Un Album Storico Ed Un Altro “Quasi”, Riuniti Insieme. Ray Charles – Modern Sounds In Country And Western Music Volumes 1 & 2

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Ray Charles – Modern Sounds In Country And Western Music Volumes 1 & 2 – Concord CD

Nel 1962 Ray Charles era già un musicista di notevole popolarità, grazie agli splendidi lavori per la Atlantic degli anni cinquanta (ritenuto quasi all’unanimità il suo periodo migliore di sempre). Nel frattempo Ray aveva cambiato etichetta, iniziando ad incidere nel 1960 per la ABC: la sua carriera sembrava procedere come prima, ma al nostro questo non bastava, non lo soddisfaceva fino in fondo: infatti il grande cantante e pianista di colore aspirava a sfondare anche nel mercato mainstream degli ascoltatori di pelle bianca, un successo che si era reso conto di poter raggiungere nel ’59 con il famoso singolo What I’d Say. Per raggiungere il suo obiettivo, Charles ebbe l’idea di prendere alcuni classici della musica country (il genere dei bianchi per eccellenza) e reinterpretarli alla sua maniera, eliminando quasi del tutto le sonorità originali ed aggiungendo robuste dosi di swing, rhythm’n’blues, jazz ed usando anche un’orchestra per rivestire il tutto di una patina pop, decisiva per sfondare in classifica. Il risultato fu Modern Sounds In Country And Western Music, un album splendido ed oggi epocale, che vedeva Ray in forma smagliante rivoltare come un calzino brani noti (e meno noti) della tradizione country: le vendite diedero ragione a Charles, in quanto l’album rimase al numero uno di Billboard per ben 14 settimane, facendo del nostro una vera superstar.

Il disco ebbe anche una notevole importanza a livello sia sociale, in quanto finalmente un artista di colore aveva davvero sfondato nel mondo del pop “bianco” (non dimentichiamoci che in molte parti degli Stati Uniti nel 1962 i neri non avevano gli stessi diritti dei bianchi), sia musicale, dato che questo lavoro anticipò di diversi anni il revival country e l’affermarsi di Nashville capitale mondiale del genere. Il disco fu registrato ai Capitol Studios di New York ed agli United Recording Studios di Hollywood, e vedevano il nostro accompagnato, oltre che dal suo inseparabile pianoforte, da una big band arrangiata splendidamente da Gil Fuller e Gerald Wilson, da una sezione d’archi curata da Marty Paich e dagli iconici contributi corali da parte delle Raelettes (guidate da Margie Hendrix) e dei Jack Halloran Singers. Per battere il ferro finchè era caldo, la ABC convinse Charles a pubblicare il secondo volume di quel disco nell’Ottobre dello stesso anno (grosso modo con lo stesso gruppo di musicisti ed arrangiatori), che anch’esso ottenne un buon successo pur non arrivando alle vette del precedente (ed anche nell’immaginario collettivo l’album leggendario è il primo).

Oggi la Concord ripubblica quei due dischi su un unico CD, senza bonus tracks: non è ovviamente la prima ristampa a loro dedicata, ma per chi non li possedesse ancora (o li avesse solo in vinile) l’acquisto è imprescindibile, non solo per la bellezza della musica ma anche per il magistrale lavoro di rimasterizzazione che è stato fatto da Bob Fisher, il quale ha dato ai brani un suono che non avevano mai avuto prima. Il brano più famoso del primo volume è indubbiamente la rivisitazione di I Can’t Stop Loving You di Don Gibson, una rilettura strepitosa e commovente, cantata e suonata in modo magnifico, che negli anni ha del tutto oscurato l’originale. Il resto del disco è puro Ray Charles: grande voce, arrangiamenti sopraffini e per nulla country, ma il bello era proprio prendere delle hit appartenenti ad un genere lontano anni luce e a farle diventare sue, una cosa che all’epoca non aveva mai fatto nessuno. Prendete Bye Bye Love, nota hit degli Everly Brothers, che diventa un sanguigno e ritmatissimo swing per voce, coro e big band, o You Don’t Know Me (di Cindy Walker ed Eddy Arnold), trasformata in una ballatona strappacuori con orchestra alle spalle, o ancora Just A Little Lovin’, sempre di Arnold, tra swing e blues (e che classe). Ma Ray omaggia anche colui che del country moderno è l’indiscusso pioniere, cioè Hank Williams, con ben tre canzoni: una Half As Much jazzata e raffinatissima, la splendida You Win Again, la cui melodia si adatta perfettamente al mood del disco ed al formidabile timbro vocale del nostro, ed una coinvolgente e swingatissima Hey, Good Lookin’.

