Buon Hard Rock “Sudista” Dall’Inghilterra Per Il Solista Dei Supersonic Blues Machine. Kris Barras Band – Light It Up

kris barras band light it up

Kris Barras Band – Light It Up – Mascot/Provogue             

Kris Barras, da Toquay, contea del Devon, nel Sud dell’Inghilterra, è un personaggio dal passato avventuroso: combattuto (è il caso di dirlo) tra due passioni, quella per la musica, trasmessagli dal padre, e coltivata anche nella discoteca di famiglia, e quella per le arti marziali, di cui è stato campione sui ring di Tailandia e Las Vegas, nei combattimenti a mani nude. Poi ha saggiamente deciso di dedicarsi alla musica, pubblicando un mini ed un album a livello indipendente, prima di firmare per la Mascot/Provogue nel 2017 come Kris Barras Band, ed approdare, tramite gli auspici di Billy F. Gibbons, nella nuova formazione della Supersonic Blues Machine in sostituzione di Lance Lopez, per l’ultimo album dal vivo https://discoclub.myblog.it/2019/08/01/grande-rock-blues-tra-california-e-texas-per-un-trio-italo-anglo-americano-supersonic-blues-machine-road-chronicles-live/ , in cui Gibbons appare come guest in alcune canzoni. Barras ora pubblica questo Light It Up, secondo album per la Mascot e quarto in assoluto, accompagnato da Elliot Blackler al basso e da Will Beavis alla batteria, nonché da Josiah J. Manning, che oltre a produrre il disco suona anche le tastiere, ed è coautore con Kris di un paio di brani.

Devo dire che ero abbastanza prevenuto verso il super tatuato musicista inglese, che invece in questo album si conferma discreto cantante, con la classica voce da hard rocker, e buon chitarrista, mettendo a frutto gli amori del passato per Deep Purple, Stones, ma anche una propensione per il southern rock degli ZZ Top. La musica “sudista” (vista anche  la collocazione geografica nel Regno Unito) e qualche tocco country-blues nell’iniziale “riffata” What You Get che ha pure qualche rimando a Bonamassa, e magari al gospel-rock è decisamente piacevole, con la slide e l’organo ben miscelati e un assolo che tanto mi ha ricordato il vecchio Alvin Lee. Broken Teeth (con un testo e un tiolo che rimandano ai suoi trascorsi di lottatore) è un ottimo esempio di rock sudista cantato a voce spiegata (con le backing vocalist impegnatissime), ritmi serrati, l’organo di Manning in bella evidenza, come pure la slide di Barras, veramente un bel pezzo rock con ulteriore grande accelerazione nel finale; niente male anche Vegas Son, un altro eccellente esempio di rock americano, groove marcato, riff di organo e chitarra e un refrain insinuante e orecchiabile, su cui si innesta un buon lavoro della solista di Kris.

La title track Ignite (Light It Up,) nonostante il lavoro dell’organo in primo piano e un suono più duro e riffato è più scontata, benché l’assolo di Barras cerchi di dargli maggiore consistenza; ancora organo e chitarra slide in azione in 6 AM, ma il suono rimane vicino all’AOR con qualche tocco sudista che ricorda il rock delle band più dure tipo 38 Special o Point Blank. Rain è una bella ballata dall’andatura elegante, sempre con tocchi sudisti e un sound più gentile, ancorato come sempre dall’organo di Manning e completato da un lirico assolo della chitarra del leader; mentre Counterfeit People vira verso un rock anni ’80, un po’ Huey Lewis un po’ Bon Jovi, niente per cui stracciarsi le vesti, con Let The River Run che introdotta da un riff “swampy” poi si perde di nuovo con qualche coretto ruffiano di troppo, benché la solista lavori sempre di fino. Bullet è un altro buon esempio del southern rock venato di hard dei migliori brani della Kris Barras Bard https://www.youtube.com/watch?v=5kYNH2sAd2E , anche se al solito a tratti gli arrangiamenti sono fin troppo ridondanti, ma chitarra e organo se le “suonano” ripetutamente di gusto negli intermezzi strumentali, Wound Up, ancora con slide in evidenza, questa volta insieme al piano, non sarebbe male, ma quegli intermezzi vocali leggerini sono sempre piuttosto  prevedibili, What A Way To Go è sempre classico e piacevole hard rock ‘70’s style a tutto riff, e anche Not Fading è della stessa parrocchia, organo-chitarra e pedalare, mentre la conclusiva Pride Is Forever è viceversa una bella hard ballad, più consistente e meno scontata, con una bella melodia.

Che dire, buono nell’insieme, ma con alti e bassi.

Bruno Conti

Per Gli Amanti Del Rock “Robusto”, Magari Non Raffinatissimo. Tyler Bryant And The Shakedown – Truth And Lies

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Tyler Bryant And The Shakedown – Truth And Lies – Spinefarm Records

Il primo disco di Tyler Bryant con gli Shakedown, Wild Child, pubblicato nel 2013, era stato preceduto da un potente battage pubblicitario e da una sorta di sponsorizzazione da parte di vari artisti famosi, da Eric Clapton a Jeff Beck, passando per Vince Gill, che ne avevano parlato come di un nuovo fenomeno della chitarra, una sorta di erede di Stevie Ray Vaughan. Il ragazzo è bravo, ma come testimonia la presenza nella band del secondo chitarrista Graham Whitford, figlio di Brad, degli Aerosmith, il tipo di sound a cui dobbiamo riferirci è quello: anche se sono originari del Texas, operano in quel di Nashville, una delle principali capitali della musica americana commerciale, niente country, ma un suono decisamente mainstream,che partendo dal rock-blues vira spesso verso un hard rock alquanto di maniera, come testimoniato dal primo album, buono senza entusiasmare, passando per il “difficult” second album che quattro anni dopo aveva certificato più che progressi qualche passo indietro https://discoclub.myblog.it/2018/01/17/il-famoso-secondo-difficile-album-tyler-bryant-the-shakedown-tyler-bryant-the-shakedown/ .

In questo terzo disco non si cambia, il mio parere è personale ovviamente: se amate il vostro rock hard and heavy probabilmente qui troverete pane per i vostri denti. Insomma siamo più sul versante rock-blues che su quello blues-rock, discrimine sottile ma efficace per inquadrare i quattro giovanotti, che dal vivo sono sicuramente efficienti e coinvolgenti, ma nei dischi di studio convincono di meno. Per restare nella similitudine con gli Aerosmith, siamo più verso quelli commerciali e “tamarri” (no, quello lo sono sempre stati) della seconda parte della carriera rispetto ai “nuovi Stones americani” degli anni ’70, richiami a Led Zeppelin, Yardbirds e soci ci sono sempre, ma molto più tenui, a favore di un rock appunto più di maniera e da classifica, manca mi sembra quel guizzo o quel tocco melodico di classe, anche se l’impegno però  non manca, paiono gli stessi difetti dei dischi meno riusciti di Black Keys e Gary Clark Jr.

