mid tempo che ci rituffa negli anni settanta come solo i Jayhawks e pochi altri hanno saputo fare oltre a loro.

Between The Zero And The One è una sontuosa ballatona che si colloca tra le cose migliori che Taylor Goldsmith sia stato capace di scrivere finora, mi riferisco a gioiellini come Fire Away, Most People o Things Happen dei precedenti dischi, con quell’incedere maestoso e classico che si fa immediatamente apprezzare, scandito dai limpidissimi tocchi del piano e dalla incalzante batteria del fratello Griffin. None Of My Business viaggia veloce al ritmo dei mitici Creedence e Taylor regala una performance vocale degna dell’icona John Fogerty (date un’occhiata su You Tube al duetto tra discepolo e maestro in Someday Never Comes, al David Letterman Show, e avrete la conferma di tali affinità).

Quasi a fare da spartiacque tra le due parti vitali ed energiche dell’album, troviamo la tonificante oasi acustica di St. Augustine At Night, per voce, chitarra acustica e delicati contrappunti di basso e pianoforte. Poi i Dawes riaccendono i motori col primo singolo uscito alla fine di luglio Who Do You Think You’re Talking To? a cui possiamo perdonare quella ritmica un po’ finta” a fronte di un riff indovinato e un ritornello accattivante che ti entra subito nella testa https://www.youtube.com/watch?v=4O7VVDxb_us . Didn’t Fix Me possiede invece il timbro intenso ed avvolgente che ritroviamo in tanti capolavori usciti dalla penna di brother Jackson Browne, con il piano e le chitarre che giocano a rincorrersi su una linea melodica seducente e malinconica. Free As We Wanna Be, altri tre minuti di pura piacevolezza sonora con il piano ancora splendido protagonista, potrebbe essere considerato l’accorato saluto dei Dawes ad un altro gigante mai abbastanza rimpianto, Tom Petty, mentre la conclusiva Me Especially è un lento spezzacuori che dimostra quanto Taylor e soci abbiano interiorizzato gli insegnamenti della premiatissima ditta Don Henley & Glenn Frey.

Ottimo lavoro Mr. Cobb! I Dawes sono tornati nel lotto delle my favorite bands.

Marco Frosi

Al “Solito” Buon Rock Californiano, Ma Possono Fare Meglio. Dawes – Passwords

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Dawes – Passwords – Hub Records           

Sesto album per i californiani Dawes, band guidata dai fratelli Goldsmith, Taylor, chitarra, voce solista e leader indiscusso del gruppo, visto che compone anche la quasi totalità delle canzoni, mentre Griffin si occupa della batteria.  Completano la formazione il bassista storico Wylie Gelber e l’ultimo arrivato, il tastierista Lee Pardini. Per questo album, dopo averne cambiati tre nei precedenti album (Blake Mills, David Rawlings e Jacquire King), torna in camera di regia Jonathan Wilson, che aveva prodotto i primi due dischi ed era stato anche loro compagno di jam sessions a Laurel Canyon, nonché di avventure musicali con Jackson Browne, da sempre un punto di riferimento, con Crosby, Stills, Nash, e Young, Joni Mitchell, gli Eagles, il sound West Coast in generale, quasi tutte influenze in comune con il loro produttore, che nell’ultimo anno ha condiviso studio di registrazione e palchi con Roger Waters. In effetti il primo brano, Living In The Future, più rock mainstream e tirato del solito, ha delle sonorità che potrebbero rimandare a Is This The Life We Really Want?, con chitarre e ritmica più grintose del solito, e la presenza più marcata delle tastiere, anche synth, affidati a Wilson, che però rimangono per ora nei limiti della decenza.

