Un Altro Bel Disco Targato “Auerbach Productions”, Forse Fin Troppo Falsetto. Aaron Frazer – Introducing…

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Aaron Frazer – Introducing… – Dead Oceans/Easy Eye Sound CD

Negli ultimi tempi Dan Auerbach è molto più impegnato come produttore che in qualità di leader dei Black Keys, anche se l’ultimo Let’s Rock del 2019 è uno dei lavori migliori del duo di Akron. Personaggio con un fiuto sopraffino per il talento, Auerbach negli ultimi anni ha patrocinato ottimi album di giovani artisti all’esordio (Dee White, Yola), riesumato oscuri musicisti del passato (Robert Finley, Leo “Bud” Welch, Jimmy “Duck” Holmes) e, lo scorso anno, ha prima assistito Marcus King nel bel debutto da solista El Dorado e poi ha rilanciato la carriera del noto countryman John Anderson con il bellissimo Years. Il 2021 è appena iniziato e già uno degli album più piacevoli tra i pochi usciti vede il nome di Auerbach nella casella del produttore: si tratta di Introducing…, primo disco di Aaron Frazer, musicista originario di Brooklyn ma cresciuto a Baltimore che Dan ha conosciuto come membro di Durand Jones & The Indications, di cui Aaron è il batterista ed una delle voci nonché uno dei principali compositori.

durand jones aaron frazer

In particolare Auerbach è rimasto colpito dal timbro particolare di Frazer, un falsetto decisamente melodico e soulful, una voce che Dan ha dichiarato di non aver mai sentito prima in un batterista: i due, dopo essersi conosciuti, hanno cominciato a scrivere insieme una serie di brani che poi sono andati ad incidere negli Easy Eye Sound Studios di Nashville (di proprietà di Auerbach), con la solita serie di musicisti dal nobile pedigree come Bobby Wood, Mike Rojas, Russ Pahl, Pat McLaughlin, il percussionista di Nashville Sam Bacco, mentre Frazer si è occupato della batteria e, soprattutto, della voce solista. Introducing…è quindi un bel disco di puro blue-eyed soul con elementi errebi e funky, dal suono moderno ma con gli arrangiamenti vintage che tanto piacciono ad Auerbach, e che possiamo trovare anche nei dischi di Yola, Marcus King nonché nel secondo solo album dello stesso Dan, Waiting On A Song. Ma se il leader dei Black Keys ha i suoi meriti, il vero protagonista è proprio Frazer, con la sua voce melliflua e vellutata ma anche con la sua abilità come compositore: la stampa internazionale lo ha paragonato a Curtis Mayfield, ma Aaron ha una personalità sua ed uno stile d’altri tempi che lo colloca idealmente nel passato della nostra musica (anche fisicamente, dato che sembra uscito dagli anni cinquanta).

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Si parte con la raffinatissima You Don’t Wanna Be My Baby, elegante pop song in cui la voce quasi femminile del leader funge da strumento aggiunto: il suono è forte e centrale con un arrangiamento deliziosamente anni 70, grazie anche all’uso particolare degli archi https://www.youtube.com/watch?v=SIvJ1xv9Mx8 . La cadenzata If I Got It (Your Love Brought It) è puro errebi, con il pianoforte in evidenza ed una melodia diretta completata da un refrain vincente, più una sezione fiati a colorare il tutto https://www.youtube.com/watch?v=6MdYYOtgwM8 ; Can’t Leave It Alone è un bel funkettone dal suono decisamente potente ammorbidito dalla voce gentile di Frazer, con un breve ma incisivo assolo chitarristico di Auerbach, mentre Bad News è ancora al 100% una funky song che sembra presa da un LP uscito 50 anni fa in piena “Blaxploitation Era” https://www.youtube.com/watch?v=G8OCGoDmnAI . Have Mercy è una ballatona estremamente raffinata al limite della zuccherosità, ma comunque al di sopra del livello di guardia (anche perché Auerbach è un dosatore di suoni formidabile), con il falsetto di Aaron doppiato da un coro in sottofondo https://www.youtube.com/watch?v=E1sJfi8ltek .

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Done Lyin’ è un blue-eyed soul fiatistico dall’arrangiamento piuttosto “rotondo” perfetto per una serata romantica, Lover Girl è pop-errebi di gran classe che ricorda un po’ i Simply Red ma con sonorità più classiche https://www.youtube.com/watch?v=Wo5G-CAs918 . Con la ritmata Ride With Me il CD prende una direzione quasi “disco” con il basso che pompa come se non ci fosse un domani, ma il sapore vintage la rende comunque piacevole, a differenza di Girl On The Phone che è una gustosissima ballad ancora col piano in prima fila ed un notevole muro del suono alle spalle. Love Is è soffusa, intrigante e possiede una delle migliori linee melodiche dell’album, ed è seguita dalle conclusive Over You, frenetica, danzereccia e dal ritornello coinvolgente https://www.youtube.com/watch?v=YBi4P0aZnsg , e Leanin’ On Everlasting Love, bellissimo lentone anni sessanta che paga un chiaro tributo al grande Sam Cooke, a parte il timbro vocale. Siccome non si vive di solo rock, Introducing…Aaron Frazer può essere il disco adatto da ascoltare quando vi viene voglia di musica ricercata ed elegante.

Marco Verdi

Dal Canada Una Ventata Di Freschezza Per La Nostra Calda Estate. Frazey Ford – U Kin B The Sun

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Frazey Ford – U Kin B The Sun – Arts & Crafts/Caroline International

E’ un vero piacere recensire personaggi come la bella e giunonica Frazey Ford, perchè conferma la teoria secondo cui chi sa cercare tra la spazzatura del pop attuale che ti viene propinata dai mass-media e dalle major stesse, trova ancora musica ben suonata e prodotta, con l’intento di raggiungere il grande pubblico, ma attraverso un intelligente rivisitazione in chiave moderna dei classici del passato. Nel caso della Ford, dopo il positivo esordio nel trio folk rock delle Be Good Tanyas, insieme alle colleghe ed amiche Trish Klein e Samantha Parton (oltre alla brava Jolie Holland che se ne andò dopo breve tempo per la carriera solistica), deve essere capitato qualcosa di simile alla celeberrima scena del raggio di luce che colpisce in fronte John Belushi e Dan Aykroyd nella chiesa del reverendo James Brown, giacchè l’amore per la soul music sbocciò in lei violento e inarrestabile, se non in modo così evidente nel bell’esordio da solista Obadiah, datato 2010 https://discoclub.myblog.it/2010/08/18/e-se-prima-eravamo-in-tre-frazey-ford-obadiah/ , di fatto nel successivo Indian Ocean, registrato nel 2014 presso i Royal Recording Studios di Memphis con la prestigiosa Hi Rhythm Section di Al Green.