L’iniziale Shock And Awe, uno dei due singoli, oscilla tra Led Zeppelin, riif alla Jeff Beck era Yardbirds e un hard più convenzionale, sempre infarcito di coretti che vorrebbero ampliarne l’appeal commerciale, e le sferzate della solista di Tyler Bryant; On To The Next,  il secondo singolo, riff e lavoro della batteria molto nerboruti, voce filtrata e minacciosa e improvvise scariche chitarristiche, rimane sempre sulle stesse coordinate e applica la stessa formula Hard rock. Ride è più lenta e cadenzata, chitarra leggermente distorta ed acida, ma sempre quella sensazione di canzoni parzialmente irrisolte, nonostante il lavoro del produttore newyorchese Joel Hamilton ( buon pedigree, ha lavorato anche con Black Keys e Tom Waits); non manca qualche ballatona come Shape I’m In, intro acustica e poi un buon crescendo melodico che sfocia nel solito assolo di Bryant, e anche Judgement Day ricorda quelle ballate un po’ ruffiane alla Aerosmith.

Eye To Eye e Panic Button tornano a virare sul classico hard rock della band, sempre più anni ’90 che anni ’70, gli assoli torcibudella di Tyler non sempre bastano ad alzare del tutto la qualità di una musica a tratti abbastanza scontata. Drive Me Mad con qualche richiamo ai Deep Purple di Fireball è più vivace e mossa, ma Without You torna nel rock routinario, al di là di un assolo formidabile del giovane Bryant. Trouble è un’altra ballata mid-tempo con vaghi accenni blues, mentre Out There con i suoi accenti acustici quanto meno indica un tentativo di tentare altre strade sonore e offre un buon lavoro in modalità slide della chitarra, poi subito dimenticati nella bombastica Cry Wolf e nella pretenziosa Couldn’t See The Fire. Insomma siamo sempre dalle parti del secondo album: bravo chitarrista, tanta grinta e se siete in astinenza da hard-rock potere provare questa specialità, molto fuoco, ma ogni tanto l’arrosto sa di bruciato, più bugie che verità, comunque le virtuali tre stellette di stima ed incoraggiamento per l’impegno mostrato.

Bruno Conti

Niente Hard Rock, Ma Il Divertimento E’ Assicurato! Ian Gillan And The Javelins

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Ian Gillan And The Javelins – Ian Gillan & The Javelins – Ear Music/Edel CD

I Javelins erano una delle varie band giovanili nelle quali aveva militato Ian Gillan ben prima di raggiungere la fama mondiale come cantante dei Deep Purple (e prima anche degli Episode Six): un gruppo che nella prima metà degli anni sessanta si esibiva nei club di Londra proponendo esclusivamente cover di rock’n’roll e rhythm’n’blues, senza mai aver lasciato alcuna testimonianza su disco. Una prima reunion della band avvenne nel 1994 con l’album Sole Agency & Representation, un lavoro composto solo da cover che però passò praticamente inosservato un po’ perché era accreditato semplicemente ai Javelins, senza specificare il nome di Gillan in copertina, ed un po’ perché Ian ed i Purple erano appena usciti a pezzi dall’ultima reunion della formazione “Mark II”, con Ritchie Blackmore che aveva abbandonato definitivamente il gruppo nel bel mezzo del tour seguito all’album The Battle Rages On. Oggi Gillan ci riprova con questo Ian Gillan And The Javelins (quindi mettendo il suo nome bene in evidenza stavolta) e, per quanto mi riguarda, centra perfettamente il bersaglio, tra l’altro riuscendo a coinvolgere tutti gli elementi originali del gruppo, che sono ancora vivi e vegeti: Gordon Fairminer alla chitarra solista, Tony Tacon alla ritmica, Tony Whitfiled al basso e Keith Roach alla batteria (e con ospiti Don Airey, attuale tastierista dei Purple, al pianoforte, ed una piccola sezione fiati).

Un disco che è da intendersi come un piccolo divertissement per Ian e compagni, ma fatto con grande classe e professionalità, con un esito finale di grande divertimento per l’ascoltatore. I sedici brani sono nuovamente tutte cover di classici più o meno noti del rock’n’roll e del soul, con un pizzico di blues, trattati con grande amore dal quintetto e con arrangiamenti del tutto rispettosi degli originali, interpretati con feeling e vitalità. Anche se negli ultimi anni Gillan ha perso un po’ di smalto soprattutto quando si tratta di affrontare le note più alte, ha pur sempre una gran voce, ed in questo disco canta splendidamente: non lo sentiamo gorgheggiare come nei Deep Purple, non avrebbe avuto senso, ma modulare la voce con misura e, perché no, classe. L’album parte con la notissima Do You Love Me  dei Contours, che coinvolge da subito: gran ritmo, accompagnamento vintage ma grintoso e Ian che canta benissimo, mantenendo la sua tipica inflessione. Abbiamo detto dei pezzi di matrice soul-errebi, che sono la maggior parte: Little Egypt (Ying-Yang) non è certo il brano più famoso dei Coasters, ma si lascia ascoltare con piacere, per contro Save The Last Dance For Me (The Drifters) è celeberrima, e Ian e soci la trattano con grande rispetto, in stile bossa nova (e che voce); Chains è più nota del gruppo che l’ha lanciata, i Cookies (ma è scritta dalla coppia Goffin-King, e poi l’hanno fatta anche i Beatles sul loro primo album), ed è un errebi trascinante e suonato in maniera deliziosamente vintage, mentre Another Saturday Night è una delle più belle canzoni di Sam Cooke, e rimane tale anche nelle mani dei Javelins, rivelandosi tra le più azzeccate dell’album.

E poi c’è Ray Charles, rappresentato da due classici assoluti, due vivaci riletture di Hallelujah I Love Her So e What I’d Say, entrambe rifatte con gusto e partecipazione (la seconda con una lunga introduzione strumentale che vede Airey protagonista indiscusso). Non manca ovviamente il rock’n’roll, come Dream Baby, con Gillan che non fa il verso a Roy Orbison ma ci mette il suo sigillo, un doppio Chuck Berry (Memphis, Tennessee, corretta ma un po’ scolastica, e Rock And Roll Music, decisamente più coinvolgente), Jerry Lee Lewis (High School Confidential, travolgente e godibilissima) e doppietta anche per Buddy Holly (la sempre splendida It’s So Easy, molto vicina all’arrangiamento originale, e la meno nota ma deliziosa Heartbeat). C’è anche un accenno al blues, e sono due tra i brani migliori del CD: You’re Gonna Ruin Me Baby è un pezzo poco noto di Lazy Lester (bluesman abbastanza oscuro, scomparso tra l’altro a fine Agosto, quindi da un paio di settimane), un brano energico e saltellante, eseguito in maniera eccellente con Ian che si cimenta pure all’armonica, e l’elettrica e grintosa Smokestack Lightnin’ (Howlin’ Wolf); chiude il dischetto un vibrante omaggio a Bo Diddley con l’immancabile Mona.

Quindi un piacevolissimo viaggio nelle origini della nostra musica, da parte di un veterano che nonostante l’età non ha perso la voglia di divertirsi.

