Dopo Una Lunga Carriera Con I Rockers Canadesi April Wine, Anche Lui “Passa” Al Blues? Myles Goodwin And Friends Of The Blues

myles goodwin and friends of the Blues

Myles Goodwin – Myles Goodwin & Friends Of The Blues – Linus Entertainment   

Il nome, e pure il cognome, di Myles Goodwin, da Woodstock, Canada, ai più non diranno nulla, ma il nostro amico è stato per quasi 50 anni voce solista, chitarrista e leader degli April Wine, una band che ha avuto un enorme successo nel proprio paese e poi sul finire degli anni ’70 anche negli USA, ma direi ovunque, forse Italia esclusa, con oltre 20 milioni di dischi venduti nel mondo. Tanto per ricordare un aneddoto, nel famoso concerto “segreto” al Mocambo degli Stones del 1977, la band di supporto erano proprio gli April Wine che poi avrebbero pubblicato un Live AtThe El Mocambo , relativo a quella occasione e prodotto da Eddie Kramer (quello di Hendrix), disco che illustrava il loro stile hard rock classico americano, ma con elementi power pop e blues che è sempre stato tra gli amori segreti  di Goodwin.

Arrivato quasi ai 70 anni e reduce dalla sua autobiografia dello scorso anno Myles Goodwin decide di “regalarsi” un album dedicato ad una delle sue primarie influenze e decide di chiamarlo Friends Of The Blues: anche perché di amici nel disco ce ne sono veramente tanti, Jack de Keyzer, Garret Mason, David Wilcox, Amos Garrett, Kenny “Blues Boss” Wayne, Joe Murphy, Frank Marino, Shaun Verreault, Bill Stevenson, Rick Derringer. Come potete leggere, alcuni molto noti, altri meno, ma tutti uniti dall’amore per un blues energico anziché no e che ruota attorno ai brani che Goodwin aveva scritto nel corso degli anni, senza utilizzarli sui dischi degli April Wine, conservandoli per questo disco “solo” di fine carriera: c’è solo una cover nell’album Isn’t That So, un pezzo di Jesse Winchester (poteva scegliere peggio), un brano più morbido di altri contenuti nel CD, piuttosto raffinato e con elementi soul e jazz, diverso dal mood complessivo dell’album ,non disprezzabile ma neppure memorabile. Altrove le chitarre sono decisamente più taglienti, come nel brano di apertura,  I Hate To See You Go (But I Love To Watch You Walk Away), un blues con uso di fiati dove Goodwin è impegnato alla slide, per un pezzo che profuma di British Blues primi anni ’70, ma che mi ha ricordato anche il primo Joe Walsh, quello dei James Gang; spesso i titoli denotano il sense of humour del buon Myles, oltre a quella citata ci sono anche I Hate You (Till Death Do Us Part e Tell Me Where I’ve Been (So I Don’t Go There Anymore), una classica blues song con elementi R&R, country e R&B, scritta in tributo a Fats Domino, e che prevede il pianino malandrino di Kenny “Blues Boss” Wayne che omaggia The Fat Man.

Mentre la prima citata è il classico slow blues lancinante come prevede il manuale del perfetto bluesman, con chitarre a destra e manca,  in particolare Frank Marino nell’occasione, ma pure i fiati e il piano, per non farsi mancare nulla. Goodwin suona spesso anche le tastiere, come in Nobody Lies (About Having The Blues), oltre alla bella Stratocaster con cui è raffigurato in copertina: per esempio in It’s All Brand New It’ll Take Time to Get Used To (titoli corti no?) è all’organo, con Amos Garrett alla solista, per un altro lento di quelli duri e puri, mentre nel divertente shuffle , anche nel titolo,  Ain’t Gonna Bath in The Kitchen Anymore, Bill Stevenson è alle tastiere. Quando il blues si fa più sanguigno la qualità sale, come in Good Man In A Bad Place con Garret Mason in evidenza alla solista o ancora nella eccellente Brand New Cardboard Belt con Steve Segal degli April Wine impegnato alla bootleneck guitar. E niente male pure la blues ballad Weeping Willow Tree Blues dove David Wilcox dà il meglio alla chitarra acustica.  Per non dire della poderosa Last Time I’ll Ever Sing the Blues, forse il miglior brano di questo album con uno strepitoso Rick Derringer ospite alla solista.

Complessivamente un buon album, onesto e ben realizzato, da un musicista che “rivela” il suo amore per il Blues in questa occasione.

