Classico Blues Elettrico, Ottimo Ed Abbondante! Sugar Ray And The Bluetones – Too Far From The Bar

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Sugar Ray And The Bluetones Featuring Little Charlie – Too Far From The Bar – Severn Records

In un 2020 nel quale se ne sono andati molti musicisti a causa del Covid, sono morti anche altri “amici” per malattie diverse. Little Charlie Baty ci ha lasciato per un infarto a marzo dello scorso anno, proprio nelle fasi finali di preparazione di questo Too Far The Bar, disco di Sugar Ray And The Bluetones, nel quale lui era uno degli interpreti. Il “vecchio” Charlie Baty (67 anni ancora da compiere) era stato, insieme a Rick Estrin, uno dei fondatori di Little Charlie & The Nightcats, tra le migliori formazioni del classico blues elettrico, ma aveva problemi di salute da molto tempo, ed in virtù di questa situazione aveva lasciato la band nel 2008 (che poi ha comunque continuato in modo gagliardo come Rick Estrin & The Nightcats), per rallentare la sua attività nel mondo della musica, e in seguito aveva ripreso, sia pure in misura ridotta, a deliziare gli amanti delle 12 battute di classe, con collaborazioni saltuarie con JW-Jones, Junior Watson e Sugar Ray Norcia..

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Per l’occasione Norcia ha anche riunito la prima formazione classica dei Bluetones, già in attività da metà anni ‘90, ovvero Anthony Geraci al piano, Michael Mudcat Ward al basso e Neil Gouvin alla batteria, senza dimenticare che alla produzione è stato chiamato il grande Duke Robillard, che già che c’era ha suonato la chitarra in quattro brani. Il risultato è uno dei migliori dischi di blues dell’annata appena trascorsa, in un giusto equilibrio di brani originali e “piccoli” classici del blues: Baty, non prevedendo la sua dipartita, ha firmato anche le note del CD, insieme a Robillard, ricordando vari aneddoti della sua lunga carriera. Comunque è la musica quella che meglio lo ricorda: Don’t Give No More Than You Can Take, scritta da Lowman Pauling, è uno dei tanti gioiellini dei “5” Royales, maestri del R&B, qui trasformata in un delizioso shuffle swingato, dove si apprezzano la voce vibrante di Norcia, anche all’armonica e la chitarra pungente di Little Charlie e il pianino di Geraci https://www.youtube.com/watch?v=hwhUWKKYx08 , a seguire Bluebird Blues di Sonny Boy Williamson, il classico lentone dove Sugar Ray può mettere in mostra tutta la sua maestria alla mouth harp https://www.youtube.com/watch?v=zHf-LdBE3oc ; eccellente anche la divertente title track, dove si va di scatenato jump blues, come se non ci fosse un futuro, e le mani di Geraci volano sul piano, con Baty che risponde colpo su colpo https://www.youtube.com/watch?v=HICirHvhi3c .

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.Non manca una ballata romantica come Too Little To Late, dove Norcia si presenta anche come crooner di lusso, per poi scatenare la sua prodigiosa tecnica all’armonica nello strumentale vorticoso Reel Burner https://www.youtube.com/watch?v=At2GbHj__Sk , poi ribadita nella cover di Can’t Hold Out No Much Longer di Little Walter, un Chicago Blues marca Chess, di quelli duri e puri, Numb And Dumb uno dei tanti originali di Sugar Ray è un altro esempio della sua padronanza delle 12 battute, poi sublimata nella frenetica ripresa di My Next Door Neighbor di Jerry McCain, dove si va di boogie con Little Charlie https://www.youtube.com/watch?v=6t3oNyzJZBo . What I Put You Through è il contributo del bassista Michael Ward, un brano notturno che è il veicolo perfetto per il raffinato tocco di Duke Robillard, con la band che poi affronta un brano di Otis Spann come What Will Become Of Me, di nuovo con il piano di Geraci in evidenza in questo lungo slow, seguito dalla classica I Gotta Right To Sing The Blues, con Robillard che rilascia un altro assolo di rara finezza https://www.youtube.com/watch?v=JefmxcVL8ck , e anche Norcia lo segue con assoluta nonchalance sfoderando di nuovo il suo mood da crooner. Poi è il turno di Geraci come autore nella vivace From The Horses Mouth e di nuovo Ward nella divertente The Night I Got Pulled Over, dove Norcia racconta di un incontro con le forze dell’ordine in un fumoso locale evocato anche dal mood del brano e dalla chitarra di Robillard. Chiude Walk Me Home un altro shuffle che è l’occasione per ascoltare ancora una volta tutti i brillanti solisti presenti in questo album https://www.youtube.com/watch?v=K8xX4bLaXEE , che riporta pure in chiusura una alternate take di Reel Burner. Come si suol dire, ottimo ed abbondante.

Bruno Conti

Senza O Con Amici E’ Sempre Un Gran Bel Sentire! Duke Robillard And Friends – Blues Bash!

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Duke Robillard And Friends – Blues Bash! – Stony Plain

Duke Robillard è sempre una certezza, anno dopo anno continua a pubblicare nuovi album, sempre di eccellente qualità: dopo l’ottimo Ear Worms dello scorso anno, dedicato alla musica dei 60’s https://discoclub.myblog.it/2019/05/17/uno-dei-migliori-dischi-di-sempre-del-duca-duke-robillard-band-ear-worms/  e quello con le voci femminili del 2017 …And His Dames Of Rhytm, entrambi dischi collaborativi con vari ospiti, anche per questo nuovo Blues Bash, Robillard chiama a raccolta vari amici, a partire dalla sezione fiati dei Roomful Of Blues, la band che lui stesso ha contribuito a lanciare, e anche un secondo gruppo di fiatisti tra cui spiccano Al Basile e Sax Gordon, oltre all’armonicista Mark Hummel, lo specialista dello stride piano Mark Braun (Mr.B.), come Basile e Gordon presente solo in un brano, l’omaggio spiritato a New Orleans Ain’t Gonna Do It, scritta da una delle glorie della Louisiana come Dave Bartholomew e da Pearl King.