Ci sono anche due brani dell’ormai dimenticato Ted Daffan, due splendide riletture di Born To Lose e Worried Mind, entrambe romantiche, intense e cantate superbamente. Completano il quadro I Love You So Much It Hurts e It Makes No Difference Now, ambedue di Floyd Tillman, ed il traditional (con nuove parole di Ray stesso) Careless Love, con i fiati protagonisti di un arrangiamento sopraffino. Nel secondo volume di Modern Sounds In Country And Western Music come ho accennato venne un po’ a mancare l’effetto sorpresa, anche se artisticamente il disco non è di molto inferiore al primo. Gli highlights sono senza dubbio due brani ancora di Don Gibson (una ritmatissima Don’t Tell Me Your Troubles e la classica Oh Lonesome Me), altrettanti di Hank Williams (Take These Chains From My Heart, splendida, e Your Cheatin’ Heart) ed un’altra di Daffan (No Letter Today). Poi c’è una bella versione di Making Believe di Kitty Wells (sentite che voce) ed una soffusa ed elegante Midnight di Red Foley. Oltre alla più grande hit tratta dal disco, cioè una cristallina versione del superclassico di Jimmie Davis You Are My Sunshine, jazz e swing di altissimo livello.

Un paio di inediti ci potevano anche stare (il minutaggio lo consentiva), ma accontentiamoci di riscoprire delle incisioni che sono entrate di diritto nella storia della nostra musica, e che non hanno mai suonato così bene.

Marco Verdi

Una Riscoperta Quantomeno Opportuna! Roy Orbison – The MGM Years 1965-1973 & One Of The Lonely Ones

roy orbison mgm years front

Roy Orbison – The MGM Years 1965-1973 – Universal 13CD (14LP) Box Set 

Roy Orbison – One Of The Lonely Ones – Universal CD

Quando si parla di Roy Orbison, una delle più grandi voci rock di sempre, si tende a considerare principalmente la fase iniziale della sua carriera, quando cioè incidendo per la Monument pubblicò tutti i suoi maggiori successi, da Oh, Pretty Woman a Only The Lonely passando per Running Scared, Crying e In Dreams (solo per citare alcune tra le più note), oppure gli ultimi anni prima dell’improvviso decesso, quando era finalmente riuscito a riassaporare il piacere della popolarità, o perché no i suoi esordi presso la Sun Records, ma spesso ci si dimentica che, tra la seconda metà degli anni sessanta ed i primi anni settanta Roy si era accasato presso la MGM ed aveva continuato ad incidere con grande regolarità. Anni difficili per The Big O, sia professionalmente (i tempi e le mode stavano cambiando con rapidità, e c’era poco spazio nelle classifiche per le canzoni romantiche del nostro) sia dal punto di vista della vita privata, in quanto nel giro di poco tempo Roy perse in tragiche circostanze sia la prima moglie Claudette che due dei suoi tre figli (rispettivamente in un incidente stradale ed in un incendio casalingo). Ma Orbison non si diede per vinto, e si rifugiò nella musica più che mai, anche se con esiti commerciali incerti: la qualità delle sue incisioni si manteneva comunque su livelli medio-alti, come testimonia questo prezioso box che riunisce tutti i dischi incisi in quel periodo, aggiungendo una compilation di b-sides e brani apparsi solo su singolo, a cura dei tre figli superstiti di Roy (Wesley, Roy Jr. ed Alex), che si occupano degli archivi del padre dopo la scomparsa nel 2011 di Barbara, seconda moglie ed anche manager del cantante texano. Oltre al box The MGM Years (molto ben fatto e con un esauriente libretto di 65 pagine, anche se non a buon mercato – ma i vari CD sono stati ristampati anche singolarmente) i Roy’s Boys, così si fanno chiamare i tre figli, hanno pubblicato separatamente una vera chicca, cioè un intero disco inciso da Roy nel 1969 e mai messo in commercio, intitolato One Of The Lonely Ones, un album inciso di getto in risposta ai tragici eventi della sua vita. Ma andiamo con ordine.

