Un Tipico Cantautore Americano Ma Con Un “Tocco” Italiano. Jaime Michaels – If You Fall

jaime michaels if you fall

Jaime Michaels – If You Fall Appaloosa/Ird

A tre anni di distanza dal precedente Once Upon A Different A Time, un buon album di folk, country ed Americana https://discoclub.myblog.it/2016/09/09/cerano-volta-ci-i-bravi-cantautori-jaime-michaels-once-upon-different-time/ , torna Jaime Michaels, cantautore di Boston, da anni trasferito nel Sud degli States, ancora una volta sotto l’egida dell’italiana Appaloosa, e con l’ottima produzione di Jono Manson, il tutto registrato negli studi casalinghi del musicista di Santa Fe, nel New Mexico. Per l’occasione Manson ha utilizzato una pattuglia di musicisti ancora migliore di quella peraltro eccellente del CD precedente: il nome di spicco è l’ottimo Jon Graboff, a lungo nei Cardinals di Ryan Adams, ma utilizzato anche da Norah Jones, Laura Cantrell, Shooter Jenningsi, un vero mago di tutti i tipi di chitarra, ma soprattutto della pedal steel. Tra i musicisti impiegati anche il bravissimo Radoslav Lorkovic alle tastiere e alla fisarmonica, il nostro Paolo Ercoli al dobro, una sezione ritmica dove ritorna Mark Clark, che si alterna alla batteria con Paul Pearcy, e Ronnie Johnson, il bassista di James McMurtry, più qualche altro collaboratore saltuario. Il disco si ascolta con grande piacere, un album scritto quasi interamente da Michaels, con due o tre sorprese che ora vediamo: i punti di riferimento sono i cantautori anni ’70, il suo idolo Tom Rush in primis, ma anche i componenti della famiglia Taylor, qualche tocco di Graham Nash, Paul Simon e del Jimmy Buffett meno scanzonato.

Le cover illustrano anche questa passione per la musica d’autore: They Call Me Hank è una deliziosa e sentita ripresa di un brano del non dimenticato e compianto Greg Trooper, uno splendido pezzo tra folk e country, dove la fisarmonica di Lorkovic, il mandolino di Graboff e il dobro di Ercoli sottolineano l’afflato melodico e malinconico di questo piccolo gioiellino, cantato in punta di fioretto, se mi passate l’espressione. In coda al CD, come bonus, troviamo anche una elegiaca e delicata Snowing On Raton di Townes Van Zandt, una delle sue più belle e suggestive country songs, con la pedal steel magica di Graboff e le armonie vocali avvolgenti  di Claudia Buzzetti e Jono Manson, una piccola meraviglia; la terza ed ultima cover è la più sorprendente, una versione, tradotta in inglese per l’occasione, di Rimmel di Francesco De Gregori, testo di Andrea Parodi, Jono Manson, Michaels e la collaborazione dello stesso cantautore romano. E tutto funziona a meraviglia, anche se è difficile superare l’originale, una delle canzoni più belle in assoluto di De Gregori, una capolavoro della musica italiana, qui ci si sposta verso un approccio tra Dylan e il country, con risultati di grande fascinazione, la pedal steel è sempre lo strumento guida, ma piano e tastiere accompagnano la voce evocativa per l’occasione di Jaime che convoglia lo spirito dell’originale con risultati eccellenti.

Questi tre brani varrebbero già da soli l’acquisto del CD, che al solito riporta i testi originali e la traduzione in italiano, le altre nove canzoni confermano lo status di cantautore di culto del bravo Jaime Michaels. Come la title-track If You Fall, un incalzante country-rock, dove pedal steel e chitarra elettrica guidano le danze, mentre l’organo propone le sue coloriture sullo sfondo, profondo anche il testo, sulla inevitabilità della vita, veramente una bella partenza, poi ribadita nel country-folk sognante della dolce Any Given Moment, sempre segnata da arrangiamenti di eccellente fattura, con chitarre, tastiere ed armonie vocali a segnarne il sound raffinato, ottima anche la cantautorale Red Buddha Laughs e le volute bluegrass-folk-cajun della divertente Bag o’Bones, con il violino di Gina Forsythe e la fisa di Lorkovic a menare le danze. Almost Daedalus è più intima e raccolta, con qualche rimando al primo James Taylor e anche a Paul Simon, mentre la divertente So It Goes si muove tra blues e ragtime e I Am Only (What I Am) è una pura folk song con un bel fingerpicking di chitarra, You Think You Know una bella ballata soffusa e sempre suonata e cantata con grande classe, come pure Carnival Town un brano più mosso e “roccato” dove si intuisce la mano di Jono Manson.