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Tra gli ospiti anche due vocalist di pregio come Michelle Williams e Chris Cote, senza dimenticare i fedelissimi della sua band Bruce Bears e Mark Teixeira, oltre ai bassisti Jesse Williams e Marty Ballou che si alternano. Il risultato, registrato in veloci sessions, ciascuna di sole otto ore, ha la spontaneità e l’immediatezza dei migliori dischi del Duke, quelli in cui ci si diverte come ad una festa (vedi titolo, che riporta anche “And Dance”) senza andare troppo alla ricerca di raffinatezze, che comunque ci sono, o di particolari sonorità filologiche, nelle quali ogni tanto Robillard indulge. Quindi l’ascoltatore è invitato a godersi dieci brani che pescano tra classici (minori, perché il nostro è un “enciclopedico” del blues) e tre sue composizioni: Do You Mean It, cantata dal bravissimo Chris Cote, è uno scintillante tuffo nel blues delle origini, scritto da Ike Turner, quanto inventava le 12 battute miste al R&R negli anni ‘50, con Robillard autore di puntuali sottolineature con la sua chitarra https://www.youtube.com/watch?v=mCRNCqusf5s , prima di lanciarsi in un proprio brano, la torrida No Time, sostenuto dall’armonica di Hummel e dal piano di Robert “Bob” Welch (non lo avevamo nominato), mentre Duke titilla la solista con libidine e classe https://www.youtube.com/watch?v=tpj1fdiO20Q .

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What Can I Do, ancora con Cote voce solista, e un gioioso e scatenato jump blues dal repertorio di Roy Milton , con le mani di Bruce Bears che volano sulla tastiera del suo piano, mentre Greg Piccolo, Rich Lataille e Doug James soffiano con forza nei loro sassofoni e Mr. Robillard guida le operazioni con la sua 6 corde; non può mancare ovviamente un bel bluesone lento di quelli intensi e magnetici, come Everybody Ain’t Your Friend, di un King che mancava alla mia raccolta, tale Al, autore di questo pezzo del 1966 dove la solista di Duke rincorre i grandi interpreti delle 12 battute, in questo caso del West Coast style, visto che King veniva da L.A. https://www.youtube.com/watch?v=ZiCBT2henHQ  Divertente e piacevole lo strumentale Chicago Blues fine anni ‘50 di Lefty Bates Rock Alley, con Robillard che si alterna con i fiati alla guida del combo, mentre nella swingante You Played On My Piano, con break jazzato del Duca, la calda voce solista è quella della deliziosa Michelle Wilson https://www.youtube.com/watch?v=ptKMvqJ3VOU , brano seguito da quella Ain’t Gonna Do It citata all’inizio, il suono del Sud che usciva dai dischi di Professor Longhair, Huey Smith e Fats Domino https://www.youtube.com/watch?v=iemoX4yzuqM , poi ancora eccellente la cover di un brano di T-Bone Walker You Don’t Know What You’re Doing, ancora con la solista di Duke e i fiati sincopati sugli scudi, nonché la calda voce di Chris Cote https://www.youtube.com/watch?v=TwYCp1aTvgg . In chiusura ci sono un paio di brani firmati dal musicista del Rhode Island, la scandita e di nuovo swingata Give Me All The Love You Got, sempre caratterizzata dal suo fraseggio pulito, poi in grande evidenza nel lunghissimo (quasi 10 minuti) strumentale Just Chillin’, che illustra il suo lato più raffinato, in un brano di jazz blues notturno, dove anche gli altri strumentisti, a partire dal sax di Greg Piccolo e dall’organo di Bruce Bears, si prendono i loro spazi https://www.youtube.com/watch?v=-pJ6m6-pcK4 . Musica senza tempo.

Bruno Conti

Provenienza Dubbia, Ma Buona Qualità E Tanti Ospiti Per L’Album Della Figlia Di B.B. Shirley King – Blues For A King

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Shirley King – Blues For A King – Cleopatra Blues

Presentato da alcuni come l’esordio discografico di Shirley King, l’album ha creato interesse perché stiamo parlando di colei che è stata definita “Daughter of the blues”, in qualità di figlia del grande B.B. King. In effetti la nostra amica non è più una giovinetta, quest’anno ad ottobre compirà 71 anni, e la sua carriera musicale consta solo di un paio di episodi tra fine anni ‘80 e negli anni ‘90 (quindi questo CD non è l’esordio), poi diverse comparsate sia come ospite di artisti più o meno celebri, che del babbo negli ultimi di carriera di quest’ultimo. Nata a West Memphis, Arkansas, lungo le rive del Mississippi, Shirley non è mai stata una stretta praticante del blues, in gioventù più orientata verso gospel, soul, perfino country & western, ma poi già dal 1969 aveva fatto la sua scelta di vita, diventando una ballerina, attività che ha svolto per una ventina di anni, dice lei anche con successo, e con buoni riscontri economici, senza dover essere vista per forza come la “figlia di B.B. King”. Vivendo a Chicago a lungo è venuta in contatto anche con la scena locale, ed ha avuto pure una relazione di 5 anni con Al Green (ma non era Reverendo?).

Poi dal 1989 ha cercato, come detto, la strada del blues, cantando soprattutto grandi classici, senza tralasciare ovviamente i brani del padre, presenti in quantità. Il successo diciamo che non l’ha mai sfiorata, un’onesta carriera ma nulla più: poi arrivano i nostri amici della Cleopatra che le propongono un contratto discografico, per un album che viene realizzato seguendo le metodologie della etichetta di Chicago. Ovvero, repertorio, ospiti e sistemi di registrazione li scelgono loro. Poi piazzano Shirley in studio con le cuffie, senza incontrare ospiti e musicisti, e spesso, come ha ricordato lei stessa in alcune interviste, senza neppure conoscere bene le canzoni che doveva interpretare. Ma alla fine, per una volta (o forse due), devo dire che all’ascolto questo Blues For A King funziona, si ascolta con piacere, ci sono alti e bassi ed evidenti disparate fonti del materiale: per esempio in Hoodoo Man Blues, un grande classico delle 12 battute, oltre a Joe Louis Walker alla solista, appare all’armonica colui che ha portato al successo il brano, quel Junior Wells che però è scomparso nel 1998, comunque la voce di Shirley King è ancora potente e vibrante e il suono vigoroso.

