Apparsi Quasi Dal Nulla, Ecco A Voi Una Bella (Ri)Scoperta: The Perth County Conspiracy!

the perth county conspiracy

The Perth County Conspiracy – Perth County Conspiracy – Flashback Records            

Di tanto in tanto appaiono dal nulla pubblicazioni discografiche relative a solisti o gruppi assolutamente ignoti ai più: anche se in questi tempi di internet con un click è facile fare una ricerca, naturalmente sempre però se sapete il soggetto del vostro interesse, in caso contrario, soprattutto in ambito musicale (ma anche negli altri) risulterebbe difficile e dai tempi biblici fare delle ricerche che spaziano da Aardvark a Zuzzurellonis (dei primi garantisco l’esistenza, sui secondi meno) per placare la vostra vorace fame di conoscenza. In effetti dei Perth County Conspiracy qualcosa in rete si trova: band canadese attiva tra il 1969 e il 1977, ha “pubblicato”, si fa per dire, alcuni dischi in quel periodo (un paio anche per la Columbia Canada), la cui reperibilità, soprattutto nel caso di quello di cui stiamo per parlare, era molto problematica, visto che il LP fu pubblicato dalla CBC, la Canadian Broadcasting Corporation, l’emittente di stato locale, in una tiratura di “ben” 250 copie.

Il gruppo, uno dei classici collettivi, anche in parte politicizzati come in quegli anni era spesso cosa comune, ruotava intorno a due musicisti Richard Keelan e Cedric Smith, soprattutto il secondo anche con forti interessi teatrali e cinematografici, e che tuttora svolge una attività di attore e doppiatore sul suolo canadese. Questa a grandi linee la storia, ma nel CD (o nella ristampa del vinile se preferite) c’è un succoso libretto di 16 pagine che racconta in dettaglio la storia della band: il curatore del dischetto in questione è Richard Morton Jack, un appassionato ed esperto giornalista inglese, ferratissimo soprattutto sulla psichedelia, sul  folk e sull’underground in generale, scrive su Mojo, Q e Record Collector, ha fondato la Flashback Records e prima era il titolare dell’etichetta Sunbeam. Sulla copertina del CD troviamo due personaggi barbuti e lungocriniti, che musicalmente si ispirano al folk “alternativo” imperante in quegli anni, pensate a Tim Buckley, Tim Hardin, Fred Neil, Tom Rush, ma anche Nick Drake e Donovan, tutti personaggi ai margini del mainstream, ma di indubbia qualità.

Ovviamente i Perth County Conspiracy non sono a quei livelli, se no li conosceremmo da anni, ma nella continua ricerca degli appassionati di materiale “oscuro” da (ri)scoprire, un dischetto come questo ci può stare. Registrato nell’agosto del 1970, e pubblicato più o meno in contemporanea al disco per la Columbia che mescolava Shakespeare e altri autori teatrali alla musica, e che forse profeticamente si intitolava The Perth County Conspiracy Does Not Exist, questo “nuovo” dischetto mescola materiale originale di Keelan e Smith (aiutati dal bassista Michael Butler) a tre cover d’autore di buona fattura. Le voci dei due sono piacevoli ed interagiscono in modo efficace, mentre anche a livello strumentale, per quanto il suono sia scarno e basico, il disco non dispiace per nulla: tra i musicisti che frequentavano i loro stessi locali in quello scorcio di anni ’60 c’erano anche Chuck Mitchell, con la moglie Joni, con la quale, nell’iniziale, morbidamente deliziosa, Welcome Surprise, scritta da Keelan, c’è un comune uso del dulcimer, che accentua lo stile folk del brano, mentre in Take Your Time, scritta a due mani dai due, che la cantano in alternanza, c’è una maggiore varietà di suoni, grazie alla presenza delle percussioni e all’arrangiamento più complesso che rimanda a certo psych-folk dell’epoca. If You Can Want è una cover di Smokey Robinson (ebbene sì), che alivello sonoro con il soul non ha rapporti, ma forse veniva dalla provenienza di Detroit di Keelan, che come Smith, inglese di origine, era un canadese trapiantato, comunque il brano è più mosso e bluesy, con un bel giro di basso e le voci che si intrecciano con classe e brillantezza.