Nel complesso veramente un bel dischetto.

Bruno Conti

Una Doverosa Appendice Al Cofanetto! 2: Francesco De Gregori – Sotto Il Vulcano

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Francesco De Gregori – Sotto Il Vulcano – Caravan/Sony 2CD

Come ho già scritto nel mio lungo post dedicato al box Backpack http://discoclub.myblog.it/2017/01/21/lintegrale-di-uno-dei-pochi-grandi-musicisti-italiani-francesco-de-gregori-backpack/ , Francesco De Gregori negli ultimi 27 anni (cioè dal 1990, quando ne fece uscire tre in un colpo solo) si è messo a pubblicare album dal vivo con una cadenza degna dei Grateful Dead, o di Joe Bonamassa se vogliamo usare un paragone più recente. Per quanto mi riguarda non è un problema, in quanto ci troviamo di fronte ad uno dei migliori cantautori italiani, con un songbook formidabile e che in più ha la buona abitudine di non riproporre gli stessi brani sempre allo stesso modo, viceversa ama cambiare gli arrangiamenti, arrivando talvolta a stravolgerli (un po’ alla maniera di Bob Dylan, tanto per citare la sua più grande influenza) e, negli ultimi anni, a rivestirli di una scorza rock che negli anni settanta non era in lui molto presente. Sotto Il Vulcano è l’unico doppio live della sua discografia insieme a La Valigia Dell’Attore, ma è il primo a presentare un concerto intero, venti canzoni, così come lo ha ascoltato il pubblico quella sera: per l’esattezza stiamo parlando dello scorso 30 Agosto a Taormina al Teatro Antico, una serata che, a detta del nostro, è stata registrata a sua insaputa.

Ed il doppio CD è come al solito ampiamente riuscito, con il nostro che dal punto di vista vocale sembra migliorare con l’età, e con la band che lo accompagna che è ormai tra le migliori nel panorama nazionale: alla guida troviamo come sempre il bassista Guido Guglielminetti, coadiuvato dai due ottimi chitarristi Paolo Giovenchi e Lucio Bardi, da Alessandro Arianti alle tastiere, Stefano Parenti alla batteria, i bravissimi Alessandro Valle alla steel e mandolino ed Elena Cirillo al violino, più una sezione fiati di tre elementi (solo in alcuni brani). Il disco (a proposito, sempre e solo audio, a quando un bel DVD?) è, come già detto, molto bello, anche se i miei live preferiti del Principe restano Il Bandito E Il Campione e Fuoco Amico, maggiormente legati a sonorità rock: in Sotto Il Vulcano forse Francesco si prende pochi rischi nella scelta della scaletta (i successi ci sono praticamente tutti: La Leva Calcistica Della Classe ’68, Alice, Generale, Titanic, Rimmel, La Storia, La Donna Cannone, oltre a Buonanotte Fiorellino con l’ormai consueto arrangiamento costruito su Rainy Day Women # 12 & 35 di Dylan), anche se non mancano diversi classici minori (Pezzi Di Vetro, Caterina, Sempre E Per Sempre, L’Abbigliamento Di Un Fuochista).

