Dopo Ziggy E Prima Del Duca Bianco C’Era David “L’Americano”. David Bowie – I’m Only Dancing (The Soul Tour 74)

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David Bowie – I’m Only Dancing (The Soul Tour 74) – Parlophone/Warner Record Store Day 2CD – 2LP

Aldilà del dolore per l’improvvisa scomparsa del loro idolo nel gennaio del 2016, negli ultimi anni i fans di David Bowie hanno avuto di che leccarsi i baffi tra live inediti, i quattro cofanetti retrospettivi con gli album della sua discografia ed anche qualche aggiunta (una serie che però è ferma a Loving The Alien del 2018, che prendeva in esame gli anni ottanta della popstar inglese) ed il bellissimo box quintuplo dello scorso anno Conversation Piece, con le sessions ed i demo casalinghi inerenti all’album del 1969 Space Oddity. Quest’anno si è invece deciso di celebrare (si fa per dire) The Man Who Sold The World, disco del 1970 di Bowie che il sei novembre verrà rimesso sul mercato, remixato ma senza mezza bonus track, con il titolo di Metrobolist (che sembra fosse il nome originale dell’album) e la copertina cambiata con una tra l’altro delle più brutte viste ultimamente: in poche parole, un’iniziativa ridicola.

Gli estimatori del Duca Bianco si possono comunque consolare con un nuovo live inedito uscito a fine agosto in occasione della prima parte del Record Store Day (che quest’anno a causa del Covid è stato diviso in tre), sia in doppio LP che in doppio CD: I’m Only Dancing (The Soul Tour 74) come suggerisce il titolo si occupa di uno show tratto dalla tournée del 1974 per promuovere l’album Diamond Dogs, e precisamente del concerto del 20 ottobre al Michigan Palace di Detroit (al quale manca la parte finale per problemi tecnici, sostituita però da quella registrata al Municipal Auditorium di Nashville il 30 novembre). Non è la prima volta che questo tour, che si svolse esclusivamente tra Canada e Stati Uniti, viene documentato ufficialmente, e la sua particolarità fu quella di essere diviso in tre parti con tre band diverse: il famoso album dal vivo dell’epoca David Live si occupava di un concerto a Philadelphia nel primo periodo (giugno-luglio), la seconda parte (settembre) è stata presa in esame tre anni fa in Cracked Actor, mentre il CD di cui mi occupo oggi è inerente alla terza fase.

Un’altra caratteristica fu che tra il primo e secondo segmento (quindi in agosto) Bowie incise le canzoni che avrebbero formato l’anno seguente l’album Young Americans, un disco con un suono influenzato dal soul ed errebi di Philadelphia, e la restante parte del tour da settembre in poi sarà ispirata da questo tipo di sound: da qui il nomignolo “The Soul Tour” (o anche “The Philly Tour”). I’m Only Dancing vede Bowie in ottima forma (con una voce leggermente arrochita dai molti concerti) accompagnato da un gruppo di prima qualità, cosa normale per il nostro che si è sempre affidato a musicisti formidabili: Earl Slick alla chitarra solista, Carlos Alomar alla ritmica, Mike Garson alle tastiere, la futura star del sax David Sanborn, il noto bassista Willie Weeks, Dennis Davis alla batteria, Pablo Rosario alle percussioni e ben sei backing vocalists, tra i quali spicca l’allora sconosciuto Luther Vandross, anch’egli destinato ad una carriera di grande successo.