Il disco ha avuto critiche discordanti: Mojo e Allmusic gli hanno dato addirittura 4 stellette, mentre qualche sito musicale americano è stato molto meno tenero. Diciamo che siamo ancora lontani dalle svolte oltremodo “moderniste” e poco amate, almeno dal sottoscritto, degli ultimi Decemberists, Kings Of Leon, Mumford And Sons, Arcade Fire e altre band che hanno pompato negli anni il loro sound, ma la china potrebbe diventare quella, a scapito del suono, magari citazionista e old style dei primi album https://discoclub.myblog.it/2015/06/03/from-los-angeles-california-the-dawes-all-your-favourite-bands/ , comunque eseguito con brio e passione, per certi versi lontano da stereotipi solo fini a sé stessi, con belle aperture sonore e interessanti intrecci vocali. Che per esempio ritornano nel suono targato seventies Eagles della morbida Stay Down, non esaltante magari, ma estremamente piacevole, o nella ballata pianistica e introspettiva Crack The Case, che ricorda moltissimo il loro nume tutelare Jackson Browne, anche se pare mancare loro un po’ di nerbo, ma l’amore per le belle melodie è pur sempre presente, con fin troppo rigogliose tastiere e la slide insinuante di Trevor Menear che cerca di ricreare un effetto Lindley ; Feed The Fire vira nuovamente verso il lato più orecchiabile del country-rock, quello degli America del secondo periodo o di Dan Fogelberg, con Taylor Goldsmith al sitar/guitar e Wilson alla seconda chitarra, per un brano sinuoso, per quanto sempre leggerino.

In My Greatest Invention, la presenza di una sezione archi, già utilizzata nel precedente brano, conferisce un effetto fin troppo zuccheroso alla canzone, che, unito all’impiego di un falsetto molto marcato, non depone a favore di una canzone esageratamente soporifera, anche se la parte strumentale centrale non è male, con chitarre e tastiere ben miscelate; Telescope, più incalzante, grazie ad un giro di basso vorticoso, e con un suono che potrebbe ricordare i Fleetwood Mac più avventurosi a guida Buckingham del periodo di Tusk, è più complessa e dalle sonorità inconsuete, assolo di Thumb Jam (qualsiasi cosa sia) di Wilson e baritone guitar di Taylor Goldsmith inclusi https://www.youtube.com/watch?v=wqq6WjN0wh4 . Diciamo che un certo edonismo sonoro è spesso presente, ma ci sono comunque brani piacevoli, come la romantica I Can’t Love, che potrebbe avvicinarsi al Don Henley anni ’80, forse non il migliore, ma c’era in giro di peggio, e il piano di Lee Pardini è il protagonista principale della canzone, ma  in Mistakes We Should Have Made si sfiora e si supera il limite con la canzonetta radiofonica, mentre la love song Never Gonna Say Goodbye sembra una novella Romeo And Juliet dei Dire Straits, meno bella e Time Flies Either Way ritorna nuovamente a citare, con ottimi risultati (piacevole l’uso del sax alto di Josh Johnson),  le belle ballate di mastro Jackson Browne https://www.youtube.com/watch?v=qfsCOk3gwrs  e il suono dei primi album dei Dawes. Diciamo promossi con ma con riserva.

Bruno Conti  

Il Gabbiano Jonathan Vola Sempre Alto! Jonathan Wilson – Rare Birds

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Jonathan Wilson – Rare Birds – Bella Union Records

La prima volta che vidi sul palco Jonathan Wilson non sapevo neppure chi fosse. Mi trovavo con alcuni amici a San Sebastian per assistere ad un concerto di Jackson Browne , che, per l’occasione, doveva suonare insieme alla giovane band californiana dei Dawes, talentuosi esordienti il cui secondo disco, Nothing Is Wrong, era stato prodotto proprio da Jonathan Wilson. Il calendario datava 24 luglio ma sembrava ottobre inoltrato, la magnifica spiaggia su cui torreggiava il grande palco del festival Jazzaldia era zuppa per la pioggia che era caduta quasi incessantemente tutto il giorno, accompagnata dal vento freddo proveniente dall’oceano. A riscaldarci furono prima gli stessi Dawes, con un’esibizione sanguigna e coinvolgente, poi, a mezzanotte e mezza passata (ma per gli spagnoli è ancora presto…), il buon Jackson con i suoi classici immortali, supportato egregiamente dal gruppo dei fratelli Goldsmith e dal loro produttore. Alto e magro, capello lungo e barba incolta, Wilson sembrava una di quelle tipiche icone californiane degli anni settanta. Mostrò subito la stoffa del leader, come ottimo chitarrista e corista, e Browne gli cedette la scena per fargli eseguire Gentle Spirit, la lunga e affascinante ballad che dà il titolo all’ album che sarebbe stato pubblicato di lì a poco https://discoclub.myblog.it/2011/08/08/un-jonathan-tira-l-altro-da-laurel-canyon-e-dintorni-jonatha/ .

