Il Ritorno Del Figliol Prodigo. James Maddock – Insanity Vs. Humanity

james maddock insanity vs. humanity

James Maddock – Insanity Vs. Humanity – Appaloosa Records

Nel 2010, Sunrise On Avenue C fu un vero e proprio colpo di fulmine per il sottoscritto. James Maddock, con le sue ammalianti rock ballads costruite su piano e chitarre e quella voce gradevolmente roca alla Ian Hunter, mi aveva subito conquistato e aggiunto il proprio nome alla lunga lista di beautiful losers che sanno regalare emozioni vere, ispirati dai grandi maestri Dylan, Springsteen e Van Morrison. Seguirono altre belle conferme, lo spumeggiante Live At Rockwood Music Hall, l’ottimo Wake Up And Dream dell’anno successivo, Another Life del 2013, più folk ed intimista dei suoi predecessori. Dopo una serie di prove tanto convincenti, grande fu la delusione che mi procurò l’ascolto di The Green, l’album del 2015, in buona parte rovinato da campionamenti e suoni fasulli. Per fortuna, dubbi e timori sono stati spazzati via come una folata d’aria fresca appena ho inserito nel lettore il nuovo Insanity Vs. Humanity e la limpida melodia dell’iniziale I Can’t Settle ha cominciato a diffondersi. Come negli episodi migliori dei vecchi dischi è il pianoforte a condurre le danze, e intorno chitarre acustiche, mandolino, organo e tastiere accompagnano la voce del protagonista nel suo racconto che tanto richiama alla memoria i personaggi delle backstreets springsteeniane. Subito dopo, altro bel colpo di acceleratore per la trascinante Watch It Burn, davvero irresistibile nel suo ritornello:

james maddock insanity

https://www.youtube.com/watch?v=ZPdEP-mlVDE

Burn Burn Burn urla James Maddock sostenuto da voci femminili e non posso evitare di pensare alle infuocate performances del grandissimo Dirk Hamilton nei suoi brillanti esordi degli anni settanta. Cambio di passo nella successiva Leave Me Down, soul ballad ad altissimo tasso emotivo con un crescendo paragonabile al repertorio del miglior Southside Johnny. Il binomio voce e chitarra elettrica nel finale del pezzo è da pelle d’oca. Basterebbero questi tre brani per convincerci della ritrovata vena del suo autore, ma le buone notizie proseguono con il country rock ruspante della seguente What The Elephants Know, anch’essa sostenuta dal gran lavoro alla sei corde del fido John Shannon. Kick The Can è l’ennesima composizione vincente col piano di Oli Rockberger ancora sugli scudi e un impeto degno delle migliori ballads di Bob Seger. Tre anni fa Maddock collaborò attivamente alla riuscita del positivo penultimo album dei Waterboys, Modern Blues (quanto scarso è invece l’ultimo Out Of All This Blue, una delle peggiori delusioni dell’anno appena concluso!) scrivendo insieme a Mike Scott tre dei migliori episodi di quel lavoro. Ora James si riappropria di due di quelle canzoni modificandone l’arrangiamento con ottimi risultati: November Tale è rallentata accentuandone il malinconico fascino che ti entra sotto pelle,. Mentre Nearest Thing to Hip, impreziosita dallo splendido apporto del piano, è una canzone che veniva eseguita dal vivo già da molto tempo, e ci offre una delle migliori interpretazioni del suo autore che cita nel testo Charlie Parker, Davis e Coltrane modulando la voce con un seducente sussurro nello stile del maestro Van Morrison, fino all’esaltante conclusione affidata alle lancinanti note dell’armonica.