Il doppio CD, poco meno di 90 minuti in tutto, è piacevole dalla prima all’ultima canzone grazie ad una miscela accattivante tra rock, soul, errebi e funky, un concerto scoppiettante che inizia con la classica Rebel Rebel e continua con l’altrettanto popolare John, I’m Only Dancing (Again), mettendo in fila in maniera brillante brani la cui fama è arrivata fino ad oggi come Changes, The Jean Genie (dall’arrangiamento quasi blues), Suffragette City, Rock’n’Roll Suicide e Diamond Dogs ed altri meno noti come la funkeggiante 1984, la potente rock ballad Moonage Daydream (con grande assolo finale di Slick), la soulful Rock’n’Roll With Me, che a dispetto del titolo è uno slow, e, vista la location, non poteva mancare la roccata Panic In Detroit.David offre anche in anteprima quattro pezzi da Young Americans: la title track, puro blue-eyed soul, l’elegante ballata Can You Hear Me, l’inedito It’s Gonna Be Me (che uscirà sulle future ristampe), e l’annerita Somebody Up There Likes Me, con Sanborn protagonista. Dulcis in fundo, Bowie si diverte a proporre cover abbastanza eterogenee infilandole qua e là, alcune appena accennate ed altre in medley creati appositamente: ascoltiamo quindi una suadente Sorrow dei McCoys, la celeberrima Knock On Wood di Eddie Floyd, la meno nota Foot Stompin’ (The Flares) ed uno standard jazz degli anni venti intitolato I Wish I Could Shimmy Like My Sister Kate; infine, c’è anche un doppio omaggio a Beatles e Rolling Stones, rispettivamente con Love Me Do e It’s Only Rock’n’Roll (But I Like It).

Un buon live quindi, forse non indispensabile per l’acquirente occasionale (anche perché non costa pochissimo), ma che gli appassionati di David Bowie si saranno probabilmente già accaparrati.

Marco Verdi

Una Splendida Serata, Finalmente Disponibile: Give The People What They Want! David Bowie – Glastonbury 2000

david bowie glastonbury 2000

David Bowie – Glastonbury 2000 – Parlophone/Warner 2CD – 2CD/DVD – 3LP

Negli ultimi anni non sono mancati album live d’archivio accreditati a David Bowie, ma limitatamente a concerti degli anni settanta (Cracked Actor e Welcome To The Blackout) o inseriti all’interno dei cofanetti riepilogativi della carriera che escono annualmente dal 2015. Questa volta però il discorso è diverso, in quanto Glastonbury 2000 documenta (come da titolo) uno show del Duca Bianco del nuovo millennio (l’unico finora era il bellissimo A Reality Tour, registrato nel 2003 ma pubblicato nel 2010), e non un concerto normale, bensì la storica apparizione del nostro come headliner della serata del 25 Giugno 2000 del famoso festival rock inglese. Lo spettacolo, che esce sia in formato audio che video, girava da anni su bootleg di alterna qualità, ed era stato mostrato in televisione una volta sola, ma esclusivamente la prima mezz’ora: con questo doppio CD (e DVD) possiamo finalmente godere dello show completo, e devo dire che ne valeva assolutamente la pena.

Già il fatto di avere Bowie sul palco in quel periodo era una notizia, in quanto nel 2000 tenne solo quattro concerti (compreso questo), ma se aggiungiamo che Mr. Ziggy mancava dal palco di Glastonbury dal 1971 e che quella sera estiva del 2000 si trovò di fronte a 120.000 persone, capirete perché stiamo parlando di un vero e proprio evento (e fa impressione pensare che, a soli 53 anni, questo sarà uno dei suoi ultimi show, almeno di fronte a così tanto pubblico: il nostro intraprenderà infatti solo più due tour in seguito, nel 2002 e nel 2003/2004, e poi più nulla fino all’inattesa morte avvenuta all’inizio del 2016). E David ripaga il numeroso pubblico con una performance da ricordare, una serata in cui il nostro non prende più di tanto in considerazione le sperimentazioni degli anni novanta, ma regala una scaletta che è il sogno di ogni fan; in aggiunta, Bowie è in forma fisica e vocale strepitosa, e guida una band che è tra le migliori da lui mai avute, formata da Mark Plati ed Earl Slick alle chitarre, Gail Ann Dorsey al basso e voce, Sterling Campbell alla batteria, Mike Garson alle tastiere e con i cori di Emm Gryner e Holly Palmer. Grande musica quindi, versioni dei vari brani spesso allungate e con molto spazio per la band, che dona al concerto un’impronta decisamente rock e, come dicevo, una setlist che è il classico caso di “give the people what they want”.