Avendo alle spalle un apparato sonoro di tale qualità, Frazey ha saputo evidenziare nelle undici tracce di quel album le enormi potenzialità della sua calda e sensuale voce, dotata di un particolarissimo vibrato, realizzando quindi un vero gioiello di moderno rhythm & blues, che vi invito a ricercare se già non lo possedete https://www.youtube.com/watch?v=0GwAE1UatCg . Dopo una pausa di cinque anni in cui si è concessa anche qualche piccola esperienza in campo recitativo, la Ford è rientrata in studio la scorsa estate a Vancouver, dove risiede, per registrare nuove canzoni con l’apporto dei fidati Darren Parris e Leon Power, bassista e batterista, e del produttore John Raham, a cui si sono uniti il tastierista Paul Cook, il chitarrista Craig McCaul e la corista Caroline Ballhorn. Già dalle prime note di Azad, che apre il disco, si nota un deciso cambiamento sonoro: non più una robusta sezione fiati sullo sfondo a pennellare atmosfere di classico r&b, ma un moderno groove percussivo che richiama il funk alla Isaac Hayes o Curtis Mayfield. La stentorea voce di Frazey si eleva a note alte e drammatiche, raccontando nel testo la vicenda del padre, obiettore di coscienza fuggito in Canada per sottrarsi ai pedinamenti degli agenti dell’FBI.

U And Me vuol essere un compromesso tra la nuova strada intrapresa e le origini folk della Ford, una ballata suadente e romantica che stacca parecchio dal brano precedente. Prezioso il lavoro di Paul Cook all’hammond, che esegue deliziosi contrappunti dietro gli svolazzi vocali della protagonista. Money Can’t Buy e Let’s Start Again, ipnotica e ripetitiva la prima, lenta e passionale la seconda, ci mostrano quanto l’anima di Frazey sia vicina a quella di illustri colleghe del passato come Ann Peebles o Roberta Flack da cui ha ereditato eleganza e forza espressiva, presenti anche nella successiva Holdin’ It Down, scelta come primo singolo. Far muovere il corpo proponendo argomenti seri, inerenti agli attuali contrasti sociali presenti in America e non solo, questo appare l’intento delle canzoni della vocalist canadese, come emerge nel notevole trittico che segue: Purple And Brown è quasi trascendente nella sua purezza, un brano che rimanda ai gioielli luminosi che sapeva regalarci l’indimenticabile Laura Nyro.

The Kids Are Having None Of It è la denuncia di una situazione sociale malata, dove la forbice tra chi ha troppo e chi invece poco o niente si allarga sempre più. Frazey canta con voce cupa e dolente, sopra un tappeto percussivo che si ripete come un mantra e le chitarre, acustica ed elettrica, che ricamano sulla melodia. E’ invece il piano lo strumento dominante in Motherfucker, splendida ballad che ondeggia tra jazz e blues, un accorato lamento che prende spunto da conflitti generazionali irrisolti. Golden ci rimanda alle atmosfere del penultimo album, in puro stile Al Green degli anni settanta, e la tentazione di unirci al ritmo con il classico battimani si fa irresistibile. Everywhere è un’oasi di pace, carezzevole e distensiva come un refolo di aria fresca nella calura, prima di giungere alla conclusiva title track, l’ultimo episodio vincente di un lavoro decisamente positivo. U Kin B The Sun (scritto alla maniera di Prince) è imbevuta di piacevole psichedelia, un vortice emotivo in cui la voce di Frazey risponde a quella della brava Caroline Ballhorn in un crescendo avvolgente e sensuale https://www.youtube.com/watch?v=J49hrKbBjHM , mentre l’intera band è libera di esprimersi al meglio.

Sempre più matura e consapevole del suo progetto musicale, Frazey Ford è destinata a un luminoso futuro, forse distante dalle vette delle classifiche di vendita, ma vicina al gusto di chi ascolta musica di qualità.

Marco Frosi

Il Ritorno Di Uno Dei Re Del Funky. Maceo Parker – Soul Food Cooking With The Maceo

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Maceo Parker – Soul Food Cooking With The Maceo – The Funk Garage – Mascot Label Group

Con questo disco di un signore, Maceo Parker, che definiremo non più di primo pelo (visto che ha 77 anni suonati, in tutti i sensi), la Mascot inaugura un nuovo marchio, The Funk Garage, che amplia lo spettro sonoro dell’etichetta olandese, che sempre più si sta rivelando una delle più vivaci nell’attuale panorama musicale mondiale. Diciamo che i chitarristi soprattutto, ma anche cantanti, gruppi, strumentisti vari, come pure tastieristi (Reese Wynans), batteristi (Stanton Moore), bassisti (Bootsy Collins), costituiscono l’ampio roster della Mascot, che ora ha messo sotto contratto pure un sassofonista, e che sassofonista! Uno dei re assoluti della funky music come Maceo Parker, che peraltro ha dei punti di contatto con gli ultimi nomi citati, proprio per lo stile praticato. Dopo otto anni dall’ultimo Soul Classics, che però era un disco dal vivo, Maceo è stato portato agli House of 1000Hz Studios di New Orleans, per un tuffo nel funky più sano e sanguigno, con l’aiuto dell’ingegnere del suono AndrewGoatGilchrist e del produttore Eli Wolf (Norah Jones, Madlib, Al Green), e con l’utilizzo di una pattuglia di musicisti, non solo locali, che definire strepitosi è fare loro un torto.

La batterista Nikki Glaspie, il bassista Tony Hall, il tastierista, chitarrista e cantante Ivan Neville (nonché figlio d’arte, il babbo è Aaron), noti anche come Dumpstaphunk, che costituiscono il nucleo, ai quali si aggiungono Derwin Perkins alla chitarra e una nutrita serie di fiatisti come Steve Sigmund, Ashlin Parker, Jason Mingledorff e Mark Mullins, che imperversano a tromba, trombone e sax, e anche la vocalist Erica Falls dà il suo contributo. Sembrano dettagli, ma se andate a scorrere i credits dei migliori dischi di funky, soul, jazz e r&b li trovate spesso citati, e poi ovviamente c’è lui, dal 1964 al 1975 fedele spalla di James Brown nei J.B.s, con cui farà ritorno negli anni 80’, in mezzo una lunga militanza con Parliament, Funkadelic, e tutti gli annessi e connessi di George Clinton e soci, a partire dal 1970 a oggi ha fatto in tempo a registrare 15 album solisti, questo Soul Food è il 16°, inadulterato e puro “fonky” in tutte le declinazioni, e anche per l’occasione non ha perso il gusto, la mano e la classe, con tutte le premesse ricordate. Un paio di manciate, giusto dieci pezzi, di brani, sia classici del passato che riprese dal proprio repertorio: Cross The Track che apre l’album è uno degli originali di Maceo, un pezzo molto funky 70’s cantato coralmente dalla band, con la ritmica che pompa di gusto e il sax di Parker che rilascia alcuni assoli agili e di stampo jazzy.

