Continua La Riscossa Dei “Giovani Talenti”! Tom Jones – Surrounded By Time

tom jones surrounded by time

Tom Jones – Surrounded By Time – EMI CD

Il fatto che tra i migliori album di questo primo terzo di 2021 ci siano i lavori di due quasi novantenni, Willie Nelson e Loretta Lynn, non depone certo a favore di un roseo futuro per la nostra musica. Ora a questo manipolo di giovanotti si aggiunge anche Tom Jones, che è un ragazzino in confronto ai due nomi appena citati in quanto di anni ne compirà “solo” 81 il prossimo giugno. Dopo una lunghissima carriera piena di successi pop ma anche di tanti passaggi a vuoto, il cantante gallese sta vivendo da una decade abbondante una vera e propria rinascita artistica: infatti, dopo essersi riaffacciato prepotentemente nelle parti alte delle classifiche con il tormentone danzereccio Sex Bomb nel 2000, Tom ha iniziato dal 2010 a pubblicare un album più bello dell’altro, reinventandosi interprete in chiave folk-blues-gospel-roots di brani tradizionali ed altri di autori contemporanei anche di stampo rock. Un percorso simile a quello intrapreso negli anni 90 da Johnny Cash con Rick Rubin (ma a differenza di Jones, l’Uomo in Nero non aveva mai smesso di fare musica di qualità, solo non se lo filava più nessuno), con il produttore Ethan Johns, figlio del mitico Glyn Johns, a fungere da mentore come Rubin era stato per Cash. Praise & Blame (2010), Spirit In The Room (2012) e Long Lost Suitcase (2015) erano tre dischi magnifici, nei quali il nostro, sempre in possesso di una grande voce, rileggeva con credibilità da vero musicista roots brani della tradizione o canzoni scritte da Hank Williams, Bob Dylan, Billy Joe Shaver, Los Lobos, Pops Staples, Leonard Cohen, Richard Thompson, Paul Simon, Willie Nelson, Tom Waits, Gillian Welch e Rolling Stones, un percorso culminato poi nel 2017 con lo splendido doppio Live On Soundstage, registrato appunto dal vivo.

Ora Jones si rifà vivo a sei anni da Long Lost Suitcase con Surrounded By Time, un altro riuscito album che prosegue con la reinterpretazione di classici del passato tra pezzi noti ed altri più oscuri, ancora con Johns in cabina di regia ed anche responsabile di vari tipi di strumenti a tastiera e chitarre, e con la partecipazione di Neil Cowley anch’egli al piano, organo e synth, Nick Pini al basso e Dan See e Jeremy Stacey alla batteria. A differenza dei tre lavori precedenti però in questo album il suono è meno roots e decisamente più moderno, con uso abbastanza insistito di sonorità elettroniche mescolate ad altre più “tradizionali”, anche se a parte un paio di episodi in cui la modernità prende il sopravvento, il tutto è dosato con intelligenza (ci sono similitudini con certe cose di David Bowie ma anche con il Nick Cave più recente). E poi c’è Tom, che nonostante gli anni ha ancora una voce di una potenza formidabile, ed una classe che gli permette di interpretare al meglio qualsiasi tipo di canzone con qualsiasi tipo di arrangiamento: pollice verso invece per la copertina del CD, che ogni volta che la guardo mi fa venire in mente un rotolo di carta igienica…L’album inizia con le tonalità gospel di I Won’t Crumble With You If You Fall, un brano della folksinger ed attivista Bernice Johnson Reogon con la voce magnifica di Jones che si staglia quasi a cappella, dal momento che gli unici strumenti sono synth e basso che producono un effetto simile ai paesaggi sonori di Daniel Lanois.

The Windmills Of Your Mind è un noto pezzo del compositore francese Michel Legrand già inciso in passato tra gli altri da Dusty Springfield, Vanilla Fudge e Sting: Tom canta con grande padronanza della melodia mentre la band si produce in un accompagnamento pianistico di algida bellezza, con una leggera percussione e l’organo ad aggiungere pathos; con Pop Star, vecchia canzone di Cat Stevens (era su Mona Bone Jakon) il ritmo cresce, il brano ha una struttura blues ma qui è sostenuto da uno strano arrangiamento molto elettronico che non le rende pienamente giustizia, nonostante l’ingresso dopo la seconda strofa di un bellissimo pianoforte. Un sitar introduce No Hole In My Head di Malvina Reynolds, poi entra una ritmica martellante ed un organo decisamente sixties, per una traccia che si divide tra pop e psichedelia, un genere non abituale per Tom che però non fa una piega e canta con il solito carisma ed anche una buona dose di grinta. Talking Reality Television Blues è il brano che non ti aspetti, una canzone recente scritta da Todd Snider dal testo ironico tipico del songwriter di Portland, arrangiato alla guisa di un rock urbano (non esagero se penso ai Dream Syndicate), e per non smentire il titolo Jones parla invece di cantare. Non tra le mie preferite, anche se la coda finale chitarristica è notevole.

Anche I Won’t Lie (di Michael Kiwanuka) inizia con un tappeto sonoro quasi straniante, ma poi entra la chitarra acustica e Tom canta col cuore in mano trasformando un brano di moderno soul in una folk song pura nonostante l’atmosfera gelida creata dal synth sullo sfondo; This Is The Sea, uno dei capolavori dei Waterboys, è una grande canzone e qui viene riproposta in maniera più classica, con organo, chitarre e sezione ritmica in evidenza (sulla voce di Tom non voglio ripetermi): sette minuti splendidi. Interpretare Dylan sta diventando per Jones una piacevole abitudine dato che Praise & Blame si apriva con What Good Am I? ed in Spirit In The Room c’era When The Deal Goes Down: qui troviamo la bella One More Cup Of Coffee, che ha un inizio quasi jazzato per l’uso solista del basso ma poi entrano gli altri strumenti ed il pezzo mantiene l’andatura western dell’originale con il nostro che vocalizza alla grande, a differenza del traditional Samson And Delilah (l’hanno fatta in tanti, ma la versione più celebre è quella dei Grateful Dead) che assume sonorità etniche, quasi tribali, con un andamento incalzante e coinvolgente.

Tom omaggia anche Tony Joe White con Ol’ Mother Earth, ballata cadenzata e notturna in cui i suoni moderni si adattano perfettamente al tessuto melodico di base, con Jones che ricorre ancora al talkin’ ma in maniera più riuscita che nel brano di Snider; finale con il tributo a due musicisti jazz poco noti come Bobby Cole e Terry Callier, rispettivamente con I’m Growing Old, proposta in una nuda e struggente rilettura per sola voce e piano (e qualche loop non invasivo), e la lunga Lazarus Man, più di nove minuti di pura psichedelia moderna con la voce del leader che un po’ declama ed un po’ canta con il consueto feeling, mentre una chitarra liquida alla Jerry Garcia ricama sullo sfondo. Quindi un altro bel disco per il “vero” Principe di Galles, che dimostra di cavarsela alla grande anche in mezzo a suoni che non sempre gli appartengono.