Bruno Conti

L’Originale Non C’è Più, Ecco Una Buona “Copia” di Jimi Hendrix! Randy Hansen – Funtown

randy hansen funtown

Randy Hansen – Funtown – Jazzhaus Records/Ird 

Come si usa dire, se non possiamo avere “l’originale” accontentiamoci di una copia. L’originale ovviamente è Jimi Hendrix, che comunque anche post mortem continua ad avere una cospicua produzione discografica, mentre la copia, nel caso specifico, è tale Randy Hansen, nato non a caso a Seattle, sempre non a caso mancino e chitarrista, nonché grande fan, “impersonificatore” (anche nei tratti del volto) e, proprio volendo molto allargarsi, erede di Hendrix. Ruolo che spetta sicuramente più a Robin Trower, a Stevie Ray Vaughan, in parte a Frank Marino (che comunque ha avuto belle parole per Hansen, che nella sua smania di tributi ne ha dedicato uno anche al chitarrista dei Mahogany Rush).

Forse non tutti sanno che la carriera di Randy era partita col botto quando Francis Ford Coppola, avendo sentito delle mirabolanti capacità tecniche chitarristiche di Hansen gli affidò parte degli effetti sonori che si sentono in Apocalypse Now, sedici minuti dove il nostro con chitarra e basso riproduceva scoppi di bombe, colpi di cannoni, raffiche di fucili, poi incorporati nella colonna sonora del film. Come conseguenza la Capitol gli offrì un contratto discografico che sfociò nella pubblicazione del suo primo omonimo album di esordio nel 1980, seguito poi da una lunga sequenza di dischi che nel corso degli anni lo avrebbero portato a suonare anche con Buddy Miles e poi con Noel Redding: molti di queste uscite discografiche vertevano naturalmente sulla musica e le canzoni di Jimi Hendrix, ma non solo, Hansen, oltre a Marino, ha “omaggiato” anche altri artisti, nel suo ultimo disco in studio del 2004 Alter Ego, riprendeva anche brani dei Traffic e dei Led Zeppelin, in un ambito prettamente acustico. Ma la passione per Hendrix, estrinsecata in una copiosissima serie di CD e DVD, per lo più dal vivo https://www.youtube.com/watch?v=0EyIrDgYn8E , ritorna sempre a galla: anche quando Randy non suona brani del suo idolo lo stile è comunque sempre quello, chitarra molto effettata, spesso con wah-wah innestato, dal vivo suonata, manco a dirlo, anche dietro la schiena e con i denti, e i risultati, anche se sfiorano spesso e volentieri il plagio, non sono poi malvagi; si sente che quella del nostro è una passione unica ed irrefrenabile, ma ricca di rispetto e amore per l’oggetto del suo amore.

Mi pare di avere recensito dei suoi dischi nei tempi che furono (passano gli anni) ma lo stile è sempre stato quello che ora viene ripreso anche in questo Funtown che rompe undici anni di silenzio discografico e (ri)parte subito con una title-track che sembra provenire dai solchi di Electric Ladyland, oltre 8 minuti, spesso in modalità wah-wah (ma Hansen nel disco suona tutti gli strumenti, esclusa la batteria affidata al figlio Desmond nel brano The Pain) per una musica che non nasconde le sue origini e le sue derivazioni dichiarate e quindi alla fine non dispiace, perché questo signore la chitarra la sa suonare, come si sente anche nel rock-blues alla Spirit di Randy California (altro grande epigono hendrixiano) di Save America, o nel breve strumentale Odd Ball.

Ogni tanto si esagera senza costrutto come in Mind Controller, ma altrove, per esempio nel simil blues tanto caro a Jimi di una Paramount, il lavoro di chitarra è persino raffinato e ricco di tecnica. Senza ricordarle tutte, ce ne sono ben 15 per oltre 75 minuti di musica, citiamo la futuristica Izaiah, la ballata Two Wonderful Butterflies, la lunghissima elettroacustica Underwater Lazarium, forse un po’ prolissa e che si rianima nel finale, o la citata The Pain. In altri momenti l’effetto Jimi è troppo esagerato e straniante, ma nell’insieme questo Funtown si lascia ascoltare, anche per la presenza di alcuni brani pastorali che possono rimandare pure a sonorità Pink Floyd, o così dice il comunicato stampa dell’etichetta che però in parte si può condividere, meno quando si parla di Frank Zappa. Ovviamente trattasi di disco soprattutto indicato per gli amanti della chitarra elettrica, qui se ne trova parecchia e ben suonata.

Bruno Conti