Altrove, come nell’iniziale All Of My Lovin’, un brano dal repertorio della Motown, sempre con Walker alla chitarra, la voce di Shirley pare più roca e vissuta, come ribadisce la successiva eccellente cover del brano dei Traffic Feelin’ Alright, con Duke Robillard alla solista, guizzante ed inventiva https://www.youtube.com/watch?v=DNaJhEwkKk0 . Chitarristi che si susseguono brano dopo brano, per esempio nel classico Chicago Blues I Did You Wrong troviamo Elvin Bishop, anche se il suono della base sembra quello di una registrazione di decine di anni fa, scherzi dell’immaginazione o ripescaggio da archivi datati? Per That’s All Right Mama, il classico di Arthur Crudup e di Elvis, si materializza Pat Travers, gagliardo nel suo assolo, però forse un po’ troppo sopra le righe; Can’t Find My Way Home, a conferma della scelta eclettica del repertorio e delle sonorità, è proprio il classico dei Blind Faith con Martin Barre dei Jethro Tull alla solista, versione decisamente rock, ma ben realizzata e con la King che si adatta al suono più “moderno”.

Johnny Porter è un vecchio brano minore dei Temptations, e prevede un duetto con un altro bluesman “attempato” come Arthur Adams, discepolo di babbo Riley, ma alla fine i due se la cavano egregiamente, anche se gli archi sintetici non quagliano molto con il resto. Feeling Good, con sezione fiati e archi aggiunti, è un brano che hanno cantato in tanti, da Nina Simone a Michael Bublé, la nostra amica ci mette impeto e passione, alla solista viene accreditato Robben Ford e lascia il suo segno, Give It All Up francamente non so da dove provenga, ma è un gioioso errebì molto piacevole, con Kirk Fletcher alla chitarra. Il traditional Gallows Pole con Harvey Mandel alla solista in modalità wah-wah, sembra quasi un brano psych-rock e rimandi ala versione dei Led Zeppelin https://www.youtube.com/watch?v=NTYWZOVEUXE , e in conclusione troviamo una buona cover del super classico di Etta James At Last, con archi a profusione e ci sta, la King la canta con grande trasporto e Steve Cropper ci mette il suo tocco discreto. Non un capolavoro ma tutto sommato un album onesto.

Bruno Conti

Uno Dei Migliori Dischi Di Sempre Del “Duca”! Duke Robillard Band – Ear Worms

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Duke Robillard Band  – Ear Worms – Stony Plain

Il nostro amico Michael John, detto” Duke”,  Robillard, lo scorso anno ha raggiunto la rispettabile età di 70 anni, in una annata, il 2018, dove per la prima volta da moltissimo tempo non aveva pubblicato il canonico album annuale. Comunque ecco che, con leggero ritardo, esce questo Ear Worms, che dovrebbe essere il capitolo n°33 di una lunga carriera, e fa seguito all’ottimo …And His Dames Of Rhytm, un album collaborativo insieme ad alcune voci femminili https://discoclub.myblog.it/2017/12/18/beato-tra-le-donne-duke-robillard-and-his-dames-of-rhythm/ , che a sua volta seguiva Blues Full Circle, altro disco con la presenza di diversi ospiti https://discoclub.myblog.it/2016/11/04/anche-potrebbe-il-disco-blues-del-mese-duke-robillard-and-his-all-star-combo-blues-full-circle/ . Anche nel nuovo CD, come di consueto, non mancano le collaborazioni: Chris Cote, Sunny Crownover, Mark Cutler, Julie Grant, Dave Howard e Klem Klimek, sono i vari vocalist aggiunti che affiancano Robillard e la sua band, ovvero gli immancabili partner dell’All-Star Combo che da qualche anno lo accompagna, Bruce Bears (piano, organo Hammond); Brad Hallen ( basso e contrabbasso) e Mark Teixeira (batteria).

Se il disco precedente era andato a pescare nel repertorio anni ’20 e ’30, questa volta Duke ha rispolverato vecchie canzoni ascoltate quando era un teenager, ovvero nei mitici anni ’60. Don’t Bother Trying To Steal Her Love che apre l’album, è però l’unico brano originale firmato da Robillard, una delle sue classiche cavalcate tra blues e rock and roll, che sembra  quasi qualche traccia perduta del songbook di Chuck Berry, una specie di gemello diverso di You Never Can Tell, cantata e suonata con un impeto invidiabile e di cui è quasi impossibile non apprezzare il buon umore e la gioia che trasmette, con la chitarra da subito in grande spolvero; On This Side Of Goodbye era un pezzo di Goffin e King, scritta per i Righteous Brothers, una deliziosa e raffinata ballata di impianto pop, quelle canzoni splendide che negli anni ’60 uscivano a ogni piè sospinto, suonata alla grande come al solito dal Duke e soci, con fiati e voci di supporto a renderla ancora più piacevole e con un paio di assoli di chitarra da urlo di grande gusto. Living With The Animals era una incantevole blues ballad dall’omonimo disco dei Mother Earth, la misconosciuta band della grande Tracy Nelson, un album del 1968 in cui suonava anche Mike Bloomfield.

Nel disco ci sono anche quattro tracce strumentali, la prima è Careless Love, un vecchio pezzo strumentale tradizionale veramente godurioso nell’interscambio felpato tra chitarra e organo. Everyday I Have To Cry Some è un piccolo gioiellino perduto, scritto da Arthur Alexander, ma che Duke, come ricorda lui stesso, conosceva nella versione di Julie Grant, una giovane cantante inglese di stampo pop che nell’epoca di Beatles e Stones era un po’ una controparte di Dusty Springfield e Cilla Black: Robillard la conosceva perché quando si era ritirata dalla musica era andata a vivere e lavorare in un casinò nel Connecticut e i due avevano parlato spesso del passato diventando amici, e per l’occasione l’ha convinta a cantarla di nuovo per questo album, in coppia con Sunny Crownover, e il risultato è assolutamente affascinante, sembra quasi di sentire un brano di Phil Spector cantato dalle Shirelles, puro divertimento assicurato; I Am A Lonesome Hobo è il personale tributo di Robillard a Bob Dylan, di cui è stato chitarrista per alcuni mesi nel 2013, una intensa  ed atmosferica versione abbastanza rispettosa dell’originale, che sembra quasi un pezzo di Bruce Springsteen https://www.youtube.com/watch?v=bfjz4p5izjg , Sweet Nothin’s il vecchio pezzo di Brenda Lee è il veicolo ideale per apprezzare la voce cristallina della Crownover e la strumentale Soldier Of Love è un altro divertito e raffinato tuffo nelle atmosfere spensierate degli anni ’60.