Esattamente due anni dopo la scena si è ripetuta al Carroponte, spazio concertistico alle porte di Milano, con la sostanziale differenza che stavolta Jonathan era l’unico protagonista della serata con la sua band. Io, gli amici e ciascuno dei presenti ci siamo goduti un’esibizione esaltante di rock imbevuto di psichedelia e divagazioni folk di chiara matrice californiana. I brani, spesso dilatati da pregevoli parti strumentali in cui giganteggiava la chitarra del leader, ben coadiuvato dai suoi compagni, davano l’idea di un musicista maturo, abile riesumatore di suoni del passato assemblati con gusto ed intelligenza. Questa impressione fu pienamente confermata dall’uscita del successivo album Fanfare, nell’ottobre del 2013, che fece incetta di critiche positive un po’ ovunque, generando al contempo un equivoco che perdura ancora oggi, ovvero il considerare Jonathan Wilson come una sorta di erede del suono californiano degli anni d’oro di quella comunità di musicisti che si era formata nei dintorni di Los Angeles nell’area di Laurel Canyon (dove tuttora Jonathan possiede uno studio di registrazione, rinomato per le sue preziose apparecchiature analogiche). La varietà delle fonti d’ispirazione da cui Wilson attinge è molto più ampia e complessa, riguarda tanto il contesto americano quanto quello britannico, come testimonia la sua produzione e collaborazione con una colonna del folk rock inglese come Roy Harper, oppure la recente partecipazione all’ultimo album di Roger Waters e al successivo tour che è appena andato in scena nei palasport italiani, dove Jonathan si esibisce come seconda chitarra, cantando le parti che erano di David Gilmour.

Rare Birds , il nuovo album pubblicato all’inizio di marzo, lo evidenzia ancora di più, nelle tredici lunghe tracce che il suo autore ha definito cosmiche, originate da uno stato d’animo spesso non positivo, il tentativo di superare una situazione di abbandono e di solitudine. Wilson mescola sapientemente sonorità vintage usando l’elettronica accanto a strumenti tradizionali, creando un connubio quasi sempre riuscito e piacevole. L’iniziale Trafalgar Square si apre come una citazione della pinkfloydiana Breathe, con le voci registrate e la languida steel guitar sullo sfondo, poi una sventagliata di mandola apre la strada ad un’elettrica dal suono sporco e la canzone prende corpo in modo efficace. Ancora meglio Me, che parte sonnacchiosa e si sviluppa in modo avvolgente fino all’esplosione finale che vede protagonista una chitarra distorta e urticante. Over The Midnight, coi suoi furbi campionamenti stile anni ottanta, ha una struttura melodica che inevitabilmente conquista e invita a premere sull’acceleratore durante le guide notturne. There’s A Light ci rituffa in California, con una bella lap steel a condurre le danze e una melodia ancora accattivante, con le belle armonie vocali delle Lucius. Il pianoforte domina la nostalgica Sunset Blvd, fino alla conclusiva stratificazione di suoni che rimanda a certe composizioni del suo quasi omonimo, l’inglese Steven Wilson. La title track offre acide sventagliate di chitarra che è facile accostare al maestro Neil Young, nulla di nuovo, ma certamente gradevole. 49 Hairflips scava ancora nel melodramma di un amore finito, il piano si fonde in un magma di tastiere dall’effetto evocativo e malinconico.