La differenza la fanno gli arrangiamenti, e se Pezzi Di Vetro è proposta in una versione per sola voce e chitarra, L’Agnello Di Dio è potente e decisamente rock (anche se l’avrei preferita con meno fiati e più chitarre), Vai In Africa, Celestino! è puro folk-rock, ed è molto diversa dall’originale, mentre Alice diventa uno splendido valzerone country, così come Generale una limpida ballata roots; Il Panorama Di Betlemme è la solita strepitosa rock song, una delle più belle tra le più recenti del nostro, con lo splendido violino della Cirillo in evidenza, Sotto Le Stelle Del Messico A Trapanar è piena di ritmo, suoni e colori, mentre Rimmel (grande versione) è introdotta da una splendida performance alla chitarra acustica di Giovenchi e Bardi. E poi ci sono tre brani tratti da Amore E Furto, l’album di cover dylaniane di due anni fa, proposte una in fila all’altra (Servire Qualcuno/Gotta Serve Somebody, Un Angioletto Come Te/Sweetheart Like You e Come Il Giorno/I Shall Be Released), in versioni abbastanza simili a quelle di studio e, come anticipato un po’ ovunque, una rilettura molto sentita e toccante del classico del vecchio amico Lucio Dalla 4 Marzo 1943. Un altro buon live dunque: sembra che Francesco De Gregori non si stanchi mai di farne, e personalmente io non mi stanco mai di ascoltarne.

Marco Verdi

L’Integrale Di Uno Dei (Pochi) Grandi Musicisti Italiani! Francesco De Gregori – Backpack Seconda Parte

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Ed eccoci alla seconda ed ultima parte dell’articolo.

Canzoni D’Amore (1992): il disco preferito dal sottoscritto, un lavoro ispirato, prodotto e suonato alla grande, dal suono ancora più rock di Miramare, e con un De Gregori in forma strepitosa e più arrabbiato che mai. Infatti il titolo è volutamente fuorviante, in quanto, a parte la tenera Bellamore, le canzoni parlano di attualità, con, per la prima volta, riferimenti precisi a personalità politiche (La Ballata Dell’Uomo Ragno, con la sua strofa in cui fa a pezzi Bettino Craxi) e non (la stupenda Vecchi Amici – la sua Positively 4th Street – in cui letteralmente distrugge qualcuno, alcuni dicono Venditti anche se Francesco non ha mai confermato). Sangue Su Sangue è un rock’n’roll con le contropalle, Adelante! Adelante! è una sontuosa ballata elettrica, la fluida Viaggi e Miraggi ha un testo bellissimo. E poi c’è la straordinaria Povero Me, una rock ballad superba, con un lungo ed ispirato assolo chitarristico finale.

Il Bandito E Il Campione (1993): forse il miglior disco dal vivo di De Gregori, nel quale il nostro rockeggia (Sangue Su Sangue, Vecchi Amici) e dylaneggia (Rimmel, Buonanotte Fiorellino) alla grande, supportato da una band coi fiocchi (Lucio Bardi e Vincenzo Mancuso alle chitarre fanno sfracelli). La title track, unica incisa in studio, è un ruspante country & western scritto dal fratello di Francesco, Luigi Grechi, anche se somiglia un po’ troppo a Billy The Kid di Charlie Daniels. In conclusione, una sorprendente live version di Vita Spericolata di Vasco Rossi, chiaramente migliore dell’originale.

Bootleg (1994): a meno di un anno da Il Bandito E Il Campione De Gregori pubblica un altro live, totalmente senza aggiustamenti o correzioni e con il minimo sindacale di missaggio. Un disco quindi ancora più roccato e diretto del precedente, con il quale ha qualche pezzo in comune, ed una sontuosa Viva L’Italia, oltre all’inedita Mannaggia Alla Musica, un pezzo scritto in origine per Ron.

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Prendere E Lasciare (1996): un album controverso, con una produzione troppo pop e radiofonica, poco adatta al nostro (ad opera di Corrado Rustici), che in parte rovina diversi brani che avrebbero figurato meglio senza troppi orpelli (e le future rese dal vivo di alcuni di essi lo confermeranno). La canzone di punta, L’Agnello Di Dio, ha un arrangiamento che la fa sembrare un pezzo di Zucchero, e buone cose come Rosa Rosae e Stelutis Alpinis, oltre alla splendida Un Guanto (la migliore del lavoro) avrebbero richiesto una mano più leggera. Gli unici due brani che vanno bene così sono la folkeggiante Fine Di Un Killer (con Francesco al banjo) ed una Battere E Levare voce e chitarra inserita come ghost track. Il disco è l’unico del nostro ad essere stato completamente inciso all’estero, per la precisione a Berkeley, sobborgo universitario di San Francisco popolarissimo durante la Summer Of Love.