Marco Verdi

Poca Polvere, Sotto I Tappeti E Tante Stelle Luccicanti A Scaldare I Nostri Cuori. Mary Chapin Carpenter – The Dirt And The Stars

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Mary Chapin Carpenter – The Dirt And The Stars – Lambent Light Records

Credo che la nostra amica non potrebbe fare un disco brutto neanche volendo: forse solo Songs From The Movie, un album del 2014 dove rivisitava il suo vecchio repertorio con una orchestra di 63 elementi ed un coro di 15, era troppo ridondante, mentre la stessa operazione di rivedere una dozzina di perle del suo repertorio nell’eccellente disco del 2018 Sometimes Just The Sky, grazie forse ad un approccio più meditato e su una scala sonora più scarna e meno lussureggiante, anche per merito della produzione di Ethan Johns, era risultato tra i migliori degli ultimi anni https://discoclub.myblog.it/2018/05/11/non-ci-eravamo-dimenticati-rileggendo-vecchie-pagine-damore-mary-chapin-carpenter-sometimes-just-the-sky/ . Per questo nuovo The Dirt And The Stars, il quindicesimo album della sua splendida carriera, Mary Chapin Carpenter si affida nuovamente a Ethan Johns, per l’occasione presentando undici nuove composizioni, che confermano che la sua vena compositiva non si è certo inaridita, anzi, e che la sua voce è una delle più limpide ed espressive dell’attuale panorama cantautorale, magari lontana dagli accenti più country del passato, in favore di una musicalità più ricca e complessa, anche di un certo eclettismo sonoro, dove la forma classica della ballata rimane il suo tratto distintivo principale, ma Mary è sempre in in grado di inserire delle piccole ma decisive variazioni sul tema, in modo che il menu rimanga ricco e variegato.

Prendiamo la title track, una canzone ispirata da una sorta di epifania provata all’età di 17 anni, ascoltando alla radio durante una corsa in macchina Wild Horses, in effetti il brano ha un che di stonesiano, grazie all’organo avvolgente del grande Matt Rollins e ad un ficcante e complesso assolo della 6 corde di Duke Levine, entrambi abituali compagni di avventura della Carpenter, che canta poi la canzone con una ricchezza di timbri vocali che affascinano l’ascoltatore, mentre l’arrangiamento architettato da Johns, in un lento ma inesorabile crescendo sonoro rendono questo pezzo semplicemente splendido, quasi otto minuti di pura magia sonora. Anche nel blues-rock incalzante di American Stooge il lavoro della solista di Levine è superbo, sottolineato dalla sezione ritmica di Nick Pini al basso e Jeremy Stacey alla batteria e dal piano di Rollins, mentre la Chapin Carpenter racconta con voce partecipe e vibrante la vicenda del senatore americano Lindsey Graham, un “fantoccio” come lo definisce senza mezzi termini nel titolo; e per concludere il trittico più rockista dell’album anche Secret Keepers ha una grinta più accentuata rispetto al suo solito mood sonoro, con un Duke Levine ancora una volta veramente ispirato alla chitarra.

Ovviamente non mancano gli episodi più raccolti, come il leggero jingle jangle del delizioso folk-rock della iniziale Farther Along And Further, dove si percepiscono anche dei mandolini, malinconica e riflessiva come ci ha abituati spesso nel suo songbook, ancora più evidente, sin dal titolo, in It’s Ok To Feel Sad, tra accenti Pettyani e scandite derive spirituali quasi gospel, sempre con la sua magnifica band che crea sfondi sonori ideali per quella voce così unica e particolare. Splendida anche All Broken Hearts Breaks Differently, bellissimo titolo, che mi ha ricordato certe elegiache canzoni del miglior Jackson Browne anni ‘70, con il suono della California più ispirata di quei tempi, anche se lei è una “nordista” di Princeton e il disco è stato registrato in Inghilterra a Bath negli studi Real World di Peter Gabriel, comunque di nuovo attualizzato in questa visione al femminile di una cantautrice che è in grado di infondere rinnovata struggente bellezza e nostalgia per tematiche amorose sempre attuali e ricorrenti. Old D-35, dal nome della sua vecchia chitarra acustica Martin, ci riporta al classico sound elettroacustico delle sue pagine migliori, che illustrano il suo lato più intimistico, grazie anche ai tocchi quasi timidi del piano di Rollins.

Suono ribadito anche nella soffusa Where The Beauty Is, e poi ancor più per sottrazione nella raffinata e rarefatta Nocturne, dove chitarre acustiche, pianoforte e la voce calda della Carpenter tengono avvinto l’ascoltatore in un tenue ambiente sonoro che poi si anima leggermente con l’ingresso di percussioni e una chitarra elettrica appena accennata, e con un testo compassionevole e reale “We’re all trying to live up to some oath to ourselves….No king has the power, no mortal the skill/But still you keep trying to see/What’s waiting for you at the end of your days”. E pure in Asking For A Friend Mary pone con discrezione domande che forse non hanno risposte, sempre coadiuvata dal finissimo lavoro di Rollins al piano e Levine alla chitarra, dal contrabbasso con archetto di Pini e dalla sua sensibilità di interprete sempre partecipe, sublime e mai sopra le righe, che si manifesta ancora nelle delicate volute della dolce Everybody Got Something, mandolini pizzicati, chitarre acustiche e piano, la voce porta con un leggero vibrato, tutti ancora decisivi in un’altra canzone che aggiunge ulteriore spessore ad un album che la conferma cantautrice senza tempo e con pochi raffronti nel panorama musicale attuale. Poca polvere sotto i tappeti e tante stelle luccicanti a scaldare i nostri cuori.