Anche Just Kissed My Baby, una cover di un brano dei Meters, con il basso rotondo di Hall a scandire il ritmo e i fiati all’unisono a ribadirlo, è un altro limpido esempio tra R&B e funky, con Neville, la Falls e il sax del leader che si alternano alla guida. Yes We Can Can di Allen Toussaint è un altro omaggio al Gumbo sound di New Orleans, errebì sound portatore sano di divertimento con i fiati sempre in grande spolvero e un bel arrangiamento vocale con continui interscambi, mentre Parker soffia con classe e forza nel suo sax, prima di autocelebrarsi nel brano M A C E O, altro pezzo ripescato dal passato che si trovava nel primo disco di Maceo & The All King’s Men Doing Their Own Thing, classico debutto del 1970, con il suono di questo strumentale che ricorda moltissimo appunto il groove di Funkadelic/Parliament, JB’s e soci, ma d’altronde lo ha inventato lui e in questo strumentale dove i vari solisti si alternano alla guida, ribadisce di non avere perso il tocco magico.

Hard Times è l’omaggio ad un altro dei grandi sassofonisti della storia della musica nera, quel David “Fathead” Newman a lungo con Ray Charles, in un altro strumentale dove la quota swing jazz è prevalente rispetto al classico R&B, ma il tutto con estrema souplesse e deliziosi interventi della band, che poi si cimenta con una roboante e debordante cover di Rock Steady di Aretha Franklin che richiama comunque moltissimo il suono del James Brown più arrapato. Compared To What è un altro grande brano funky/jazz celebre nelle versioni di Roberta Flack e Les McCann/Eddie Harris, qui in una rilettura scintillante con organo, chitarra e sax ad alternarsi con la voce solista, e eccellente e vibrante anche la rilettura di Right Place Wrong Time puro voodoo funk targato Dr. John, e non manca neppure un brano di un altro datore di lavoro di Maceo Parker, quel Prince autore di The Other Side Of The Pillow, molto sexy, vellutata e rilassata, direi dolcemente swingata, veramente deliziosa, mentre a chiudere questo album, che ci riconsegna un Maceo Parker in grande forma, troviamo un altro strumentale di gran classe come Grazing In The Grass di Hugh Masekela, dove ancora una volta tutta la band è impeccabile. Gran bel disco.

Bruno Conti

I Dischi Dal Vivo Le Piacciono Molto, E Li Fa Decisamente Bene. Ana Popovic – Live For LIVE

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Ana Popovic – Live For LIVE – ArtisteXclusive CD – CD+DVD

Ana Popovic è una chitarrista serba non più giovanissima (l’età delle signore non si dice mai, ma è del 1976), con una carriera iniziata, su istigazione del babbo, grande appassionato di musica, fin dai primi anni ‘90 e poi a livello discografico con un CD della “nota” band Hush, che darà anche il titolo al suo primo album solista del 2000. La nostra amica appartiene stilisticamente diciamo alla categoria rock-funky-blues, ma ha dalla sua anche una notevole carica sexy, evidenziata dalle copertine dei suoi dischi dove appare spesso con mise piuttosto succinte, cosa replicata anche nei concerti dal vivo, dove minigonne, hot pants e stivaletti con tacchi vertiginosi sono all’ordine del giorno https://discoclub.myblog.it/2010/10/18/mica-male-la-ragazza-ana-popovic-band-an-evening-at-trasimen/ .

Anche questo nuovo Live For LIVE è, come la lascia chiaramente intuire il titolo, un disco dal vivo il terzo della sua discografia: ma la “giovanotta”, per darle i suoi meriti, è pure parecchio brava, eccellente tecnica chitarristica, con una propensione all’uso del wah-wah, nonostante il tacco 12, voce calda e potente e anche una buona capacità di autrice. Vogliamo dire che lo stile citato è derivativo come hanno evidenziato alcuni, ma se “derivi” bene, come lei, non c’è nulla di male a farlo: il concerto è stato registrato a Parigi nel corso del tour del 2019 e Ana, accompagnata da una band di 6 elementi, tastiere, basso, batteria e fiati, rivisita il suo repertorio, con una prevalenza degli ultimi album. Completino “sobrio come si evince dal video, con pantaloncino e mantellina da super eroina, ma la musica è subito eccellente, con Intro/Ana’s Shuffle, un brano dall’incipit jazzato, con organo e fiati sincopati quasi mutuati dalle vecchie soul revue, poi entra la chitarra potente e dal suono fluido e fluente, un paio di minuti e il pedale del wah-wah viene subito innestato a manetta, pur se in un ambito raffinato.

La Popovic estrae dalla sua Stratocaster una marea di note, poi passa alla funky Can You Stand The Heat, dall’omonimo album del 2013, cantata con voce sicura e gagliarda, mentre la chitarra rimane in modalità wah-wah e parte anche un assolo di basso slappato accompagnato da piano elettrico e organo, a seguire, ancora dallo stesso disco l’ottima Object Of Obsession, sempre sorretta dalle continue folate della solista. Love You Tonight dal triplo Trilogy del 2016 è una R&B torbido e carnale, sostenuto dal solito florilegio dei fiati, mentre Train che nella versione di studio del triplo era un duetto con Bonamassa, qui ci permette di gustare l’approccio vocale da balladeer soul della Popovic, quasi alla Beth Hart, Ana che non si esime comunque dal rilasciare un altro assolo di notevole tecnica e feeling. Long Road Down è un’altra sferzata di puro funky groove, con wah-wah utilizzato in ambito ritmico, spazio ad assoli di organo e basso, e poi un altro robusto assolo di chitarra, prima di un tuffo nel New Orleans sound di New Coat Of Point, dove i fiati e il piano elettrico hanno il loro spazio solista prima di lasciare di nuovo il proscenio alla chitarra di Ana. Ancora dal triplo arriva una lunga versione notturna e raffinata di Johnnie Ray, una blues ballad affascinante dove la Popovic lavora di fino prima del grande crescendo finale, Can’t You See What Are You Doing To Me è una gagliarda versione di un brano di Albert King del periodo Stax, con un altro assolo da sballo della bionda chitarrista serba.