roy orbison mgm years

 

The MGM Years: come già detto sono presenti gli undici album pubblicati da Roy in quel periodo (There Is Only One Roy Orbison, The Orbison Way, The Classic Roy Orbison, Sings Don Gibson, Cry Softly Lonely One, Roy Orbison’s Many Moods, Hank Williams The Orbison Way, The Big O, Roy Orbison Sings (titoli molto fantasiosi), Memphis e Milestones), rimasterizzati ad arte e presentati in pratiche confezioni simil-LP, una colonna sonora mai realizzata su CD (The Fastest Guitar Alive) ed il già citato B-Sides And Singles. Come già accennato, i dischetti presenti nel box (tutti molto corti e senza bonus tracks, si va da un minimo di 24 minuti ad un massimo di poco più di mezz’ora, a parte la compilation di singoli) sono decisamente godibili, senza particolari differenze di suono e stile tra uno e l’altro: la classe di Roy non la scopriamo certo oggi, ed in più in quegli anni aveva raggiunto una tale potenza e maturità vocale da consentirgli di affrontare con disinvoltura qualsiasi tipo di canzone, un po’ come Elvis negli anni settanta. Roy alterna le sue tipiche canzoni ricche di melodia (molte scritte con i partner abituali Bill Dees e Joe Melson) con altri pezzi più rock’n’roll, un uso degli archi misurato e non pesante e soprattutto la sua formidabile voce a rendere degne di nota anche le canzoni più normali. Qualche titolo sparso (ma potrei citarne il quadruplo): la nota Claudette, dedicata alla moglie quando era ancora in vita https://www.youtube.com/watch?v=tUZBijp0En0 , l’emozionante Crawling Back, Ride Away, la fluida Ain’t No Big Thing, la scintillante Go Away, la trascinante City Life, la drammatica Amy, l’insolita Southbound Jericho Parkway, una mini-suite di sette minuti con elementi psichedelici, non proprio il pane quotidiano per Roy.

Oppure interi album di alto livello, come Cry Softly Lonely One (che ha punte di eccellenza nella romantica She, la fulgida Communication Breakdown https://www.youtube.com/watch?v=5CHygiovJD8 , la classica title track, puro Orbison al massimo della sua espressività vocale, o il gioiellino pop Only Alive), o i tre album di cover (gli omaggi a due leggende della musica country come Don Gibson e Hank Williams, due dischi coi fiocchi, o Memphis, composto interamente di brani rock e country contemporanei). Per non parlare di The Big O, forse il migliore in assoluto tra tutti, un disco roccato e diretto, con un suono elettrico che ricorda le prime incisioni con la Sun, dove spiccano Break My Mind, con un ritornello corale irresistibile, il rifacimento di Down The Line (periodo Sun), dove Roy assomiglia più a Jerry Lee Lewis che a sé stesso https://www.youtube.com/watch?v=_TxtofIPdFg , la magnifica Loving Touch e la gioiosa Penny Arcade.