Bruno Conti

Replay: Prima Del Previsto Ora Disponibile Anche In CD, Rimane Comunque Un “Album” Veramente Molto Bello! Laura Marling – Song For Our Daughter

laura marling song for our daughter

Laura Marling – Song For Our Daughter – Chrysalis Download – CD/LP dal 17-07

Ormai si è capito che se non puoi “combattere” il download, per certi versi ti devi alleare con il “nemico”. Giornalmente si moltiplicano le uscite discografiche, termine che potrebbe diventare in parte desueto, visto che non escono con un supporto fisico, CD o LP che sia, oppure vengono rimandate più in là le date di uscita di continuo, spesso anche di mesi: anche il nuovo album di Laura Marling Song For Our Daughter, sull’onda della situazione che stiamo vivendo, è stato addirittura anticipato, nella sua versione digitale, di circa cinque mesi rispetto alla data iniziale di uscita, che doveva essere per la tarda estate, a settembre, che rimane comunque valida, al momento, per i supporti tradizionali (*NDB Invece da metà luglio, diversamente da quanto annunciato, un po’ a macchia di leopardo e a seconda dei paesi, sta “già” uscendo la versione fisica). Quindi anche per chi, come in questo Blog, non ama troppo questo tipo di pubblicazioni virtuali, peraltro comunque a pagamento, se non ci si affida allo streaming sulle piattaforme atte all’uopo, si deve adattare alla nuova situazione che si va creando, in attesa di tempi migliori. Fine della concione e bando alla ciance, passiamo a parlare di questo album, il settimo della discografia della bionda cantante inglese.

Ancora una volta Laura colpisce nel segno con un “disco” (forse il suo migliore in assoluto) che la conferma come una delle migliori cantautrici attualmente in circolazione: all’inizio Song For Our Daughter doveva essere prodotto insieme a Blake Mills, che invece è rimasto solo come co-autore di una canzone The End Of The Affair, mentre alla fine la Marling è tornata ad affidarsi alle sapienti mani di Ethan Johns, che aveva prodotto il suo secondo, terzo e quarto album, mentre per il successivo Short Movie, dopo il trasferimento a Los Angeles tra il 2013 e 2014, prima di tornare a Londra, aveva optato per un suono più elettrico, “lavorato” e moderno, per quanto sempre affascinante, ma in modo diverso, tendenza poi confermata anche per il successivo Semper Femina, prodotto dal citato Blake Mills, anche lui orientato verso un tipo di sound più eclettico e complesso. Per il nuovo album la nostra amica ha deciso di registrare il materiale in parte nel suo nuovo studio casalingo londinese, e in parte al Monnow Valley Studio di Rockfield in Galles, dove si erano tenute molte sessions gloriose del rock e pop britannico (e non solo), spesso sotto l’egida di Dave Edmunds e soci. Come ci ricorda il titolo il disco si rivolge ad una sorta di figlia immaginaria, anche se in alcune recensioni, soprattutto italiane, si parla della figlia della Marling come destinataria di questi dispacci, peccato però, che se non è nata nel frattempo per intervento dello Spirito Santo, questa figlia non esiste.

Probabilmente alla complessità dei testi, che riguardano la crescita della consapevolezza, il ruolo degli affetti, della famiglia, dell’esempio consapevole, della nuova situazione di un mondo che sta cambiando, non per il meglio, ha contribuito anche la decisione di nuovi interessi come lo studio della psicanalisi, mentre un’altra ispirazione è stata il libro di Maya Angelou, Letter To My Daughter, dove la scrittrice americana si rivolge sempre ad una figlia immaginata, alla quale manda una serie di lettere, mentre Laura Marling invia delle missive musicali, delle canzoni, che sono il campo in cui eccelle. Come si diceva c’è un ritorno ad un suono più raccolto, più intimo, non scarno, ma che si inserisce nella grande onda della tradizione folk, con la presenza come stella polare, magari anche incosciamente, di Joni Mitchell, alla quale la musicista inglese è stata spesso, giustamente, accostata, sia per il tipo di vocalità, quanto per la capacità di costruire brani che nella loro semplicità raccolgono tanti spunti di assoluta eccellenza.

Alcuni hanno parlato del periodo di Hejira, ma forse ancora di più mi sembra di cogliere una vicinanza con il periodo californiano di Laurel Canyon, quello di Blue, ma anche di For The Roses Court And Spark, album più “gioiosi” a tratti. In questo senso il trittico di canzoni che aprono questo Letter To My Daughter è veramente splendido, una sequenza di brani da 5 stellette, con Ethan Johns e Laura che suonano quasi tutti gli strumenti, lasciando alla sezione ritmica di Nick Pini al basso e contrabbasso e Dan See alla batteria, discreti ma essenziali alla riuscita, alla pedal steel di Chris Hillman (omonimo?) e al piano di Anna Corcoran ulteriori coloriture, mentre la Marling canta in modo ispirato e “moltiplica” la sua voce per delle armonie vocali veramente deliziose, che nella iniziale Alexandra, ispirata da un brano di Leonard Cohen, raggiungono una preziosa e brillante leggiadria folk-rock.

Anche in Held Down il lavoro degli intrecci vocali è strepitoso, il cantato a tratti celestiale, il lavoro strumentale superbo, con chitarre acustiche ed elettriche, suonate dalla stessa Laura, e le tastiere di Johns, che si incrociano e si sovrappongono in modo perfetto, creando un substrato sonoro complesso ma godibilissimo. Strange Girl, probabilmente dedicata a questa figlia immaginaria, che in sede di presentazione dell’album aveva definito “The Girl”, anche una sorta di proiezione di sé stessa; è una canzone ancora più mossa e vivace, tra percussioni incombenti, il contrabbasso che detta i tempi, la voce cristallina ma “ombrosa” della ragazza, sempre moltiplicata, a sostenere le chitarre acustiche che caratterizzano questo brano. Only The Strong, nata in parte come colonna sonora di un’opera teatrale su Maria Stuarda, è giocata sul fingerpicking dell’acustica, mentre la voce è più profonda e ridondante, per quanto sempre arricchita da queste armonie vocali affascinanti, delle percussioni accennate e dal cello di Gabriela Cabezadas.

Un pianoforte solitario accarezzato introduce il tema di Blow By Blow, uno dei due brani ispirati da Paul McCartney, con questo brano suggestivo in cui la madre è “on the phone already talking to the press”, mentre gli archi arrangiati da Rob Moose (Bon Iver), sottolineano questa ballata più solenne e malinconica, una rarità nella sua discografia, omaggio a Paul, seguita dalla title track, influenzata dai suoi recenti studi sulla psicanalisi, che inaugura quella che sarebbe stata la seconda facciata di un vecchio disco (e magari lo sarà quando uscirà), una canzone solenne ed avvolgente, ancora con piano e sezione archi che ne accrescono la maestosità, in un lento ma inesorabile crescendo di una bellezza struggente, sempre con la voce comunque protagonista assoluta.