Poi è di nuovo funky time con una ribollente Fencewalk dal repertorio dei Mandrill, ancora pescata da Trilogy, con un altro assolo magistrale, e sempre dal disco Morning del triplo ancora un funky-soul dai risvolti Funkadelic/Isley Brothers come If Tomorrow Was Today. Brand New Man dall’ultimo disco del 2018 è un ottimo shuffle dal suono classico, e sempre da quel CD la title-track che è di nuovo in modalità funky con uso wah-wah, che rimane in funzione per Lasting Kind Of Love, un duetto con Keb’ Mo’ nella versione di studio, seguito da Mo’ Better Love, un’altra raffinata canzone di impianto jazz-soul cantata a voce spiegata dalla Popovic, sempre impeccabile anche alla chitarra.

Siamo al gran finale, con i brani più lunghi, prima una sontuosa How’d You Learn To Shake It Like That di Snooky Pryor dove Ana va di slide alla grandissima https://www.youtube.com/watch?v=YYlQwyy_LTQ , poi il medley di quasi 13 minuti, che parte ancora super funky con Show Me How Strong You Are?, con spazio per tutto i musicisti con assoli di basso, batteria e organo, e poi con Going Down e Crosstown Traffic, altro momento Hendrixiano con profluvi di Wah-Wah come piovesse, prima della chiusa con lo strumentale Tribe, ancora denso di sfrenato virtuosismo jam in libertà.

Bruno Conti

Il Ritorno Del Funky Classico, Capitolo Secondo. Tower Of Power – Step Up

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Tower Of Power – Step Up – Artistry Music/Mack Avenue Records

Circa un paio di anni fa i Tower Of Power avevano festeggiato, una prima volta, il loro 50° Anniversario di carriera con l’ottimo https://discoclub.myblog.it/2018/07/02/per-festeggiare-il-loro-50-anniversario-torna-alla-grande-uno-dei-gruppi-funky-soul-piu-gagliardi-di-sempre-tower-of-power-soul-side-of-town/, ma visto che è nel 2020 che effettivamente ricorre l’uscita del primo album della band East Bay Grease, ci voleva un altro album per ricordare l’avvenimento. E dato che sono delle persone previdenti, nelle stesse sessions di registrazione di quel disco, avevano inciso altri 14 brani che ora vengono pubblicati sotto il titolo di Step Up. Ovviamente la produzione è sempre affidata al leader storico Emilio Castillo e a Joe Vannelli (fratello del più famoso Gino), mentre nel disco suonano una dozzina tra musicisti e cantanti, oltre ad arrangiatori e suonatori di fiati e archi, nonché alcune vocalist di supporto.

D’altronde il funky-soul corposo e scoppiettante della band lo richiede: East Bay, All The Way, il breve strumentale che introduce l’album, è sia un omaggio al titolo del primo album del 1970, quanto una dimostrazione del frizzante stile della band, con la sezione fiati guidata da Castillo e Stephen “Doc” Kupka in grande spolvero. Anche Roger Smith, il tastierista, che firma con Castillo la title track, è uno degli elementi essenziali e portanti del sound della band, che quindi rilascia un bel “funkettone” old school, affidato alla voce potente di Ray Greene, uno dei due vocalist impegnati nel disco e che si alternano nei vari brani, con le coriste e i fiati che imperversano alla grande, mentre Smith accarezza con voluttà la tastiera del suo organo (niente doppi sensi); The Story Of You And I, cantata dall’altro vocalist Marcus Scott, e scritta dalla accoppiata Castillo/Kupka è classico Tower Of Power sound, ritmato e sanguigno R&B e funky con David Garibaldi alla batteria e Jerry Cortez alla chitarra solista in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=z2hicDGhH1k .

Who Would Have Thought? è il classico “lentone” cantato da Greene, con tanto di electric sitar, forse un filo “leccato” come suono, ma estremamente godibile, mentre Addicted To You, ancora cantata da Greene, vira verso una sorta di 70’s disco-lite. Castillo con il suo vocione è la voce guida nella ritmatissima e corale Look My Eyes, dove tutta la band funziona come una macchina oliatissima e qualcuno ci ha visto addirittura delle analogie con gli Steely Dan, come pure in Any Excuse Will Do, l’altro brano “cantato” da Castillo, e qualche punto di contatto nel suono in effetti c’è https://www.youtube.com/watch?v=-XS0s3vpNh4 . You Da One, cantata dal tastierista Smith, è un super funky quasi da Blaxploitation o vicino al giro Parliament/Funkadelic, con fiati e ritmica rotondissimi, molto bravo, peraltro anche nel resto delle canzoni, il bassista Francis Rocco Prestia, un altro dei “nostri https://www.youtube.com/watch?v=ov0DJO9DOjc ; la morbida Sleeping With You Baby, cantata da Scott tra arditi falsetti, è più sul versante smooth soul anni ‘70, con la parte strumentale comunque sempre impeccabile, assolo di flicorno incluso.

If It’s Tea, Give Me Coffee è un errebì molto sincopato, sempre con tutti i solisti, incluso il cantante Ray Greene, impegnati in complessi e raffinati interscambi di grande precisione, senza perdere l’impeto di una musica che fa muovere inesorabilmente i piedi; Beyond My Wildest Dreams con il chitarrista Cortez in primo piano è sempre portatrice sana di musica ideale per una classic soul revue di grandi professionisti, ovviamente se amate il genere. If You Wanna Be A Winner, con wah-wah innestato e un fantastico lavoro da funky drummer di Garibaldi, è sempre esuberante nel suo dipanarsi irresistibile, Let’s Celebrate Our Love è uno dei rari momenti “romantici” con Scott che libera ancora una volta il suo falsetto in un brano che ricorda Earth, Wind & Fire, Stylistics, Commodores, Kool & The Gang e altre band del soul fine anni ‘70. La breve outro strumentale di East Bay! Oaktown All The Way! Chiude le procedure di un album che festeggia in modo disimpegnato ma assai efficace, ancora una volta, in modo più che degno i 50 anni di carriera dei Tower Of Power.

Bruno Conti

Ci Ha Lasciato Anche Bill Withers, Uno Degli “Eroi Sconosciuti” E Schivi Della Black Music, Aveva 81 anni,

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William Harrison Withers Jr. se ne è andato lunedì 30 marzo 2020, anche se le notizia è stata comunicata dalla famiglia solo ieri, per problemi cardiaci. Bill Withers, come era conosciuto da tutti, è stata una delle voci più interessanti e uniche della black music: una carriera nella musica iniziata tardi, quando aveva già passato i 30 anni, e durata solo una quindicina di anni, con la pubblicazione di otto album di studio e uno dal vivo. Molti lo conoscono soprattutto per i suoi due brani più noti, la splendida Ain’t No Sunshine, una canzone con un incipit straordinario e uno svolgimento altrettanto emozionale, e Lean On Me, “conta su di me”, che in questi tempi di coronavirus è stato uno dei pezzi più utilizzati per lanciare campagne di sensibilizzazione e raccolte fondi. Il musicista di Stab Fork, Virginia, dove era nato il 4 luglio del 1938, ma da sempre califoniano di elezione, spesso veniva ritratto sorridente nelle foto e sulle copertine dei suoi album, con quella espressione disincantata e anche scettica che lo aveva accompagnato nell’approccio alla musica e nella vita.