Marco Verdi

Rock And Roll Hall Of Fame In Concert. Le Ultime Annate, Grande Musica E Incontri Inconsueti: Il Resoconto

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Rock & Roll Hall The Fame In Concert – Time Life 4 DVD o 2 Blu-ray Zona 1

All’incirca una decina di anni, tra il 2009 e il 2010, in occasione del 25° Anniversario della nascita della Rock And Roll Hall Of Fame, c’è stato un soprassalto di attività con la pubblicazione di un paio di cofanetti in DVD: uno quadruplo con il concerto tenuto al Madison Square Garden nell’ottobre 2009 appunto per il venticinquennale, quasi 6 ora di musica con concerto e discorsi completi, mentre nel 2010 è uscito un box da 9 DVD con il meglio dei 24 anni precedenti, circa 11 ore di filmati live, più 9 ore di materiale bonus extra. Poi è calato il silenzio: intendiamoci, la manifestazione si è comunque tenuta regolarmente ogni anno, o a Cleveland, dove c’è la sede della fondazione e il museo o al Barclays Center di Brooklyn, NY, solo che poi non è stato più pubblicato nulla. Ed ecco che ora appare questo Rock & Roll Hall The Fame In Concert, un cofanetto di 4 DVD o 2 Blu-ray, che contiene le quattro annate che vanno dal 2014 al 2017 (dal 2010 al 2013 nulla è dato sapere), più di undici ore di contenuti tra discorsi vari e 53 esibizioni dal vivo. In teoria è solo per il mercato americano ma visto che è molto bello, qualità audio/video strepitosa e alcune esibizioni memorabili, vediamo cosa contiene.

DVD 1 2014, siamo al Barclays Center di New York e il programma si apre con una potente Digging In The Dirt di Peter Gabriel (formazione della madonna con David Rhodes, Manu Katchè, Tony Levin e David Sancious) che viene indotto nella Hall Of Fame da Chris Martin dei Coldplay, che sale sul palco con Gabriel per una versione doppio pianoforte della bellissima Washing Ot The Water, tratta da Us, ma poi arriva tutta la band nel finale, mentre per una lunghissima In Your Eyes Peter invita sul palco Youssou N’Dour per duettare con lui, come nella versione originale che era su So. Secondo artista della serata Yusuf, che nel frattempo è tornato Cat Stevens: lo presenta Art Garfunkel, che poi lascia spazia all’artista inglese, accompagnato da Paul Shaffer e dalla Hall Of Fame Orchestra, che esegue alla grande un trittico spettacolare, Father And Son, Wild World e Peace Train, alla chitarra c’è uno che ha tutta l’aria di essere Waddy Wachtel. Linda Ronstadt è la terza artista ad essere “indotta”, ma non è presente a causa del Morbo di Parkinson che non lo permette di esibirsi dal 2011: la presentazione è del suo amico Glenn Frey, poi ascoltiamo Different Drum cantata (bene) da Carrie Underwood, una splendida Blue Bayou, con Emmylou Harris, Bonnie Raitt e ancora Carrie Underwood, le tre rimangono e vengono raggiunte da Sheryl Crow e Glenn Frey per una ottima You’re No Good, e ancora da Stevie Nicks che è la voce solista per It’s So Easy e tutti insieme per una commovente e celebrativa When Will I Be Loved. Sarebbe difficile fare meglio se a seguire non fosse il turno della E Street Band, che come “presentatore” ha Bruce Springsteen, “solo” una ventina di minuti di discorso suo e un’altra ventina degli altri della band, che poi scatena le danze per una portentosa The E Street Shuffle con Vini Lopez tornato alla batteria, solo nove minuti ma molto intensi. A seguire arriva Michael Stipe per presentare i Nirvana e Courtney Love viene fischiata dal pubblico: Dave Grohl e Krist Novoselic eseguono Smells Like Teen Spirit, Aneurysm, Lithium e All Apologies aiutati da Joan Jett, Pat Smear, Kim Gordon, Annie Clark e Lorde. E nel 2014, non presenti nel film, c’erano pure i Kiss e Hall & Oates. Comunque questo è il miglior DVD del lotto.

DVD 2 2015, siamo alla Public Hall di Cleveland.  Annata meno eccitante, con nell’ordine Joan Jett, ospiti Dave Grohl, Miley Cyrus e Tommy James, per una piacevole Crimson And Clover. Della Butterfield Blues Band non c’è quasi nessuno, li presenta Peter Wolf, ma la versione di Born In Chicago con Zac Brown alla voce, Tom Morello alla chitarra e Jason Ricci all’armonica non è per nulla male. E lo è anche la sezione in cui Stevie Wonder presenta una rarissima apparizione pubblica di Bill Withers, “ritirato” dal 1985: i due eseguono insieme Ain’t No Sunshine e poi sul palco per Lean On Me arriva John Legend, che non amo in modo particolare, ma a questi eventi fa sempre la sua porca figura. Green Day presentati da Fall Out Boy fanno tre brani.  Mentre Steve Ray Vaughan And Double Trouble indotti da John Mayer hanno diritto solo a un brano, ma la versione di Texas Flood, con il fratello Jimmie Vaughan, Gary Clark Jr., Doyle Bramhall e lo stesso Mayer è una vera perla. Pure di Lou Reed,  presentato da Patti Smith e il cui premio viene accettato da Laurie Anderson, viene presentata solo una canzone, una bella versione di Satellite Of Love, cantata da Beck. Poi, presentato da Sir Paul McCartney arriva sul palco l’ineffabile Ringo Starr, più rauco vocalmente del solito, ma con un piccolo aiuto dei suoi amici ce la fa: in Boys i Green Days se la cavano, son tre accordi, in It Don’t Come Easy c’è il cognato Joe Walsh alla chitarra, e nella conclusiva I Wanna Be Your Man sono in 700 sul palco, in pratica quasi tutti gli ospiti della serata , per una versione corale, gagliarda e chitarristica.

DVD 3 2016, di nuovo a New York City. Aprono I Deep Purple, senza Blackmore ma con la premiazione contemporanea di Ian Gillan, David Coverdale e Glenn Hughes, tre cantanti presenti per l’occasione, ma canta solo Gillan, Steve Morse alla chitarra, presentazione di Lars Ulrich dei Metallica,  e per gradire Highway Star e Smoke On The Water, due classici dell’hard-rock, quello buono. Di Bert Berns, un grande personaggio degli anni ’60,  solo un Lifetime Achievement presentato da Steve Van Zandt che legge una lista di canzoni veramente impressionante, ma niente musica e neppure, per fortuna, per i rappers N.W.A.. I Chicago sono presentati da Rob Thomas dei Matchbox Twenty, e poi eseguono tre dei loro classici in modo elegante, anche se manca in parte la verve rock-jazz degli inizi, Saturday In the Park e Does Anybody Really Know What Time Is It? sono delle belle canzoni e l’impianto vocale e strumentale è sempre buono, ma il gruppo si riabilita con una brillante e rockeggiante 25 Or 6 To 4, uno dei riff più famosi del rock di sempre. Non malvagi neppure i Cheap Trick presentati da Kid Rock (?!?), dal vivo sono sempre potenti e il loro rock and roll non manca di divertire, come ai tempi di At Budokan. Gran finale con tutti insieme appassionatamente ad intonare Ain’t That A Shame insieme ai Cheap Trick. Ma Steve Miller che fine ha fatto?