E poi, ovviamente, c’è Bowie, un intrattenitore nato dalla classe sopraffina, che si presenta come al solito attentissimo anche al look, con una lunga e variopinta giacca rockdello stilista Alexander McQueen ed una folta chioma bionda in puro stile The Man Who Sold The World. L’inizio per la verità è quasi spiazzante, dato che Wild Is The Wind non è proprio uno dei brani più noti di David (era su Station To Station): una ballata molto ritmata, distesa e gradevole, in cui il nostro dimostra da subito di essere in forma eccellente, e con uno splendido lavoro al pianoforte di Garson. Station To Station sarà tra l’altro l’album di Bowie più omaggiato durante la serata, con altre tre tracce provenienti da esso: il funk-rock Stay, con ottima prestazione chitarristica, l’insinuante Golden Years e l’avvolgente title track. Con China Girl hanno inizio le hits, una versione decisamente più rock e meno pop di quella presente su Let’s Dance; a seguire abbiamo una serie incredibile di classici, suonati dal gruppo con rinnovato vigore: dalla famosissima Changes alla straordinaria ballata Life On Mars? (cantata decisamente bene), fino ad una strepitosa Absolute Beginners di otto minuti, uno dei brani più belli di Bowie.Un attimo di relax col la fluida Ashes To Ashes per poi essere piacevolmente assaliti dal rock’n’roll di Rebel Rebel https://www.youtube.com/watch?v=7CLTj-mDXVg , mentre Little Wonder, tratta dal controverso Earthling, non è esattamente il massimo, anche se qui suona più rock e meno drum’n’bass.

Il secondo CD si apre con la danzereccia Fame, anch’essa molto più elettrica in quella serata, e prosegue con una sontuosa versione di una delle più belle canzoni inglesi degli anni settanta, cioè All The Young Dudes, accolta da un prevedibile boato (e David canta splendidamente). Dopo una limpida The Man Who Sold The World elettroacustica, che non ricordavo così bella, e la già citata Station To Station, ecco Starman, uno dei brani di Bowie che preferisco, dotata di un ritornello memorabile e di una bellissima parte di chitarra https://www.youtube.com/watch?v=UwIlqtyxpnU . La poco nota Hallo Spaceboy, non un grande brano, precede una sequenza formidabile di hits che comprende la coinvolgente Under Pressure, successo planetario del nostro insieme ai Queen, la grande rock ballad Ziggy Stardust https://www.youtube.com/watch?v=_OZsiqiC2ME , il superclassico Heroes, sempre un piacere ascoltarla, e Let’s Dance, che inizia come un brano lento per poi assumere la veste conosciuta dopo la prima strofa; finale in tono minore, con la non eccelsa (ma dal suono potente) I’m Afraid Of Americans, che però non va ad inficiare una performance memorabile, che fa di Glastonbury 2000 uno dei migliori album dal vivo di David Bowie.

Marco Verdi

Altri Due Live “Vintage” Di Altissimo Livello. Rolling Stones – Ladies And Gentlemen/David Bowie – Cracked Actor

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The Rolling Stones – Ladies And Gentlemen – Eagle Records/Universal CD

David Bowie – Cracked Actor – Parlophone/Warner 2CD

Oggi mi occupo di due album dal vivo di grande importanza, entrambi già usciti in altra forma, ma mai fino ad oggi su supporto audio digitale. Ladies And Gentlemen, che raccoglie il meglio di quattro concerti texani dei Rolling Stones nel 1972, era già stato messo sul mercato sette anni fa sotto forma di DVD, ed oggi entra a far parte di tre ristampe su CD audio singolo di altrettanti live già commercializzati su video, anche se è l’unico dei tre ad essere pubblicato in CD per la prima volta: gli altri due infatti, cioè l’ottimo Some Girls Live In Texas 1978 ed il formidabile Checherboard Lounge 1981 (con Muddy Waters), avevano già beneficiato di una edizione deluxe con il dischetto audio aggiunto. E se non possedete il DVD di Ladies And Gentlemen (ma anche se l’avete), questo CD è assolutamente imperdibile, in quanto testimonia un momento in cui le Pietre Rotolanti erano davvero in stato di grazia, anzi forse nel loro momento top di sempre (il tour è quello di Exile On Main Street), reduci da una serie di album tutti da cinque stelle e con la loro lineup migliore, cioè con Mick Taylor, sicuramente il  più grande chitarrista che abbiano mai avuto.

