Carole King, The Queen Of Classic Pop: Una Breve Cronistoria, Prima Parte.

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Carole Joan Klein, nasce a New York, anzi proprio a Manhattan, da una famiglia di origini ebree, il 9 febbraio del 1942: durante gli anni al Queens College (un nome, un destino) incontra Gerry Goffin, che nell’agosto del 1959 sposerà a Long Island in una cerimonia ebraica, in quanto Carole era già incinta della prima figlia Louise. Nel frattempo i due avevano iniziato a scrivere canzoni insieme, in serata, quando erano terminati gli impegni di lavoro, avendo entrambi abbandonato il college per intraprendere la vita coniugale. Ma la King era una predestinata, aveva già frequentato il mondo musicale, quando era alle scuole superiori uno dei suoi primi fidanzati dell’epoca era stato Neil Sedaka, che proprio nel 1959 ebbe un clamoroso successo con Oh, Carol, per il quale Goffin, sulla stessa melodia, scrisse una canzone di risposta (ai tempi usava) Oh Neil,  cantata dalla King, che però non fu un successo, come neppure il lato B scritto insieme, A Very Special Boy, il secondo singolo ad uscire. I due ci misero poco ad aggiustare l’intesa musicale e già nel 1960 scrissero insieme (lei la musica e lui i testi, questa la formula) Will You Still Love Me Tomorrow?, un mega successo per le Shirelles, il primo brano di un gruppo femminile nero ad arrivare al n°1 delle classifiche, con il risultato che entrambi lasciarono il loro lavoro giornaliero per dedicarsi a tempo pieno alla musica, diventando una delle coppie di maggior successo durante

Gli Anni Del Brill Building 1960-1968

I brani scritti in coppia come Goffin-King, tra il 1960 e il 1968, anno in cui si lasceranno e divorzieranno, furono una infinità, ma almeno una cinquantina entrarono nella top 100 (e per Carole KIng, da sola o in coppia, fino al 1999, furono addirittura 118! Per cui il titolo dell’articolo è più che giustificato). Vediamo alcuni dei titoli più celebri o significativi scegliendo anche tra quelli più belli, magari incisi in seguito anche dalla nostra amica: Some Kind Of Wonderful, sempre del 1960, per i Drifters, ma poi anche in una bellissima versione di Marvin Gaye fu incisa pure da Carole King, come sarà per Will You Still Love Me Tomorrow. Nel 1961 Chains per i Cookies, ma anche i Beatles nel 1963 e la sua versione nel 1980; The Loco-Motion per Little Eva, e nell’album Pearls,  appunto del 1980. Nel 1962 Up On The Roof ancora con per i Drifters, poi su Writer il debutto solista del 1970 e incisa anche dalla “rivale” Laura Nyro lo stesso anno. Nel 1963 Hey Girl per Freddie Scott, ma soprattutto One Fine Day per le Chiffons, entrambe riprese nel disco del 1980. Nel 1965 Goffin e King scrivono anche alcuni brani con Phil Spector e lo stesso anno la splendida Don’t Bring Me Down per gli Animals (la faceva anche Tom Petty). Goin’ Back del 1966 per Dusty Springfield, ma come dimenticare la versione dei Byrds, e la stessa Carole l’ha incisa due volte, la stupenda (You Make Me Feel Like) A Natural Woman, insuperata nella versione di Aretha Franklin, e poi apparsa su Tapestry

e infine nel 1968 I Wasn’t Born to Follow per i Byrds, che apparirà anche nel disco dei