james maddock insanity 2

https://www.youtube.com/watch?v=_blB8xjMyTU

The Old Rocker diventerà sicuramente uno degli highlights nei concerti del songwriter inglese (ma ormai newyorkese d’adozione) col suo refrain fatto apposta per essere cantato insieme al pubblico, un piccolo divertissement che profuma di anni sessanta e non avrebbe sfigurato nel repertorio dei Faces di Rod Stewart. La title track è un’altra perla, una canzone dall’incedere solenne e dal testo significativo che si colora di gospel nel finale, grazie al bell’intervento di un coro. Insanity Vs. Humanity fa il paio con la seguente The Mathematician, una classica ballata ad ampio respiro dalla  linea melodica che si fa apprezzare al primo ascolto. Fucked Up World è più arrabbiata, come suggerisce il titolo, e si movimenta nella seconda metà con l’ingresso dell’elettrica che si sovrappone al resto. The Flame, se mi passate il gioco di parole, non infiamma più di tanto, con gli archi ed il piano dal tocco jazzato a creare un’atmosfera da musical di Broadway, un po’ troppo zuccherosa. Torniamo comunque su livelli elevatissimi con la superlativa Nearest Thing To Hip di cui vi ho già parlato, e con la conclusiva Fairytale Of Love, personale rivisitazione della fiaba di Hansel e Gretel, delicato acquarello suonato in punta di spazzole dal batterista degli Spin Doctors Aaron Comess e con ricami deliziosi di Rockberger che fa il verso al professor Roy Bittan. Davvero un gran bel ritorno, James Maddock è vivo e in piena forma!

P.S.: Se ci riuscite, procuratevi anche il Live At Daryl’s House, già uscito da tempo e venduto solo sul sito  http://jamesmaddock.net oppure nelle sedi dei concerti che speriamo possano presto toccare anche la nostra penisola. Ne vale assolutamente la pena, come potete verificare nella nostra recensione http://discoclub.myblog.it/2017/03/25/un-rocker-inglese-di-casa-a-new-york-james-maddock-live-at-daryls-house/ !

Marco Frosi

Ancora Una Volta Degno Pari Dei Migliori Cantautori, Passati E Presenti! Dirk Hamilton – Touch And Go

dirk hamilton touch and go

Dirk Hamilton – Touch And Go – Acoustic Rock Records/Ird

Ho sempre avuto una particolare ammirazione per la musica di Dirk Hamilton, in modo speciale per i primi quattro dischi, quelli che arrivano fino a Thug Of Love del 1980: album dove lo spirito di Bob Dylan e quello di Van Morrison si fondevano in una perfetta miscela, dove si potevano cogliere anche echi di John Hiatt (che era comunque un suo contemporaneo e avrebbe avuto successo dopo Hamilton) forse per il tipo di approccio tra rock, soul “bianco” e blues e la voce splendida, e  anche tracce di John Prine, per i testi complessi e affascinanti. Poi tra il 1980 e il 1986 abbandona la musica, deluso dall’industria discografica, tra case che falliscono, etichette che lo mollano senza ragione, e si dedica a vari lavori di tipo sociale. Poi riprende a fare musica e approda nel 1990 alla Appaloosa Records del compianto Franco Ratti, e fa dell’Italia la sua seconda patria. Ovviamente i mezzi non sono più quelli di un tempo (e forse neppure l’ispirazione) ma Hamilton a tratti è ancora in grado di emozionare con le sue intense ballate o con i suoi pezzi più rock, intrisi di blues, anche se spesso, per motivi economici, si deve accontentare di una dimensione acustica. Negli anni 2000 si esibisce spesso con il gruppo italiano dei Bluesmen, con cui registra anche alcuni dischi dal vivo, pubblicati dalla sua etichetta Acoustic Rock e nel 2009 esce l’ottimo More Songs From My Cool Life, che lo ripropone quasi ai vertici del suo passato, bissato poi dal CD+DVD del 2011 Thug Of Love Live, dove esegue dal vivo per intero il suo classico del 1980 e alcune altre chicche dal passato http://discoclub.myblog.it/2011/11/27/l-artista-di-culto-per-eccellenza-dirk-hamilton-thug-of-love/ .