E poi ci sono le cover sparse, e Roy con la voce che si ritrovava riusciva a far sua qualsiasi canzone: Unchained Melody (da pelle d’oca), Help Me, Rhonda (Beach Boys), I Fought The Law (sempre bellissima), Sweet Caroline (Neil Diamond), Only You (Platters), Land Of 1000 Dances, Words (Bee Gees) solo per citarne alcune https://www.youtube.com/watch?v=RFIKES6yC1Y . Buon ultimo, The Fastest Guitar Alive, colonna sonora di uno strano western interpretato da Roy stesso, in cui il protagonista girava con una chitarra che all’occorrenza si tramutava in fucile: un dischetto curioso, non il migliore di quelli presenti, ma che contiene almeno due perle come la spedita Rollin’ On e la discreta Best Friend, ma anche cose un po’ ingenue come la stereotipata Pistolero, che sentita oggi fa un po’ sorridere.

roy orbison one of the lonely ones

One Of The Lonely Ones: un disco abbastanza in linea con gli standard del periodo, che vede il nostro in ottima forma nonostante i dolorosi fatti privati, anche se con un comprensibile aumento degli elementi malinconici. Dopo un’emozionante rilettura del classico di Rodgers & Hammerstein You’ll Never Walk Alone (un successo per Gerry & The Pacemakers e da sempre inno dei tifosi del Liverpool), con il tipico crescendo di Roy https://www.youtube.com/watch?v=DN9Na5KzRhw , abbiamo una bella serie di ballate ricche di pathos, canzoni mai sentite che finalmente ci vengono svelate, come la tesa Say No More, la deliziosa Laurie (uno come Chris Isaak godrà come un riccio ad ascoltare questi pezzi), la fluida title track, la soul-oriented Little Girl (che voce) o il valzerone countreggiante After Tonight, mentre The Defector è “solo” un buon riempitivo. Ma Roy non tralascia il rock, come la vibrante Child Woman, Woman Child, dal ritmo sostenuto e con diversi punti in comune con Oh, Pretty Woman (poteva diventare un classico) o la mossa Give Up, un rock’n’roll con interessanti cambi di tempo e similitudini con il suono di Buddy Holly. Infine, tre cover, due delle quali di Mickey Newbury (una rilettura pop, ma di gran classe, di Leaving Makes The Rain Come Down e Sweet Memories, che Roy fa sua al 100%) ed una toccante I Will Always ancora di Don Gibson. Peccato per la copertina, una delle più brutte mai viste.

Dopo la fine del contratto con la MGM Roy piomberà nel dimenticatoio per tutto il resto degli anni settanta e la prima metà degli ottanta (solo tre dischi: I’m Still In Love With You, discreto, Regeneration e Laminar Flow, trascurabili), per poi tornare clamorosamente in auge dal 1987 in poi, prima con la compilation di successi reincisi ex novo In Dreams, ma soprattutto con il fantastico A Black And White Night, uno dei migliori live degli anni ottanta (e non solo) https://www.youtube.com/watch?v=_PLq0_7k1jk  e con l’album Volume One ad opera dei Traveling Wilburys. Poi la morte per infarto, improvvisa, nel Novembre del 1988, che non gli ha permesso di vivere il grande successo del suo vero e proprio comeback record Mystery Girl e del singolo You Got It. Ma questa è un’altra storia: intanto godiamoci questi 14 dischetti, ricordandoci che, per parafrasare il titolo del primo CD del box, “di Roy Orbison ce n’è soltanto uno”.

Marco Verdi

P.S: se proprio non volete accaparrarvi il box al completo (in CD, quello in LP ha un costo ridicolmente alto), mi permetto di consigliare i seguenti titoli: The Orbison Way, Crw Softly Lonely One, Hank Williams The Orbison Way, The Big O, Memphis e Milestones. Oltre, ovviamente, a One Of The Lonely Ones.