Un Album Dal Vivo Splendido E “Miracoloso”. Fabrizio De André & PFM – Il Concerto Ritrovato

fabrizio de andrè + PFM Il Concerto ritrovato

Fabrizio De André & PFM – Il Concerto Ritrovato – Sony CD – 2LP

Esce finalmente in CD e doppio LP la versione audio de Il Concerto Ritrovato, film uscito nelle sale lo scorso febbraio (quindi prima del lockdown) che documenta lo show che Fabrizio De André e la Premiata Forneria Marconi tennero presso la Fiera di Genova il 3 gennaio 1979. Per anni si era creduto che le immagini di quella serata fossero andate perse per sempre, fino a quando un po’ di tempo fa è stata ritrovata una videocassetta che documentava proprio lo show in questione, anche se le condizioni del nastro sembravano compromesse sia dal punto di vista sonoro che visivo: c’è voluto un certosino lavoro di restauro da parte di Lorenzo Cazzaniga e Paolo Piccardo (descritto nei minimi dettagli nelle note riportate sul libretto accluso alla bella confezione del CD) per consentire anche alle nostre orecchie di godere dell’esito di quello spettacolo, e devo dire che i due hanno svolto un lavoro fantastico, ai limiti del miracoloso, in quanto il suono sembra il risultato di un concerto tenutosi appena qualche mese fa.

Non è la prima volta che il tour del cantautore genovese insieme al noto gruppo prog-rock viene documentato da un’uscita ufficiale, dato che già nel 1979 e 1980 vennero realizzati i due volumi (in seguito uniti insieme) di Fabrizio De André In Concerto – Arrangiamenti PFM, e nel 2012 un altro live inedito venne inserito nello splendido cofanetto I Concerti; anche se la setlist di questo nuovo live è sovrapponibile a quelle dei lavori citati poc’anzi, è sempre un piacere riascoltare alcune delle più belle canzoni italiane di sempre riarrangiate in chiave elettrica. All’epoca il connubio De André/PFM ottenne anche diverse critiche proprio per il fatto che un cantautore “puro” come il genovese si fosse in un certo senso venduto in nome del rock, ma le lamentele riguardarono più che altro i critici dato che il pubblico fortunatamente rispose con entusiasmo. De André in quel periodo era in grande forma ed aveva appena pubblicato uno dei suoi album migliori, Rimini, ed Il Concerto Ritrovato documenta splendidamente uno dei migliori momenti della carriera del nostro insieme al miglior gruppo che abbia mai avuto alle spalle, una band di grandi musicisti (Franco Mussida, Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Flavio Premoli, Lucio Fabbri e Roberto Colombo) in grado di donare alle composizioni di Fabrizio un sapore completamente nuovo pur rispettandone al 100% la struttura originaria.

Ascoltiamo quindi scintillanti versioni di classici assoluti (La Canzone Di Marinella, Il Testamento Di Tito, l’esilarante Il Giudice, la struggente La Guerra Di Piero, Via Del Campo, Bocca Di Rosa), ma anche i primi frutti della collaborazione appena inagurata con Massimo Bubola (Andrea, Rimini, Sally, il coinvolgente bluegrass in lingua sarda Zirichiltaggia ed Avventura A Durango, bellissimo adattamento italiano della Romance In Durango di Bob Dylan). Non mancano brani meno noti del songbook di De André, come Maria Nella Bottega Del Falegname, la drammatica Giugno ’73 e la toccante Verranno A Chiederti Del Nostro Amore, mentre trova posto anche un piccolo capolavoro come la “coheniana” Amico Fragile, in una superba rilettura che supera gli otto minuti; chiusura con Volta La Carta e Il Pescatore, entrambe in una veste sonora assolutamente trascinante.

Un live imperdibile quindi questo Il Concerto Ritrovato, un modo unico di ricordare il più grande cantautore italiano di sempre in uno dei suoi momenti di massimo splendore artistico.

