Forever Young: Un Chitarrista Per Tutte Le Stagioni, Basta Trovare I Suoi Dischi! Eric Steckel – Polyphonic Prayer

eric steckel polyphonic prayer

Eric Steckel – Polyphonic Prayer – Eric Steckel Music

Passano gli anni ma Eric Steckel rimane sempre giovane: il musicista della Florida è nato nel 1990, ma il suo esordio discografico risale al 2002 quando aveva solo 11 anni. Da allora ha già pubblicato una dozzina di album, comprese alcune rielaborazioni di vecchi dischi, sempre fedele alle sue origini di chitarrista blues e rock, scevro dalle moderne tecnologie e legato ad un suono che rimane volutamente tradizionale nelle sonorità. Solo le sue chitarre, di cui è un virtuoso assoluto, l’uso dell’organo, del quale nel corso degli anni è diventato un buon praticante, ma se la cava anche al piano, e un batterista a cui affida la parte ritmica dei brani, tenendo per sé anche le parti di basso (anche se dal vivo usa una band). L’album precedente Black Gold, uscito circa tre anni fa http://discoclub.myblog.it/2016/09/08/amanti-dei-bravi-chitarristi-ex-ragazzo-prodigio-eric-steckel-black-gold/ , optava per un suono più duro rispetto alle radici blues del “ragazzo” (in fondo ha solo 27 anni), mentre in questo nuovo Polyphonic Prayer c’è a tratti un certo ritorno alle 12 battute classiche, anche se la quota rock e virtuosistica rimane intatta: però brani come She’s 19 Years Old o It’s My Own Fault illustrano chiaramente le sue radici, il sound è quello dei classici dischi rock-blues degli anni ’70, quindi Zeppelin, Bad Company, Humble Pie, aggiungete nomi a piacere, ma anche Bonamassa o Kenny Wayne Shepherd, senza dimenticare Hendrix e Stevie Ray Vaughan, tutti nomi “giusti”.

Prendete She’s 19 Years Old che viaggia sull’onda di un bel lavoro di raccordo dell’organo, quando entra la chitarra in modalità slide di Steckel è un florilegio di note inarrestabile, con tutta la tecnica ma anche il feeling di questo ex ragazzo prodigio in mostra, come pure nel super slow It’s My Own Fault dove Eric si raddoppia sia al piano che all’organo, mettendo in mostra anche la sua eccellente attitudine di vocalist, non lontana da quella di un Robben Ford, mentre la chitarra è guizzante, fluida e ricca di tono, come pochi altri chitarristi attuali possono vantare. Waitin’ For The Bus è dura e tirata come l’originale degli ZZ Top, southern rock potente e cattivo, forse fin troppo “esagerato” nelle sue sonorità, ma le chitarre viaggiano che è un piacere; We’re Still Friends parte con un eccellente introduzione pianistica di grande pathos e poi diventa una piacevole ballata atmosferica, con gli strumenti che si aggiungono mano a mano, fino all’ingresso della voce e alla quasi inevitabile esplosione della chitarra che rilascia un vero e proprio fiume di note nel lungo e lancinante solo nella seconda parte del brano, dove Eric mette in mostra nuovamente tutta la sua grande perizia tecnica.

Can’t Go Back, come altri brani già presente nel suo repertorio Live da anni, ha un suono più duro e scontato, anche se temperato dall’uso dell’organo che gli conferisce una patina molto seventies e le consuete acrobazie sonore della chitarra, mentre Unforgettable ha qualche velleità radiofonica grazie ad un ritornello orecchiabile, ma il brano in sé non è memorabile, un po’ banale, anche se la solista lavora sempre di fino. Tennessee è un poderoso rock-blues che ricorda certe cose di Ted Nugent o delle frange più hard del southern-rock, tipo Molly Hatchet o Blackfoot, sound già presente anche nel precedente Black Gold, con Picture Frame che concede di nuovo ad un suono più commerciale e radiofonico, pur se sempre nobilitato dall’irrisoria facilità con cui Steckel estrae dal suo strumento assolo dopo assolo. Through Your Eyes è un’altra ballata pianistica, melodica ed intensa, forse poco legata al suono d’insieme del disco, ma sicuramente di buona fattura e la conclusiva Make It Rain ritorna alla modalità più blues e raffinata dei migliori brani dell’album, quelli dove si percepisce una sorta di affinità di intenti con lo stile raffinato e di grande valenza del miglior Robben Ford (ma anche l’assolo di organo in questo brano è da applausi), insomma il nostro amico è veramente bravo, e chi ama il suono puro della chitarra elettrica troverà in questo Polyphonic Prayer più di un motivo di interesse, ammesso che si riesca a rintracciare Il CD sempre di difficile rperibilità.