Dear Dad è un vorticoso R&R con chitarre e piano impazziti che si trovava su Chuck Berry In London, seguito da una lunga versione super funky di Yes We Can di Lee Dorsey, dove Duke sfodera un potentissimo e micidiale wah-wah, con Yellow Moon, proprio quella dei Neville Brothers, una rara concessione ad un brano più recente, in un’altra versione dove la quota soul e R&B è di grana finissima https://www.youtube.com/watch?v=TWt4mP29rD8 . Nel finale arrivano gli ultimi due strumentali, una Rawhide di una potenza devastante che rivaleggia con quella di uno dei maestri  riconosciuti di Robillard, quel Link Wray che non ha mai ricevuto i giusti riconoscimenti che meritava https://www.youtube.com/watch?v=DLi9ww0A3js . E infine You Belong To Me, altro squisito strumentale che sta all’intersezione tra Santo & Johnny, Roy Buchanan e il Santana più melodico e conclude degnamente uno degli album più belli della discografia di Duke Robillard, suonato con una classe al solito inimitabile. Esce oggi 17 maggio.

Bruno Conti

Beato Tra Le Donne! Duke Robillard – And His Dames Of Rhythm

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Duke Robillard – And His Dames Of Rhythm – M.C. Records/Ird

Il chitarrista del Rhode Island si è sempre più o meno equamente diviso, a livello discografico, tra le sue due grandi passioni musicali, il blues e il jazz e lo swing (preferibilmente “oscuro” e anni ’20 e ’30). Il sottoscritto ha sempre ammesso pubblicamente la sua preferenza per il Duke Robillard bluesman, ma altrettanto onestamente devo ammettere che i suoi album “jazz” sono sempre molto gradevoli all’ascolto e suonati in grande souplesse. Se di solito il blues batte il jazz di misura, almeno per me, diciamo un 1-0, questa volta in compagnia di una serie di voci femminili His Dames Of Rhythm, oltre alla sua band abituale e una sezione fiati completa che rimanda ai suoi giorni con i Roomful Of Blues, per l’occasione jazz e blues impattano sull’1-1 ed è solo l’ascoltatore a godere. Robillard ancora una volta evidenzia la sua conoscenza mostruosa del repertorio jazz e swing della prima parte del secolo scorso, ed ha saputo utilizzare in modo perfetto le sei voci femminili che si alternano a duettare con lui.

Il disco nasce dall’idea di ricreare in questo CD il sound delle vecchie canzoni del repertorio Tin Pan Alley degli anni ’20 e ’30, più che il jazz tout court: la voce pimpante e cristallina di Sunny Crownover, molto old style, apre le danze in una cover di un vecchio brano di Bing Crosby From Monday On, dove  i due, con aria divertita, ricreano quell’atmosfera senza tempo del primo swing, tra fiati “impazziti” e sezione ritmica in spolvero, mentre il clarinetto di Novick e la chitarra di Robillard cesellano piccoli interventi di gran gusto. La brava Sunny poi torna per un’altra divertente My Heart Belongs To Daddy, sexy e zuccherosa il giusto, con qualche tocco tra il latino e il tango, un vecchio pezzo di un musical di Cole Porter che molti ricordano in versioni successive di Ella Fitzgerald e anche di Marylin Monroe (mi sono documentato), con il piano di Bears e la chitarra acustica arch-top di Robillard impeccabili, mentre la Crownover canta divinamente;  la seconda voce ad appalesarsi è quella di Maria Muldaur, che questo repertorio lo frequenta da decenni, il timbro è più vissuto rispetto agli anni d’oro, ma la classe è sempre presente in questa Got The South In My Soul, altro brano degli anni ‘30 delle Boswell Sisters, con improvvisi cambi di tempo, ma anche la voce deliziosa della Muldaur a guidare i musicisti. Poi tocca a Kelley Hunt, voce più grintosa (già presente anche nell’ultimo disco di Robillard, Blues Full Circle dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/11/04/anche-potrebbe-il-disco-blues-del-mese-duke-robillard-and-his-all-star-combo-blues-full-circle/ ) e cantante di grande spessore, che il sottoscritto apprezza in modo particolare, la sua rilettura di Please Don’t Talk About Me (altro pezzo degli anni ’30, che vanta decine di versioni, da Billie Holiday e Sinatra, passando per Willie Nelson) ne evidenzia ancora una volta la voce espressiva e ricca di calore, ed è uno dei tanti highlights di questo bel disco, grazie anche all’intermezzo strumentale veramente superbo nella parte centrale del brano.

E non si può non apprezzare anche la presenza di una adorabile Madeleine Peyroux, che per l’occasione sfodera un timbro un filo più “robusto” del solito, ma sempre molto sexy ed ammiccante, tra Bessie Smith e la Holiday, nel vecchio standard di Fats Waller Squeeze Me, dove Robillard con la sua chitarra sostituisce il piano di Waller, mentre Novick è sempre incisivo al clarinetto. Come conferma in Blues In My Heart, dove la voce solista è quella di Catherine Russell, cantante ed attrice nera, meno nota delle colleghe, ma sempre molto efficace, nella canzone si gode anche del lavoro dei fiati, con in evidenza il sax di Kellso. In Walking Stick di Irving Berlin, cantata dal solo Robillard, si apprezza anche un violino (Joe Lepage) che divide gli spazi solisti con Duke. In Lotus Blossom di Billy Strayhorn, ma pure nel repertorio di Duke Ellington, si apprezza di nuovo la voce vellutata della Hunt e la tromba con sordina, presumo di Doug Woolverton, presente anche altrove nel disco. What’s The Reason I’m Not Pleasin’ You, con le conclusive Ready For The River e Call Of The Freaks, sono gli altri brani dove Robillard fa da solo senza ospiti, mentre l’altra voce impiegata è quella dell’attrice di Downtown Abbey Elizabeth McGovern, alle prese con My Myself And I, altro pezzo del repertorio di Billie Holiday, prestazione onesta ma nulla più. Molto meglio Madeleine Peyroux nella dolcissima Easy Living, sempre di “Lady Soul”, e la Muldaur in un altro pezzo delle Boswell Sisters Was That The Human Thing To Do, con il solito clarinetto malandrino di Novick e il violino ad interagire con la solista di Robillard. Manca ancora un brano, cantato da Kelley Hunt, l’unica utilizzata in tre canzoni, sempre splendida nella struggente If I Could Be With You (One Hour Tonight), un altro standard degli anni ’20 di cui si ricorda una versione di Louis Armstrong, che avrebbe certo approvato la parte strumentale tra swing e dixieland. Ancora una volta quindi il “Duca” centra il colpo: “vecchio stile”, ma solita classe.