La Valigia Dell’Attore (1997): doppio CD dal vivo, che ha qua e là delle sonorità un po’ rotonde e mainstream, risentendo in parte dei problemi di Prendere E Lasciare, anche se le canzoni incluse sono talmente belle che dopo un po’ non ci si fa caso. Ci sono anche tre inediti in studio: la maestosa title track, la roccata Dammi Da Mangiare (un brano minore), e soprattutto la splendida Non Dirle Che Non E’ Così, fedele e riuscita traduzione di If You See Her, Say Hello di Bob Dylan.

Amore Nel Pomeriggio (2001): De Gregori inaugura il nuovo millennio con un grande album (è nella mia Top 3 con Canzoni D’Amore e Rimmel), dai suoni stavolta “giusti” e con un mood roots-rock che è un piacere per le orecchie. Non mancano ovviamente le belle canzoni, come l’affascinante Caldo E Scuro, la gustosa country ballad Cartello Alla Porta, l’intensissima ballata pianistica Sempre E Per Sempre, il commosso omaggio a De Andrè con la riproposizione di Canzone Per L’Estate (scritta a quattro mani dai due ed incisa dal cantautore genovese negli anni settanta). Ed i due brani migliori: la fluida ballata rock Condannato A Morte (ispirata a Salman Rushdie) e la discussa, e per qualcuno revisionista, Il Cuoco Di Salò, dalla struttura melodica strepitosa e con la produzione di Franco Battiato.

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Fuoco Amico (2002): altro live, e forse il più bello insieme a Il Bandito E Il Campione. Di sicuro il più rock, con vere e proprie rivisitazioni chitarristiche del repertorio del nostro (solo Generale è voce e chitarra, ma la chitarra è elettrica); Bambini Venite Parvulos è quasi irriconoscibile, Un Guanto è una meraviglia, Condannato A Morte è anche meglio che in studio, c’è perfino l’inatteso recupero di La Casa Di Hilde, in puro stile Americana. Ma potrei citarle tutte.

Il Fischio Del Vapore (2003): sorprendente album in duo con la folksinger Giovanna Marini, nel quale il nostro ripesca vecchi brani della tradizione popolare (molti sono canti di lavoro) e li ripropone a volte con una veste elettrica, altre in maniera forse fin troppo filologica (e un po’ pesantina): canzoni come Sacco E Vanzetti, Il Feroce Monarchico Bava, Nina Ti Te Ricordi, Saluteremo Il Signor Padrone, Bella Ciao (nella versione originale delle mondine). Un’operazione che sarà anche meritoria e lodevole, ma a me questo disco non piace.

Pezzi (2005): Francesco torna a fare ciò che sa fare meglio, e pubblica uno dei suoi album più rock e dal suono più americano. Pezzi contiene una bella serie di canzoni, ancora una volta ispirate dall’attualità, come il singolo portante, la potente e frenetica Vai In Africa, Celestino! Ma c’è anche un rock-blues purissimo (Numeri Da Scaricare), una ballata di rara intensità (Gambadilegno A Parigi), un rock’n’roll trascinante (Tempo Reale), oltre alla splendida Il Panorama Di Betlemme, forse la migliore del lotto.

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Calypsos (2006): a meno di un anno di distanza da Pezzi, ecco a sorpresa un altro album di studio, un disco forse minore ma non privo di motivi di interesse, con un suono molto diverso dal predecessore, e canzoni più melodiche e meditate (l’unico vero rock è la rootsy Mayday), come la pianistica e dolcissima (nonostante il titolo) Cardiologia, l’eterea L’Angelo, la potente ballata anni sessanta La Linea Della Vita (con una struttura ed un botta e risposta voce-coro femminile che a me ricorda non poco certe cose di Leonard Cohen) e la conclusiva e saltellante Tre Stelle, forse in assoluto il brano più disimpegnato dell’intera carriera del nostro.