Solo Mono e Sweatshop Pinata sono album interlocutori, che lasciano comunque intravedere la classe del nostro; poi tra il 2014 e il 2015 inizia a collaborare con il produttore e polistrumentista Rob Laufer (con un passato anche da ottimo cantautore negli anni ’90), che si era presentato ad un concerto di Hamilton dicendo di essere un suo fan di lunga data. E il risultato è questo eccellente Touch And Go, dove Laufer ha lavorato da vero produttore sulle canzoni di Dirk, rivestendole di una veste professionale, aggiungendo in fase di registrazione una strumentazione ricca e complessa, con arrangiamenti dove le chitarre e l’armonica del nostro, vengono impreziosite da chitarre elettriche, organo, viola, una sezione ritmica e soprattutto un suono d’insieme che non si sentiva da anni. Il resto lo fanno le canzoni: alcune nuove, altre già proposte su dischi del passato in una veste musicale più dimessa e qualcuna, vecchissima, completata per l’occasione. Prendiamo per esempio l’iniziale Gladiola, un brano dove alla voce, all’acustica e all’armonica di Hamilton, Laufer ha aggiunto gli altri strumenti in seguito, in studio, con una procedura che all’inizio Dirk non amava, ma che poi ascoltando i risultati, brillanti a livello di suono e di vivacità delle canzoni, è stata quindi applicata a tutto il disco. La voce è sempre affascinante (vissuta, ormai Hamilton ha 67 anni, stesso anno di nascita di Springsteen), rauca e potente, con quel drive sonoro morrisoniano e l’armonica alla Dylan, che qui si gustano appieno grazie al sound avvolgente apportato da Laufer, che ci riporta ai classici di inizio carriera, quando il cantautore rivestiva le sue canzoni di chitarre elettriche insinuanti, armonie vocali femminili e ritmiche incalzanti.

Ma anche nell’approccio più intimo e dylaniano appunto della bellissima Misery Woman si riascoltano echi del vecchio splendore, con la voce che declama con passione le sue liriche complesse. Ma è ottima anche Head On A Neck che parte come un blues acustico e poi si anima con un organo vintage, chitarre elettriche aggressive, una ritmica grintosa e Hamilton che spinge la sua voce verso territori quasi da esibizione Live. Touch And Go (la canzone), è un altro brano degno dei migliori brani del repertorio del cantautore americano (che si divide come sempre tra California, dove è stato registrato il disco, e Italia, dove torna spesso), con la vecchia abitudine a perfetti equilibri sonori ripristinata come per magia, con gli strumenti che accarezzano la voce in questa ballata dolcissima; We Live In A Dream non cede la ritrovata briosità, quel tocco country got soul da sempre presente nei suoi momenti migliori, come dimostra anche la delicata For The Love Of The Lady, una piccola perla impreziosita da un organo sullo sfondo, una canzone che Hamilton ha iniziato a scrivere nel 1971 e completato nel 2014.

Blame The Poor è proprio un blues, acustico e nudo, mentre Not Free Of Me gira intorno ad un poderoso riff elettrico, quasi alla Kinks, èd è un vigoroso pezzo rock che illustra il lato più gagliardo del nostro amico. Build A Submarine in origine era apparsa su Too Tired Of Sleep del 1990, uno degli album “italiani” della sua discografia, qui diventa una bellissima canzone, di nuovo a metà strada tra Dylan e Morrison, con la deliziosa A Stepper Like You, dolce ed insinuante, prima di rituffarci nel rock incalzante della splendida Cheers To The Heart, uno dei brani più belli del disco (ma non ce n’è una canzone scarsa), bellissime le armonie vocali, gli intrecci di chitarre e di tastiere e il cantato di Dirk Hamilton, che si conferma uno dei “beautiful losers” più di talento dell’intero panorama mondiale. Anche The OnlyThing That Matters viene dal passato, era su Yep, il disco del 1995, e qui rivive in una versione dove gli arpeggi di una acustica si fondono con la viola di Heather Lockie per creare una atmosfera intima, malinconica e toccante. A concludere il tutto il quasi “stream of consciousness” della magnifica Mister Moreno, un pezzo degno del migliore Hamilton del passato e anche dei più grandi cantautori che vi possono venire in mente, di cui questo signore si conferma ancora una volta, quando tutte le circostanze collidono, come in questo disco, un degno pari!

Bruno Conti

P.s. Purtroppo del materiale recente non si trova praticamente nulla in video, quindi mi sono arrangiato con materiale più datato ma sempre valido.