The City –  Now That Everything’s Been Said – 1968 Ode – ***1/2

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Un trio con il futuro secondo marito, il bassista Charles Larkey e con Danny Kortchmar alla chitarra, oltre naturalmente a Carole King alle tastiere e alla voce, e con “l’ospite” Jim Gordon alla batteria. Un disco che non ebbe successo, sia per la riluttanza della King ad andare in tour, sia perché l’album andò fuori catalogo velocemente a causa di un cambio di distribuzione. Ma comunque giustamente rivalutato quando è stato pubblicato in CD, prima nel 1999 e poi dalla Light In The Attic nel 2015: molti dei brani portano ancora la firma Goffin e King, ma al di là della bellissima I Wasn’t Born To Follow è tutto l’album nell’insieme che per certi versi anticipa l’avvento della musica Westcoastiana. Anche perché nel frattempo Carole, nel 1967, si era trasferita a Los Angeles, nella zona del Laurel Canyon, dove aveva incontrato i primi praticanti di quello stile, altri spiriti affini, e alcune canzoni  del disco furono incise dai Monkees (la deliziosa A Man Without A Dream cantata da “Kootch” Kortchmar) , Blood, Sweat & Tears (la bellissima Hi-De-Ho)-, American Spring (la mossa title track, puro Carole King sound) e il brano dei Byrds fu usato anche nella colonna sonora di Easy Rider.

Lei, che anche in seguito non è mai stata considera una grande cantante, usa comunque alla perfezione quella sua voce unica e particolare, che l’ha resa una delle più grandi cantautrici americane di tutti i tempi. Pezzi come Snow Queen, una bellissima pop ballad o un paio di duetti con Kortchmar mostrano già il suo stile perfettamente formato e fanno da prodromo alla imminente carriera solista, che come in molti altri casi raggiungerà le sue vette nei primi cinque o sei album, quelli usciti tra il 1970 e il 1974.

The  Ode Years 1970-1974

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Writer – 1970 Ode/Epic – ***1/2

Pubblicato nel maggio del 1970, Writer presenta 12 brani, ancora tutti a firma Goffin/King, a parte due canzoni con i testi di Toni Stern, e ci sono le nuove versioni ricordate poc’anzi di Goin’ Back e Up On The Roof. Il disco è prodotto da John Fishbach,  ingegnere e musicista, che suona anche il moog nell’album; Charles Larkey, marito di Carole e Danny Kortchmar, rimangono rispettivamente a basso e chitarra come nel disco dei The City.  James Taylor è presente alla chitarra acustica e alle armonie vocali, mentre Joel O’Brien alla batteria e Ralph Schuckett all’organo completano l’organico. Come per Now That Everything’s Been Said siamo di fronte ad un ottimo album, che precede di pochi mesi quello che sarà un capolavoro assoluto del “rock”.

Lo stile del disco, che poi rimarrà costante per la intera carriera della King, sta in quel giusto equilibrio tra soft rock e pop raffinato, come esplicato nella vibrante Spaceship Races, nella splendida ballata errebì No Easy Down, in un’altra piano ballad come Child Of Mine, nel country-rock delicato in puro stile West Coast di To Love o in What Have You Got To Lose dove le chitarre acustiche si inseguono e il gusto di Carole per le melodie e le intricate armonie vocali regna sovrano., ma niente male anche la jazzata Raspberry Jam e il gospel-rock di Sweet Sweetheart. Se poi non avesse sette/otto mesi  dopo pubblicato il suo capolavoro, sarebbe ricordato comunque come un ottimo album, quale è.

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Tapestry – 1971 Ode/Epic – *****

Registrato a gennaio agli A&M Studios di Hollywood, pubblicato a Febbraio, con la produzione di Lou Adler, l’uomo alle spalle della carriera dei Mamas And Papas, che chiama a raccolta la crema della musica californiana: sono della partita Joni Mitchell e di nuovo James Taylor, le coriste Merry Clayton e Julia Tillman, con Larkey, Schuckett, O’Brien e Kootch Kortchmar sempre al loro posto più bravi che mai, con l’aggiunta di Russ Kunkel alla batteria e di Curtis Amy, Terry King e Barry Socher ai fiati, oltre ad un quartetto di archi. Ci sarà un motivo se il disco ha vinto 4 Grammy l’anno successivo tra cui Album dell’Anno, ha venduto complessivamente 10 milioni di copie negli USA e 25 nel mondo? Si, perché è praticamente perfetto: una sequenza di brani magnifici, uno in fila all’altro, che sentiti ancora oggi a quasi 50 anni dall’uscita non hanno perduto un briciolo della loro magnificenza.