Marco Verdi

Dopo Jono Manson, Torna Un Altro Songwriter Amico Dell’Italia. Bocephus King – The Infinite And The Autogrill, Vol. 1

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Bocephus King – The Infinite And The Autogrill, Vol. 1 – Appaloosa/IRD CD

Bocephus King, musicista canadese di Vancouver (all’anagrafe James Perry), alla fine degli anni novanta sembrava una delle “next big things” del cantautorato mondiale. Dopo l’esordio nel 1996 con Joco Music (da lui poco amato), King pubblicò infatti nel 1998 e nel 2000 due tra i più riusciti lavori di quegli anni, A Small Good Thing e The Blue Sickness, due album che rivelavano un musicista geniale e creativo, con influenze che andavano da Bob Dylan a Van Morrison passando per Tom Waits e Bruce Springsteen, ma anche Townes Van Zandt e Willie Nelson (la splendida Ballad Of The Barbarous Nights, che chiudeva alla grande The Blue Sickness, sembrava proprio un valzerone del countryman texano). Negli anni seguenti il nostro si perse un po’, complice un comportamento un po’ naif e “freak” e soprattutto un lungo silenzio tra All Children Believe In Heaven del 2003 e l’ottimo Willie Dixon God Damn! del 2011 (secondo chi scrive il suo ultimo lavoro di un certo spessore). Nello stesso periodo King ha cominciato a frequentare il nostro paese (da lui sempre amato in quanto grande appassionato di arte, poesia e cinema d’autore), partecipando a più riprese agli annuali Buscadero Day e soprattutto a svariate edizioni del Premio Tenco, ricevendo anche più di un riconoscimento.

Senza dimenticare l’amicizia con Andrea Parodi, che lo porterà a produrre i primi due album del musicista di Cantù, e la decisione di intitolare la bellissima antologia uscita nel 2015 Amarcord, in omaggio a Federico Fellini. Ora, a cinque anni di distanza dal discreto The Illusion Of Permanence e quattro dal doppio CD di cover Saint Eunice, Bocephus pubblica quello che si può considerare il suo disco più “italiano” di sempre: intanto esce per la nostrana Appaloosa (sua etichetta già da qualche anno), poi è prodotto proprio insieme all’amico Parodi, ed infine l’emblematico titolo The Infinite And The Autogrill (con quel Vol. 1 che fa presagire un seguito) che rivela la sua ammirazione per le opere di Giacomo Leopardi e per le canzoni di Francesco Guccini (e proprio Autogrill del cantautore di Pavana è stata interpretata in uno dei passati Premi Tenco da King), entrambi tra l’altro raffigurati sul disegno in copertina. E l’album, inciso tra Vancouver e Meda (comune della Brianza) è davvero riuscito, forse il migliore del nostro da Willie Dixon God Damn!, un lavoro di un artista finalmente ispirato e “sul pezzo” come non accadeva da diverso tempo. King non si perde in inutili svolazzi artistici ma ci consegna un disco solido, ben suonato e con una miscela creativa e stimolante di rock, folk, Americana ed un pizzico di soul.