In Fortune, Alexandra, perché lei sembra essere sempre il personaggio ricorrente di tutte le canzoni, ruba dei soldi alla madre, quelli che erano i suoi risparmi, in un brano giocato su una solitaria chitarra acustica arpeggiata che forse rimanda anche al sontuoso folk orchestrale (che è di nuovo presente) del miglior Nick Drake, con la voce partecipe ma fuori scena della narratrice Laura; The End Of The Affair è il brano scritto con Blake Mills, con il moog di Ethan Johns che incombe sullo sfondo, mentre la Marling intona le pene d’amore di un amore che finisce con sempre delicati e preziosi arabeschi vocali, fragili ma comunque incantevoli, il tutto ispirato, pare, da un romanzo di Graham Greene. Salvo poi, in Hope We Meet Again, non chiudere alla speranza di un futuro incontro, ancora una volta in un brano intimista dove la chitarra acustica arpeggiata e gli archi sono i protagonisti assoluti, anche se la pedal steel sottolinea con precisione i passaggi salienti del brano, che poi si anima nel finale grazie all’intervento della sezione ritmica, in una ennesima bellissima canzone, cantata con aromi mitchelliani dalla Marling. Che ci congeda, dopo poco più di 36 intensi minuti, con For You, una canzone d’amore, ispirata nuovamente da Paul McCartney, dove lo spirito musicale e melodico dell’ex Beatles è evidente nel fraseggio della parte cantata e in alcuni accorgimenti sonori tipici del Macca, vedi le armonie vocali maschili a bocca chiusa, qualche delizioso falsetto di Laura, l’intervento di una chitarra elettrica e altri “piccoli” soavi particolari che lo ricordano.

In attesa dell’album fisico la cui uscita, come ricordato, è prevista per fine estate, inizio autunno, un altro ottimo album rilasciato in questo difficile periodo, comunque ricco di felici intuizioni di alcuni musicisti che ci alleviano durante questa  lunga pandemia.

Bruno Conti

Non Ci Eravamo Dimenticati: Rileggendo Vecchie Pagine D’Amore! Mary Chapin Carpenter – Sometimes Just The Sky

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Mary Chapin Carpenter – Sometimes Just The Sky – Lambent Light Records/Thirty Tigers

In questi tempi di celebrazioni musicali, e in modo particolare negli ultimi anni, diversi artisti e gruppi si sono buttati sul loro vecchio repertorio (in alcuni casi anche prestigioso), sfornando dischi spesso dai risultati altalenanti, ma oggi con piacere parliamo di una grande cantautrice come Mary Chapin Carpenter https://discoclub.myblog.it/2012/06/10/un-gusto-acquisito-mary-chapin-carpenter-ashes-and-roses/ che, in occasione del trentennale della sua carriera, pubblica un nuovo lavoro Sometimes Just The Sky (il quindicesimo se non ho sbagliato i conti, escluse antologie e video), composto da una dozzina di brani recuperati “democraticamente” ed estratti da ognuno dei suoi album in studio, a partire dall’esordio con Hometown Girl (87) arrivando sino a The Things That We Are Made Of (16), rivisitati e rielaborati per l’occasione, con un solo inedito, la splendida title.track conclusiva. Per fare tutto al meglio, la Carpenter emigra in Inghilterra nei famosi Real World Studios di Peter Gabriel, con la produzione del polistrumentista Ethan Johns (Ryan Adams, Ray La Montagne, Paul McCartney), a chitarre, mandolino e altro, avvalendosi di un gruppo di musicisti abituali, a partire dal collaboratore di lunga data, il chitarrista Duke Levine, da Dave Bronze al basso, Jeremy Stacey alla batteria e percussioni, Stephanie Jean al piano e tastiere , e Georgina Leach al violino e viola, che accompagnano Mary voce e chitarra acustica, con il risultato finale di un album decisamente riuscito, dove i nuovi arrangiamenti conferiscono ricche tonalità e una nuova “nobiltà” ad ognuna della dodici “pagine d’amore”.

Meritoriamente la scelta della Carpenter non è caduta solo sui brani di successo, e la dimostrazione è ad esempio il brano d’apertura Heroes And Heroines, una classica ballata del suo repertorio, suonata e cantata al meglio, recuperata dall’album d’esordio Hometown Girl (87), e a far da contraltare nella seguente rilettura, What Does It Mean To Travel dall’ultimo lavoro in studio, in una versione che rimanda alla sfortunata folksinger Kate Wolf degli esordi, per poi passare alla dolcezza infinita di I Have A Need For Solitude, e alla ballata folk elettrica One Small Heart (la trovate su Between Here And Gone (04).  Le tracce rivisitate continuano con quello che è uno dei classici assoluti della Carpenter, la meravigliosa e struggente The Moon And St. Christopher, estratta meritoriamente da un album “seminale” come Shooting Straight In The Dark (90), e di cui si ricorda anche una strepitosa versione di Mary Black https://www.youtube.com/watch?v=cgZCbHcp1JE , seguita da una intrigante rilettura della poco nota Superman, il moderno folk-country di una ariosa Naked To The Eye, per poi “sbalordire” ancora una volta con la melodia di Rhythm Of The Blues.

Le pagine volgono al termine con i nuovi arrangiamenti elettroacustici di una sempre accattivante This Is Love, la lenta accorata litania di Jericho con la voce di Mary che ricorda la prima e mai dimenticata Joni Mitchell, la sempre affascinante ballata folk The Calling dall’album omonimo, che viene rifatta nell’occasione in una seducente versione avvolgente, prima di ammaliare di nuovo con uno dei brani più belli del suo sterminato “songbook” This Shirt (recuperatela dal bellissimo State Of The Heart (89), e concludere infine con la maestosa bellezza dell’unico inedito,  una ballata come Sometimes Just The Sky, oltre sei minuti di grande musica, impreziosita dal violino irish della brava Georgina Leach.

Questa bravissima singer-songwriter nativa  del New Jersey ha da poco tagliato la soglia dei sessant’anni, e nonostante un percorso difficile costellato anche di perdite e malattie (e ricordando che è arrivata al successo senza compromessi artistici), in questo pregevole Sometimes Just The Sky la Carpenter dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, tutto il suo talento, rimettendo in gioco in una maniera elegante, raffinata e anche commovente il suo vecchio repertorio, da cantautrice completa che sa spaziare indifferentemente dal folk al country, dal soft-rock alla canzone d’autore, e per chi ancora non la conoscesse, Mary Chapin Carpenter merita molta, molta più attenzione di tante esaltate e celebrate cantautrici dei nostri giorni, in fondo la buona musica richiede qualche sacrificio (economico) e un pizzico di coraggio, anche da parte di chi acquista i dischi. Quindi disco altamente consigliato e meritevole di un vostro ascolto!