In Miriam Montague convivono i Kinks e l’Electric Light Orchestra in una specie di mini suite non particolarmente esaltante. Meglio il mantra ipnotico Loving You che, grazie ai vocalizzi del guru della new age Laraaji ci conduce in territori insoliti ed evocativi. Ancora atmosfere notturne dominano la successiva Living With Myself che gioca sul contrasto tra le strofe crepuscolari ed un ritornello solare. Il synth sullo sfondo sembra rubato a quello che Roy Bittan suonava in Downbound Train o in I’m On Fire  Boss, e che dire allora della rullata di batteria campionata su cui si basa tutta la ritmica della successiva Hard To Get Over? Andate a riascoltare l’intro di Don’t Come Around Here No More di Tom Petty (e Dave Stewart) e non potrete ignorarne la somiglianza. Dall’episodio meno riuscito del disco ad uno dei più positivi, il country scanzonato e un po’ ruffiano di Hi Ho To Righteous, in cui convivono lap steel e disturbi rumoristici quasi a voler parodiare inni del passato come Teach Your Children. Notevole anche qui il finale in crescendo che ci conduce alla rarefatta e conclusiva Mulholland Queen, una intensa e disperata confessione che si sviluppa sulle note del piano e dell’orchestra in sottofondo. Fra echi e rimandi non si può dire che Rare Birds sia un disco innovativo e neppure un capolavoro (e certo non merita le critiche negative che qualcuno, pochi, a torto gli hanno appioppato), eppure ascoltarlo fa lo stesso effetto che guidare su una strada panoramica: ad ogni curva ti puoi imbattere in uno scorcio bello ed emozionante.

Marco Frosi

Altre Buone Notizie Da Nashville! David Rawlings – Poor David’s Almanack

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David Rawlings – Poor David’s Almanack – Acony Records CD

Un altro dei dischi migliori uscito in questo scorcio di estate, ricco di uscite discografiche di qualità, è sicuramente il nuovo album di David Rawlings Poor David’s Almanack. Anche questo viene dal “lato buono” di Nashville, che di per sé non è una città tra la più grandi degli States, ma se aggiungiamo l’area metropolitana intorno alla capitale del Tennessee, lo diventa. E ovviamente, nella Music City, c’è spazio sia per l’attuale e orribile country pop commerciale che ci propina l’industria discografica, quanto per una innumerevole serie di solisti e gruppi che sono in grado di regalarci ottima musica. Tra i portabandiera del filone country-bluegrass-folk- Appalachian- roots, per cercare di sintetizzare in un termine la musica che fanno, c’è sicuramente la coppia “artistica” formata da Gillian Welch David Rawlings, del tutto interscambiabili come titolari dei loro dischi, anche se negli ultimi anni escono più di frequente quelli a nome Rawlings: dopo i due come David Rawlings Machine, Friend Of A Friend del 2009 e Nashville Obsolete del 2015, inframmezzati dallo splendido The Harrow & The Harvest del 2011, a nome Gillian Welch (con l’appendice del disco di archivio Boots No.1: The Official Revival Bootleg, uscito nel 2016, ma con materiale inedito anni ’90), esce ora il terzo disco solista di David, Poor David’s Almanack, che a livello qualitativo si avvicina, e forse pareggia, quelli pubblicati a nome Welch, Ovviamente, niente paura, perché Gillian è più che presente nel disco, oltre ad averne designato la copertina, ha firmato cinque dei dieci brani contenuti nel CD assieme al suo pard, e e la sua voce si occupa, con altri amici presenti nelle registrazioni, delle armonie vocali dell’album.