DVD 4 2017. Altra buona annata: si parte con gli ELO, Electric Light Orchestra, la loro versione con archi aggiunti di Roll Over Beethoven è anche un sentito omaggio a Chuck Berry, grazie ad un Jeff Lynne ispirato che poi rispolvera altri due classici come Evil Woman e la beatlesiana Mr. Blue Sky. Il discorso finale è di Dhani Harrison e ad accettare il premio c’è anche Roy Wood. Jackson Browne induce nella RRHOF Joan Baez, che esegue da sola Swing Low Sweet Chariot e poi chiama sul palco Mary Chapin Carpenter e le invecchiate (mi sembra più della Baez) Indigo Girls per le deliziose e delicate Deportee (Plane Wreck At Los Gatos) e The Night They Drove Old Night Dixie Down. Gli Yes, in formazione originale (quasi, manca Chris Squire) ricevono il premio da Geddy Lee (che rimane sul palco con il gruppo) e Alex Lifeson dei Rush: Roundabout è una ottima scelta (e Rick Wakeman è in gran forma, come pure Steve Howe),mentre Owner Of A Lonely Heart, per quanto piacevole, meno riuscita. Snoop Dogg induce Tupac Shakur, senza musica, anche perché non c’è, questa è cattiva lo so. I Journey sono stati una delle band migliori anni ’70-’80, nati da una costola dei Santana, poi con l’innesto di Steve Perry sono diventati più rock FM, ma l’attuale cantante filippino non si può vedere e sentire, anche se gli altri suonano. Per fortuna che nel finale di questo quarto DVD, il più lungo del lotto, arriva David Letterman, più barbuto che mai, ad introdurre i Pearl Jam, che poi ci regalano un trittico dei loro classici, Alive, Given To Fly e una splendida Better Man, cantata da tutto il pubblico.

Il gran finale del 2017 con Rockin’ In The Free World qui sotto, non c’è nel DVD, peccato.

Luci ed ombre, ma nel complesso molti di più i momenti da tesaurizzare. Le “inductions” si possono guardare a parte nel menu, ma le parti solo musicali no. Mistero.

Bruno Conti

Dopo Parecchi Anni Torna Una Delle Serie Video Più Belle. Rock And Roll Hall Of Fame – In Concert

rock and roll hall of fame in concert

Rock And Roll Hall Of Fame In Concert – Time Life 4 DVD o 2 Blu-ray – 24-04-2018

Era il 2010, quando uscirono sia il Box da 9 DVD con il meglio delle varie edizioni dei concerti per la Rock And Roll Hall Of Fame che il quadruplo cofanetto con il concerto che festeggiava il 25° Anniversario della manifestazione con una serata speciale al Madison Square Garden, registrata nel 2009. Da allora tutto taceva, ma ecco che la Time Life pubblicherà in questi giorni negli Stati Uniti questo box che vedete qui sopra (4 DVD, ma anche disponibile in doppio Blu-ray): l’uscita è prevista per il 24 aprile, e le due versioni conterranno il meglio dei concerti del 2014-2015-2016-2017. Non chiedetemi perché le edizioni dal 2010 al 2013 non sono mai state considerate, non so dirvelo, forse problemi di diritti di autore, o magari qualcosa è stato pubblicato e venduto direttamente solo sul sito della Hall Of Fame, ma non credo perché non ho mai visto nulla annunciato. Comunque se volete leggere i Post che avevo dedicato alle uscite all’epoca basta che cerchiate nell’archivio del Blog del 2010.

Per quello che riguarda i contenuti di questa imminente uscita, li trovate elencati qui sotto; prima un riassunto a grandi linee e poi la lista completa, disco per disco dei singoli brani e delle canzoni che sono state eseguite nei vari anni, con tutti gli ospiti che si sono alternati sui palchi del Barclays Center di New York e della Public Hall di Cleveland, a seconda delle diverse annate:

ROCK & ROLL HALL OF FAME: IN CONCERT FEATURES:

  • These 4 DVD and 2 Blu-ray Sets feature poignant reunions, moving and often hilarious induction speeches, and 53 iconic performances.
  • The best moments from the 2014, 2015, 2016 and 2017 induction ceremonies.
  • Bruce Springsteen joining inductees the E Street Band for the deep-cut classic The E Street Shuffle from the Boss’s second album, from 1973.
  • Legendary grunge-rock group Pearl Jam delivering thundering performances of Alive, Given to Fly and Better Man.
  • The two surviving members of Nirvana joined on stage by Lorde, Annie Clark, Kim Gordon and Joan Jett for emotional renderings of the group’s biggest hits.
  • Cat Stevens performing a spine-tingling version of Father & Son that rendered the massive Barclays Center quiet as a church.
  • Journey performing three classic cuts: Separate Ways (Worlds Apart), Lights and Don’t Stop Believin’.
  • Ringo Starr being welcomed into the Rock Hall with a little help from Paul McCartney. Features complete Hall of Fame induction speeches, including:
    • Coldplay’s Chris Martin inducting Peter Gabriel
    • Metallica’s Lars Ulrich inducting Deep Purple

The 29th Annual Rock & Roll Hall of Fame Induction Ceremony

Barclays Center: Brooklyn, New York

April 10, 2014

PROGRAM

PETER GABRIEL

Digging in the Dirt Peter Gabriel

Chris Martin Inducts Peter Gabriel
Peter Gabriel Acceptance Speech

Washing of the Water Peter Gabriel with Chris Martin
In Your Eyes Peter Gabriel with Youssou N’Dour

CAT STEVENS
Art Garfunkel Inducts Cat Stevens
Cat Stevens Acceptance Speech

Father & Son Cat Stevens with Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra
Wild World Cat Stevens with Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra
Peace Train Cat Stevens with Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra

LINDA RONSTADT
Glenn Frey Inducts and Accepts on Behalf of Linda Ronstadt

Different Drum Carrie Underwood and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra
Blue Bayou Emmylou Harris, Bonnie Raitt, Carrie Underwood and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra
You’re No Good Sheryl Crow, Glenn Frey, Emmylou Harris, Bonnie Raitt, Carrie Underwood and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra
It’s So Easy Stevie Nicks, Sheryl Crow, Glenn Frey, Emmylou Harris, Bonnie Raitt, Carrie Underwood and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra
When Will I Be Loved Sheryl Crow, Emmylou Harris, Stevie Nicks, Bonnie Raitt, Carrie Underwood and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra

E STREET BAND
Award for Musical Excellence
Bruce Springsteen Inducts the E Street Band
Acceptance Speech: Roy Bittan, Victoria Clemons on Behalf of Clarence Clemons, Jason Federici on Behalf of Danny Federici, Nils Lofgren, Vini Lopez, David Sancious, Patti Scialfa, Garry Tallent, Max Weinberg and Steven Van Zandt

The E Street Shuffle Bruce Springsteen and the E Street Band

NIRVANA
Michael Stipe Inducts Nirvana
Acceptance Speech: Dave Grohl, Krist Novoselic, and Courtney Love and Wendy O’Connor on Behalf of Kurt Cobain