Left & Right (2007): ennesimo disco dal vivo, ed anche questo va inserito di diritto tra i più godibili di De Gregori, che ormai ha alle spalle una vera e propria rock band, tra le migliori in circolazione in Italia. Il suono è ancora ruspante e vigoroso, e la scaletta predilige gli episodi più recenti, con una strepitosa Numeri Da Scaricare posta in apertura (più di sei minuti di tostissimo blues elettrico), una Mayday decisamente dylaniana, la sempre bellissima Un Guanto, qui in versione country ballad, una Caldo E Scuro che è pura Americana, ed una rilettura quasi hard rock di L’Agnello Di Dio. Gli unici classici sono una rigorosa La Leva Calcistica Della Classe ’68, La Donna Cannone solo voce e piano, ed un arrangiamento di Buonanotte Fiorellino che la trasforma in un saltellante rock-blues.

Per Brevità Chiamato Artista (2008): altro ottimo disco, meno rock e più da songwriter, ma sempre con sonorità molto “americane”: la poetica ed ironica title track ha un arrangiamento ancora degno di Cohen, Finestre Rotte è un blues ricco di swing, le belle Ogni Giorno Di Pioggia Che Dio Manda In Terra e L’Angelo Di Lyon (traduzione fatta dal fratello Luigi di The Angel Of Lyon di Tom Russell) sono puro folk. E poi c’è il brano che fa più discutere, Celebrazione (nel quale il nostro prende decisamente le distanze dal ’68 e dai suoi significati, proprio nel quarantennale), proposto con una scintillante veste folk-rock byrdsiana.

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Pubs & Clubs (2012): ancora un live, ad oggi l’ultimo (ma il 3 Febbraio, tra pochi giorni dunque, uscirà Sotto Il Vulcano, un doppio CD registrato lo scorso Agosto a Taormina), inciso al The Place, un locale di Roma di appena cento posti. La scaletta è un mix equilibrato tra classici e brani più recenti, e le cose migliori sono una roboante e splendida Il Panorama Di Betlemme, Alice che diventa una deliziosa ballata folk, Battere E Levare trasformato in un trascinante bluegrass elettrico, e per la prima volta in un disco dal vivo la toccante Bellamore. Le chicche sono una rilettura in chiave blues elettrico di A Chi (grande successo di Fausto Leali) ed una Buonanotte Fiorellino suonata con la stessa base di Rainy Day Women # 12 & 35 di Bob Dylan.

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Sulla Strada (2012): ad oggi l’ultimo album di Francesco composto da brani inediti, ed a mio parere un passo indietro rispetto agli ultimi lavori, anche se comunque stiamo parlando di un buon disco. Di rock ce n’è poco (la title track, che non è certo tra le sue cose migliori, e la potente La Guerra, con un suggestivo ritornello corale) e si torna ad atmosfere più “italiane” ed anni settanta (Omero Al Cantagiro, Belle Epoque), ma con l’ispirazione abbastanza in calo. Il pezzo migliore è posto alla fine, la fluida ed avvolgente ballata Falso Movimento. (* NDB Nel 2013 è uscita una nuova limited edition, con diversa copertina e due brani in più. un libro fotografico, oltre a un DVD del backstage).

Vivavoce (2014): De Gregori fa un disco di cover di sé stesso, reincidendo 28 brani (è un doppio CD) più o meno famosi, ma attualizzando il suono ed il più delle volte cambiando gli arrangiamenti, come è solito fare dal vivo: i classici ci sono tutti (tranne Rimmel), ma anche diverse chicche. Ed il disco è splendido, con molti highlights: una toccante Alice eseguita in coppia con Ligabue, due voci e due chitarre, la potente Un Guanto nella sua miglior versione di sempre, Finestre Rotte che diventa un irresistibile rock’n’roll, una Natale ricca di swing, Niente Da Capire con il riff fischiettato (da un’idea di Lucio Dalla), una Vai In Africa, Celestino! che da rock song si trasforma in una sorprendente ballata, ed una Viva L’Italia molto più folk, con un arrangiamento che avrebbe dovuto essere quello originale. Non ci sono brani nuovi, ma trova posto una stupenda Il Futuro, traduzione ad opera del nostro dell’apocalittica The Future di Leonard Cohen.