Tino Montanari

Ultime Uscite 2016, Parte I. Rush, Enya, Jethro Tull, Neal Casal, Ethan Johns, Carly Simon

rush r40 live

Come promesso, dopo i cofanetti, vediamo le ultime uscite interessanti dell’anno, alcune già uscite, altre imminenti e un paio previste per metà dicembre. Partiamo da alcuni titoli già pubblicati, in particolare il Live dei Rush che vedete qui sopra, annunciato erroneamente per il 4 dicembre (però in effetti in alcuni paesi, per esempio Regno Unito, uscirà in quella data), ma in effetti già in circolazione dal 20 novembre, nella solita pletora di edizioni, 5 per la precisione: triplo CD, 3 CD + DVD, 3 CD + Blu-Ray, DVD o Blu-Ray. R40 Live contiene la registrazione del meglio delle due date di Toronto del 17 e 19 giugno 2015 e li vede ripercorrere a ritroso, dai più recenti e poi andando indietro nel tempo, il meglio della loro produzione: sono 31 brani nella versione in triplo CD e 29 nelle versioni video (perchè? boh…).

CD

Disc One
1. “The World is … The World is …”
2. “The Anarchist”
3. “Headlong Flight”
4. “Far Cry”
5. “The Main Monkey Business”
6. “How It Is”
7. “Animate”
8. “Roll the Bones”
9. “Between the Wheels”
10. “Losing It” (with Ben Mink)
11. “Subdivisions”

Disc Two
1. “Tom Sawyer”
2. “YYZ”
3. “The Spirit of Radio”
4. “Natural Science”
5. “Jacob’s Ladder”
6. “Hemispheres: Prelude”
7. “Cygnus X-1/The Story So Far” (drum solo)
8. “Closer to the Heart”
9. “Xanadu”
10. “2112”

Disc Three
1. “Mel’s Rockpile” (with Eugene Levy)
2. “Lakeside Park/Anthem”
3. “What You’re Doing/Working Man”

Bonus
4. “One Little Victory”
5. “Distant Early Warning”
6. “Red Barchetta”
7. “Clockwork Angels”
8. “The Wreckers”
9. “The Camera Eye”
10. “Losing It” (with Peter Dinklage)

DVD/Blu-ray
Set One
1. “The World is .. The World is … ”
2. “The Anarchist”
3. “Headlong Flight”
4. “Far Cry”
5. “The Main Monkey Business”
6. “How It Is”
7. “Animate”
8. “Roll the Bones”
9. “Between the Wheels”
10. “Losing It” (with Ben Mink)
11. “Subdivisions”

Set Two
1. “No Country for Old Hens”
2. “Tom Sawyer”
3. “YYZ”
4. “The Spirit of Radio”
5. “Natural Science”
6. “Jacob’s Ladder”
7. “Hemispheres: Prelude”
8. “Cygnus X-1/The Story So Far” (drum solo)
9. “Closer to the Heart”
10. “Xanadu”
11. “2112”

Encore
1. “Mel’s Rockpile” (with Eugene Levy)
2. “Lakeside Park/Anthem”
3. “What You’re Doing/Working Man”
4. “Exit Stage Left”

Bonus
1. “One Little Victory”
2. “Distant Early Warning”
3. “Red Barchetta”

Ammetto che non seguo più il trio canadese da qualche anno, ma nel periodo anni ’70, primi anni ’80 erano una delle migliori band rock in circolazione, soprattutto a livello strumentale: peccato che non vedo nella lista La Villa Strangiato che era un brano che mi piaceva moltissimo. Questo live li vede tornare sotto l’egida Universal, con etichetta Zoe/Rounder Records.

enya dark sky island

Un’altra che non seguo più da parecchi anni ( e comunque non mi hai entusiasmato, anche se i primi dischi avevano una loro freschezza e vivacità, si fa per dire) è Eithne Patricia Ní Bhraonáin, in arte Enya, sorella della ben più brava Maire Moya Brennan, cantante e in precedenza voce solista dei Clannad. Non per nulla Eithne nel gruppo irlandese era solo tastierista e voce di supporto, poi grazie all’aiuto del manager e produttore Nick Ryan, ha sviluppato quel suo particolare stile a cavallo tra musica celtica, new age e pop che grazie all’utilizzo della tecnologia ha permesso di creare “muri vocali” dove la voce di Enya veniva riprodotta una infinità di volte per ottenere quell’effetto sognante e particolare che ne ha fatto la fortuna. In giro c’è molto (anzi moltissimo) di peggio per cui non mi permetto di andare più in là con le critiche, però questo tipo di “folk” ultimamente non mi fa più impazzire. Comunque tornando al nuovo disco si intitola Dark Sky Island, è solo il nono in una carriera quasi trentennale (anzi ottavo se contiamo il primo Enya e la sua riedizione The Celts come un album unico): è uscito anche questo lo scorso 20 novembre, etichetta Aigle/Warner, naturalmente c’è la versione Deluxe con tre tracce in più, e il lavoro è frutto del solito team di Roma Ryan che ha scritto tutti i testi, Enya che suona tutte le tastiere, compone la musica e canta e Nick Ryan che ha curato la produzione. Per la precisione in Even The Shadows c’è Eddie Lee al contrabbasso. Ecco un assaggio, nulla è cambiato https://www.youtube.com/watch?v=FOP_PPavoLA …

jethro tull too oldjethro tull too old box

 

In effetti questa ristampa di Too Old To Rock And Roll: Too Young To Die! dei Jethro Tull avrei potuto anche inserirla nel post dedicato ai Box, ma visto che c’è anche la versione singola con il solo album rimasterizzato ne parliamo qui. Un buon album anche se non tra i più memorabili della band di Ian Anderson (molto meglio il successivo Songs From The Wood che sarà il prossimo a venire ristampato) esce anche nella solita versione quadrupla curata da Steven Wilson dei Porcupine Tree: due CD e due DVD (principalmente audio, però ci sono anche dei filmati apparsi in uno speciale della televisione inglese di metà anni ’70, credo sia questo https://www.youtube.com/watch?v=TFYWy-Pwymc). Questo è il contenuto completo:

[CD1]
1. Prelude (Steven Wilson Stereo Mix)
2. Quiz Kid (Steven Wilson Stereo Mix)
3. Crazed Institution (Steven Wilson Stereo Mix)
4. Salamander (Steven Wilson Stereo Mix)
5. Taxi Grab (Steven Wilson Stereo Mix)
6. From A Dead Beat To An Old Greaser (Steven Wilson Stereo Mix)
7. Bad-Eyed And Loveless (Steven Wilson Stereo Mix)
8. Big Dipper (Steven Wilson Stereo Mix)
9. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Steven Wilson Stereo Mix)
10. Pied Piper (Steven Wilson Stereo Mix)
11. The Chequered Flag (Dead Or Alive) [Steven Wilson Stereo Mix]
12. From A Dead Beat To An Old Greaser (Steven Wilson Stereo Remix) [Monte Carlo January 1976]
13. Bad-Eyed And Loveless (Steven Wilson Stereo Remix) [Monte Carlo January 1976]
14. Big Dipper (Steven Wilson Stereo Remix) [Monte Carlo January 1976]
15. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Steven Wilson Stereo Remix) [Brussels November 1975]
16. The Chequered Flag (Dead Or Alive) [Steven Wilson Stereo Remix] [Brussels November 1975]
17. Quiz Kid (Version 1) [Steven Wilson Stereo Mix]

[CD2]
1. Salamander’s Rag Time (Steven Wilson Mix)
2. Commercial Traveller (Steven Wilson Mix)
3. Salamander (Steven Wilson Mix) [Instrumental]
4. A Small Cigar (Steven Wilson Mix) [Acoustic Version]
5. Strip Cartoon (Steven Wilson Mix)
6. One Brown Mouse (Early Version) [Original Master Mix]
7. A Small Cigar (Orchestrated Version) [Original Rough Mix]
8. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Demo) [Steven Wilson Mix]
9. Prelude
10. Quiz Kid
11. Crazed Institution
12. Salamander
13. Taxi Grab
14. From A Dead Beat To An Old Greaser
15. Bad-Eyed And Loveless
16. Big Dipper
17. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die!
18. Pied Piper
19. The Chequered Flag (Dead Or Alive)

[DVD1]
1. Prelude (Steven Wilson Stereo Mix)
2. Quiz Kid (Steven Wilson Stereo Mix)
3. Crazed Institution (Steven Wilson Stereo Mix)
4. Salamander (Steven Wilson Stereo Mix)
5. Taxi Grab (Steven Wilson Stereo Mix)
6. From A Dead Beat To An Old Greaser (Steven Wilson Stereo Mix)
7. Bad-Eyed And Loveless (Steven Wilson Stereo Mix)
8. Big Dipper (Steven Wilson Stereo Mix)
9. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Steven Wilson Stereo Mix)
10. Pied Piper (Steven Wilson Stereo Mix)
11. The Chequered Flag (Dead Or Alive) [Steven Wilson Stereo Mix]
12. Prelude (Steven Wilson Stereo Mix)
13. Quiz Kid (Steven Wilson Stereo Mix)
14. Crazed Institution (Steven Wilson Stereo Mix)
15. Salamander (Steven Wilson Stereo Mix)
16. Taxi Grab (Steven Wilson Stereo Mix)
17. From A Dead Beat To An Old Greaser (Steven Wilson Stereo Mix)
18. Bad-Eyed And Loveless (Steven Wilson Stereo Mix)
19. Big Dipper (Steven Wilson Stereo Mix)
20. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Steven Wilson Stereo Mix)
21. Pied Piper (Steven Wilson Stereo Mix)
22. The Chequered Flag (Dead Or Alive) [Steven Wilson Stereo Mix]
23. Prelude (Steven Wilson Stereo Mix)
24. Quiz Kid (Steven Wilson Stereo Mix)
25. Crazed Institution (Steven Wilson Stereo Mix)
26. Salamander (Steven Wilson Stereo Mix)
27. Taxi Grab (Steven Wilson Stereo Mix)
28. From A Dead Beat To An Old Greaser (Steven Wilson Stereo Mix)
29. Bad-Eyed And Loveless (Steven Wilson Stereo Mix)
30. Big Dipper (Steven Wilson Stereo Mix)
31. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Steven Wilson Stereo Mix)
32. Pied Piper (Steven Wilson Stereo Mix)
33. The Chequered Flag (Dead Or Alive) [Steven Wilson Stereo Mix]
34. Prelude (Steven Wilson Stereo Mix)
35. Quiz Kid (Steven Wilson Stereo Mix)
36. Crazed Institution (Steven Wilson Stereo Mix)
37. Salamander (Steven Wilson Stereo Mix)
38. Taxi Grab (Steven Wilson Stereo Mix)
39. From A Dead Beat To An Old Greaser (Steven Wilson Stereo Mix)
40. Bad-Eyed And Loveless (Steven Wilson Stereo Mix)
41. Big Dipper (Steven Wilson Stereo Mix)
42. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Steven Wilson Stereo Mix)
43. Pied Piper (Steven Wilson Stereo Mix)
44. The Chequered Flag (Dead Or Alive) [Steven Wilson Stereo Mix]
45. From A Dead Beat To An Old Greaser (Monte Carlo January 1976)
46. Bad-Eyed And Loveless (Monte Carlo January 1976)
47. Big Dipper (Monte Carlo January 1976)
48. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Brussels November 1975)
49. The Chequered Flag (Dead Or Alive) [Brussels November 1975]
50. From A Dead Beat To An Old Greaser (Monte Carlo January 1976)
51. Bad-Eyed And Loveless (Monte Carlo January 1976)
52. Big Dipper (Monte Carlo January 1976)
53. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Brussels November 1975)
54. The Chequered Flag (Dead Or Alive) [Brussels November 1975]

[DVD2]
1. Salamander’s Rag Time (Steven Wilson Mix)
2. Commercial Traveller (Steven Wilson Mix)
3. A Small Cigar (Steven Wilson Mix) [Acoustic Version]
4. Strip Cartoon (Steven Wilson Mix)
5. Salamander’s Rag Time (Steven Wilson Mix)
6. Commercial Traveller (Steven Wilson Mix)
7. A Small Cigar (Steven Wilson Mix) [Acoustic Version]
8. Strip Cartoon (Steven Wilson Mix)
9. Quiz Kid (Version 1)
10. One Brown Mouse (Early Version) [Original Master Mix]
11. Salamander (Steven Wilson Mix) [Instrumental]
12. Strip Cartoon
13. A Small Cigar (Orchestrated Version) [Original Rough Mix]
14. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die! (Demo) [Steven Wilson Mix]
15. Prelude
16. Quiz Kid
17. Crazed Institution
18. Salamander
19. Taxi Grab
20. From A Dead Beat To An Old Greaser
21. Bad-Eyed And Loveless
22. Big Dipper
23. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die!
24. Pied Piper
25. The Chequered Flag (Dead Or Alive)
26. Prelude
27. Quiz Kid
28. Crazed Institution
29. Salamander
30. Taxi Grab
31. From A Dead Beat To An Old Greaser
32. Bad-Eyed And Loveless
33. Big Dipper
34. Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die!
35. Pied Piper
36. The Chequered Flag (Dead Or Alive)