Come evidenziato sin dall’inizio, il disco è molto bello, Rawlings migliora leggermente anche come cantante, disco dopo disco, pur non raggiungendo lo stile inarrivabile della compagna di avventure, la voce si è fatta più sicura ed espressiva a tratti, sempre laconica e piana, ma in grado di convogliare con classe i contenuti delle proprie canzoni: che in questo CD sono rese con un approccio che ricorda sicuramente quello dei dischi dell Welch, quindi con spunti folk e roots come di consueto, ma nello stesso tempo utilizza un approccio più “rock” (forse una parola un po’ grossa), diciamo da band, grazie all’utilizzo di diversi musicisti, che ampliano il consueto spettro sonoro voce e chitarre e poco altro dei loro dischi in coppia, aggiungendo il violino di Brittany Haas, il basso di Paul Kowert dei Punch Brothers, l’organo e la batteria dei fratelli Taylor Griffin Goldsmith dei Dawes, il violino e il banjo e la chitarra di Ketch Secor Willie Watson, degli Old Crow Medicine Show, impegnati anche alle armonie vocali, mentre la stessa Gillian è impegnata anche a basso, batteria e percussioni, oltre al vitale utilizzo della voce di supporto; alla batteria c’è anche Billy Thomas, uno dei migliori sessionmen della zona “country”, mentre David Rawlings, oltre a cantare, suona le chitarre, acustiche ed elettriche, l’harmonium, cura gli arrangiamenti (parchi) di archi e produce, con l’aiuto dell’ingegnere del suono Ken Scott (quello leggendario dei dischi di Bowie, Supertramp, Elton John, Lou Reed, America, George Harrison e una miriade di altri).

L’apertura è affidata a Midnght Train, un pezzo che oscilla tra country-folk e country-gospel con un delicato picking acustico di Rawlings, mentre la voce di David è sostenuta da quella di Watson e poi anche dalla Welch, mentre il violino di Britanny Haas disegna le sue traiettorie “campagnole” e il brano si sviluppa in un crescendo lento ma sicuro https://www.youtube.com/watch?v=AFwrF57ZW9A . Money Is The Meat In The Coconut è più allegra e scanzonata, un bluegrass divertente dove il banjo di Watson e il violino della Haas conferiscono quell’aria appunto tra bluegrass e mountain music, quasi come nei vecchi dischi anni ’70 di revivalisti come Peter Rowan, Norman Blake e compagnia cantante (e suonante), semplice ma godibile. Cumberland Gap, il pezzo dedicato al fiume che circonda Nashville, è il primo momento Neil Young del disco, un country-rock che si rifà al sound del canadese, di dischi come After The Gold Rush Harvest, con le voci di Rawlings e della Welch che si alternano alla guida e si intrecciano con organo, violino, la chitarra elettrica, la sezione ritmica con un bel basso pulsante, per un brano di stampo quasi rock, molto coinvolgente. Airplane, come la canzone precedente, è firmata a quattro mani dal duo, ed è una sorta di ballata, tersa e delicata, incorniciata da una misurata sezione d’archi, che sottolinea la splendida melodia di questa bellissima canzone da vero cantautore classico, porta da Rawlings con garbo, mentre la Haas folleggia sullo sfondo con il suo violino e tutti i musicisti sono ispiratissimi in questo pezzo che è uno dei piccoli gioielli di questo album. Lindsey Button parte come una specie di delicata ninna-nanna, poi diventa una folk tune corale, con il ritornello reiterato alla fine di ogni verso, mentre gli strumenti acustici (ancora con il violino in evidenza) e gli impasti vocali rimandano alla musica popolare americana tradizionale come è d’uso nei dischi a nome Gillian Welch, che non a caso è ancora co-autrice anche di questo brano.

Come On Over My House è un’altra piacevole country-bluegrass song acustica e corale, molto trascinante e sempre di stampo tradizionale. nel suo dipanarsi tra voci e strumenti che si intrecciano con il brio e l’estro dei vari protagonisti, mentre Guitar Man è il secondo momento Neil Young del disco, un altro pezzo elettrico ispirato dal songbook del canadese, con il bel intervento della solista di Rawlings a sottolineare lo spirito rock di questo pezzo, bucolico ma pervaso dalla giusta grinta, pigra e ciondolante, ma pure nella migliore tradizione del country-southern-rock classico, peccato che venga sfumata quando una bella jam finale non ci sarebbe stata male. Yup è un altro di quei brani umoristici e spiritosi che abbondano nella tradizione folk popolare, con il diavolo che si becca una sgridata all’inferno, il tutto a tempo di folk-blues, con gli strumenti e le voci per quanto sempre ben utilizzati, con minor brio e qualità di altri episodi; in questa parte conclusiva del CD dove Rawlings è l’unico autore il disco mi sembra meno brillante. Meglio il country-gospel di Good God A Woman, dove aldilà del sound corale sempre ben centrato ed eseguito, forse una voce solista più incisiva avrebbe avuto un miglior effetto nell’insieme del brano. Put’em Up Solid è decisamente meglio disegnata a livello sonoro  e rientra in quel filone di country-folk-rock blues gotico dei dischi della Welch, in cui la parte musicale è comunque sempre a cura di David Rawlings, un brano decisamente più riuscito che alza nuovamente il livello qualitativo di un disco  e che se non porta ancora al pareggio tra Welch e Rawlings ne evidenzia ancora una volta lo spirito affine e la visione musicale comune. Consigliato!