De Gregori Canta Bob Dylan – Amore E Furto (2015): storia recente, il Principe che rifà il Menestrello (non avevo ancora usato nessun cliché…), anche se Francesco non sceglie la via più facile ed evita i superclassici, preferendo una selezione più personale. Ma per questo CD vi rimando alla mia recensione dell’epoca http://discoclub.myblog.it/2015/11/02/secondo-me-approverebbe-anche-bob-francesco-de-gregori-amore-furto-de-gregori-canta-dylan/

E’ chiaro che se avete già tutti gli album di Francesco De Gregori questo Backpack per voi è superfluo (anche perché, come ho già detto, non ve lo regalano), in caso contrario l’acquisto è quasi d’obbligo, in quanto verreste in possesso in un colpo solo di uno dei songbook migliori in circolazione, e non soltanto in Italia: l’unica pecca grave, visto di chi si sta parlando, è la totale assenza di testi all’interno della confezione.

Marco Verdi

L’Integrale Di Uno Dei (Pochi) Grandi Musicisti Italiani! Francesco De Gregori – Backpack Prima Parte

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Francesco De Gregori – Backpack – RCA Box Set 34CD

Qualche cantante famoso all’estero lo abbiamo anche in Italia, ma sono perlopiù nomi che su questo blog non leggerete mai (Laura Pausini, Il Volo, Andrea Bocelli, Zucchero), di bravi ne abbiamo tanti (due nomi a caso: Massimo Bubola e Fiorella Mannoia), ma, a mio parere, nel nostro paese abbiamo avuto negli anni ben pochi musicisti, tra quelli famosi, che potessero essere messi sullo stesso livello delle grandi star internazionali, anzi direi che si possono contare sulle dita di una mano: Fabrizio De Andrè, Franco Battiato (che però spesso parte per la tangente), Paolo Conte e quello che considero il migliore di tutti (su De Andrè di poco però), cioè Francesco De Gregori (e no, non ho dimenticato Lucio Battisti, semplicemente non mi ha mai fatto impazzire).

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Il musicista romano oggetto del post odierno è, sempre a mio parere, il miglior cantautore nostrano degli ultimi 45 anni: De Gregori infatti, dopo gli inizi incerti tra folk e pop, ha subito maturato un suo stile ben preciso (anche se l’influenza di Bob Dylan è sempre stata ben presente, e spesso Francesco su questo ci ha giocato), fatto di canzoni profondamente diverse dal solito cliché voce-chitarra-armonica, ma introducendo sin dai primi anni sonorità e ritmiche molto poco italiane, guardando spesso oltreoceano, e scrivendo testi talvolta ermetici, talvolta poetici, qualche volta politici, altre volte profondamente sarcastici, ma mai banali o risaputi, arrivando a poco a poco (verso la fine degli anni ottanta) ad introdurre suoni decisamente rock, specie dal vivo, dove spesso cambia anche gli arrangiamenti delle sue canzoni più note, rinnovandole di volta in volta.

L’occasione di parlare della discografia del Principe (il suo soprannome “ufficiale”) mi è data dalla pubblicazione, giusto prima del Natale scorso, di questo sontuoso cofanetto, piccolo e compatto nel formato ma ricco nei contenuti: il titolo è Backpack, e contiene l’opera omnia del nostro, 32 album tra studio e live (due sono doppi), completamente rimasterizzati (ma senza bonus tracks) ed in pratiche confezioni in simil-LP, accompagnati da uno splendido libro a cura di Enrico Deregibus, che narra disco per disco la storia di Francesco, corredando il tutto con diverse foto rare (NDM: il sottotitolo del box è Le Registrazioni Originali 1970-2015, e sinceramente non capisco perché, dato che il primo album incluso è del 1972). Un’opera importante (anche nel prezzo), che di solito le case discografiche dedicano solo ai loro artisti di punta: gli album ci sono proprio tutti, ad eccezione del live del 2010 con Lucio Dalla Work In Progress (ma c’è lo storico Banana Republic), il collettivo In Tour (con Pino Daniele, la Mannoia e Ron) ed il semi-antologico, ma con diversi inediti anche dal vivo, Mix del 2003. Procederei dunque ad una (rapida?) disamina.

