Un Altro Ottimo Lavoro Per Il “Reverendo” Josh! Father John Misty – God’s Favorite Customer

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Father John Misty – God’s Favorite Customer – Sub Pop/Warner CD

Da quando ha abbandonato nel 2014 i Fleet Foxes, Josh Tillman ha fatto di tutto per recuperare in breve tempo il terreno perduto e, dopo essersi inventato l’alter ego di Father John Misty, direi che in pochi anni è riuscito ad annullare il distacco con la sua ex band. Pure Comedy, il suo album dello scorso anno, ha infatti ben figurato in parecchie classifiche dei dischi migliori del 2017, anche se spesso in riviste musicali poco affidabili o addirittura in rotocalchi patinati. Ma, come ho avuto modo di scrivere nella mia recensione di “recupero” https://discoclub.myblog.it/2018/01/11/qualche-volta-anche-le-riviste-cool-ci-azzeccano-father-john-misty-pure-comedy/ , per una volta ci avevano visto giusto, in quanto Pure Comedy era un gran bel disco di pop-rock classico, per nulla modaiolo ma anzi influenzato sia da sonorità californiane anni settanta (grazie anche alla presenza di Jonathan Wilson come produttore) sia dal suono dei primi dischi di Elton John, oltre che naturalmente dai Fleet Foxes stessi. Ora, a distanza di poco più di un anno Josh/Father John torna a sorpresa con un nuovo lavoro, God’s Favorite Customer, in parte differente dal suo predecessore (ed al momento non so se formato da canzoni lasciate fuori da Pure Comedy o da brani totalmente nuovi). Se Pure Comedy era un disco pensato a lungo, God’s Favorite Customer è invece più diretto, sia nel suono che nel minutaggio (dura infatti la metà, dieci canzoni per 38 minuti), per certi versi più rock ed immediato, anche se resta anni luce lontano dai prodotti commerciali da classifica (e questo vuol dire che il successo non gli ha dato alla testa).

Il piano è sempre uno strumento centrale nell’economia del suono, ma ci sono più chitarre, e pure la sezione ritmica è maggiormente presente, anche se nel finale si torna parzialmente alle atmosfere di Pure Comedy, con due-tre ballatone da antologia. La produzione stavolta è nelle mani di Tillman insieme a Jonathan Rado (membro della indie band Foxygen), ma Wilson è stato ancora coinvolto come produttore aggiunto in qualche pezzo, mentre la maggioranza degli strumenti è suonata dal nostro (e da Rado), con interventi qua e là di Elijah Thomson al basso, Jon Titterington al piano e David Vandervelde alle chitarre. Si percepisce subito il cambio di atmosfera dall’iniziale Hangout At The Gallows, un pop-rock di stampo quasi beatlesiano diretto ed orecchiabile, con chitarre e piano in evidenza e la sezione ritmica presente da subito, un deciso cambiamento rispetto al mood etereo di Pure Comedy, anche se non manca un sottofondo di malinconia. La cadenzata (e, visto il titolo, autoreferenziale) Mr. Tillman potrebbe avere Jeff Lynne in cabina di regia, in quanto il gusto pop e l’utilizzo degli strumenti non è lontano da quelli del leader della ELO, con la vocalità del nostro che accompagna il brano lungo tutta la durata senza risultare verboso; Just Dumb Enough To Try sembra invece provenire dal disco precedente, un’ariosa ballata pianistica, suonata in modo classico e con una melodia deliziosa che rimanda ancora al giovane Elton John, con in aggiunta una parte strumentale centrale che sfiora la psichedelia.