Smells Like Teen Spirit Dave Grohl and Krist Novoselic with Joan Jett and Pat Smear
Aneurysm Dave Grohl and Krist Novoselic with Kim Gordon and Pat Smear
Lithium Dave Grohl and Krist Novoselic with Annie Clark and Pat Smear
All Apologies Dave Grohl and Krist Novoselic with Annie Clark, Kim Gordon, Joan Jett, Lorde and Pat Smear


 

The 30th Annual Rock & Roll Hall of Fame Induction Ceremony
Public Hall: Cleveland, Ohio
April 18, 2015

PROGRAM

JOAN JETT & THE BLACKHEARTS
Bad Reputation Joan Jett & the Blackhearts
Cherry Bomb Joan Jett & the Blackhearts with Dave Grohl and Gary Ryan
Crimson and Clover Joan Jett & the Blackhearts with Miley Cyrus, Gary Ryan, Dave Grohl and Tommy James

Miley Cyrus Inducts Joan Jett & the Blackhearts
Acceptance Speech: Ricky Byrd, Joan Jett and Gary Ryan
 
THE PAUL BUTTERFIELD BLUES BAND
Born in Chicago Zac Brown, Tom Morello, Jason Ricci and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra

Peter Wolf Inducts The Paul Butterfield Blues Band
Acceptance Speech: Elvin Bishop, Lee Butterfield on Behalf of Paul Butterfield, Sam Lay and Mark Naftalin
 
BILL WITHERS
Stevie Wonder Inducts Bill Withers
Bill Withers Acceptance Speech

Ain’t No Sunshine Bill Withers with Stevie Wonder and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra
Lean on Me Bill Withers with John Legend, Stevie Wonder and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra

GREEN DAY
Fall Out Boy Inducts Green Day
Acceptance Speech: Billie Joe Armstrong, Tré Cool and Mike Dirnt

American Idiot Green Day
When I Come Around Green Day
Basket Case Green Day
 
STEVIE RAY VAUGHAN AND DOUBLE TROUBLE
John Mayer Inducts Stevie Ray Vaughan and Double Trouble
Acceptance Speech: Chris Layton, Tommy Shannon, Jimmie Vaughan on Behalf of Stevie Ray Vaughan, and Reese Wynans

Texas Flood Double Trouble with Doyle Bramhall II, Gary Clark Jr., John Mayer and Jimmie Vaughan

LOU REED

Patti Smith Inducts Lou Reed
Acceptance Speech: Laurie Anderson on Behalf of Lou Reed

Satellite of Love Beck, Jason Falkner, Roger Joseph Manning Jr., Nate Ruess and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra

RINGO STARR
Award for Musical Excellence
Paul McCartney Inducts Ringo Starr
Ringo Starr Acceptance Speech

Boys Ringo Starr with Green Day
It Don’t Come Easy Ringo Starr with Joe Walsh and Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra
Finale: I Wanna Be Your Man Ringo Starr with Paul McCartney, Joe Walsh, Paul Shaffer and the Hall of Fame Orchestra and the Rock & Roll Hall of Fame Jam Band


 

The 31st Annual Rock & Roll Hall of Fame Induction Ceremony
Barclays Center: Brooklyn, New York
April 8, 2016

PROGRAM

DEEP PURPLE
Lars Ulrich Inducts Deep Purple
Acceptance Speech: David Coverdale, Ian Gillan, Roger Glover, Glenn Hughes and Ian Paice

Highway Star Deep Purple
Smoke on the Water Deep Purple

BERT BERNS
Ahmet Ertegun Award for Lifetime Achievement
Steven Van Zandt Inducts Bert Berns
Acceptance Speech: Cassandra Berns and Brett Berns on Behalf of Bert Berns

N.W.A.
Kendrick Lamar Inducts N.W.A.
Acceptance Speech: Dr. Dre, Ice Cube, DJ Yella and MC Ren

CHICAGO
Rob Thomas Inducts Chicago
Acceptance Speech: Michelle Kath on Behalf of Terry Kath, Robert Lamm, Lee Loughnane, James Pankow, Walter Parazaider and Danny Seraphine

Saturday in the Park Chicago
Does Anybody Really Know What Time It Is? Chicago with Rob Thomas
25 or 6 to 4 Chicago

CHEAP TRICK

Kid Rock Inducts Cheap Trick
Acceptance Speech: Bun E. Carlos, Rick Nielsen, Tom Petersson and Robin Zander

I Want You to Want Me Cheap Trick
Dream Police Cheap Trick
Surrender Cheap Trick
Finale: Ain’t That a Shame Cheap Trick with the Rock & Roll Hall of Fame Jam Band


 

The 32nd Annual Rock & Roll Hall of Fame Induction Ceremony
Barclays Center: Brooklyn, New York
April 7, 2017

PROGRAM

ELO
Roll Over Beethoven ELO
Evil Woman ELO
Mr. Blue Sky ELO

Dhani Harrison Inducts ELO
Acceptance Speech: Jeff Lynne and Roy Wood

JOAN BAEZ
Jackson Browne Inducts Joan Baez
Joan Baez Acceptance Speech

Swing Low, Sweet Chariot Joan Baez
Deportee (Plane Wreck at Los Gatos) Joan Baez with Mary Chapin Carpenter, Amy Ray and Emily Saliers
The Night They Drove Old Dixie Down Joan Baez with Mary Chapin Carpenter, Amy Ray and Emily Saliers

YES
Geddy Lee and Alex Lifeson Induct Yes
Acceptance Speech: Jon Anderson, Bill Bruford, Steve Howe, Trevor Rabin, Rick Wakeman and Alan White

Roundabout Yes with Geddy Lee
Owner of a Lonely Heart Yes

TUPAC SHAKUR
Snoop Dogg Inducts and Accepts on Behalf of Tupac Shakur
 
JOURNEY
Pat Monahan Inducts Journey
Acceptance Speech: Jonathan Cain, Aynsley Dunbar, Steve Perry, Gregg Rolie, Neal Schon, Steve Smith and Ross Valory

Separate Ways (Worlds Apart) Journey
Lights Journey
Don’t Stop Believin’ Journey

PEARL JAM
David Letterman Inducts Pearl Jam
Acceptance Speech: Jeff Ament, Matt Cameron, Stone Gossard, Dave Krusen, Mike McCready and Eddie Vedder

Alive Pearl Jam
Given to Fly Pearl Jam
Better Man Pearl Jam

Magari dopo l’uscita dei cofanetti ne parliamo ancora, ma non garantisco.