Bruno Conti

Texas O Rhode Island Che Sia, Questi Comunque Non Scherzano! Knickerbocker All-Stars Featuring Jimmie Vaughan And Duke Robillard – Texas Rhody Blues

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Knickerbocker All-Stars Featuring Jimmie Vaughan And Duke Robillard – Texas Rhody Blues – JP Cadillac Records

Come direbbero quelli che parlano (e scrivono) bene, questa più che una band vera e propria è un “progetto”! Ovvero, un gruppo di musicisti che suonano nel disco ovviamente c’è, ma sempre quello di prima direbbe che si tratta di una formazione aperta, e assai numerosa aggiungo io: nel disco infatti si alternano ed appaiono, non tutti insieme, la bellezza di 16 musicisti. Intanto vediamo chi sono, sempre per il famoso assunto che i nomi non saranno importanti, ma noi che non ci crediamo ve li scioriniamo tutti: gli unici due fissi, presenti in tutti i brani, sono Marc Teixeira, batteria e Brad Hallen, contrabbasso e basso elettrico, vale a dire la sezione ritmica della band di Duke Robillard, anche lui presente come special guest in tre brani, e anche Bruce Bears appare al piano in tre pezzi. Potremmo dire quindi che è un disco della Duke Robillard Band con ospiti? Direi di no: il famoso “progetto” parte molto indietro nel tempo, quando alcuni musicisti bianchi scoprono, attraverso le varie edizioni dei Festival di Newport, molti dei grandi del Blues e si innamorano della loro musica.

Tra i tanti, oltre a Bloomfield, Kooper, Butterfield, Goldberg e molti altri, c’è anche un giovane chitarrista del Rhode Island, Robillard appunto, che decide che questa musica sarà quella della sua vita; qualche anno dopo dal Rhode Island arriva anche Johnny Nicholas, il cantante degli Asleep At The Wheel, e pure Fran Christina, il batterista dei Fabulous Thunderbirds veniva dal RI, mentre lo stesso Duke suonerà sia con i Fabulous e prima ancora con i Roomful Of Blues, creando questo intreccio di stili che dà il nome al disco Texas Rhody Blues, quindi blues texano suonato (e registrato) da musicisti del Rhode Island, misti a quelli texani. Perché nel disco l’altro ospite importante è Jimmie Vaughan, anche lui impiegato in tre brani, con il chitarrista principale dell’album che è Monster Mike Welch, nato a Austin, ma cresciuto musicalmente a Boston; in questo intreccio ecumenico di artisti, provenienti da tutti gli States, ci sono anche gli eccellenti cantanti Sugaray Rayford, Brian Templeton e Willie J Laws, che si dividono le parti vocali con Robillard, una sezione fiati di quattro elementi guidata da Doug James, utilizzata nella quasi totalità dei brani del CD, e ancora Matt McCabe e Al Copley che si alternano con Bears al piano. Il tutto è stato registrato al Lakewest Recording Studio di West Greenwich, RI appunto, ed esce per la JP Cadillac Records, con reperibilità molto scarsa, come i due precedenti dischi a nome Knickerbocker All-Stars.

Ma voi fregatevene e cercate di recuperarlo perché merita: un bel disco di blues elettrico tradizionale infarcito di brani classici (vecchi e “nuovi”), tutte cover, che si apre con la poderosa Texas Cadillac, una canzone di Smokin’ Joe Kubek che ci permette di apprezzare la voce di Sugaray Rayford (cantante dei Mannish Boys) e la chitarra di Mike Welch, un blues texano pungente, sincopato e vivace, punteggiato dai fiati, che indica subito quale sarà il contenuto dell’album, mentre You’ve Got Me Licked, scritta da Jimmy McCracklin, è il classico slow blues, sempre con uso di fiati, ed era nel repertorio di Freddie King e John Mayall, la canta Willie J Laws, altro texano Doc dall’ottima voce, ma il protagonista è Mike Welch con la sua chitarra. Altro blues lento e lancinante è Respirator Blues, un pezzo della Phillip Walker Band, ancora con Rayford e Welch sugli scudi; poi a seguire due dei tre brani dove opera l’accoppiata Robillard/Vaughan, prima un classico swing blues a firma Dave Bartholomew (l’autore dei brani di Fats Domino) Going To The Country, cantato da Duke e con i due solisti che si titillano a vicenda, poi I Have News For You di Roy Milton, uno dei pionieri del jump blues e R&B anni ’40-’50.

I Still Love You Baby di Lowell Fulson, di nuovo con Rayford, rimane sempre in territori texani, ma la voce di Sugaray fa la differenza, e, quasi stesso titolo, I Got News For You, cantata da Laws e con la tromba di Doc Chanonhouse che se la vede con la chitarra di Welch, poi I Trusted You Baby, uno dei due brani cantati da Brian Templeton, più “jazzy” e raffinata; l’altro della coppia Vaughan e Robillard è un blues primevo come l’intenso Blood Stains On The Wall. E non mancano neppure gli omaggi a Clarence “Gatemouth” Brown con lo strumentale Ain’t That Dandy e a Guitar Slim con Reap What You Sow, altro lentone dove si esaltano Laws e Welch. Infine breve intermezzo parlato di T-Bone Walker, prima della ripresa di uno dei suoi classici, Tell Me What’s The Reason, a completare un disco di blues, magari non indispensabile, ma solido e ben fatto.

Bruno Conti

Anche Questo Potrebbe Il Disco Blues Del Mese! Duke Robillard And His All-Star Combo – Blues Full Circle

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Duke Robillard and his all-star combo – Blues Full Circle – Stony Plain/Dixiefrog/Ird

Non per citarmi, ma così concludevo la mia recensione dello scorso anno di The Acoustic Blues & Roots of Duke Robillard: “Come sapete lo preferisco elettrico, ma questo dischetto è veramente piacevolissimo!” ( qui la potete leggere tuttahttp://discoclub.myblog.it/2015/10/31/disco-acustico-elettrizzante-duke-robillard-the-acoustic-blues-roots-of/)  Ed infatti, quasi mi avesse sentito, a distanza di circa un anno dal precedente, ecco Duke Robillard presentarsi di nuovo con un album, questa volta elettrico, e anche tra i suoi migliori in assoluto, intitolato Blues Full Ciircle. Come ha raccontato lo stesso chitarrista americano, il nostro amico era reduce da un intero anno di inattività in seguito ad un intervento chirurgico, e dopo la riabilitazione si è presentato più in forma ed agguerrito che mai. Nel disco, oltre al suo all-star combo, ovvero Bruce Bears (piano, Hammond organ), Brad Hallen (acoustic and electric bass) e Mark Teixeira (drums), ci sono alcuni ospiti di pregio come Kelley Hunt, piano e voce, Jimmie Vaughan alla chitarra, Sugar Ray Norcia alla voce in un brano e Gordon Beadle e Doug James, ciascuno al sax in due diverse canzoni. L’album ha poi la particolarità di presentare tre pezzi scritti oltre 30 anni fa, quando Robillard era il leader dei Roomful Of Blues, ma che per vari motivi non erano mai state incisi.