Tra i musicisti che lo accompagnano troviamo nomi di caratura internazionale come la violinista Scarlet Rivera, il rocker James Maddock e Vini “Mad Dog” Lopez, mitico primo batterista della E Street Band, oltre a realtà nostrane come lo stesso Parodi ed il chitarrista Alex “Kid” Gariazzo (Treves Blues Band). L’iniziale One More Troubadour, dalla lunga introduzione acustica, è un folk-rock cupo ed intenso, con un backgroung elettrico, uno sviluppo melodico discorsivo che ricorda certe ballatone di Tom Petty ed un suggestivo uso di violino e violoncello. Something Beautiful è una deliziosa e solare ballata blue-eyed soul chiaramente ispirata alle opere dei primi anni settanta di Van The Man, con quell’aria californiana ed un gusto pop dietro ad ogni nota; inizialmente pensavo che Buscadero fosse dedicata al mensile musicale che nel 1998 mise per primo il nostro in copertina, ma invece è un racconto western con un testo che mescola antico e moderno citando Toro Seduto, Buffalo Bill, Annie Oakley, Akira Kurosawa e Sergio Leone (il Buscadero è il cinturone nel quale i pistoleri del vecchio West infilavano le pallottole), e musicalmente è un mix strano ma coinvolgente tra folk, western, rock, Messico ed un pizzico di Oriente, un brano debordante dallo stile curiosamente simile a quello del nostro Vinicio Capossela. The Other Side Of The Wind è splendida, una sontuosa rock ballad notturna tra Waits e Springsteen, con le chitarre acustiche ed elettriche a guidare il motivo insieme ad un bel pianoforte e la steel che accarezza sullo sfondo, una canzone che differisce nettamente da John Huston, che vede Bocephus alle prese con una frenetica e sbilenca rock’n’roll song dallo stile quasi ska, con un refrain diretto al quale partecipano vocalmente anche Parodi, Maddock e Lopez.

Identity, in cui spunta anche un sitar, è una ballata fluida e decisamente intrigante, con una melodia accattivante che colpisce al primo ascolto, mentre Life Is Sweet è una incantevole folk song bucolica dal retrogusto old time dato dall’uso dei fiati in puro Dixieland style. Ho volutamente lasciato alla fine le uniche due cover del disco, che uniscono ancora di più King all’Italia dato che sto parlando di due versioni in inglese di classici della musica nostrana (e nessuno dei due è Autogrill): la prima è una splendida rilettura di Lugano Addio di Ivan Graziani intitolata Farewell Lugano, che diventa un terso e limpido folk-rock alla George Harrison con Bocephus doppiato dalla voce di Claudia Buzzetti, uno dei momenti migliori del CD. Creuza De Ma era già una grande canzone nell’interpretazione originale di Fabrizio De André, ed il passaggio dal dialetto genovese all’inglese non ne scalfisce per nulla la bellezza, con il nostro che accelera leggermente il tempo ma mantiene intatta la struttura melodica. Dopo Jono Manson ecco quindi un altro songwriter d’oltreoceano con il cuore in Italia: The Infinite And The Autogrill, Vol. 1 non sarà bello come https://discoclub.myblog.it/2020/02/12/il-miglior-lavoro-di-sempre-del-nostro-amico-ormai-mezzo-italiano-jono-manson-silver-moon/ ma di certo è uno dei migliori di Bocephus King, e mi sento perciò di consigliarlo senza remore.

Marco Verdi

Secondo Me Approverebbe Anche Bob! Francesco De Gregori – Amore E Furto: De Gregori Canta Dylan

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Francesco De Gregori – Amore E Furto:  De Gregori Canta Dylan – Caravan/Sony CD

Per una grande maggioranza della stampa italiana che procede per stereotipi, e sempre gli stessi, Francesco De Gregori è il Bob Dylan italiano, come se ce ne fosse anche uno spagnolo, tedesco o cinese. Intendiamoci, il cantautore romano non ha mai nascosto il suo amore per il menestrello di Duluth (definizione da me usata in maniera volutamente ironica), ma da qui a farlo sembrare un apostolo del Bardo ce ne vuole: De Gregori ha infatti sempre avuto uno stile suo, anche se i riferimenti dylaniani nelle sue opere sono molteplici, ed anche lui secondo me qualche volta ci ha un po’ giocato, nel modo di cantare, nel riarrangiare le sue canzoni dal vivo, perfino nel modo di suonare l’armonica (nel live Il Bandito E Il Campione c’è un assolo, mi sembra in Rimmel, che ricalca pari pari quello di Bob in It Ain’t Me, Babe tratta da Real Live). A molti è parso quindi normale che, a questo punto della sua carriera, il nostro abbia deciso di pubblicare un album intero di sole cover dylaniane, arrivando anche a mutuarne il titolo, Amore E Furto, da un lavoro del leggendario cantautore americano (Love And Theft, appunto); De Gregori però ci ha tenuto a specificare, a mio parere giustamente, che il suo amore per Dylan è più assimilabile alla (sconfinata) ammirazione di un collega che all’adorazione di un fan, tanto più che, nell’ormai famosa serata dello scorso Luglio in cui lui e Bob hanno suonato sullo stesso palco a Lucca, Francesco ha volutamente evitato di incontrarlo, lasciando con un palmo di naso tutti quei giornalisti pronti a scrivere un articolo del tipo “L’allievo incontra il maestro”.