Bruno Conti

E Dopo Le Piogge…L’Arcobaleno E “L’Estate”! Ritchie Blackmore’s Rainbow – Memories In Rock II

ritchie blackmore's rainbow memories in rock II

Ritchie Blackmore’s Rainbow – Memories In Rock II – Minstrel Hall 2CD/DVD – 3LP

Il titolo del post si riferisce allo strano clima meteorologico di questa prima parte di Aprile, che assomiglia di più a Novembre, e che al momento di scrivere queste righe sta finalmente dando spazio alla primavera, anzi quasi l’estate. Da una ventina d’anni Ritchie Blackmore, a prescindere dai gusti e dai generi, uno dei più grandi chitarristi rock di tutti i tempi, ed il cui percorso artistico sarà per sempre legato all’età d’oro dei Deep Purple, gira il mondo e pubblica dischi con una band di folk-rock rinascimentale denominata Blackmore’s Night (dal cognome suo e della moglie, Candice Night, cantante solista della band), e di riprendere a fare del rock sembrava non volesse sentirne proprio parlare. Questo almeno fino al 2016, quando, non si sa a seguito di che tipo di offerta economica, Blackmore programmò cinque serate tra Inghilterra e Germania, ritirando fuori ancora una volta il moniker dei Rainbow, ovvero il gruppo che fondò nel 1975 dopo avere lasciato i Purple e che portò fino al 1983, anche se con continui cambi di formazione, per poi riformarlo brevemente nel 1995 con musicisti totalmente nuovi. I nuovi Rainbow hanno già pubblicato ben due live tratti dalle serate del 2016, Memories In Rock, con i concerti tedeschi, e Live In Birmingham, ma Ritchie ci deve aver preso gusto, in quanto ha ripetuto l’esperienza lo scorso anno con altri tre show (a Londra, Glasgow e Birmingham), dai quali ha tratto questo nuovo album dal vivo, Memories In Rock II, un CD doppio al quale è allegato un DVD con interviste ai membri della band (quindi niente immagini dal palco, se non come brevi intermezzi).

La critica più frequente che è stata rivolta a Blackmore, ed alla quale mi sento di associarmi almeno in parte, è stata quella di aver assemblato un gruppo di giovani musicisti sconosciuti, che nulla hanno da spartire con il passato del nostro, e con un vocalist, Ronnie Romero, di buone doti ma che sembra un clone di Ronnie James Dio (per la cronaca gli altri componenti del gruppo sono Bob Nouveau, basso, Jens Johanssen, tastiere, David Keith, batteria, e le voci di supporto della moglie di Ritchie, Candice, e di Lady Lynn), creando quindi un chiaro effetto cover band: le voci iniziali davano per coinvolto nel progetto anche Joe Lynn Turner, cantante dell’Arcobaleno negli anni ottanta, ma conoscendo Blackmore (ed il suo caratterino) è più probabile che per la grande rentrée volesse le luci della ribalta tutte per lui. Ed il doppio CD, che riflette idealmente un concerto completo, è in ogni caso di piacevole ascolto (chiaramente se vi piace il genere classic rock), dato che comunque Blackmore è ancora un chitarrista formidabile, e nel corso della sua carriera ha composto più di una canzone memorabile. Ho parlato di carriera non a caso: questo Memories In Rock II è intitolato ai Rainbow probabilmente per una questione di maggiori vendite, ma in realtà presenta canzoni da tutti i momenti della vita artistica del nostro, e quindi più di uno anche risalente al periodo Viola Profondo (o Viola Scuro, che è forse la traduzione più esatta di Deep Purple).

Ovviamente ci sono tutte le hits dei Rainbow da tutte le varie configurazioni (tranne quella del 1995), a partire ovviamente dal periodo con Dio (tra cui due superlative Man On The Silver Mountain e Catch The Rainbow e la sempre trascinante Long Live Rock’n’Roll, ed è un piacere constatare che Ritchie non ha perso il manico), i due pezzi più noti dell’unico disco con Graham Bonnet (l’orecchiabile All Night Long ed il superclassico Since You’ve Been Gone, la loro canzone più nota), ed anche qualcosa originariamente cantato da Turner (l’uno-due iniziale con Spotlight Kid e la popolare I Surrender, oltre ad una monumentale Difficult To Cure di un quarto d’ora, nella quale Blackmore ha spazio per le sue digressioni di stampo classicheggiante). E poi ci sono i Purple, compreso un paio di brani dal periodo con David Coverdale (Mistreated, che voce Romero quando non imita Dio, e la sontuosa ballad Soldier Of Fortune, qui in versione acustica); ma ovviamente la configurazione “Mark II” dello storico gruppo è il piatto forte, con highlights come la “zeppeliniana” Perfect Strangers, l’orecchiabile Black Night (dilatata a 10 minuti), il prevedibile finale di Smoke On The Water e soprattutto la formidabile Child In Time, un brano straordinario che i Purple non suonano da anni perché Ian Gillan non ci arriva più con la voce (anche se Romero affronta i famosi screamings della canzone in maniera un po’ sguaiata, la classe di Ian se la sogna). C’è perfino un brano dei Blackmore’s Night, Carry On Jon, un toccante strumentale per chitarra acustica, ma che poi diventa una bellissima jam, con l’organo di Johanssen (che è comunque molto bravo) protagonista. Alla fine c’è anche una nuova canzone di studio, la prima a nome Rainbow in più di vent’anni: Waiting For A Sign è un buon pezzo, cadenzato, sfiorato dal blues e con un refrain immediato, un brano che può stare benissimo all’interno del repertorio del gruppo.

Questo Memories In Rock II è dunque un’ottima proposta per chi aveva nostalgia del Ritchie Blackmore rocker, anche se, come ho già detto, va preso più come una panoramica live sulla sua carriera che come un vero e proprio disco dei Rainbow.

Marco Verdi

Forse Più Rock “Sudista” Britannico Che Blues, Ma Non Sono Affatto Male. Wille And The Bandits – Steal

wille and the bandits steal

Wille And The Bandits – Steal Jig-Saw Music

Vengono dall’estremo sud del Regno Unito, Devon, Cornovaglia, sono un trio, guidato dal chitarrista e cantante Wille (senza la i) Edwards, con Matt Brooks al basso e Andrew Naumann alla batteria: hanno pubblicato sinora quattro album, compreso questo Steal. Tra le loro influenze citano Ben Harper e Pearl Jam, ma anche Jimi Hendrix e i gruppi power-rock in generale. Varie volte indicati tra le migliori giovani band senza contratto e tra le attrazioni più interessanti del circuito live britannico https://www.youtube.com/watch?v=OIZ4U0fsHZE , sono tra i tanti che cercano di emergere, con passione e buona attitudine, nell’attuale scena blues-rock inglese. La presenza di Don Airey, all’organo e alle tastiere in tre pezzi di questo album (uno che ha suonato con chiunque, da Deep Purple e Black Sabbath, passando per Gary Moore e Whitesnake), indica che nel DNA di Wille And The Bandist, c’è anche parecchio hard-rock, e, secondo le loro biografie, pure folk (hanno partecipato anche a Cropredy) https://www.youtube.com/watch?v=Zs6s2rj9pm0 , roots music, blues e latin rock, praticamente a parte il tex-mex e il ballo liscio, qualsiasi genere musicale.

Detto che queste liste spesso lasciano il tempo che trovano, direi che applicando il sistema San Tommaso o Guido Angeli, ossia provare per credere, la prima cosa che si rileva è che Wille Edwards è un eccellente chitarrista, oltre che all’elettrica molto efficace anche a dobro, Lap Steel e Weissenborn, come evidenziato nell’iniziale Miles Away, dove il nostro si disimpegna con classe tra slide, Weissenborn, ed elettrica (con un eccellente assolo di wah-wah), mentre il resto del gruppo, compreso Airey all’organo, confeziona del sano rock targato ‘70’s, duro ma ben suonato, Anche Hot Rocks non è male, buona voce e sound ad alta densità di riff, molto Deep Purple ma non disprezzabile, energia e grinta non mancano e quando Edwards inizia a lavorare la sua solista veniamo catapultati nel vecchio sano rock progressivo inglese dei tempi che furono, neppure tanto rinnovato ma di buon valore.