Woman For All Seasons è una bella ballata melanconica, cantata da Cedric Smith, la cui voce risonante ricorda quelle di Buckley e Hardin, affascinante e profonda, con una chitarra elettrica a vivacizzarla. Vivace è anche la cover, con elementi orientaleggianti e quasi freak-folk, di Hurdy Gurdy Man di Donovan, in cui risalta la bella melodia del brano del menestrello scozzese, Mr. Truthful Licks è quella che più ricorda lo stile dei duo vocali dell’epoca, Simon & Garfunkel, ma anche Williamson e Heron dell’Incredible String Band. So Many Things, con un flauto a percorrerla, rimanda di nuovo alle ballate folk del primo Tim Buckley, mentre Lace And Cobwebs, sempre di Smith, potrebbe ricordare lo stile di Hardin, oppure di Nick Drake, che però all’epoca nessuno conosceva. HIndsight di Keelan, di nuovo cantata a due voci, con un bel piano quasi alla Laura Nyro come strumento guida è un’altra buona composizione che conferma il valore dei due, mentre in conclusione troviamo una bella e lunga versione corale della classica I Shall Be Released di Dylan, cantata dal cantautore americano Terry Jones, uno dei vari “Cospiratori” che hanno aiutato il duo a realizzare questo album che riemerge dalle nebbie del tempo, non un capolavoro sicuramente ma un bel disco che gli amanti della buona musica sicuramente apprezzeranno. Una bella (ri)scoperta.

Bruno Conti

Una Gran Bella Compilation Ma…Che Razza Di Anniversario E’ Il Ventunesimo? VV.AA. – Appleseed’s 21st Anniversary: Roots And Branches

appleseed's 21st anniversary

VV.AA. – Appleseed’s 21st Anniversary: Roots And Branches – Appleseed 3CD

La Appleseed è una casa discografica fondata nel 1997 da Jim Musselman, un avvocato attivista ed appassionato di musica folk, che aveva l’ambizione di creare un’etichetta che si ispirasse all’età d’oro del cosiddetto folk di protesta, in auge in America negli anni cinquanta e sessanta, e a gloriose label del passato come la Smithsonian Folkways, con l’intento di creare un roster di artisti di spiccata rettitudine morale e con un debole per le cause umanitarie, oltre che per il recupero di canzoni popolari del passato. E Musselman ha visto in breve tempo realizzarsi il suo sogno, dato che negli anni hanno inciso per la Appleseed, tra i tanti, vere e proprie leggende del folk come Pete Seeger e Ramblin’ Jack Elliott, o comunque grandi artisti come Tom Paxton, Tom Rush, Eric Andersen e John Stewart, ed è riuscito a coinvolgere nei vari progetti (come i tre tributi a Seeger o l’album benefico per i senzatetto Give Us Your Poor) anche musicisti non affiliati all’etichetta ma sensibili a certe cause, come Bruce Springsteen e Jackson Browne. Già nel 2007 era uscita una compilation, Sowing The Seeds, che riepilogava il meglio dei primi dieci anni della label, ma ora con questo Roots And Branches Musselman ha fatto le cose in grande, celebrando il ventunesimo anniversario (scelta che in realtà capisco poco, l’unica cosa che mi viene in mente è che in America i 21 anni sono la maggiore età) con uno splendido triplo album, che raccoglie il meglio della Appleseed, appunto nel periodo trattato, mettendo in fila una bella serie di brani comunque rari (sfido infatti chiunque ad averli tutti) ed aggiungendo ben nove canzoni nuove di zecca, tra inediti e pezzi incisi apposta per il progetto.