Una ispiratissima Carole King questa volta firma da sola (quindi parole e musica) quasi tutte le canzoni, con l’eccezione di Will You Love Me Tomorrow, il famoso pazzo scritto con il marito Gerry per le Shirelles, bellissima anche nella versione di Carole, e Smackwater Jack un’altra composizione Goffin/King che sarà il secondo singolo estratto dall’album, una sorta si shuffle uptempo, mosso e coinvolgente, con un grande lavoro del dancing bass di Larkey, grande musicista sottovalutato rispetto agli ottimi Schuckett e Kortchmar, e splendidi gli interscambi vocali con Merry Clayton. (You Make Me Feel Like) A Natural Woman scritta da Goffin e King insieme a Jerry Wexler per Aretha Franklin è una ballata pianistica talmente bella che non si poteva evitare di inserirla nel disco, la versione della Queen Of Soul è insuperabile, ma anche Carole King a livello emotivo e pianistico ci mette del suo e il risultato è superbo.

Saltando qui e là ci sono altre due canzoni scritte con Toni Stern: It’s Too Late che raggiunse il primo posto delle classifiche dei singoli nell’aprile 1971 è un’altra di quelle ballate dolenti in cui eccelle la nostra amica, un ritornello cantabile e un lavoro eccellente di tutta la band con l’interscambio delizioso tra la chitarre di Kortchmar e il sax di Curtis Amy, senza dimenticare il piano, l’altro brano firmato con la Stern è Where You Lead, sempre ricca di nuances tra soul e R&B con le avvolgenti armonie di Clayton e Tillman a decorare la voce partecipe della King, in grande spolvero. Rimangono le sette canzoni scritte in solitaria dalla King e sono una più bella dell’altra:

I Feel The Earth Move dà proprio l’impressione, con la sua andatura incalzante e quel pianoforte dal ritmo pressante, di un terremoto sonoro in arrivo, grande brano, e che dire di So Far Away, altra ballata sublime, con la chitarra acustica di James Taylor, e il flauto di Amy a sottolineare l’interpretazione superba della King, sia a livello vocale che per il lavoro del piano, senza dimenticare Kunkel alla batteria e Larkey al basso. Home Again è un’altra perla intima del songbook della cantante newyorchese, un altro brano splendido con il piano a cesellare le note, mentre acustica e ritmica pensano a colorare il suono, Beautiful è viceversa uno dei brani ottimisti e gioiosi, in questa alternanza di temi sonori e tempi musicali, comunque bellissima, seguita giustamente da una canzone più intima e raccolta come Way Over Yonder, con qualche retrogusto jazzato grazie al solito lavoro sofisticato delle “coriste” (anche se è riduttivo chiamarle così) e all’assolo di sax di Amy.

You’ve Got A Friend è uno degli inni universali dedicati all’amicizia più famosi di tutti i tempi, ha pure una bellissima melodia, con gli archi incombenti, il pianoforte accarezzato voluttuosamente, e le armonie vocali di Joni Mitchell e James Taylor, che pubblicherà la sua versione appena un paio di mesi dopo su Mud Slide Slim. Aggiungiamo la title track Tapestry un’altra sontuosa ballata pianistica che certifica le bellezza di questo album impeccabile. Che in CD è uscito in molte versioni: se trovate quella Legacy doppia uscita nel 2008 avete fatto tombola, nel secondo dischetto ci sono versioni dal vivo registrate tra il 1973 e il 1976 di tutti i brani di Tapestry meno uno. Imperdibile, non si può non avere!

Fine prima parte.