L’ultimo di sei figli, affetto nell’infanzia e nella gioventù dalla balbuzie, Withers era entrato nella Marina Americana all’età di 17 anni, dove poi aveva prestato servizio per nove anni, in seguito aveva fatto diversi lavori, anche nel settore dell’industria aereonautica, comunque coltivando sempre la sua passione per la musica, registrando demo che portava alle case discografiche ed esibendosi in piccoli locali.Tra la fine del 1969 e l’inizio del 1970, quando il suo nastro contenente Ain’t No Sunshine iniziava a circolare negli ambienti discografici, Bill comunque mantenne il suo lavoro, tanto che nella copertina del suo primo album è ritratto ancora con la sua borsa per il pranzo, “schiscetta” diremmo a Milano, visto che non si fidava molto dell’ambiente in cui era entrato, che definiva, a ragione come vedremo, una industria volubile. Comunque nel maggio del 1971 esce il suo esordio Just As I Am, che molti considerano il suo capolavoro, un disco dove la soul music, il suo genere di pertinenza, era mediato da un utlizzo di stilemi folk, pop, anche con inserti gospel e a livello di testi, oltre alle classiche canzoni d’amore, anche brani che toccavano tematiche sociali e politiche.

L’album uscì per la Sussex, una piccola etichetta di proprietà di Clarence Avant che comunque gli mise a disposizione un dream team di musicisti: Booker T. Jones, oltre a essere il produttore, suonava naturalmente le tastiere, Stephen Stills era la chitarra solista, mentre al basso si alternavano Donald Dunn e Chris Ethridge, alla batteria Jim Keltner e Al Jackson Jr. sempre degli Mg’s, nonché la percussionista Bobbye Hall. Il risultato è un disco dove soul music e pop raffinato vanno fianco a fianco appunto con il soul (non a caso le uncihe due cover erano Let It Be dei Beatles e Everybody’s Talkin’ di Fred Neil/Harry Nilsson, la colonna sonora dell’Uomo Da Marciapede). La voce di Withers non è forse molto potente, ma in ogni caso espressiva e ricercata, con qualche analogia con quella di Stevie Wonder e Marvin Gaye, due musicisti che stavano cambiando la musica nera all’epoca, ci sono anche intermezzi orchestrali come nella potente Harlem che apre l’album, l’utlizzo di chitarre acustiche, per esempio nella splendida Ain’t No Sunshine, che impiega la reiterazione tipica del gospel, come pure l’altro singolo estratto dall’album, l’intensa Grandma’ s Hands, mentre le due cover sono entrambe molto belle, Let It Be che si presta molto al trattamento gospel e Everybody’s Talkin’ che diventa un country got soul. Ma tutto l’album è eccellente, da riscoprire assolutamente.

Anche Still Bill, uscito nel 1972, è un grandissimo disco, l’unico a entrare nella Top Ten delle classifiche USA, un altro dei classici dischi da 5 stellette: ci sono due canzoni che si elevano sulle altre, la ballata universale Lean On Me, senza tempo e utilizzata nei tempi duri, quando c’è bisogno di sostegno e solidarietà, questa volta con un approccio ancora più “nero” del precedente album, grazie all’utilizzo di musicisti come il grande batterista James Gadson, una delle colonne della black music e del funky dell’epoca, del bassista Melvin Dunlap, anche lui, come Gadson, della Watts 103rd Street Rhythm Band, al pari del chitarrista Benorce Blackmon, spesso al wah-wah e a completare la formazione Raymond Jackson alle tastiere e arrangiatore di fiati e archi. Dal precedente disco rimane Bobbye Hall: l’altra canzone di grande fascino è Use Me, un funky proprio tra Stevie Wonder e Marvin Gaye, dalla grande scansione ritmica e con un piano elettrico a caratterizzarne il sound. In ogni caso, come per il disco precedente, non ci sono punti deboli nell’album e tutte le canzoni sono affascinanti e di grande appeal: senza voler fare un trattato sulla discografia di Bill Withers, comunque mi preme segnalare anche il magnifico Live At Carnegie Hall, registrato nella grande sala da concerto newyorchese con gli stessi musicisti del disco in studio nell’ottobre del 1972 e poi pubblicato nel 1973. Un doppio vinile, sempre edito per la Sussex, dove le versioni dei brani spesso vengono allungate con ampi spazi improvvisativi dove i musicisti sono liberi di dare grande supporto alle bellissime canzoni di Withers, in uno dei dischi dal vivo più belli degli anni ’70.

Negli anni successivi Bill pubblicherà ancora sei album, uno per la Sussex e gli altri per la Columbia, nessuno essenziale come il trittico appena ricordato, comunque (quasi) sempre di qualità eccellente e con la presenza di alcune canzoni tra le più popolari del suo songbook: canzoni come Railroad Man, con José Feliciano alle chitarre e alle congas, o The Same Love That Made Me Laugh sono dei piccoli trattati sulla funk music, Lovely Day su Menagerie, con qualche piccola influenza disco, ma comunque ancora di grande fascino e Just The Two Of Us, l’ultimo grande successo, registrato insieme a Grover Washington Jr. e uscito come singolo nel 1980. Mentre nel 1985 viene pubblicato l’ultimo album per la Columbia, in effetti con un suono orripilante anni ’80, poco successo e un bel calcio nel culo dalla casa discografica che termina lil contratto con lui, e senza problemi Withers si ritira dal mondo della musica, memore di quanto aveva detto agli inizi. Qualche apparizione qui è là per ritirare premi postumi e riconoscimenti, ma nessun rimpianto: nel 2014 esce Bill Withers: The Complete Sussex & Columbia Albums Collection, un box di 9 CD con la sua opera omnia che sarebbe stato l’ideale da avere, per farsi una idea sulla sua musica, ma purtroppo è fuori produzione, quindi se li trovate ancora in giro cercate i primi tre album, oppure in mancanza di altro, qualche bella raccolta. “Unsung Hero” in lingua inglese rende meglio il concetto del nostro “eroe sconosciuto”!

Grazie di tutto e Riposa In Pace!