Sacred Of The Sun, di nuovo con Airey all’organo e tastiere rimane in questo hard-rock classico e raffinato, in una sorta di ideale ponte con le formazioni dell’epoca d’oro del genere. Ai giorni d’oggi pensate a Blues Pills, Black Mountain, All Them Witches, No Sinner, Rival Sons, i vari gruppi della Grooveyard, la scelta è ampia. Se avevate dei dubbi, c’è persino un brano che si intitola 1970 che pare uscito da qualche vecchio vinile dei Free, o meglio ancora dei Bad Company, con Wille che “maltratta” la sua solista con e senza bottleneck, anche con elementi southern nel sound, d’altronde se non sono “sudisti” loro che vengono dalla Cornovaglia.

Atoned parte su un assolo di basso, poi diventa un pezzo dei “Deep Zeppelin”, un po’ come fanno spesso i Black Country Communion, che però hanno un’altra classe, anche se come potenza di suono e genere ci siamo e poi Edwards è un virtuoso dello stile slide; ma anche quando i tempi rallentano, come nell’elettroacustica Crossfire Memories, e il suono di dobro e Weissenborn, oltre alle tastiere di Airey, si presenta in prima linea, la band conferma la sua validità anche in questa dimensione più intima. Our World rimane su questa lunghezza d’onda, che per certi versi richiama lo stile del citato all’inizio Ben Harper, acustico ma con improvvise sferzate elettriche. Insomma, come dice il titolo, “rubano” qui e là, ma lo fanno con buoni risultati, come certificano anche le conclusive Living Free, un blues nuovamente con elementi rootsy e qualche influenza dei Zeppelin meno “feroci”, grazie alla riuscita miscela di strumenti elettrici ed acustici, e soprattutto la lunga Bad News, altro pezzo di buona fattura, che dopo una introduzione raccolta esplode in un classico ed epico hard-rock, dove si apprezzano nuovamente le tastiere di Don Airey, e se il cantato di Wille Edwards è forse per l’occasione fin troppo sopra le righe, il suo lavoro alla solista è sempre di notevole efficacia. In definitiva, come detto all’inizio, a parte il liscio, il resto direi che c’è tutto.

Bruno Conti

Avevano Detto Che Non Sarebbe Mai Successo, E Invece Sono Tornati E “Picchiano” Sempre Come Dei Fabbri! Black Country Communion – BCCIV

black country communion bcc iv

Black Country Communion – BCC IV – Mascot Provogue

Con una certa dose di autoironia, il banner che annuncia l’uscita del nuovo album dei Black Country Communion recita, lo riporto in inglese perché fa più scena: “They Said It Would Never Happen!”. E invece è successo, dopo la brusca separazione del 2012, dovuta  a quelle che erano state appunto definite inconciliabili divergenze tra Joe Bonamassa e Glenn Hughes, torna il quartetto anglo-americano (Hughes e Bonham sono inglesi) con un quarto album che, forse in omaggio ad una delle loro fonti di ispirazioni sonore, si intitola BCC IV. Del disco, al momento in cui scrivo, non si ancora tutto, dovrebbe uscire il 22 settembre, è sempre prodotto Kevin Shirley, sono dieci brani nuovi e, questo posso confermarlo, avendolo sentito bene, picchiano sempre come dei fabbri, anzi forse ancor di più che nei dischi precedenti, oltre ai tre di studio anche un Live. Con un gioco di parole, scontato ma efficace, potremmo definirli ancora una volta i Deep Zeppelin o i Led Purple, vista la presenza nei loro ranghi di un ex Deep Purple, come Glenn Hughes e del figlio del batterista degli Zeppelin, ovvero Jason Bonham, ma anche perché il genere è quell’hard’n’heavy anni ’70, che ha ancora una folta schiera di estimatori e moltissimi epigoni nel nuovo millennio.

Bonamassa, dopo una serie di album che hanno esplorato il blues, le radici acustiche del suo sound, il jazz-rock, e altre mille diverse nuances sonore che lo hanno reso uno dei musicisti più apprezzati (ma anche discussi) del rock attuale, sicuramente uno dei chitarristi migliori delle ultime generazioni, forse “il migliore” (come ha dichiarato di recente anche l’amico Walter Trout): Joe ha detto che, appianate le divergenze con Hughes, voleva tornare “divertirsi” a suonare un rock duro e selvaggio che è comunque sempre stato presente nel suo DNA di musicista. E bisogna dire che i quattro (c’è anche Derek Sherinian, l’ex Dream Theater, alle tastiere) ci sono riusciti. Intendiamoci, l’album non è forse interessante come altre cose recenti di Bonamassa, ma i quattro sono comunque sempre una potenza della natura, tra riff assassini, scariche di rullate travolgenti di Bonham, la voce ancora gagliarda e potente di Hughes, e il lavoro di raccordo delle tastiere, il disco si lascia ascoltare, ovviamente se amate il genere. Sintomatico in questo senso il brano di apertura, una Collide che sembra uscire dai solchi di Led Zeppelin IV o di Physical Graffiti, una via di mezzo tra Black Dog e Kashmir, con Bonham che picchia come un indemoniato sulla sua batteria, mentre Bonamassa inchioda un assolo del tutto degno del miglior Jimmy Page, mentre Hughes urla e strepita come se avesse ancora vent’anni e anche Sherinian fa il suo alle tastiere.

Over My Head sembra un pezzo dei Deep Purple Mark III, quelli con leggere influenze del sound rock mainstream americano, quando Hughes si alternava a Coverdale come voce solista, quindi più FM anche questo pezzo dei BCC, con Bonamassa che si sdoppia a due soliste, pur se il sound rimane “galoppante”. The Last Song For My Resting Place è la terza variazione sul tema, un brano epico, scritto e cantato da Joe, con inserti quasi celtici di volino ( o è la viola della cino-americana Tina Guo, sentita di recente nel Live acustico?) e mandolino, sul lato quindi dell’ultimo Bonamassa, ricercato e variegato, ma pronto a scatenarsi in folate chitarristiche di grande intensità, mentre il resto della band lo spalleggia con vigore e qualità. Esaurite le possibilità sonore in offerta, negli altri brani si reiterano i vari stili: Sway è nuovamente zeppeliniana, soprattutto nei ritmi e nei riff, anche se l’approccio vocale di Hughes tiene sempre conto dell’amore del bassista per un suono più mainstream, da rock FM americano, non quello più becero comunque, poi Sherinian all’organo e Bonamassa alla chitarra curano con grinta la parte strumentale. The Cove è più misteriosa ed intrigante, un suono avvolgente che ricorda certo rock dark britannico, oltre agli Zeppelin di Houses Of The Holy dove le tastiere avevano un ruolo importante, inutile dire che tutti ci danno dentro di brutto, come in tutto l’album d’altronde, qui più che la finezza domina la forza bruta, con classe però. E pure The Crow è duretta anziché no, heavy rock dirompente e dove non si fanno prigionieri, tra tastiere e chitarre impazzite. Wanderlust ha un tempo più scandito ed incalzante, qualche “esile” traccia blues-rock, ma i quattro dei Black Country Communion non dimenticano di essere soprattutto un gruppo hard rock; Love Reins è un’altra scarica adrenalinica tra Purple e Zeppelin, rivisitati dai BCC e pure Awake permette a Jason Bonham e a Hughes di scatenare ritmi duri e cattivi. Chiude When The Morning Comes, l’altro pezzo che introduce elementi più “tranquilli”, un piano insinuante e melodie più dolci, ma sempre pronto a scatenarsi in violente cavalcate chitarristiche.