Ovviamente non dobbiamo aspettarci niente di nuovo, dal numero di volte che la parola Blues appare nei titoli dei suoi dischi sappiamo cosa aspettarci nei CD di Duke da un bel po’ di tempo a questa parte, ma nel disco in questione il musicista del Rhode Island sembra particolarmente ispirato e voglioso di deliziarci con la sua sopraffina tecnica chitarristica. Si parte con una tosta Lay A Little Lovin’ On Me dove il blues è sanguigno e tirato come non capitava da tempo, la solista di Robillard, dal classico sound pieno e ricco di tonalità, è subito in evidenza con un assolo dove il nostro tira la note alle grande. Anche nella successiva Rain Keeps Falling si torna alle origini del miglior blues elettrico del nostro amico, e anche la voce appare in grande spolvero, mentre la chitarra inanella un assolo dietro l’altro con grande libidine. E pure in Mourning Dove, uno slow blues introdotto dal piano di Bears, sembra quasi di ascoltare il Mike Bloomfield più ispirato, con la chitarra che ci regala un assolo di quelli importanti, fluido, lancinante e tirato, come prevede il manuale del perfetto bluesman, con continui rilanci, mentre No More Tears è il tipico shuffle Chicago-style, pimpante e vivace come ai bei tempi (che non erano secoli fa, basta tornare a pochi anni or sono).

In Last Night troviamo Gordon Beadle che poi sarebbe Sax Gordon e Sugar Ray Norcia alla voce solista, per un jump blues ricco di ritmo, dove Duke Robillard si prende ancora le sue soddisfazioni, veramente voglioso di strapazzare di gusto la sua solista. Senza soluzioni di continuità troviamo una “cattiva” Fool About My Money, dove tra la voce del Duke e il piano di Bruce Bears sembra quasi di ascoltare un brano del Randy Newman più elettrico; eccellente anche The Mood Room, uno dei brani ripescati dal passato, dove il boogie la fa da padrone, grazie al pianino scatenato e alla voce splendida di Kelley Hunt, una delle blues woman più brave della scena americana, più volte incensata dal sottoscritto su queste pagine, e anche Robillard e Bears si scatenano ai rispettivi strumenti. I’ve Got A Feelin’ That You’re Foolin’, con un titolo tipico dei brani blues, è un altro lentone di quelli duri e puri, con la chitarra di nuovo protagonista assoluta. E anche nella successiva Shufflin’ And Scufflin’ non si scherza, un brano strumentale dove Jimmie Vaughan e Duke Robillard si scambiano fendenti a colpa di chitarra, in un brano raffinato e di classe, dove ancora l’organo di Bruce Bears e il sax baritono dell’ospite Doug James (anche lui uno dei membri fondatori dei Roomful Of Blues) hanno i loro giusti spazi. Blues For Eddie Jones è un sentito omaggio a Guitar Slim, la cui storia tragica, culminata con la morte a soli 32 anni, Robillard rivisita in questo intenso lento: molto buona anche la swingante You Used To Be Sugar https://www.youtube.com/watch?v=UndSnxzqzRY , ma non c’è un brano scarso in questo Blues Full Circle, sempre con la chitarra in primo piano. Come nella splendida soul ballad che risponde al nome di Worth Waitin’ On, dove anche la parte vocale è perfetta e sfocia in un assolo ricco di feeling come solo i grandi sanno fare. La conclusione è affidata ad un altro classico slow blues intitolato Come With Me Baby, che conferma lo stato di grazia ritrovata sfoderato per questo album da uno dei maestri contemporanei dello strumento e dello stile.

Bruno Conti

Altro Chitarrista Da Appuntarsi Sul Taccuino O Nello Smartphone, O Dove Volete. Tas Cru – You Keep The Money

tas cru you keep the money

Tas Cru – You Keep The Money – Self-released 

Ufficialmente questo album è uscito negli ultimi giorni del dicembre 2014, ma poi la reputazione del disco è cresciuta nel corso del 2015, tanto da meritarsi l’inserimento tra i migliori dischi blues dell’anno in alcune classifiche di settore americane (per la precisione tra Buddy Guy e Shemekia Copeland, con Robert Cray il migliore, tutti regolarmente recensiti sul Blog). Tas Cru, come si può evincere dalla copertina, non è più un giovanotto di belle speranze, ha una lunga carriera discografica alle spalle, con sei album, compreso questo, pubblicati dalla proprie etichette, più uno didattico per bambini, molto piacevole, Even Bugs Sings The Blues (e un altro in arrivo). Il nostro amico vive e opera musicalmente nella zona di New York, dove è uno dei musicisti più rispettati nell’ambito east-coast blues, e propone un blues elettrico che si rifà ai grandi del passato, partendo dal suono della Sun Records che ammira moltissim, un tocco appena accennato di Chicago Blues, il southern boogie, per ottenere infine un rock-blues che cita i grandi chitarristi del passato e lo avvicina a gente come Tom Principato, Tinsley Ellis, Duke Robillard e soci, a cui mi sentirei di accostarlo, forse un gradino sotto.