I tre dischetti sono divisi per vari temi: Let Truth Be Told, che riunisce canzoni di denuncia sociale, The Wisdom Keepers, con artisti di spiccato carisma ed importanza, e Keeping The Songs Alive, che comprende brani della tradizione. Vorrei soffermarmi nel dettaglio sui nove inediti, che iniziano proprio con Bruce Springsteen che propone una intensa versione del classico di Seeger If I Had A Hammer (la presenza di Pete aleggia costante in questo triplo, sia come artista che come autore), molto folk e piuttosto lontana dal brano allegro che conosciamo: inizio lento e quasi drammatico, poi il ritmo prende corpo e gli strumenti si intrecciano abilmente, con un dominio di chitarre, banjo, violino e fisarmonica (Bruce usa musicisti insoliti per lui, con l’eccezione di Charlie Giordano, Soozie Tyrell, e della moglie Patti Scialfa), tanto che, per stare in tema, sembra un pezzo tratto dalle Seeger Sessions. L’amico del Boss Tom Morello si cimenta con una rilettura folk-rock di Dirty Deeds Done Dirt Cheap degli AC/DC, scelta strana anche se bisogna dire che del brano originale non è rimasto molto: versione discreta, ma non indispensabile, anche perché Morello come cantante non è il massimo. Bravissimo invece l’attore Tim Robbins con una strepitosa Well May The World Go (ancora di Seeger), arrangiata in puro stile Irish folk: gran ritmo, melodia squisitamente tradizionale e feeling enorme, sembrano quasi i Pogues. Splendida anche Across The Border, canzone di Springsteen (era una delle più belle su The Ghost Of Tom Joad) affidata alla voce di Tom Russell, un altro che più invecchia e più migliora: il brano, registrato insieme a Jono Manson ed alla fisa di Max Baca, sembra proprio scritto da Tom, ha il suo passo ed anche le sue tematiche.

Wesley Stace in arte John Wesley Harding rifà una sua vecchia canzone, Scared Of Guns (con un reading da parte della figlia), un pezzo molto elettrico e dal ritmo sostenuto, cantato con voce “costelliana”; Anne Hills ci delizia con una versione pura e cristallina del classico di Bert Jansch Needle Of Death, riuscendo ad emozionare con due strumenti in croce, ed anche Donovan non è da meno con una rilettura ricca di pathos della nota ballata di origini irlandesi Wild Mountain Thyme, incisa insieme a due leggende come Danny Thompson, ex bassista dei Pentangle, e lo straordinario drummer Jim Keltner. Gli ultimi inediti sono di due artisti che non sono più tra noi: Jesse Winchester commuove con Get It Right One Day, gentile e stupenda ballata nel suo tipico stile garbato (era incompleta, l’ha terminata Mac McAnally), mentre There Is Love ci fa risentire la voce del grande John Stewart, per un brano con un’intensità da brividi. Il resto del triplo è quindi composto da brani già editi, ma risentiamo (ed in alcuni casi sentiamo per la prima volta, dato che è difficile possedere il catalogo completo della Appleseed) con grande piacere collaborazioni come una meravigliosa versione dell’inno pacifista Bring Them Home ad opera di Pete Seeger, Billy Bragg, Anne Hills, Ani DiFranco e Steve Earle, un reggae decisamente orecchiabile come Kisses Sweeter Than Wine, che vede Jackson Browne duettare con Bonnie Raitt, la poco nota Stepstone di Woody Guthrie, un brano folk di straordinaria intensità che vede un quartetto formato da Joel Rafael, ancora Browne, Jimmy LaFave ed Arlo Guthrie, ed una spettacolare Bring It With You When You Come con David Bromberg e Levon Helm.

Poi, ovviamente, altre grandi canzoni come Give Me Back My Country, splendido country-rock, limpido e solare, ad opera dei Kennedys, o ancora Tom Morello che stavolta ci regala una versione corale e deliziosa dell’inno americano non ufficiale, cioè This Land Is Your Land, o di nuovo Springsteen con il superclassico folk We Shall Overcome, diversa da quella finita sulle Seeger Sessions. Il redivivo Al Stewart ci delizia con la scintillante folk song Katherine Of Oregon, bellissima, la Angel Band con la travolgente Jump Back To The Ditch, tra folk e gospel, Tom Rush con la squisita What I Know (che classe), Lizzy West And The White Buffalo con l’altrettanto bella Portrait Of An Artist As A Young Woman. Infine, non mancano emozionanti riletture di traditionals e brani di dominio pubblico, vere e proprie gemme tra le quali non posso non ricordare The Water Is Wide (John Gorka), Rovin’ Gambler (Ramblin’ Jack Elliott), John Riley (Roger McGuinn con Judy Collins), fino ad una fulgida Where Have All The Flowers Gone, tra le più belle folk songs di sempre, da parte di Tommy Sands, Dolores Keane e Vedran Smailovic. Una collezione preziosa quindi, sia dal punto di vista artistico che culturale, e perfetto regalo natalizio per qualsiasi appassionato di musica folk.