Questo offre il menu per l’occasione, prendere o lasciare: esce il 22 settembre.

Bruno Conti

Il Loro Canto Del Cigno? Se Sarà Così, Un Addio Con Stile! Deep Purple – Infinite

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Deep Purple – Infinite – earMUSIC/Edel CD – CD/DVD – 2LP/DVD – Box Set CD/DVD/2LP

Nel 2013 i Deep Purple, leggendaria band hard rock Britannica, diedero alle stampe l’ottimo Now What?! dopo un silenzio discografico di ben otto anni http://discoclub.myblog.it/2013/05/16/finalmente-un-disco-come-si-deve-deep-purple-now-what/ , un album che per molti (incluso il sottoscritto) era il migliore dall’addio definitivo di Ritchie Blackmore avvenuto nel 1993 (sostituito da Steve Morse, ex Dixie Dregs e terzo americano della storia del gruppo dopo Tommy Bolin e Joe Lynn Turner), anche se Purpendicular del 1996 e soprattutto Abandon del 1998 hanno molti estimatori tra i fans della nota band: di sicuro Now What?! era il migliore da quando Don Airey aveva preso il posto di Jon Lord alle tastiere, lasciando il drummer Ian Paice come unico membro presente in tutte le configurazioni del gruppo (anche se il cantante Ian Gillan ed il bassista Roger Glover sono ormai considerati alla sua stessa stregua, ben pochi si ricordano oggi di Rod Evans e Nick Simper). Now What?! era un solido disco di hard rock classico nel più puro “Purple style”, merito anche della scelta vincente di affidarsi ad un produttore esperto come Bob Ezrin, uno che è famoso per non soffrire di alcuna soggezione rispetto a chi ha di fronte, e che se una canzone fa schifo te lo dice in faccia anche se ti chiami Lou Reed, Roger Waters, Gene Simmons, Paul Stanley, Alice Cooper o Peter Gabriel (per citare gente prodotta da lui in passato, non esattamente personaggi dal carattere accomodante, forse con la sola eccezione di Cooper).

Quel disco deve aver fatto tornare ai nostri l’ispirazione, se è vero che dopo “soli” quattro anni ci riprovano con Infinite, che da alcune voci messe in giro (forse ad arte) potrebbe essere il loro ultimo lavoro, indiscrezione confermata dal nome scelto per il tour che partirà a Maggio, The Long Goodbye, che però potrebbe anche essere ironico dato che la storia del rock è piena di finti addii alle scene. A parte queste considerazioni, Infinite conferma l’ottimo stato di forma del quintetto, un album anche superiore al precedente, con una bella serie di canzoni nello stile che ha reso famosi i Purple, i quali però sono stati attenti a non limitarsi a riciclare il loro suono, ma sono riusciti a tenere alto il vessillo della creatività ed a rimanere attuali pur nella loro classicità, grazie anche alla decisione di proseguire la collaborazione con Ezrin anche per questo disco. Paice e Glover si confermano una delle sezioni ritmiche più devastanti della storia, Morse è un chitarrista coi controfiocchi e dal suono pulito e lirico, Airey un tastierista della Madonna, forse l’unico in quell’ambiente in grado di sostituire a dovere Lord, mentre Gillan con l’età è (giocoforza) diventato praticamente un altro cantante rispetto al passato, molto meno screamer ma con un timbro dalle tonalità più basse e calde. Un bel disco di hard rock classico quindi questo Infinite (che esce nelle solite molte versioni più o meno deluxe, con anche un DVD che racconta il making of del disco, ma senza canzoni aggiunte), niente di nuovo sotto il sole ma quello che c’è è fatto benissimo, anche perché non credo che qualcuno si aspettasse novità rivoluzionarie nel 2017 da parte di un gruppo in giro bene o male da cinquant’anni.

L’album inizia con la già nota (è in giro da qualche mese ormai) Time For Bedlam, introdotta da un’inquietante voce robotica, un uptempo potente e dal ritmo pressante, con la timbrica inconfondibile di Gillan ed una parte strumentale fluida (belle le parti di chitarra, ma sarà una costante), che mescola classico e moderno: un buon inizio, anche se mi aspetto di meglio. Ed il meglio arriva già con Hip Boots, altra granitica rock song contraddistinta dal tipico Purple sound, ottimi interplay tra chitarra ed organo, Glover e Paice che pestano di brutto e Gillan che sopperisce con il mestiere all’impossibilità di raggiungere ancora le note più alte; molto bella All I Got Is You, che ha un inizio epico ed emozionante dominato dall’organo di Airey, che accompagna alla grande la costante crescita ritmica del brano, poi entra Ian che intona una melodia molto discorsiva, e non manca neppure la solita parte strumentale scintillante, ma anche creativa: hard rock sì, ma di gran classe. One Night In Vegas è un rock-blues roccioso, con i nostri che marciano spediti come treni, Airey e Morse in gran forma, per uno dei brani più diretti del CD, mentre Get Me Outta Here non abbassa la guardia e ripropone i Deep Purple più classici, dove solo apparentemente ognuno va per conto suo, ma poi ci si accorge che fa tutto parte di uno schema preciso (e Paice qui è incontenibile).

The Surprising è forse il capolavoro del disco, una straordinaria ballata ricca di pathos con Gillan che canta magnificamente, uno dei pezzo migliori dei nostri da trent’anni a questa parte: l’accelerazione strumentale dopo due minuti e mezzo poi è da applausi, con Morse che non fa rimpiangere Blackmore, e non manca un languido assolo pianistico che è la ciliegina sulla torta. Ottima anche Johnny’s Band, mossa, diretta e chitarristica, forse il pezzo più immediato ed orecchiabile, altra conferma del notevole stato di forma dei cinque; la roboante On Top Of The World è rock duro in giacca e cravatta, classe pura, mentre la maestosa Birds Of Prey mostra ancora elementi blues ed una grinta per nulla scalfita dall’età, anche se la parte recitata alla fine del brano poteva anche non esserci. Gran finale con una splendida cover di Roadhouse Blues dei Doors (è raro che i nostri inseriscano brani di altri nei loro dischi, anche se il loro primo successo è stata proprio una cover, Hush), rilettura potente e tonica di un classico senza tempo, con i nostri che riescono nel non facile compito di personalizzare un brano che conoscono anche le pietre (ed Airey è strepitoso al pianoforte). Grandissima versione, degna conclusione di un disco di vero rock anni settanta, suonato come solo i Deep Purple sanno fare.

Marco Verdi