Bruno Conti

Il Meglio Del 2015: Puntata Natalizia, Un Anno In Musica.

Come promesso, il giorno di Natale ho preparato la lista definitiva del mio (esagerato) Best Of 2015. Sotto gli auspici del grande Bruce in versione Santa Claus, ecco la classifica del “meglio del resto” (qui trovate le presunte prime scelte, che non vengono ripetute nella lista di oggi, http://discoclub.myblog.it/2015/12/10/ecco-il-meglio-del-2015-secondo-disco-club-blogger-collaboratori/), ricchissima, sono più di 50 titoli fra novità e ristampe. troppi? Può essere, ma come dicevano i latini “melius abundare quam deficere”, ovvero, esageriamo e partiamo. Sono più o meno in ordine cronologico e raccolti anche per piccoli gruppi di genere: live, voci femminili, country, cantautori, folk, grandi nomi ed illustri sconosciuti, tanta bella musica, ovviamente a parere di chi scrive.

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L’anno si è aperto con una serie di album dal vivo estratti dagli archivi.

Another Day, Another Time, Celebrating The Music Of Inside Llewyn Davis, un doppio CD, registrato nell’autunno del 2013, per celebrare la musica della colonna sonora del film dei fratelli Coen, con la partecipazione di una grande quantità di musicisti “nuovi e vecchi” dell’area folk e Americana

Gov’t Mule Feat, John Scofield – Sco-Mule un altro doppio Cd dal vivo, registrato nel 1999, quando era ancora vivo il primo bassista della band, Allen Woody

Jerry Garcia Band – Garcia Live.: Volume Five anche questo doppio, registrato l’ultimo giorno del 1975 al Keystone di Berkeley, a oggi l’ultimo capitolo della serie (poi sono partiti i festeggiamenti per il 50° Anniversario dei Grateful Dead.

waterboys modern blues

Waterboys – Modern Blues

drew holcomb medicine

Drew Holcomb & The Neighbors – Medicine una delle prime sorprese del 2015 (anche se aveva già pubblicato otto dischi prima di questo)

bob dylan shadows in the nightsteve earle terraplaneryan bingham fear and saturday nightrhiannon giddens tomorrow is my turn

Bob Dylan – Shadows In The Night

Steve Earle & The Dukes – Terraplane Blues

Ryan Bingham – Fear And Saturday Night 

Rhiannon Giddens -Tomorrow Is My Turn

Due conferme, un ritorno e un esordio, tutti dischi di notevole spessore

mark knopfler tracker deluxelaura marling short movejj grey & mofro ol' gloryryley walker primrose green

Un altro quartetto di “rispettabili” uscite. Un eccellente disco di Mark Knopfler Tracker, le conferme di Laura Marling con Short Movie JJ Grey & Mofro con Ol’ Glory, e le traiettorie elettroacustiche dell’ottimo Primrose Green di Ryley Walker.

bettye lavette worthybrandi carlile the firewatcher's daughter

Due signore confermano la loro classe.