Accompagnato da una buona band che consta, tra gli altri, di Dick Earl Ericksen all’armonica, Ron Keck percussioni, Dave Olson batteria e Bob Purdy, basso, oltre ad alcune voci femminili di supporto e le tastiere di Chip Lamson, piano e Guy Nirelli, organo. Questo disco, dicono, nasce dall’incontro su un palco con il nipote del grande musicista del Delta, T-Model Ford e si avvale di dodici composizioni originali dello stesso Cru, partendo dalla title-track che ha un sapore latineggiante, vagamente alla Santana, con le due vocalist Mary Ann Casale e Alice “Honeybea” Ericksen che aggiungono pepe alla buona voce di Tas (non una cosa da ricordare negli annali delle 12 battute, ma un cantante più che adeguato), con armonica, organo e percussioni, e, perché no, un basso funky e rotondo che fornisce un adeguato sfondo per le evoluzioni chitarristiche di Cru. Niente male A Month Of Somedays, un ballata blues, che ci porta dalle parti di Ronnie Earl o Duke Robillard, con il preciso raccordo tra la solista di Tas che ci regala un bel solo, nitido e ricco di feeling, con l’organo sullo sfondo a “scivolare” con gran goduria https://www.youtube.com/watch?v=7VFtNkHPYX8 . Half The Time, tra country, rock, boogie e un pizzico di blues, mi ha ricordato un incrocio tra il solismo del primo Knopfler nei Dire Straits e certe cose degli ZZ Top, sempre con voci di supporto, organo, armonica e percussioni a rendere più ricco un suono ben arrangiato.

La Belle Poutine, è uno strumentale d’atmosfera, a metà strada tra Gary Moore e Ronnie Earl, con piano elettrico e organo che sottolineano l’ottimo lavoro d’insieme https://www.youtube.com/watch?v=66u-30wLUAo , mentre Heart Trouble vira decisamente verso un funky marcato, sempre con la chitarra protagonista. A Little More Time, ancora con qualche traccia santaneggiante, di quello balladeer, anche per l’uso dell’organo, poi vira verso un sound tra pop e easy jazz, molto piacevole, con Bad Habit, uno shuffle che è forse quello più vicino al blues classico, sempre comunque con uno spirito birichino nell’uso delle voci femminili. Take Me Back To Tulsa, fin dal titolo e dall’introduzione acustica, ci rimanda a certe canzoni di JJ Cale o Clapton, quando il ritmo accelera e in Count On Me siamo di nuovo nel blues duro e puro, molto efficace, come al solito, il lavoro della solista, per poi tornare ad una bella ballata di impronta sudista, come l’eccellente ed elettro-acustica Holding On To You https://www.youtube.com/watch?v=bg45jkc7kbI . In Bringing Out The Beast qualcuno ha visto influenze alla Little Feat, anche se la voce di Tas Cru qui mi sembra troppo forzata e il brano non decolla del tutto, forse una bella elettrica al posto dell’acustica avrebbe fatto più al caso. Acustica che rimane, più a proposito, a duettare con l’armonica, nel country-rock della conclusiva Thinking How To Tell Me Goodbye. Altro nome da segnarsi sul taccuino.

Bruno Conti

Una Serata Da Ricordare! John Lee Hooker & Friends – The House Of Blues

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John Lee Hooker & Friends – The House Of Blues – Klondike 

Il titolo potrebbe essere fuorviante, perché in effetti John Lee Hooker appare solo negli ultimi tre pezzi, ma il concerto è veramente fantastico. Si tratta della registrazione di una serata alla famosa House Of Blues di West Hollywood, Los Angeles, uno dei locali della catena di proprietà di Elwood Blues (ovvero Dan Aykroyd, qui impegnato solo come presentatore, vista la presenza di un paio di armonicisti niente male, di cui tra un attimo): siamo nel giugno del 1995, il concerto viene trasmesso dall’emittente radiofonica WLUP-FM e dovrebbe far parte anche della serie TV Live From House Of Blues che andò in onda sulla TBS (il network di Ted Turner) per 26 puntate e un paio di anni e di cui recentemente hanno festeggiato il 20° Anniversario. Da non confondere con un DVD con lo stesso titolo John Lee Hooker And Friends che però riporta, sempre in modo non ufficiale, una serata con Ry Cooder e Bonnie Raitt. Intanto diciamo che il CD è pubblicato dalla Klondike (due diverse copertine), ma secondo me guardando le grafiche più o meno identiche del retro dei vari dischetti relativi ai broadcast più disparati, non solo per questo concerto, li fa tutti la stessa casa, usando nomi diversi: dicevo comunque che il CD questa volta non è inciso solo abbastanza bene, è perfetto, come un disco ufficiale, la particolarità che lo contraddistingue come “Historic Radio Recordings” (o così è scritto) è il fatto che si tratta proprio della registrazione completa della trasmissione radiofonica, con tanto di presentazioni, annunci, perfino qualche sponsor, riportati nell’esatta sequenza in cui ascoltarono il concerto alla radio in quel lontano 1995.

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Ed è un gran bel ascoltare: la house band della serata è quella di Duke Robillard, in gran forma e in uno dei suoi migliori periodi a livello discografico, quello degli album per la Point Blank/Virgin, particolare che lo unisce ad altri partecipanti della serata, oltre al festeggiato John Lee Hooker, anche John Hammond e Charlie Musselwhite, incidevano tutti per la stessa etichetta. Ovviamente il fatto, anche se significativo, non inficia o eleva la qualità del concerto: si parte, dopo l’introduzione di Elwood Blues, con Zakiya Hooker, la figlia del grande Hook, alle prese con una poderosa Look Me Up, una ballata soul mid-tempo di ottimo spessore, e Robillard scalda subito l’attrezzo (la chitarra, cosa avete capito!) che rimane incandescente con una scintillante versione di Too Hot The Handle, il brano che dava il titolo al suo disco di esordio, con Duke che all’epoca era veramente in gran forma, ragazzi se suonava! E anche l’omaggio a Albert Collins con una lunga e sofferta Dyin’ Flu è da manuali del perfetto bluesman, un lento di quelli da sballo. La band rimane per accompagnare uno degli “originali” come Lazy Lester che propone una pimpante Sugar Coated Love, il suo successo per la Excello del 1958, che anche i Fabulous Thunderbirds avevano in repertorio la voce è ancora quella dei vecchi tempi e anche l’armonica viene soffiata con vigore.