Una chitarra acustica suonata con forza introduce Date Night, altro pop-rock vibrante e di impatto immediato, con un motivo un po’ sghembo ed effetti sonori mischiati ad arte per creare un cocktail stimolante, mentre Please Don’t Die è una sontuosa ballatona molto anni settanta, di nuovo costruita intorno a piano, chitarra e ad una melodia toccante, solo leggermente rarefatta nell’arrangiamento: si può parlare di “pop cosmico”? The Palace è ancora più lenta e meditata, quasi tutta basata su voce e piano (c’è anche una chitarra, ma molto timida), un pezzo decisamente interiore e quasi triste, ma dal grande pathos, che non so perché ma mi ha fatto venire in mente Laura Nyro, splendida cantautrice scomparsa da oltre vent’anni e purtroppo quasi dimenticata. Con Disappointing Diamonds Are The Rarest Of Them All (la fantasia nei titoli non gli difetta certo)) si torna ad una strumentazione più ricca, un altro pop-rock piacevole sin dal primo ascolto, con Padre John bravo anche dal punto di vista vocale, mentre la title track è una canzone tra il malinconico ed il bucolico, con il piano ancora sugli scudi, un motivo bello e profondo, tra i più riusciti del CD, ed un coro femminile modello “sirene di Ulisse”. L’album si chiude con la bellissima The Songwriter, intenso slow molto scarno nei suoni (voce, piano ed organo) ma di impatto emotivo notevole, e con We’re Only People (And There’s Not Much Anyone Can Do About That), sempre un lento ma molto più carico dal punto di vista strumentale, ancora con Elton nei pensieri ed un ottimo crescendo nel refrain.

Continua quindi il bel momento di Josh Tillman, alias Father John Misty, che sembra avere trovato una vena ed un’ispirazione per il momento inesauribili, con un disco che per certi versi potrà fare ancora meglio del suo predecessore. Esce il primo Giugno.

Marco Verdi

Qualche Volta Anche Le Riviste “Cool” Ci Azzeccano! Father John Misty – Pure Comedy

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Father John Misty – Pure Comedy – Bella Union/Sub Pop CD

Negli ultimi anni, in sede di stesura delle classifiche dei migliori album dell’anno, le riviste di settore (e non), diciamo “meno specializzate” fanno a gara a chi è più trendy, e più che guardare al reale valore dei dischi privilegiano gli artisti più “cool” e spesso con i migliori dati di vendita. Il 2017 non ha fatto eccezione, e di fianco ad una miriade di titoli che con questo blog c’entrano come i cavoli a merenda, spuntava sovente il nome di Father John Misty, che altri non è che Josh Tillman, ex batterista dei Fleet Foxes, sotto mentite spoglie. Sinceramente avevo bypassato la cosa, ma quando Bruno mi ha chiesto se volevo scrivere due righe a riguardo di questo Pure Comedy, in quanto a suo giudizio meritevole, ho drizzato le antenne e, da buon segugio, ho indagato (in poche parole, me lo sono procurato), scoprendo di essere effettivamente in presenza di un signor disco, un album decisamente ricco di spunti musicali interessanti e di belle canzoni, con un suono che sta tra il pop californiano classico, il primo Elton John (ci sono anche similitudini nella voce di Josh) e le ballate tipiche di uno come Jonathan Wilson, che guarda caso è anche il produttore del disco (ed il cui nuovo album, Rare Birds, in uscita ai primi di Marzo, è tra le novità più attese di questo inizio 2018, anche se le prime notizie che filtrano non sono rassicuranti). Pure Comedy è il terzo lavoro di Tillman come Father John Misty (ed il quarto pare sia già nei piani per quest’anno), ed è un lavoro lungo (74 minuti), profondo, di quelli che crescono alla distanza, un album pieno di canzoni di alto livello, sospese tra rock, pop, folk ed un pizzico di psichedelia, con dei punti in comune anche con la sua ex band, i già citati Fleet Foxes (e lo giudico anche superiore al loro ultimo CD, Crack-Up).