Ovviamente i brani sembrano metà di mille perché gli stessi brani appaiono più volte in diverse versioni. Eichetta Chrysalis/Parlophone/Warner già uscito pure questo, ma lo scorso venerdì 27 novembre.

neal casal interludes

Sempre lo scorso 27 è uscito questo strano doppio, attribuito a tali Circles Around The Sun e intitolato Interludes For The Dead. Etichetta Warner per questo album che in effetti è opera di Neal Casal con la sua band (tutti lo ricordiamo sia per la sua carriera solista che per essere stato a lungo il solista nei Cardinals di Ryan Adams e ultimamente suona sia nei Chris Robinson Brotherhood, quanto negli Hard Working Americans): evidentemente questa estate aveva dei giorni liberi e, casualmente, nei giorni in cui i Grateful Dead registravano il loro Fare Thee Well Tour, Casal si esibiva nelle pause delle esibizioni dei Dead, da lì il titolo del CD, in lunghe improvvisazioni acide e psichedeliche, 10 in tutto, tra i 5 e i 25 minuti, che ora sono state raccolte in questo doppio album.. Niente male, tra l’altro: per avere una idea….

Track Listing
Disc One
1. “Hallucinate A Solution”
2. “Gilbert’s Groove”
3. “Kasey’s Bones”
4. “Space Wheel”
Disc Two
1. “Ginger Says”
2. “Farewell Franklins”
3. “Saturday’s Children”
4. “Scarlotta’s Magnolias”
5. “Hat And Cane”
6. “Mountains Of The Moon”

I titoli ovviamente prendono spunto dalla musica dei Grateful Dead.

ethan johns silver liner

Altro nome a lungo legato a Ryan Adams per averne prodotto alcuni degli album migliori (in particolare Heartbreaker Gold, oltre a decine di altri ottimi album, gli ultimi due quelli di Tom Jones e anche il nuovo degli australiani Boy & Bear, di cui sarà il caso parlare) è quello di Ethan Johns, musicista e produttore inglese, ma dal suono decisamente americano: con un paio di album alle spalle, buoni anche se non eccelsi, uno proprio prodotto da Adams, il secondo, che mi piaceva parecchio, ora realizza questo Silver Liner, su etichetta Three Crows Records, ma distribuita da Caroline/Universal, sempre disponibile dal 27 novembre. Accompagnato dai Black Eyed Dog, ovvero Jeremy Stacey alla batteria, Nick Pini al basso e dal grande musicista BJ Cole alla pedal steel guitar, Johns realizza veramente un gran bel disco. Tra ballate, pezzi rock, elementi country e west coast (bellissimi i cori di Gillian Welch Bernie Leadon in Juanita), sarà il caso di dedicare il giusto spazio a questo disco. Per il momento sentite che bella la title-track, sembra qualche pezzo perduto di Neil Young.

carly simon songs from the trees

E per finire, una bella antologia doppia, l’ennesima, dedicata a Carly Simon: pubblicata in contemporanea alla sua autobiografia  si intitotola Songs From The Trees: A Musical Memoir Collection, Elektra/Rhino l’etichetta, 20 novembre la data di uscita e ripercorre tutta la carriera della ex moglie di James Taylor, dagli inizi con le sorelle, nel raro brano Winken’, Blinkin’ And Nod a nome Simon Sisters, fino a due brani inediti, posti in chiusura del secondo disco. Il tutto ha una nuova rimasterizzazione 2015 e suona veramente bene.

Ovviamente You’re So Vain è presente https://www.youtube.com/watch?v=iWi6NQNQ7OQ; insieme ad 30 altri brani che rivelano una cantautrice molto sottovalutata rispetto al suo vero valore:

[CD1]
1. Boys In The Trees (2015 Remastered)
2. Winken’, Blinkin’ And Nod – The Simon Sisters
3. Orpheus (2015 Remastered)
4. Older Sister (2015 Remastered)
5. It Was So Easy (2015 Remastered)
6. Embrace Me, You Child (2015 Remastered)
7. Hello Big Man (2015 Remastered)
8. Two Hot Girls (On A Hot Summer Night)
9. It Happens Everyday (2015 Remastered)
10. His Friends Are More Than Fond Of Robin (2015 Remastered)
11. I’m All It Takes To Make You Happy (2015 Remastered)
12. That’s The Way I’ve Always Heard It Should Be (2015 Remastered)
13. I’ve Got To Have You (2015 Remastered)
14. Anticipation (2015 Remastered)
15. Legend In Your Own Time (2015 Remastered)
16. Three Days (2015 Remastered)

[CD2]
1. Julie Through The Glass (2015 Remastered)
2. We Have No Secrets (2015 Remastered)
3. You’re So Vain (2015 Remastered)
4. Mind On My Man (2015 Remastered)
5. Mockingbird (2015 Remastered)
6. After The Storm (2015 Remastered)
7. Haunting (2015 Remastered)
8. In Times When My Head (2015 Remastered)
9. You Belong To Me (2015 Remastered)
10. We’re So 2015 Remastered)
11. From The Heart (2015 Remastered)
12. Come Upstairs (2015 Remastered)
13. The Right Thing To Do (2015 Remastered)
Previously Unissued Bonus Selections:
14. Showdown
15. I Can’t Thank You Enough

Anche per oggi è tutto, alla prossima, domani tocca al nuovo Eric Clapton Live alla Royal Albert Hall.

Bruno Conti

Tre Album Belli Di Fila Non Sono Un Caso, Ormai E’ Uno Dei “Nostri”! Tom Jones – Long Lost Suitcase

tom jones long lost

Tom Jones – Long Lost Suitcase – Virgin/EMI CD

Thomas Jones Woodward, meglio conosciuto come Tom Jones, a settant’anni suonati (75, per la precisione) si è finalmente deciso a fare musica come si deve. Per più di cinque decenni infatti il cantante gallese ha messo la sua formidabile voce al servizio di canzonette pop di poco conto ( non sempre), che hanno sicuramente contribuito a portare il suo conto in banca a livelli notevoli, ma lo hanno sempre reso indigesto ai veri music lovers, perdendo poi anche una buona parte di dignità a inizio secolo con il suo comeback nelle classifiche grazie allo strepitoso successo della pessima Sex Bomb, dopo che ormai buona parte del pubblico lo riteneva artisticamente sepolto in quel cimitero degli elefanti che può essere per certi artisti Las Vegas. Poi, nel 2010, il clamoroso colpo di coda con l’ottimo Praise & Blame, un bellissimo disco nel quale Tom esplorava le sue radici folk, blues e gospel con un suono spoglio ed in gran parte acustico, con Ethan Johns (figlio del grande Glyn) in cabina di regia: un disco in cui il nostro dava nuova linfa a brani della tradizione più profonda, ai quali affiancava covers (Tom è sempre stato un interprete più che un autore) di gente come Bob Dylan, Billy Joe Shaver e Pops Staples.