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Theorius Campus (1972): album inciso in duo con Antonello Venditti, ci mostra un De Gregori ancora acerbo ed indeciso su quale direzione prendere, con diversi elementi pop alla Donovan che non ritroveremo in seguito, un brano in inglese (Little Snoring Willy) e la bella Signora Aquilone, che pur con qualche ingenuità ci fa intravedere il talento del nostro. Andrà meglio al socio e concittadino Venditti, dato che il disco contiene la famosissima Roma Capoccia.

Alice Non Lo Sa (1973): l’enigmatica quasi-title track (nel senso che si intitola solo Alice) è ancora oggi uno dei brani più popolari di Francesco, ma il resto del disco non ha lo stesso impatto e qualcuno comincia ad accusare il nostro di eccessivo ermetismo, anche se La Casa Di Hilde e la toccante 1940 sono due canzoni di ottimo livello.

Francesco De Gregori (1974): meglio conosciuto come “La Pecora” per via della copertina, questo album si apre con un uno-due magistrale costituito da Niente Da Capire (in cui il nostro si fa beffe di chi tenta di decifrargli i testi) e Cercando Un Altro Egitto, ma il resto, pur non sfigurando, è inferiore e tradisce ancora qualche ingenuità, proseguendo talvolta sulla strada dell’ermetismo (Informazioni Di Vincent è una delle canzoni più incomprensibili del songbook degregoriano). Forse l’album meno amato dal suo autore.

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Rimmel (1975): al quarto disco, il nostro sfonda: Rimmel è uno dei dischi più di successo di Francesco, e per molti ancora oggi è il suo album migliore, con brani magnifici come la splendida title track, una delle più belle canzoni italiane di sempre, il valzer folk Buonanotte Fiorellino, la struggente Pablo (scritta con Dalla), le bellissime Pezzi di Vetro e Piccola Mela, nella quale De Gregori dimostra anche di cavarsela benissimo anche come cantante. (*NDB E Le Storie Di Ieri?)

Bufalo Bill (1976): altro bel disco, che però non ottiene il successo del precedente. La title track ha una struttura decisamente complessa, quasi fosse una mini-suite di quattro minuti, ed è ancora oggi molto apprezzata, ma gli altri brani sono conosciuti solo tra i fans più assidui, pezzi come Ninetto E La Colonia, L’Uccisione Di Babbo Natale, Santa Lucia e Festival, dedicata a Luigi Tenco. Per anni De Gregori stesso indicherà questo album come il suo preferito.

De Gregori (1978): un disco breve ma bello, che inizia con la classica Generale, uno dei due-tre pezzi del nostro che conoscono tutti, ma che comprende anche il country di Natale, due versioni molto diverse di Renoir e l’autobiografica Il ’56.

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Banana Republic (1979): primo e per molto tempo unico live album del Principe (che però dagli anni novanta assumerà cadenze degne dei Grateful Dead o di Joe Bonamassa), per di più condiviso con Lucio Dalla. Gli highlights sono senz’altro la guizzante title track, traduzione di un pezzo di Steve Goodman, una cover scanzonata di Un Gelato Al Limon (di Paolo Conte), e la hit dell’epoca del duo, Ma Come Fanno I Marinai.

Viva L’Italia (1979): bellissimo disco, curatissimo nei suoni, la cui produzione viene affidata addirittura ad Andrew Loog Oldham, noto per i suoi lavori anni sessanta coi Rolling Stones, e con all’interno musicisti inglesi: la title track è un bellissimo atto d’amore di Francesco verso il nostro paese (pur con tutte le sue contraddizioni), ma nell’album trovano posto anche gemme come Gesù Bambino, Stella Stellina e la lunga Capo D’Africa.

