Un “Grande” Saluto Per Un Amico Che Non C’è Più. Ronnie Earl & The Broadcasters – The Luckiest Man

ronnie earl the luckiest man

Ronnie Earl & The Broadcasters  – The Luckiest Man – Stony Plain

Ronnie Earl è una garanzia, al di là del fatto qualitativo, e ci arriviamo tra un attimo, ormai anche la cadenza dei suoi album si è fatta costante, dal 2013 a oggi un suo album all’anno non manca mai, e senza che il livello del prodotto ne soffra, anzi. Earl è uno dei veri “Masters Of The Telecasters”, fatto riconosciuto da tutti quelli che amano la buona musica, e il blues in particolare: dotato di una tecnica sopraffina, ma anche di un feeling e di una varietà di “toni” stupefacenti, il chitarrista di New York si è costruito una fama invidiabile attraverso una lunghissima serie di album, che parte all’incirca dalla metà degli anni ’80, quando lascia i Roomful Of Blues, e arriva ai giorni nostri. Dopo un lungo periodo in cui aveva realizzato una sequenza di album perlopiù strumentali, basati sul dualismo chitarra/organo (con rare comparsate vocali) negli ultimi anni ha inserito nella formazione dei Broadcasters la bravissima cantante Diane Blue, in possesso di una voce splendida e dalle mille tonalità, ora dolce e tenera, ora grintosa e passionale, un po’ come il “guitar playing” del suo datore di lavoro http://discoclub.myblog.it/2015/09/09/ritorno-alle-origini-ronnie-earl-the-broadcasters-fathers-day/ . Il titolo di questo nuovo album deriva da una frase che diceva sempre il bassista della band Jim Mouradian, scomparso improvvisamente all’inizio dell’anno dopo uno show, e a cui è dedicato il disco: “I’m the luckiest man you know — and I don’t even know who you know”.

Per l’occasione, in un brano,  Long Lost Conversation, tornano alcuni dei vecchi Broadcasters, che erano presenti nel primo album di Earl del 1983 e che oggi suonano in Sugar Ray And The Bluetones, ovvero  Sugar Ray Norcia voce e armonica, Anthony Geraci, piano, Mike Welch, chitarra, Neil Gouvin, batteria e Michael “Mudcat” Ward, basso. Il brano, lunghissimo, oltre i dieci minuti, è una di quelle piccole perle che Ronnie Earl spesso ci riserva nei suoi dischi, e che fanno sì che i suoi album, sempre di ottimo livello comunque, si elevino oltre la media e la consuetudine dei dischi di blues fatti in serie, parliamo di un slow blues di una classe e di una intensità fuori dal comune, Norcia canta e soffia nell’armonica con grande vigore, Earl inchioda uno di quegli assoli che spesso me lo hanno fatto ritenere l’erede naturale di Roy Buchanan o Danny Gatton, e pure Geraci al piano e Welch alla seconda chitarra ci mettono del loro. Ma non è l’unico pezzo di qualità superba del lavoro, anche la versione di  Death Don’t Have No Mercy, solo la voce ispiratissima di Diane Blue e le chitarre soffuse di Earl e Tabarias, rendono questo omaggio a Mouradian un brano ad alto contenuto emozionale https://www.youtube.com/watch?v=2CTFAsn1CgM , come pure lo strumentale, sempre a lui dedicato Jim’s Song, una delicata ninna nanna di grande purezza e dolcezza. Ma anche nei brani dove suonano gli attuali Broadcasters, oltre a Earl e la Blue, il nuovo bassista Paul Kochanski, Dave Limina all’organo e  Forrest Padgett alla batteria, si respira un’aria di grande classe: dallo shuffle di Heartbreak (It’s Hurtin’ Me), dove gustiamo il solito dualismo organo/chitarra tipico dei dischi del nostro, alla cover di Ain’t That Loving You, altro shuflle godurioso, dove è presente una piccola sezione fiati, e la Blue canta con grande souplesse e finezza questa canzone che era nel repertorio di Buddy Guy  e Bobby “Blue” Bland.

L’altro tour de force del CD è una versione monstre di un super classico del blues, una So Many Roads di quasi 11 minuti, ricca di una intensità e di un calore che raramente si riscontrano nel blues dei giorni nostri, suonata e cantata in modo magnifico e anche la versione, di nuovo con i fiati, di You Don’t Know What Love Is, un classico della canzone americana che era nel repertorio di Billie Holiday, Dinah Washington e Ella Fitzgerald, qui diventa uno splendido blues elettrico cantato in modo più che degno dalla bravissima Diane Blue. E non è, come vi dicevo, che il resto del CD sia si qualità scadente, anzi: pezzi come gli strumentali Southside Stomp e Howlin’ Blues farebbero un figurone in qualsiasi disco blues, come pure la maestosa e struggente gospel song Never Gonna Break My Faith, dove la Blue si misura con l’originale cantato da Aretha Franklin, e Ronnie Earl lavora di fino con la sua solista, senza dimenticare l’eccellente Sweet Vee dove il nostro amico rievoca i fasti dei “lentoni” di Santana, e ancora nell’omaggio ad uno dei maestri nella sontuosa e fiatistica Blues For Magic Sam. Come il buon vino Ronnie Earl ad ogni disco sembra sempre migliorare i suoi standard elevatissimi e anche questa volta centra in pieno l’obiettivo con un altro disco che definirei splendido se non avessi finito gli aggettivi.

Bruno Conti