Betty Lavette – Worthy (anche in versione Deluxe con un DVD dal vivo)

Brandi Carlile – The Firewatcher’s Daughter

Fotheringay nothing more

Fotheringay – Nothing More The Collected Fotheringay Il primo cofanetto importante del 2015 che traccia la breve storia, durata meno di un anno, di una delle band di Sandy Denny, forse la più bella voce prodotta dalla scena musicale inglese

boz scagss a fool to caredayna kurtz risa and fallsufjan stevens carrie & lowell

van morrison duets

Boz Scaggs – A Fool To Care uno dei migliori dischi di blue-eyed soul dell’anno

Dayna Kurtz – Risa And  Fall La cantante nativa del New Jersey ci regala un’altra piccola perla, con un album intenso ed ispirato arricchito da un secondo CD di materiale raro nella edizione italiana pubblicata dalla italiana Appaloosa

Sufjan Stevens – Carrie And Lowell A livello internazionale è praticamente in tutte le liste di fine anno, in Italia sembra sia piaciuto leggermente meno

Van Morrison – Duets: Re-Working The Catalogue Quello con Michael Bublé forse ce lo poteva risparmiare, ma il resto è più che buono, per l’esordio di Van con la nuova etichetta

Olivia Chaney The Longest Riverallison moorer down to believing

Olivia Chaney The Longest River Una giovane cantante ed autrice inglese che incide per la americana Nonesuch un bellissimo disco da classica folksinger

Allison Moorer – Down To Believing L’ex signora Earle “grazie” alle pene del suo divorizo da Steve realizza uno dei suoi dischi migliori

jimmy lafave night tribetom russell tthe rose of roscraedwight yoakam second hand

graham parker mystery glue

Jimmy LaFave – The Night Tribe

Tom Russell – The Rose Of Roscrae

Dwight Yoakam – Second Hand Heart

Graham Parker & The Mystery – Mystery Glue per chi scrive uno dei migliori dischi del rocker inglese http://discoclub.myblog.it/2015/05/19/il-disco-del-giorno-forse-del-mese-graham-parker-the-rumour-mystery-glue/

chris stapleton travellerchristian lopez band onward

Chris Stapleton – Traveller

Chris Lopez Band – Onward accomunati dal fatto di essere stati entrambi prodotti da Dave Cobb, forse il secondo è ancora più bello del pur ottimo Traveller. Cobb durante l’anno ha prodotto anche quelli degli A Thousand Horses, Corb Lund e l’eccellente Delilah di Anderson East.

anderson east delilah

railroad earth live red rocks

Uno dei migliori DVD dell’anno è quello doppio dal vivo dei Railroad Earth Live At Red Rocks

james taylor before this world cd standard

James Taylor – Before This World ottimo disco che rinverdisce i fasti dei suoi migliori dischi degli anni ’70

gnola blues band down the line

Gnola Blues Band altri “italiani per caso” che si sono fatti onore durante l’anno http://discoclub.myblog.it/2015/05/12/blues-tanta-buona-musica-gnola-blues-band-down-the-line/

Banditos_Cover_1500_0

Banditos – Omonimo per chi scrive uno delle “sorprese” più piacevoli dell’anno http://discoclub.myblog.it/2015/06/09/facce-raccomandabili-disco-molto-raccomandato-birmingham-alabama-via-nashville-banditos/

needtobreathe live from the woods

Needtobreathe – Live From The Woods E anche questo, pure nella categoria dei migliori dischi dal vivo http://discoclub.myblog.it/2015/06/16/doppi-dal-vivo-classici-needtobreathe-live-from-the-woods-at-fontanel/

dar williams emeraldromi mayes devil on both shoulders

Dar Williams – Emerald

Romi Mayes – Devil On Both Shoulders

one more for the fans lynyrd cd

One More For The Fans – Tribute To Lynyrd Skynyrd Sempre a proposito di Live

dawes all your favorite bandsjason isbell something more than free

Dawes – All Your Favourite Bands http://discoclub.myblog.it/2015/06/03/from-los-angeles-california-the-dawes-all-your-favourite-bands/

Jason Isbell – Something More Than Free il disco “rock” più votato nelle classifiche annuali di gradimento internazionali

sister sparrow the weather below

Sister Sparrow And The Dirty Birds – The Weather Below altro gruppo “sorpresa” che non scherza un c… http://discoclub.myblog.it/2015/07/13/piu-sparviero-che-passerotto-sister-sparrow-and-the-dirty-birds-the-weather-below/

rolling stones hyde park dvdrolling stones live in leedsrolling stones tokyo dome