Bruno Conti

Uno Dei Dischi Più Belli Della Storia Della Musica Rock, Anche In Versione Dal Vivo. Carole King – Tapestry: Live At Hyde Park

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Carole King – Tapestry: Live At Hyde Park – Sony Legacy CD/DVD CD/Blu-ray

Carole King è stata una delle quattro o cinque, facciamo tre, più grandi cantautrici della storia della musica rock. Insieme al marito Gerry Goffin, nell’ambito del Brill Building negli anni ’60, ha scritto alcune delle più belle e durature canzoni pop di tutti i tempi. Nel 1971 ha realizzato Tapestry, uno dei dischi più venduti e più belli di sempre. Unite questi fatti e arriviamo a questo Tapestry:Live At Hyde Park, la registrazione di un concerto tenutosi il 3 luglio del 2016 a Londra di fronte a 65.000, dove per la prima volta veniva riproposto, dal vivo e nella sua interezza, questo album epocale. Dal 1971 a oggi sono successe molte cose: in estrema sintesi, la King ha continuato, negli anni ’70 e agli inizi degli anni ’80 a pubblicare ancora dischi la cui qualità, per quanto progressivamente calante, avevano ancora il tocco e la leggiadria della grande autrice. Poi gli anni ’80 e ’90 sono stati poco produttivi e alcuni dei dischi usciti erano francamente anche brutti. Un buon disco nel 2001 Love Makes The World e uno natalizio nel 2011, ma anche alcuni album di materiale d’archivio e un paio di Live di buona qualità, con una punta di eccellenza nel Live At The Troubadour con James Taylor. Nel corso degli anni il suo capolavoro Tapestry, un disco che contiene solo belle canzoni, senza riempitivi, è stato ristampato più volte, la versione doppia Legacy Edition del 2008 è quella da avere.

Nel frattempo le sue canzoni sono diventate anche un musical, Beautiful: The Carole King Musical, fino a che nel 2016, nell’ambito dei concerti dell’estate londinese sul palco di Hyde Park arriva il momento della rivisitazione del suo album più celebre, ma anche di molti altri brani del suo immenso songbook: e quindi in una stranamente calda e soleggiata serata inglese, sul far del sera, Carole King si è presentata sul palco, accompagnata da una band dove spiccavano due veterani, il chitarrista Danny Kortchmar, che suonava nel disco originale e il bassista Zev Katz, oltre a Shawn Pelton alla batteria, Robbie Kondor alle tastiere aggiunte e direttore musicale e Dillon Kondor alla seconda chitarra, a completare una formazione solida. La King forse non è mai stata una grandissima cantante, ma la sua voce leggermente roca e particolare, affascinante anche a 75 anni, pur con qualche cedimento, regge ancora bene lo scorrere del tempo, e poi le canzoni sono sempre formidabili. Si parte con I Feel The Earth Move (con ottimo assolo di Kortchmar incluso) e So Far Away, una accoppiata iniziale che pochi album possono vantare, eseguite entrambe alla perfezione. A seguire la bellissima It’s Too Late, altro esempio di quel pop & soul raffinato e perfetto, che ai tempi venne definito soft-rock, dove accanto ad una scrittura di immacolate melodie non mancava l’uso di voci di supporto per creare quell’effetto soul che aveva incantato anche Aretha Franklin, e viene ripetuto con l’uso di due coriste anche in questa serata. Home Again è una ballata pianistica di grande bellezza (una di quelle che hanno affascinato il collega Elton John che in quegli anni percorreva lo stesso percorso musicale, e che all’inizio del DVD, narrato nella parte iniziale da Tom Hanks, appare a rendere omaggio, insieme al produttore originale Lou Adler, a Crosby & Nash, James Taylor, Korchmar, la coppia Barry Mann & Cynthia Weill, poi per il resto il DVD o il Blu-ray sono identici, al CD e quindi magari godetevi il concerto nella versione video).