Una metamorfosi che aveva dell’incredibile, con Johns nei panni di quello che Rick Rubin è stato per Johnny Cash nell’ultimo periodo della carriera dell’Uomo in Nero (che però non aveva mai smesso di fare buona musica, ma veniva soltanto da uno sfortunatissimo periodo alla Mercury, dopo essere stato lasciato a casa negli anni ottanta dalla Columbia) e, in parte, per Neil Diamond (gli album 12 Songs e Home Before Dark), che invece non aveva mai avuto un problema di vendite o di bontà nel songwriting, ma semmai di arrangiamenti gonfi e ridondanti e attitudine da superstar (del tipo “Io sono Neil Diamond e voi non siete un c****!”). La reazione a Praise & Blame fu tale che Tom nel 2012 bissò con l’altrettanto valido Spirit In The Room, che con lo stesso tipo di arrangiamenti essenziali prendeva in considerazione più che altro autori contemporanei (ancora Dylan, Tom Waits, Leonard Cohen, Paul McCartney, Paul Simon, Richard Thompson) ed anche talenti più recenti del calibro di Joe Henry e dei bravi Low Anthem. Ora Tom completa quella che può sembrare una trilogia con l’eccellente Long Lost Suitcase (che viene proposto come il CD di accompagnamento alla nuovissima autobiografia del gallese), un nuovo, bellissimo lavoro che dopo appena un paio di ascolti si rivela perfino superiore ai due precedenti.

Sempre prodotto da Johns Jr., Long Lost Suitcase vede il solito schema, cioè Jones che riprende classici del presente e del passato che hanno avuto una qualche influenza su di lui, ma stavolta con una maggiore propensione elettrica e diversi omaggi al blues (ma folk e anche qualcosa di country non mancano). Tom ha sempre una voce straordinaria nonostante i 75 anni (e l’età gli ha conferito anche un feeling che, repertorio commerciale a parte, in passato non aveva mai palesato), ha ormai trovato la sua dimensione ideale in queste interpretazioni, e Johns è il suo perfetto alter ego: in questo CD c’è molto blues come ho già accennato, ma anche più chitarre ed una sezione ritmica che si fa sentire in misura maggiore rispetto ai due album precedenti, decisamente più folk oriented. I musicisti presenti nel disco non sono molti: a parte Johns, che suona un po’ di tutto, abbiamo l’ottimo Fiachra Cunningham al violino, il noto chitarrista Andy Fairweather-Low (Eric Clapton, Roger Waters, ecc.) alla ritmica, Jeremy Stacey alla batteria, mentre al basso si alternano Ian Jennings e Dave Bronze.

L’album si apre con un pezzo poco noto di Willie Nelson, Opportunity To Cry (era su Pancho & Lefty, il disco del 1983 con Merle Haggard): la melodia è tipica del barbuto countryman texano, e l’arrangiamento spartano non fa che rendere giustizia al brano, con Tom che vocalmente si allinea alle performance da brivido di Willie. Honey Honey è la prima scelta sorprendente, un brano dei Milk Carton Kids, riproposto come se fosse un bluegrass di quando Tom aveva sì e no dieci anni, con banjo e violino a dettare legge e la brava irlandese Imelda May alla seconda voce; Take My Love (I Want To Give It) è il primo blues del CD (di Little Willie John), un giro classico, cantato in maniera potente dal gallese e la band che lo accompagna in maniera tesa ed elettrica, con un bel assolo centrale di Ethan. La nota Bring It On Home (Sonny Boy Williamson, ma anche Led Zeppelin) mantiene il disco in territori blues, con il gruppo che qui è molto più discreto e lascia campo libero alla voce di Tom, il quale si comporta come il più consumato dei bluesman; Everybody Loves A Train è un’altra bella scelta trasversale, un brano poco noto dei Los Lobos (era su Colossal Head, forse il disco più ermetico dei Lupi): Tom con la voce fa ciò che vuole, inizia parlando, quasi gigioneggia, poi nel refrain si lascia andare in tutta la sua potenza, mentre la band commenta in maniera quasi sporca, in pieno stile Lobos.

Nella sua biografia Jones darà sicuramente spazio anche ad Elvis Presley (nel booklet del CD è ritratto insieme a lui e Priscilla), ma invece di scegliere un brano del King opta per Elvis Presley Blues di Gillian Welch, offrendone un’interpretazione sofferta, drammatica, quasi alla Odetta, con Johns che lo circonda con una chitarra vibrata al limite della distorsione: quasi impensabile pensare che stiamo parlando dello stesso personaggio che cantava Delilah. Ed eccoci all’high point del disco (a mio parere): He Was A Friend Of Mine è un pezzo inciso da molti in passato, soprattutto in ambito folk (di Dave Van Ronk la versione più nota, ma anche Dylan la cantava spesso nelle coffeehouses del Village), e qui troviamo solo Tom ed Ehtan con la slide acustica, con il nostro che tira fuori una performance da pelle d’oca, al limite della commozione, sentire per credere. Factory Girl è proprio quella dei Rolling Stones, e qui Jones rispetta la melodia originale (ma che voce) e Johns la riveste di sonorità decisamente bucoliche, mentre con I Wish You Would (Billy Boy Arnold) si torna al blues ruspante, con una versione spedita e roccata, molto anni sessanta, ed una serie di assoli quasi ipnotici.

‘Til My Back Ain’t Got No Bone (di Eddie Floyd, l’ha fatta anche Albert King) rimane in zona blues, ma in maniera più tranquilla, con la solita voce che si staglia imperiosa; Why Don’ You Love Me Like You Used To Do? è un noto brano di Hank Williams, che vede Tom divertirsi con una interpretazione gioiosa e solare, in linea con l’originale, dandoci una delle prove più godibili del disco, quasi non avesse fatto altro che country nella sua carriera. L’album si chiude con la famosa Tomorrow Night (Lonnie Johnson, ma anche Elvis e Dylan), qui in veste jazz afterhours, molto raffinata, e con la deliziosa e countreggiante Raise A Ruckus, un traditional che hanno rifatto in mille, da Jesse Fuller a Uncle Earl, passando per Bill Kirchen e gli Old Crow Medicine Show.

Tom Jones è definitivamente rinsavito (meglio tardi che mai), e Long Lost Suitcase è indubbiamente uno dei dischi più belli del 2015.

Marco Verdi