de gregori canta dylan

Amore E Furto è stato inciso nelle varie pause dell’ultimo tour di De Gregori, con la sua ormai abituale band (Guido Guglielminetti, che è anche il produttore, al basso, Paolo Giovenchi e Lucio Bardi alle chitarre, Alessandro Arianti all’organo e tastiere, Stefano Parenti alla batteria, Alessandro Valle alla steel, mandolino e banjo, Elena Cirillo al violino, oltre al consueto ensemble di cori femminili): in questo disco il Principe (uno dei soprannomi affibbiati dai fans al nostro) ha scelto undici canzoni, optando per alcuni episodi anche minori del repertorio dylaniano, ed evitando i superclassici del calibro di Like A Rolling Stone, Blowin’ In The Wind, Mr. Tambourine Man, ecc. Ebbene, De Gregori ha avuto un grande rispetto per Dylan, sia nella scelta degli arrangiamenti (in quasi tutti i casi tranne un paio assolutamente aderenti agli originali, in quanto non si è sentito in diritto, e questo dimostra umiltà, di stravolgere le canzoni del più grande songwriter di sempre), sia nelle traduzioni: un lavoro certosino con il quale il nostro è pienamente riuscito a mantenere il senso dei brani originali, pur con inevitabili adattamenti dovuti più che altro a problemi di metrica, rime e anche per la presenza di espressioni tipicamente americane ma che da noi non avrebbero significato nulla.

Intelligente infine l’idea di riportare sull’elegante libretto incluso nel CD anche i testi originali, in modo da offrire un confronto con la traduzione a fronte, comprendendo anche le parti non tradotte per ragioni di minutaggio e di impossibilità oggettiva (De Gregori ha ammesso di aver provato anche con altre canzoni, tra cui My Back Pages, ma di aver rinunciato proprio per la complessità dei versi in inglese). L’album si apre con Un Angioletto Come Te (uscita anche come singolo), versione tradotta da Sweetheart Like You, un brano preso da Infidels e di cui all’epoca era stato fatto anche un video ma che oggi è piuttosto dimenticato: Francesco lo ripropone con un suono solido, dove le chitarre si sentono chiaramente, mantenendo lo spirito dell’originale ma nello stesso tempo dandole quel tocco personale tale da farla sembrare quasi sua. Servire Qualcuno è il più celebre dei brani “a elencazione” di Dylan, cioè Gotta Serve Somebody (altri esempi in tal senso possono essere No Time To Think e Everything Is Broken), e quindi quello che dovrebbe aver dato a De Gregori la maggior libertà di movimento senza alterare il senso della canzone: particolarmente apprezzabili il verso autobiografico “You may call me Bobby, you may call me Zimmy” che diventa “Puoi chiamarmi Ciccio, puoi chiamarmi Generale” e l’intuizione di tradurre high-degree thief (ladro d’alto grado) con “senatore”. Non Dirle Che Non E’ Così (If You See Her, Say Hello) era già stata pubblicata dal nostro come bonus track di studio sul live La Valigia Dell’Attore (e scelta da Bob in persona per la colonna sonora del bizzarro Masked And Anonymous), ma per questo album è stata reincisa ex novo, ed ascoltarla è sempre un piacere, grazie anche alla voce carismatica del nostro, alla quale l’età ha conferito maggior calore. https://www.youtube.com/watch?v=D9AmQQo4jGU