Bruno Conti

Per Amanti Dei “Bravi Chitarristi”, Ex Ragazzo Prodigio! Eric Steckel – Black Gold

eric steckel black gold

Eric Steckel – Black Gold – Eric Steckel Music

Rispetto all’imberbe ragazzino che nel 2002 esordiva a soli 11 anni con l’album A Few Degrees Warmer, ora, a giudicare dalla foto di copertina di Black Gold, Eric Steckel è un giovane dal lungo capello, con barba, sempre fulmine di guerra con la sua chitarra, non più legato ad un blues deferente verso i dettami del passato, ma dal sound più vicino al rock https://www.youtube.com/watch?v=iFtL5CHC8ms . Però anche lui ha sempre dovuto fare i conti con il mercato discografico: i suoi dischi sono comunque autoprodotti, con una distribuzione difficoltosa (in effetti questo nuovo Black Gold risulta essere uscito da circa un anno, ma pochi se ne erano accorti), registrati al risparmio. Nel nuovo album Steckel, oltre alla solista, suona anche basso e tastiere, lasciando al co-produttore dell’album, Maikel Roethof, il ruolo di batterista. Se il nome non vi sembra americano non vi sbagliate, viene da Amsterdam, dove il disco è stato in parte registrato, meno alcune parti realizzate a Nashville. Rispetto al precedente Dismantle The Sun (uscito quasi quatto anni fa, con un EP digitale ad interrompere la lunga pausa) http://discoclub.myblog.it/2013/02/12/ex-bambini-prodigio-crescono-eric-steckel-dismantle-the-sun/  mi sembra che il nuovo album sia di un gradino inferiore, sempre molto ricco e fluente nell’ambito chitarristico, ma meno vario e più orientato verso un rock più duro rispetto al passato.

Diciamo che Steckel continua a seguire le tracce di un Bonamassa, ma mentre negli ultimi anni il chitarrista newyorkese ha affinato il suo stile, andando a pescare ancora di più anche nel blues e nel soul, l’ancora giovane Eric (in fondo viaggia tra i 25 e i 26 anni) preferisce privilegiare un suono più vicino all’heavy rock targato anni ’70, come evidenzia la traccia di apertura Holding On, molto legata a quello stile, anche se gli interventi di chitarre e tastiere, i continui cambi di tempo e la voce sicura del nostro, rendono il tutto comunque molto piacevole, e poi il suono della chitarra è brillante e ricco di grande tecnica , come è sempre stato per Steckel. Juke Joint inserisce qualche elemento southern, ma privilegia un suono troppo leggerino; anche El Camino può ricordare le band sudiste più rock, tipo Blackfoot o Molly Hatchet, anche se il lavoro di slide di questo strumentale è comunque apprezzabile. Fugitive ricorda addirittura certo AOR americano anni ’70 o gente come Nugent, Journey, Bad Company (non i primi), con My Darkest Hour, che nei suoi quasi 6 minuti, grazie ad un arrangiamento più complesso che evidenzia anche l’uso dell’organo, mi sembra migliore, con interessanti aperture melodiche e il solito lavoro fluente della chitarra, però sempre soggetta a quel sound a tratti troppo “leggerino”.

Però Speed Of Light è di nuovo quasi lite metal, e neppure del migliore, mentre Texas 1983 è una bella improvvisazione strumentale di stampo Vaughan/Hendrix, peccato sia troppo breve https://www.youtube.com/watch?v=NJ_c2Jwn610 . Outta My Mind, un funky-blues più vicino ai lavori passati di Steckel e What It Means, una sorta di ballata d’atmosfera ha tratti dell’antico splendore, con un lirico solo posto in conclusione, ma Rocket Fuel con il suo riffing grasso e “acrobatico” quasi alla Van Halen, è abbastanza scontata e ripetitiva. L’ultimo brano è l’unica cover del disco, If I Ain’t Got You di tale Alicia J. Augello-Cook, se il nome vi dice, non posso che confermare, è proprio un pezzo di Alicia Keys, tratto dal suo secondo disco, The Diary Of A.K,, ed è tra le cose migliori del disco, una ballata soul, cantata veramente bene e nobilitata da un finissimo solo di Eric Steckel che conferma, quando vuole, il suo gusto e la sua tecnica https://www.youtube.com/watch?v=Vy3pk6QNN1U . Luci ed ombre, ma gli amanti dei “bravi chitarristi” troveranno motivi per apprezzare.

Bruno Conti