Marco Verdi

In Memoria Di William Shakespeare, Succedeva 400 Anni Fa! Paul Kelly – Seven Sonnets & A Song

paul kelly seven sonnets

Paul Kelly – Seven Sonnets & A Song – Cooking Vinyl Records

Dopo una trentina d’anni di carriera, avere registrato una ventina di album in studio, due album live, e diverse colonne sonore da film (i più noti Lantana e Jindabyne) Paul Kelly cantautore australiano, per chi scrive, non ha raccolto fuori dalla sua isola natia nemmeno la metà di quello che ha seminato; in compenso nel tempo ha raggiunto una maturità che gli permette di narrare eventi. anche antichi (come in questo caso) e moderni, con una forte personalità e senza scendere a compromessi. Questo mini-cd Seven Sonnets & A Song è uscito volutamente, prima in Australia, poi, in questi giorni (il 23 Aprile 2016 per la precisione), per celebrare il 400° anniversario della morte di uno dei più grandi (se non il più grande) drammaturgo e poeta di tutti i tempi, William Shakespeare, di cui il buon Paul è un grande estimatore.

rufus wainwright take all my loves

 

*NDT.: La stessa operazione per dovere di cronaca è stata fatta anche da Rufus Wainwright con Take All My Loves: 9 Shakespeare Sonnets, ma con un risultato, è un parere personale, a tratti, sinceramente imbarazzante (*NDB. Non mi sembra così orribile, ma rispetto il parere).

I sette sonetti sono stati registrati negli ultimi diciotto mesi in vari studi di registrazione, dove Paul Kelly, come al solito, si è avvalso dei membri della sua band, Peter Luscombe, Bill McDonald, Ash Nylor, Cameron Bruce, e le sue “storiche” coriste le sorelle Vika e Linda Bull, e come ospiti Lucky Oceans e Alice Keath.

Data la particolarità del lavoro, mi sembra giusto sviluppare i brani “track by track”:

Sonnet 138 – La prima traccia sorprendentemente è un interpretazione “jazzy”, con una batteria spazzolata, cantata da Paul come se si trovasse a tarda notte in un Piano Bar.

Sonnet 73 –  Contrariamente al brano precedente, qui si respira un suono “anni sessanta” che sembra uscire dai primi vinili di Donovan, impreziosito da una slide guitar.

Sonnet 18 –  Chiaramente la traccia migliore del mini CD, un pezzo affascinante che parte come un madrigale, per poi trasformarsi in un motivo dei monti Appalachi, e un cantato da “crooner”.

My True Love Hath My Heart – L’unico pezzo non “shakesperiano” scritto dal suo contemporaneo Sir Philip Sidney, con una “performance”delicata e commovente della signora Vika Bull.

Sonnet 44 and 45 – Ballata pianistica dove la bravura di Kelly come vocalist viene messa in risalto, con un’armonica finale che strappa lacrime.

Sonnet 60 – Inizio acustico, poi la canzone si apre e una melodia avvolgente disegna una “murder ballad” alla Nick Cave, valorizzata ai cori dalle sorelle Bull.

O Mistress Mine (Clown’s Song From Twelfth Night – E’ la canzone che chiude questa splendida breve raccolta, la “Canzone Del Clown” tratta dalla commedia La Dodicesima Notte, una filastrocca tenue suonata in punta di dita, cantata con cuore e sentimento da un grande artista.

Di questo signore ho già parlato più volte su queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/tag/paul-kelly/ , anche se ci vorrebbe molto più spazio per raccontare la storia di questo cantautore, un vero mito down under (per esempio come è Bruce Cockburn per il Canada), che riesce di nuovo a sorprenderci con questo breve ma intenso Seven Sonnets & A Song, dove dimostra ancora una volta di essere un grande “tessitore” di canzoni, che aggiunte a tutte le altre tratte dal suo immenso “songbook”, sono la colonna sonora di una intera Nazione.!

Tino Montanari