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https://www.youtube.com/watch?v=WfnXM_DmEzo

Le parti strumentali sono quasi tutte nelle mani di Tillman e Wilson, ma partecipano al disco anche i pianisti Keefus Ciancia e Thomas Bartlett (il piano ha un ruolo centrale nell’economia sonora dell’album), il chitarrista Elijah Thomson, il batterista Daniel Bailey, oltre al noto musicista Gavin Bryars al basso, vibrafono ed arrangiamenti orchestrali (anch’essi spesso presenti ma mai invadenti), ed il grande steel guitarist Greg Leisz. La title track, che apre l’album, è una ballata pianistica lenta ma profondamente melodica, che rimanda molto al giovane Elton John: dopo quasi tre minuti entra anche il resto della band, ma comunque in punta di piedi, e nel finale arriva anche una sezione archi e fiati a rendere più rotondo il suono. Un bell’inizio, molto classico. Molto bella anche Total Entertainment Forever, una rock ballad sontuosa ed ancora guidata da uno splendido pianoforte, e si sente anche lo zampino di Wilson, specie nella ricerca melodica e nell’arrangiamento deliziosamente retro. Ancora il piano introduce la cadenzata Things It Would Be Helpful To Know Before The Revolution (bel titolo, molto Randy Newman), un midtempo musicalmente ricco e con un altro motivo figlio di Elton, ma quello buono (cioè di dischi come Tumbleweed Connection e Madman Across The Water), anche se l’uso dell’orchestra sfiora la psichedelia: Josh predilige le atmosfere lente, quasi rarefatte, le ballate classiche, e devo dire che il risultato finale è superiore alle mie aspettative. Una chitarra acustica e gli immancabili rintocchi di piano introducono la fluida Ballad Of The Dying Man, altro pezzo melodicamente notevole, con un’anima pop che fuoriesce con classe da ogni nota.

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https://www.youtube.com/watch?v=wKrSYgirAhc&t=286s

Birdie ha un avvio un po’ sghembo, ed è un brano decisamente etereo, con la voce che si fa largo tra le scarne note del pianoforte, versi di gabbiani e percussioni appena accennate, ma che non manca di fascino, mentre Leaving L.A., con i suoi tredici minuti di durata, è il pezzo centrale del disco, una suggestiva ballata lenta e triste, ma dal pathos enorme, che vede solo Josh con la sua chitarra acustica e l’orchestra che ricama alle sue spalle: grande musica, per nulla commerciale tra l’altro. A Bigger Paper Bag è puro late sixties pop, tra (ancora) Elton John ed i Beatles, altra canzone in cui l’accompagnamento discreto è atto a valorizzare il motivo principale; con When The God Of Love Returns There’ll Be Hell To Pay torniamo alla struttura portante piano-voce, e melodicamente il brano è tra i più riusciti, mentre la sognante Smoochie rimanda addirittura ai Pink Floyd più bucolici, similitudine che prosegue con Two Widly Different Perspectives, anche a causa delle sonorità ambientali presenti, tipiche dell’ex gruppo di Roger Waters. The Memo è una squisita canzone dal sapore quasi folk, e precede la lunga So I’m Growing Old On Magic Mountain, altri dieci minuti splendidi, pieni di suoni e melodie celestiali, con la partecipazione della steel di Leisz ed un finale maestoso: tra le più belle del CD. Chiusura con In Twenty Years Or So, altro brano leggiadro tra pop d’autore e psichedelia comunque all’acqua di rose (tipo quella dei Moody Blues). Che altro dire? Forse non è il caso che io rifaccia la classifica dei migliori del 2017 per farci entrare questo Pure Comedy, ma di certo siamo in presenza di un album che merita tutta la vostra attenzione.

Marco Verdi

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P.S. Siccome ho citato i Moody Blues, volevo spendere due parole per ricordare Ray Thomas, scomparso lo scorso 4 Gennaio all’età di 76 anni per un cancro alla prostata, che del famoso gruppo britannico è stato una delle colonne portanti per quasi tutta la loro storia (aveva infatti lasciato nel 2002). Della band Thomas era uno dei due “baffoni” (l’altro è Graeme Edge) ed anche una delle voci, ma anche quello che scriveva meno canzoni, anche se il suono del suo flauto era molto importante nell’economia del gruppo, specie nei primi, gloriosi anni. Vorrei ricordarlo con quello che è forse il suo brano più noto tra quelli da lui composti, cioè Legend Of A Mind.

https://www.youtube.com/watch?v=ldSFuEOA9wc