Bruno Conti

Sam Cooke E Curtis Mayfield Avrebbero Approvato. Robert Cray Band – That’s What I Heard

robert cray that's what i heard

Robert Cray Band – That’s What I Heard – Nozzle Records/Jay-Vee Productions

Sono passati circa tre anni dal precedente album Robert Cray & Hi Rhythm, che aveva portato il musicista della Georgia in trasferta ai leggendari Royal Studios di Memphis, per un tuffo in una delle mecche della soul music https://discoclub.myblog.it/2017/05/06/si-rinnova-la-tradizione-del-blues-e-del-soul-robert-cray-robert-cray-hi-rhythm/ , questo nuovo That’s What I Heard, sempre in compagnia del fido Steve Jordan, che ormai affianca Robert Cray come produttore da parecchi anni (dal 2014 e per gli ultimi tre album, più il disco del 1999 Take Your Shoes Off), conferma questa “svolta” decisamente orientata verso il soul, che senza dimenticare il blues, sembra diventato sempre più lo stile principale verso cui hanno indirizzato la loro musica Cray e Jordan: non per nulla proprio il produttore ha parlato di un disco alla Sam Cooke, dove, come ricorda il titolo, il nostro amico va a rivisitare anche una serie di canzoni che sono state seminali negli anni della sua giovinezza.

Alcuni brani noti, ma non celeberrimi, altri meno, oltre a sette canzoni nuove scritte per l’occasione, cinque da Cray: non ci sono più i musicisti della Hi Rhythm Section, che avevano accompagnato Cray nel 2017, ma Robert ritorna ad utilizzare la sua Band, in particolare lo storico bassista Richard Cousins, con lui dal 1980, ovviamente Jordan alla batteria, che si alterna con Terence F. Clark, l’ottimo Dover Weinberg alle tastiere, Chuck Findley a tromba e trombone e Trevor Lawrence al sax, oltre alle (ai?) Craylettes alle armonie vocali e Ray Parker, chitarrista aggiunto. Il risultato finale è delizioso, una vera panacea per i padiglioni auricolari danneggiati da copiose dosi di “musica di plastica” che aleggiano nell’etere, oltre al coronavirus: qui parliamo solo di musica autentica, che sia quella dei brani originali di Robert, come pure delle cover scelte con cura. Anything You Want, il primo singolo, è uno dei classici blues alla Cray, mosso e pungente, con eccellente lavoro della solista, contrappuntata dall’organo di Weinberg https://www.youtube.com/watch?v=OcmtxxNOg4w , a seguire la prima cover, Burying Ground, un brano di Don Robey scritto per i Sensational Nightingales, interpretato con il giusto fervore gospel dal nostro, in ricordo di quelle mattinate passate ascoltando e cantando in famiglia quel tipo di musica: le Craylettes (uso l’articolo femminile, ma le voci maschili sono predominanti nel tipico call and response) si “agitano” sullo sfondo in modo adeguato, comunque grande interpretazione.

Deadric Malone, che è poi sempre Don Robey, lo pseudonimo di quando scriveva per il blues e il R&B, e You’re The One è proprio uno straordinario errebì con fiati cantato in modo divino alla Sam Cooke da un ispiratissimo Robert Cray; un rotondo giro di basso di Cousins introduce This Man, un’altra delle composizioni originali di Cray, con l’organo che tira la volata alla chitarra per un pezzo veramente super funky nel suo andamento. A proposito di funky, più dalle parti del soul, ottima anche la cover della melliflua You’ll Want Me Back, una canzone di Curtis Mayfield, dove Robert si lancia anche in alcuni falsetti, ben spalleggiato dai backing vocalists e dai fiati di Findley e Lawrence https://www.youtube.com/watch?v=dZrWVlCnmLM , mentre Hot un altro originale di Cray, rimane sempre nell’ambito dei brani dal groove mosso e scandito, con il pianino di Weinberg che sottolinea il ritmo, mentre la chitarra rilascia un altro assolo pungente e incisivo sottolineato dai fiati sincopati e dall’organo. Promises You Can’t Keep è il risultato della collaborazione di uno strano trio, Steve Jordan, Kim Wilson e Danny Kortchmar, una malinconica ballata agrodolce su un amore che finisce, con Steve Perry che aggiunge le sue armonie vocali all’accorato canto di Robert, che conferma il suo stato di grazia in questo brano, e distilla anche magiche noti dalla sua chitarra, mentre i fiati colorano l’assieme https://www.youtube.com/watch?v=7rwB8tHpxgE .

To Be With You è un accorato omaggio allo scomparso Tony Joe White, di cui Cray aveva interpretato un brano in ciascuno degli ultimi due album, altra ballata sopraffina in puro stile deep soul, con organo scivolante e assolo misurato di chitarra. My Baby Likes To Boogaloo, come anticipa il titolo, è una danzereccia ripresa di un oscuro brano di tale Don Gardner, ovvero come si ballava negli anni ‘60, seguita dall’ultimo contributo di Cray You Can’t Make Me Change, un blues after hours soffuso e notturno, molto raffinato, con assolo in punta di dita. Altro brano nuovo che non è una cover è la canzone firmata dall’amico Cousins insieme a Hendrix Ackle, una accoppiata già presente nei precedenti CD, A Little Less Lonely, sofisticata ma non memorabile, anche se ci permette di gustare un altro impeccabile assolo di chitarra, mentre anche Do It fa parte della categoria delle cover “oscure”, un pezzo del repertorio primi anni ‘70 di Billy Sha-Rae, cantante minore della scena funky di Detroit, nell’originale suonava la chitarra un giovanissimo Ray Parker, che per l’occasione rivisita la sua parte spingendo Robert verso l’assolo più lancinante del CD in un tripudio di funky.

Forse non un capolavoro assoluto, ma un solido album di soul “moderno”, inteso nel significato più nobile del termine, Sam Cooke probabilmente avrebbe approvato alcune prestazioni vocali splendide ed ispirate di Cray.

Bruno Conti

Tra New York, Chicago E Memphis Un Altro Grande Cantante Bianco Con L’Anima Nera. Tad Robinson – Real Street

tad robinson real street

Tad Robinson – Real Street – Severn Records

Tad Robinson 63 anni, nativo di New York City, operante da anni tra Chicago e Memphis, è uno di quei cantanti bianchi, ma con l’anima nera (per avere una idea pensate a Marc Broussard, JJ Grey, Anderson East,  Eli “Paperboy” Reed, in ambito femminile sua controparte potrebbe essere la grande Janiva Magness, o con uno spirito più rock Jimmy Barnes, ma sono solo i primi nomi che mi sono venuti in mente), una discografia solista non molto copiosa, anche perché spesso ha cantato con e per altri, tipo Dave Specter, o di recente nella Rockwell Avenue Blues Band, insieme a Steve Freund e Ken Saydak per l’ottimo Back To Chicago uscito nel 2018 https://discoclub.myblog.it/2018/06/20/un-piccolo-supergruppo-di-stampo-blues-rockwell-avenue-blues-band-back-to-chicago/ .