Titanic (1982): tre anni di pausa, ma ne valeva la pena: Titanic non è un vero e proprio concept, ma almeno tre brani girano intorno al famoso transatlantico (e comunque il mare è un argomento che ricorre spesso nei testi di De Gregori), e cioè l’allegra title track e le intense I Muscoli Del Capitano (tra le più amate dal suo autore) e L’Abbigliamento Di Un Fuochista. L’album ha un grande successo, anche per la presenza della splendida La Leva Calcistica Della Classe ’68, una parabola della vita che è anche tra le ballate più note del nostro. Detto anche del quasi rock’n’roll di Rollo & His Jets, l’unica cosa davvero brutta è la copertina.

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La Donna Cannone (1983): primo ed unico EP (all’epoca chiamato QDisc) della discografia degregoriana, inciso dietro la richiesta di musiche per il film Flirt con Monica Vitti. Cinque pezzi in tutto, due strumentali di poco conto e due canzoni di cui non si ricorda nessuno (ma La Ragazza E La Miniera è bella), perché la scena se la ruba tutta la title track, ancora oggi la più celebre canzone di De Gregori, una ballata pianistica di straordinario impianto melodico ed eseguita alla grande (anche se con qualche etto di melassa di troppo), un brano che è diventato un vero e proprio standard della musica italiana. Inutile dire che le vendite andranno alle stelle.

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Scacchi E Tarocchi (1985): tanto languido nei suoni era l’EP La Donna Cannone, quanto tignoso è questo nuovo album, con due brani prodotti da Ivano Fossati e, in altri due, la sezione ritmica più “in” dell’epoca, formata dai giamaicani Sly Dunbar e Robbie Shakespeare (e si sentono). Un disco solido e ben costruito, anche se poco commerciale: il classico è la ballata La Storia (della quale Francesco include il demo, che giudica perfetto così com’è), ma poi ci sono anche la commossa A Pa’ (dedicata a Pasolini), la ritmata Sotto Le Stelle Del Messico A Trapanar e la spigolosa title track. In questo disco si inaugura anche la lunga collaborazione tra Francesco ed il bassista Guido Guglielminetti, ancora oggi direttore musicale della live band del cantautore romano.

Terra Di Nessuno (1987): uno dei dischi meno considerati del nostro, ed uno di quelli che hanno venduto meno, risentito oggi si rivela un lavoro solido e compatto, a cui manca forse il brano di punta (ma la potente Il Canto Delle Sirene è tra le sue più belle degli ultimi anni), ma contiene ottime cose come Capataz, I Matti e l’intensa Pane E Castagne.

Miramare 19.4.89 (1989): uno dei migliori dischi degregoriani, ed il primo ad avere una decisa impronta rock, con uno spostamento abbastanza netto verso testi di scottante attualità (e densi di sarcasmo): la splendida Bambini Venite Parvulos maschera la durezza delle parole dietro uno scintillante arrangiamento folk-rock, la caustica Dr. Dobermann è addirittura reggae, mentre Pentathlon, Carne Di Pappagallo e 300.000.000 Di Topi sono gli altri highlights di un disco di un artista in grande spolvero.

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Catcher In The Sky, Niente Da Capire, Musica Leggera (1990): con una mossa rivoluzionaria (e criticatissima), De Gregori pubblica tre distinti album dal vivo contemporaneamente, con esiti eccellenti. Non sono tre dischi a tema, ed a parte La Storia le canzoni non si ripetono (tranne Alice e Viva L’Italia c’è tutto il meglio del barbuto songwriter): è qui che Francesco inizia a modificare gli arrangiamenti originali ed a rivestire i brani di una patina rock che negli anni si farà sempre più marcata: basti sentire la strepitosa resa di Cercando Un Altro Egitto (praticamente un’altra canzone), ma anche le più recenti Bambini Venite Parvulos ed Il Canto Delle Sirene ne escono rinvigorite.

Fine Prima Parte.

Marco Verdi