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Ed ecco a mio parere l’highlight del disco: Via Della Povertà è la versione di Desolation Row, un brano che farebbe tremare le gambe a chiunque, eppure Francesco cambia totalmente l’arrangiamento con una disinvoltura disarmante, facendola diventare una ballata rock elettrica, vibrante ed appassionata, avendo avuto l’intelligenza di capire che ricreare l’atmosfera intima ed acustica dell’originale apparso su Highway 61 Revisited sarebbe stato impossibile, e dandoci una canzone praticamente rinnovata, un capolavoro che assume un aspetto inedito ma non per questo meno stimolante. (NDM: Francesco l’aveva già tradotta nel 1974, con il medesimo titolo, per l’album Canzoni di Fabrizio De André, anche se con parole completamente diverse e molto meno aderenti all’originale) https://www.youtube.com/watch?v=KaecBjAbqlA .

Anche Come Il Giorno, cioè I Shall Be Released, era già stata incisa una volta da De Gregori (per il semi-antologico Mix), e questo arrangiamento si rifà molto di più alla versione di The Band che a quella di Dylan (anche le armonie vocali ricalcano volutamente quelle del gruppo di Robbie Robertson), ma l’accompagnamento elettrico ed il cantato teso è più in linea con l’adattamento live di The Last Waltz che con quello in studio di Music From Big Pink. Mondo Politico e Non E’ Buio Ancora vengono dal Dylan prodotto da Daniel Lanois (Political World e Not Dark Yet), e De Gregori riesce a ricreare alla perfezione le atmosfere del musicista canadese e, mentre la prima è quasi un copia-incolla (voluto, si intende), ma non è tra i miei brani preferiti da Oh, Mercy, la seconda è uno dei più bei testi dylaniani sul tempo che passa e sulla vecchiaia che avanza, e l’interpretazione del musicista romano è semplicemente toccante.

Acido Seminterrato vede il nostro cimentarsi con Subterranean Homesick Blues, cioè uno dei pezzi di Dylan che credevo più intraducibili, ma De Gregori se la cava alla grande, riuscendo anche a riproporre il suono elettrico vintage degli anni sessanta, anche se il famoso verso “You don’t need the weatherman to know which way the wind blows” tradotto con “Non ti serve un calendario per sapere qual è il mese” perde a mio parere gran parte della sua forza. Sono molto contento della presenza di Una Serie Di Sogni, dato che Series Of Dreams è nella mia Top Three personale delle canzoni di Dylan (anche qui Franceco l’aveva già tradotta per l’album Il Futuro di Mimmo Locasciulli, ma di nuovo con qualche differenza): è sempre una goduria, ma forse lo sarebbe anche se fosse cantata in giapponese (però non credo…). Tweedle Dum & Tweedle Dee (titolo originale quasi uguale, con Dum e Dee invertiti) non mi è mai piaciuta molto, ma si vede che De Gregori la pensa diversamente (e poi doveva pur prenderne una da Love And Theft), mentre Dignità, che chiude il CD, è una delle grandi canzoni di Bob (Dignity, ovviamente), cantata e suonata benissimo da Francesco e band, senza le sovraincisioni superflue di Brendan O’Brian nella versione pubblicata per prima da Dylan, sul suo terzo Greatest Hits, ed altro brillante lavoro di traduzione per un testo assolutamente non facile.

Piccola considerazione personale: è chiaro che è dura scegliere una manciata di brani dall’immenso songbook dylaniano, ma non nascondo che avrei ascoltato volentieri una versione in italiano di Positively 4th Street, forse il pezzo più velenoso della carriera di Bob (a parte il verso finale di Masters Of War), dato che al Principe la vena polemica non manca di certo. Un gran bel disco dunque, che evita l’effetto karaoke (ma con De Gregori non c’era questo pericolo), e dimostra tutto il rispetto del cantautore nostrano per il “maestro” d’oltreoceano, il quale, se verrà in possesso di una copia di Amore E Furto, non potrà che apprezzare.

Marco Verdi