Per questo Real Street (uscito lo scorso settembre negli States, ma disponibile da pochi giorni in Europa) è stato fatto un ulteriore step verso la soul music più genuina: il disco è stato inciso in quel di Memphis, agli  Electraphonic Recording Studios, quelli che hanno raccolto l’eredità di Fame e Muscle Shoals, gestiti da Scott Bornar (dei Bo-Keys) e con l’impiego della Hi Rhythm Section, dove militano i leggendari Charles Hodges all’organo e Leroy Hodges al basso, oltre al batterista Howard Grimes. Ma nel disco suonano anche il chitarrista Joe Restivo e l’attuale pianista dei Fabulous Thunderbirds Kevin Anker, impegnato al Wurlitzer, nonché la sezione fiati composta da Marc Franklin alla tromba e Kirk Smothers al sax tenore, i cui nomi ricorrono spesso nei dischi di Gregg Allman, Dana Fuchs, Robert Cray, lo stesso Paperboy Reed. Insomma gli ingredienti ci sono tutti e la musica che ne risulta è rigogliosa, goduriosa e di gran classe: sia nell’iniziale shuffle tra blues, R&b e Stax soul Changes, dove la voce vissuta e temprata da mille palchi di Robinson si muove tra fiati, chitarrine e tastiere che profumano di profondo Sud, come pure nel mid-tempo mellifluo di Full Grown Woman, dove emergono anche elementi gospel forniti dal background vocalist Devin B. Thompson: a colorare ulteriormente la tavolozza dei suoni. Search Your Heart è una solenne ballata del “divino” soul balladeer George Jackson, con una prestazione vocale da sballo di Tad, e l’organo di Hodges che scivola maestoso a suggellarne l’interpretazione, come l’assolo in punta di dita di Restivo.

Love In The Neighborhood è più mossa, solare e radiofonica, in un ideale mondo alternativo dove le radio trasmettono buona musica, e Robinson ci mostra la sua perizia pure all’armonica, mentre fiati e voci di supporto sono sempre in azione, come pure la chitarra di Restivo. Wishing Well Blues tiene fede al proprio titolo ed è un tuffo nel le12 battute più classiche, con fiati sempre in evidenza, mentre You Got It è una sontuosa cover del brano di Roy Orbison, che, rallentata ad arte, si trasforma quasi in una ballata deep soul  alla Sam Cooke, o Al Green, visti i musicisti impiegati, con la voce melismatica di Tad Robinson che si distingue ancora per il suo timbro favoloso. You Are My Dream è un altro intenso errebì dallo spirito danzante e giocoso, con l’armonica di Robinson quasi alla Stevie Wonder prima maniera. che lascia poi spazio ad una sorprendente cover di Make It With You, un grandissimo successo del pop raffinato anni ’70 dei Bread di David Gates, qui trasformato in un’altra ricercata love song avvolgente, degna dei migliori cantanti neri di quell’epoca gloriosa, elegante senza essere troppo turgida.

Real Street, di nuovo con la sinuosa armonica di Tad in evidenza, è un altro ottimo esempio di quel soul targato Hi Records che non tramonta mai, soprattutto se viene suonato da chi conosce a menadito la materia, sentire il groove del basso danzante di Leroy Hodges,  e comunque non guasta se hai un cantante in grado di maneggiare la materia sonora, che poi chiude l’album con il leggero funky caratterizzato dall’ interplay quasi telepatico organo-piano elettrico di Long Way Home, con retrogusti targati Marvin Gaye o Curtis Mayfield, senza dimenticare Al Green, il re dello smooth soul https://www.youtube.com/watch?v=OzRh7OGBlrA . Chi ama il genere non ha bisogno di ulteriori incoraggiamenti, sarà pure retrò, ma è una vera delizia.

Bruno Conti

Uno Dei Migliori Chitarristi In Circolazione Si Scopre Anche Cantante. Dave Specter – Blues From The Inside Out

dave specter blues from the inside out

Dave Specter – Blues From The Inside Out – Delmark Records

Dave Specter da Chicago, è giustamente considerato uno dei migliori chitarristi in circolazione nell’ambito del blues e dintorni, in quanto comunque nella sua musica, oltre alle 12 battute classiche, sono sempre confluiti elementi jazz, rock, soul, funky, qualche tocco di gospel, in dischi in passato quasi sempre rigorosamente strumentali: o meglio il nostro amico, nei nove album di studio e un paio di live che avevano preceduto questo Blues From The Inside Out, non aveva mai spiccicato una parola, “limitandosi” a suonare la sua Gibson (e ogni tanto la Fender), con uno stile, una tecnica ed un feeling inimitabili, ma, soprattutto negli ultimi anni, in particolare nel penultimo eccellente Message In Blue, utilizzando vocalist esterni per alcuni brani cantati, nel disco in questione tre con Brother John Kattke e tre con il compianto Otis Clay https://discoclub.myblog.it/2014/07/07/messaggio-pervenuto-forte-chiaro-dave-specter-message-blue/ .

Ma nel frattempo, dopo 35 anni di onorata carriera, e a sei anni dall’album precedente ha deciso che era il momento di fare il suo esordio anche come cantante: e i fatti gli danno ragione, visto che il nuovo CD è probabilmente il suo migliore di sempre, in una sequenza di uscite che ha  peraltro mantenuto sempre elevati livelli qualitativi. Ovviamente, un po’ come nel caso della coperta di Linus, non sentendosi completamente sicuro, Specter comunque lascia spazio in alcuni brani all’amico Brother John Kattke, impiegato anche ad organo e piano, e a Sarah Marie Young in una canzone, non trascurando i suoi proverbiali pezzi strumentali . In alcune tracce appare la sezione fiati dei Liquid Horns, il percussionista Ruben Alvarez, i vocalist aggiunti Devin Thompson e Tad Robinson (già utilizzato in passato in diversi album), e come ospite in due brani Jorma Kaukonen, che ne firma anche uno con Specter. Per questo suo esordio come autore di testi il nostro amico ha toccato anche temi sociali e politici, in questi tempi travagliati per la società americana (a parte l’economia dell’elite Trumpiana, che galoppa a ritmi folli macinando record): una nota di merito alla bella copertina che cromaticamente ricordail classico Time Out di Dave Brubeck, e ci tuffiamo subito nel primo brano, la title track Blues From The Inside Out, un classico shuffle dove Specter fa il suo esordio canterino, con una voce diciamo non memorabile, ma adeguata alla bisogna, mentre con l’aiuto di Kattke al piano Dave comincia a scaldare il suo strumento.