Ed il concerto è un highlight assoluto, credo di poterlo mettere tranquillamente tra i primi cinque live pubblicati dal gruppo (archivi e video compresi), quindici brani suonati come se non ci fosse domani, da parte di un quintetto che all’epoca era di certo la migliore rock’n’roll band al mondo, con Mick Jagger letteralmente scatenato, un Keith Richards che sciorina riff assassini a profusione, la sezione ritmica di Bill Wyman e Charlie Watts che non perde un colpo, e Taylor che fa cose assolutamente non umane: il tutto con l’aiuto dei fiati di Bobby Keys e Jim Price e soprattutto con le magiche dita di Nicky Hopkins, il più grande pianista rock di tutti i tempi. Rock’n’roll subito a mille con un uno-due da knock-out (Brown Sugar e Bitch), una Gimme Shelter sulfurea e minacciosa come non mai (nella quale Taylor comincia ad arrotare da par suo) e la splendida Dead Flowers, una delle più belle country songs di sempre (non solo degli Stones). Dopo il solito festoso intermezzo con Keith voce solista (Happy), troviamo una Tumbling Dice da favola, una Love In Vain (Robert Johnson) tra il romantico e l’appiccicoso, la strepitosa Sweet Virginia ed una You Can’t Always Get What You Want tra le più belle ed emozionanti mai sentite. La ultime sei sono rock’n’roll al fulmicotone di una bellezza quasi illegale, da parte di una band all’epoca unta dal Signore (o dal diavolo): una tostissima All Down The Line, Midnight Rambler, perfetto showcase per la straordinaria abilità di Taylor, una scatenata Bye Bye Johnny (Chuck Berry) ed un finale che lascia senza fiato con di seguito Rip This Joint, Jumpin’ Jack Flash e Street Fighting Man. In una parola: imperdibile.

david bowie cracked actor

David Bowie forse non ha mai avuto la capacità di coinvolgere degli Stones, ma è sempre stato un performer coi fiocchi, e nel 1974 sapeva dire la sua alla grande: Cracked Actor è un doppio CD (era uscito su doppio vinile per il recente Record Store Day) che documenta un concerto totalmente inedito del Settembre di quell’anno, registrato durante il tour di Diamond Dogs, già comunque documentato all’epoca con l’ottimo David Live, anche se questo, se non superiore, gli sta almeno alla pari. Pur avendo una tracklist molto simile al doppio dell’epoca, c’è qualche differenza nel suono, in quanto David Live era stato registrato nella prima parte del tour americano del cantante inglese, mentre Cracked Actor documenta una delle prime serate della seconda tranche: nel mezzo il nostro aveva registrato le canzoni che l’anno successivo sarebbero andate  a formare Young Americans, ed i brani in questa serata californiana risentono molto del suono soul e rhythm’n’blues di quelle sessions. Anche la band è parzialmente cambiata e, a fianco dei confermati Earl Slick (chitarra), Mike Garson (piano, formidabile) e David Sanborn (sax), troviamo l’altro gran chitarrista Carlos Alomar, una sezione ritmica totalmente nuova (Doug Rauch al basso e Greg Enrico alla batteria) e, tra i ben sette backing vocalists, il futuro solista di successo Luther Vandross.

Nella scaletta mancano diversi classici dell’epoca del futuro Duca Bianco, come Ziggy Stardust, Starman e Life On Mars, ma il concerto è talmente compatto e la performance del nostro talmente buona che non c’è comunque modo di dispiacersene. Inizio potente con la funkeggiante 1984, dall’ottimo ritornello, e con la roccata Rebel Rebel, uno dei suoi pezzi più trascinanti dal vivo. La serata è un valido showcase dell’abilità di Bowie come performer, con una sfilata di classici come Changes, trasformata quasi in un jazz afterhours, Suffragette City, una All The Young Dudes quasi cabarettistica, una Space Oddity più bella che mai, ed il finale tutto glamour ed energia di The Jean Genie, Rock’n’Roll Suicide e John, I’m Only Dancing (quest’ultima non l’ho mai amata molto). In mezzo, diverse gemme meno note del repertorio del nostro, come l’intensa Moonage Daydream, con un grande assolo chitarristico, la robusta title track, una vibrante cover del classico errebi di Eddie Floyd Knock On Wood, o la toccante e soulful It’s Gonna Be Me, nella quale David si conferma un cantante con le contropalle.

Gli anni settanta sono stati certamente il punto più alto per quanto riguarda la musica rock dal vivo, e queste due pubblicazioni ne sono una notevole testimonianza a conferma.

Marco Verdi