Inserisco a questo punto i tre From The Vault dei Rolling Stones anche se due sono usciti a fine novembre. Peraltro a dicembre è uscito anche un cofanetto che raccoglie i cinque titoli della serie usciti fino ad ora.

nathaniel rateliff and the night sweats

Nathaniel Rateliffe And The Night Sweats

gregg allman live back to macon

Gregg Allman – Live Back To Macon altro formidabile CD+DVD dal vivo

rpbert cray 4 nights

Robert Cray – 4 Nights In 40 Years Live E pure questo http://discoclub.myblog.it/2015/09/02/quattro-decadi-del-migliori-blues-contemporaneo-robert-cray-band-4-nights-of-40-years-live anche nella categoria dei migliori dischi blues con quello che segue

buddy guy born to play

Buddy Guy – Born To Play Guitar http://discoclub.myblog.it/2015/08/03/lultimo-dei-chitarristi-blues-gran-forma-buddy-guy-born-to-play-guitar/

los lobos gates of gold

Los Lobos – Gates Of Gold

joe ely panhandle rambler

Joe Ely – Panhandle Rambler

tom jones long lost

Tom Jones – Long Lost Suitcase

wood brothers paradise

Tre che sono piaciuti a tutti (sottoscritto incluso) e uno che forse è piaciuto solo a me, e mi sono pure scordato di recensirlo, ma Paradise dei Wood Brothers è tra i candidati certi alla rubrica dei “recuperi” di fine anno., insieme a quello di Trey Anastasio Paper Wheels. Due dischi molti belli.

trey anastasio paper wheels

van morrison astral weeksvan morrison his bandjimi hendrix freedomallman brothers idlewild south 2 cd

Tra le ristampe col botto di fine anno, mancano le due principali Dylan Springsteen, ma erano già nell’altra lista, come tra i live Clapton Blue Rodeo.

natalie merchant paradise is there

Natalie Merchant – Paradise Is There The New Tigerlily Recordings E tra le ristampe “anomale” non trascurerei il disco della Merchant che lo ha ri-inciso ex novo (altro candidato ai recuperi di fine anno o inizio 2016, non ci formalizziamo)

don henley cass county

Don Henley – Cass County http://discoclub.myblog.it/2015/10/16/il-ritorno-dell-aquila-texana-don-henley-cass-county/

de gregori amore e furto

Francesco De Gregori – Amore E Furto http://discoclub.myblog.it/2015/11/02/secondo-me-approverebbe-anche-bob-francesco-de-gregori-amore-furto-de-gregori-canta-dylan/

southside johnny soultime!

Southside Johnny & The Asbury Jukes  – Soultime!

kevin gordon long gone time

Kevin Gordon – Long Gone Time  http://discoclub.myblog.it/2015/12/11/vi-piacciono-bravi-kevin-gordon-long-gone-time/

widespread panic street dogs

Widespread Panic – Street Dogs  http://discoclub.myblog.it/2015/11/09/i-capostipiti-delle-jam-band-gran-forma-widespread-panic-street-dogs/

ethan johns silver liner

Ethan Johns & Black Eyed Dogs – Silver Liner

Tra le “sorprese” di fine anno aggiungerei anche questi quattro. E per concludere un’altra “ristampa” sicuramente tra quelle da recuperare.

eva cassidy nightbird

Eva Cassidy – Nightbird

Direi che è proprio tutto, di alcuni ho inserito anche i link dei post, ma se andate a ritroso, trovate tutto. Quelli che non avete trovato qui erano già nell’altra liste (o perché non ci sono piaciuti o ancora, non rientrano nei gusti del Blog, se state leggendo li sapete) e se c’è qualcosa che manca secondo voi segnalatelo nei commenti, dove potete mandare, se ne avete voglia, ma non è obbligatorio, anche le vostre classifiche di gradimento di fine anno. Magari le più interessanti le riverso pure nel Blog.

Oggi puntatona doppia, domani non credo che posterò nulla, ma non è detto, qualcosa di pronto c’è sempre!

Di nuovo Buon Natale!

Bruno Conti