Ponchantoula Way è un brano più mosso, con l’uso di fiati e percussioni, Kattke sempre molto presente al piano, con retrogusti funky soul made in Louisiana, un ritmo ondeggiante e un assolo di chitarra di grande tocco e finezza da parte di Specter; March Through The Darkness, cantata da Kattke, è un omaggio alla illustre concittadina di Chicago Mavis Staples, una splendida deep soul ballad dal messaggio sociale che vive anche sul lavoro di cesello di tutta la band, e soprattutto di Dave che ci regala un assolo caldo e delizioso, di una fluidità disarmante, seguito da quello di Brother John https://www.youtube.com/watch?v=utC3qX5pLG4 . Sanctifunkious, come altri pezzi strumentali con nomi simili dal passato di Specter, prende l’ispirazione dal funky-jazz di Meters e Neville Brothers, grande groove e assoli ricchi di feeling, incluso uno incredibile al waw-wah https://www.youtube.com/watch?v=1cJTWrK0MeA , altro brano con messaggio (contro Trump) è How Low Can One Man Go, con un titolo simile a quello di un pezzo di Robert Cray Just How Low, un bluesaccio sporco e torrido alla John Lee Hooker, di nuovo con wah-wah a manetta e Jorma Kaukonen che risponde colpo su colpo. Asking For A Friend è cantata da Specter, un altro blues scandito in puro stile Chicago, con le consuete folate della solista di Dave, mentre Minor Shout è un altro dei suoi raffinati strumentali, un brano lungo e sinuoso basato sull’interplay con l’organo di Kattke, e atmosfera tinta di latin-jazz à la Santana, anche grazie alle percussioni dell’ottimo Alvarez.

The Blues Ain’t Nuthin’ è il brano con il testo firmato da Kaukonen, cantato nuovamente dall’ottimo Kattke, che come è noto agli aficionados delle 12 battute è un eccellente vocalist, un electric blues con uso fiati che sembra uscire da qualche vecchio vinile di Mike Bloomfield, grazie alla limpidissima solista di Specter ben spalleggiata da quella di Jorma https://www.youtube.com/watch?v=KixdZ9ZieFM , Brother John che si ripete anche nella divertente ed ondeggiante Opposites Attract, lasciando poi spazio alla solista del nostro nello strumentale groove oriented con fiati Soul Drop che all’inizio ha un riff alla On Broadaway , che è poi un tema sonoro ricorrente nel corso del brano. Wave’s Gonna Come è una deliziosa ballata introdotta dall’acustica dell’autore Bill Bricta e cantata in modo imperioso da Sarah Marie Young, con la pungente solista di Specter a mettere il marchio su questa eccellente canzone https://www.youtube.com/watch?v=4EIBkB7PEtA . A chiudere un altro strumentale, la morbida String Chillin’, tra blues e jazz, con Kattke al piano a spalleggiare le splendide evoluzioni della solista del nostro amico, che si conferma uno dei “maghi” della chitarra, se non lo conoscete già, assolutamente da scoprire. Come si suole dire, gran bel disco!

Bruno Conti

Tra R&B, Funky E Blues (Poco A Dire Il Vero), Comunque Gradevole. Arthur Adams – Here To Make You Feel Good

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Arthur Adams – Here To Make You Feel Good – Cleopatra Blues

Ecco di nuovo I miei “amici” della Cleopatra, che ora  hanno anche una etichetta che si occupa in modo specifico di blues, molto in senso lato:  in particolare già nel 2017 avevano pubblicato un doppio CD dedicato a Arthur Adams, Look What The Blues Has Done For Me, che conteneva un album nuovo e un dischetto di materiale d’archivio registrato negli anni ’70. Adams, nato a Medon, Tennessee il giorno di Natale del 1943, è una sorta di piccola legenda (anche se è un mezzo ossimoro passatemelo) del blues: come sideman incideva già dagli anni sessanta, con Lowell Fulson, Sam Cooke, Quincy Jones, i Crusaders, poi con James Brown, ma anche James Taylor, Nina Simone, Bonnie Raitt, persino Jerry Garcia, nonché B.B. King. Insomma un curriculum di tutto rispetto: negli anni ’70 inizia a pubblicare alcuni album solisti a nome proprio (prima erano solo singoli, tra gospel, R&B, blues e deep soul) più orientati verso funky e disco.

Adams è principalmente un chitarrista, ma è in possesso comunque di una voce duttile e piacevole in grado di adeguarsi ai vari stili che frequenta: diciamo che il suo blues è molto contaminato e “leggerino”, per quanto decisamente gradevole, grazie anche ai musicisti  eccellenti che lo accompagnano,  Reggie McBride (alternato a Freddie Washington) al basso, il grande James Gadson alla batteria, Hense Powell alle tastiere e Ronnie Laws al sax, più una sezione fiati guidata da Lee Thornberg in tre brani. Nonostante il pedigree importante e i musicisti citati non aspettatevi chissà che da questo Here To Make You Feel Good, se non il tentativo di realizzare quanto dichiarato nel titolo del disco; Tear The House Down, con basso slappato e batteria e percussioni in evidenza, è un super funky molto anni ’70, se amate il genere, con  le belle linee della chitarra e il sax a dividersi gli spazi, molto Isley Brothers o Funkadelic. Full Of Fire è un brano tra rock solare e derive errebì, sempre godibile anche per il ritmo e la melodia sixties, una sorta di Sam Cooke per gli anni 2000, anche se la classe è ben altra https://www.youtube.com/watch?v=ek7LMqQkvJ4 ; mentre Sweet Spot, cantata a tratti in leggero falsetto, è  ancora un soul leggerino tra Cooke e George Benson di nuovo “aggiornati” ai tempi moderni, apprezzabile soprattutto per il lavoro raffinato della chitarra https://www.youtube.com/watch?v=WuT62AA4Q_8 .

Stesso discorso per Pretty Lady, sempre molto radio-friendly, con la successiva Forgive Me, una ballatona con fiati, vagamente alla Marvin Gaye https://www.youtube.com/watch?v=1qw5ztzLSCs , e così si va avanti più o meno per tutto il disco. E il blues direte voi? Magari la prossima volta: no, per essere onesti, nel finale del CD, c’è prima  un bello slow Be Myself, un po’ alla Robert Cray, dove si apprezza l’ottima tecnica di Adams https://www.youtube.com/watch?v=-4SDgKpMeKQ , e poi un altro pezzo più mosso e carnale come la title track Here To To Make You Feel Good, che è un buon contemporary blues, e pure la conclusiva strumentale Little Dab’ll Do Ya profuma di 12 battute classiche, non so se basti per dire che siamo di fronte ad un disco blues, ma con la Cleopatra di mezzo dobbiamo aspettarci di tutto. File under 70’s funky blues.

Bruno Conti