John Hammond poi sale sul palco per proporre una versione fantastica di Come On In My Kitchen, solo voce e chitarra bottleneck acustica e si unisce con la band di Duke Robillard per proporre una Found Love che avrebbe trovato posto nel disco registrato insieme e che verrà pubblicato da lì a poco, ottimi gli interventi di Hammond all’armonica e di Duke alla solista. Altro armonicista incredibile è Charlie Musselwhite, ottimo anche il suo segmento di concerto con Blues Overtook Me e con una stellare rilettura di Help Me, il celeberrimo brano di Sonny Boy Williamson, oltre otto minuti di grande blues. A questo punto arriva Taj Mahal, pure lui in grande serata, prima da solo, accompagnato da una tastiera, propone una divertente e salace Big Leg Mama, poi con la Duke Robillard Band altri lati del suo enorme talento, la jazzata Strut dove si concede anche qualche accenno di scat e infine una versione di She Caught The Katy, dal suo capolavoro The Natch’l Blues, che lo mette in concorrenza con Otis Redding e non so chi vince. Nel disco originale alla chitarra suonava Jesse Ed Davis, ma in precedenza Taj aveva diviso i palchi con Ry Cooder che a questo punto sale sul palco con la sua slide per accompagnare John Lee Hooker in una magica versione di Crawling King Snake, fantastica l’intensità della accoppiata con il Maestro, in gran forma con il suo vocione che incita Ry a estrarre dalla sua chitarra l’essenza del blues, poi riproposta in una versione full band più la slide di Cooder, di nuovo con Robillard e soci, del classico One Bourbon One Scotch One Beer e a concludere i poco più di  dodici essenziali minuti della presenza di Hooker non poteva mancare una esplosiva Boom Boom, fine, titoli di coda, grande serata, assolutamente da avere!

Bruno Conti

Un Disco Acustico “Elettrizzante”! Duke Robillard – The Acoustic Blues & Roots Of

duke robillard acoustic blues

Duke Robillard – The Acoustic Blues & Roots Of – Dixiefrog/Stony Plain/Ird 

Duke Robillard, senza che ce lo stiamo a ricordare tutte le volte, ma giusto per rimarcare il fatto, è uno dei principali chitarristi blues americani, in pista da una cinquantina di anni, anche se l’esordio discografico con i Roomful Of Blues risale “solo” al 1978 e quello da solista al 1984. Da allora, abbastanza regolarmente, pubblica all’incirca un album all’anno, perlopiù Blues, ma ha anche provato strade più jazzate, swing, senza dimenticare tutte le altre sue passioni musicali, che come ci ricorda lui stesso nelle note di questo nuovo album sono molteplici: ragtime, Appalachian music, country, honky tonk, folk, soul, R&B, rock and roll, musica di New Orleans, tutti elementi che è possibile rilevare nei suoi album passati e ora anche in questo The Acoustic Blues & Roots Of, che come ci ricorda il titolo, per la prima volta esplora un suono più acustico e più raccolto. Però, essendo Robillard quello che è, non siamo di fronte al classico disco solo chitarra acustica e voce. Questi elementi sono ovviamente presenti e preminenti: sin dallo strumentale per sola chitarra acustica https://www.youtube.com/watch?v=xPUpSNVykUo , una versione della celebre My Old Kentucky Home di Stephen Foster, Robillard assume uno spirito (quasi) filologico alla Ry Cooder, quello che caratterizzava i dischi del grande Ryland negli anni ’70.

Big Bill Blues è proprio un blues anni ’20 di Big Bill Broonzy, con l’acustica di Duke affiancata dal piano di Matt McCabe, dal contrabbasso di Marty Ballou e dalla batteria di Mark Teixeira. Nella successiva I Miss My Baby In My Arms, che sembra sempre un brano di quell’epoca gloriosa, ma è un brano originale di Robillard, si aggiunge per una maggiore originalità anche il clarinetto di Billy Novick, ed il risultato è delizioso, molto old fashioned https://www.youtube.com/watch?v=1rllvlPBDqA . In Jimmie’s Texas Blues dalla sua variopinta collezione di strumenti estrae anche una vecchia chitarra dei primi del ‘900 e un dobro slide per interpretare un classico del grande Jimmie Rodgers, e per l’occasione si lancia anche in quello che assicura sarà l’unico tentativo di Yodel della sua carriera. Backyard Paradise, di nuovo con Novick al clarinetto vira verso un ragtime volutamente languido, mentre Evangeline, a parte i suoi, è l’unico brano che non ha almeno una cinquantina di anni, si tratta proprio del classico scritto da Robbie Robertson, famoso anche per la interpretazione di Emmylou Harris in Last Waltz, e quale migliore occasione per Duke, che si cimenta nuovamente a dobro e chitarra, con l’aggiunta di mandolino, basso e concertina, per (ri)proporci i talenti vocali della sua pupilla Sunny Crownover, molto efficace e calata nella parte della cantante country. Per Left Handed si torna al blues puro e al gruppo unplugged di Robillard si aggiunge l’armonica di Jerry Portnoy https://www.youtube.com/watch?v=ewoir8InkNA  e nella successiva I’d Rather Drink Muddy Water, altro blues anni ’30, il nostro suona tutti gli strumenti, con l’eccezione del contrabbasso con l’archetto che si produce in un assolo particolare.

duke robillard acoustic blues back

I’m Gonna Buy Me A Dog, di nuovo con Portnoy, viene da una registrazione Live effettuata per un DVD e nel sottotitolo ironico recita (To Take The Place Of You) https://www.youtube.com/watch?v=S4u10KpoZAc .Nashville Blues dei fratelli Delmore ci introduce ai talenti di Mary Flower, ottima interprete della lap steel e vocalist di pregio in un duetto delicato https://www.youtube.com/watch?v=mIKym2h1Ozc , Saint Louis Blues è proprio il celeberrimo brano di W.C. Handy che hanno fatto tutti, da Louis Armstrong in giù, quindi il buon Duke ha pensato, perché anche non io? Fa molto jazz, ma non guasta per nulla. Come la successiva What Is It That Tastes Like Gravy, un brano di Tampa Red, che profuma di blues pre-war e come le successive Someday Baby e Take A Little Walk With Me, era apparsa come bonus track nella versione europea dell’album Blues Mood, insieme ad altre quattro già citate, per un totale di sette tracce. In mezzo c’è Let’s Turn Back The Years, un brano di Hank Williams, che con il suo arrangiamento per mandolino, dobro ed acustica alza decisamente la quota country del’album  https://www.youtube.com/watch?v=Rs8fEc7GFXw . Che si avvia alla conclusione, con una divertente Santa Claus Baby, già apparsa in un CD natalizio, e cantata dalla bravissima Maria Muldaur, seguita da un omaggio al suono di Charlie Christian con una Profoundly Blues che è l’occasione per un duetto con il grande jazzista Jay McShann al piano e per concludere una brevissima Ukulele Swing, che ci conferma che Duke Robillard è un grande virtuoso a qualsiasi strumento a corda gli capiti tra le mani. Come sapete lo preferisco elettrico, ma questo dischetto è veramente piacevolissimo!

Bruno Conti