Concerto che prosegue con la ritmata Beautiful, altro brano di grande fascino, e dove il piano della King fluisce con una ammirevole tecnica. Way Over Yonder non è forse conosciutissima, ma è un’altra canzone di una bellezza cristallina e anche se la voce ogni tanto si spezza, si gode comunque grazie alle due coriste che la sostengono. Poi è il momento singalong, con tutti i 65.000 presenti che intonano le note della immortale You’ve Got A Friend, riconosciuta fin dal primo accordo; a questo punto sale sul palco la figlia Louise Goffin, per cantare con la mamma, prima una brillante Where You Lead e poi il classico Will You Love Me Tomorrow? scritto in origine per le Shirelles, e che qui torna una ballata pianistica in puro stile Carole King. Poi sia la King che la Goffin imbracciano due chitarre elettriche per una versione a 4 chitarre di una potente Smackwater Jack dove tutti si divertono. Ancora Tapestry ennesima canzone di gran fascino, e poi un’altra delle più belle canzoni di tutti i tempi, (You Make Feel Like) A Natural Woman, con due Carole King a confronto, quella giovane dell’epoca e l’attuale. A questo punto finisce la riproposta di Tapestry, ma non il concerto, che continua con un medley di alcuni successi anni ’60, prima da sola al piano e poi accompagnata dalla band e a seguire, in una sequenza memorabile, suonate e cantate con grande grinta e classe, Hey Girl, Chains, Jazzman, Up On The Roof, The Locomotion, prima del gran finale che prevede la ripresa di I Feel The Earth Move accompagnata dal cast del musical Beautiful e un’altra versione in solitaria di You’ve Got A Friend. Come dicono gli inglesi, “Oh What A Night”, titoli di coda e saluti.

Bruno Conti  

Ci Hanno Preso Gusto…E Pure Noi! The Rides – Pierced Arrow

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The Rides – Pierced Arrow – Provogue CD

Quando tre anni fa è uscito Can’t Get Enough, il CD di debutto del supergruppo The Rides (formato da Stephen Stills con Kenny Wayne Shepherd ed il grandissimo pianista/organista Barry Goldberg, uno dei sessionmen più richiesti della storia e, tra le altre cose, membro fondatore degli Electric Flag), sinceramente pensavo che si trattasse di uno sforzo isolato, ma, vuoi per l’ottimo successo di vendite ottenuto, vuoi perché era davvero un grande disco (per quel che può valere, era anche nella mia Top Ten annuale), i tre ci riprovano ora con Pierced Arrow, contravvenendo tra l’altro alle normali abitudini di Stills, abituato ad incidere con cadenze molto più blande. Can’t Get Enough era davvero bello, un disco potente di rock-blues come si faceva una volta, con una serie di canzoni originali di ottimo livello a qualche cover scelta con cura, dove i due chitarristi della band (due generazioni a confronto) si intendevano a meraviglia, e Goldberg ricamava in sottofondo con la consueta maestria. Ebbene, dopo un paio di ascolti di Pierced Arrow, posso affermare senza dubbi che ci troviamo di fronte ad un album che, se non è addirittura superiore al precedente, è almeno sullo stesso livello: canzoni superbe, un paio di cover (nella versione “normale”, quattro in quella deluxe) di cui una assolutamente galattica, assoli chitarristici come se piovesse e feeling a palate. Forse qui c’è più rock ed un po’ meno blues, ma alla fine è il risultato quello che conta, e devo dire che qualche anno fa non avrei mai pensato di ritrovarmi ancora di fronte ad uno Stills così in forma (nel 2005 lo avevo visto con Crosby & Nash al Beacon Theatre di New York, ed era in uno stato pietoso, completamente senza voce e più grosso di Crosby), mentre Shepherd è forse meno esposto di uno come Bonamassa, che fa un disco a settimana, ma di certo a talento siamo lì.

La sezione ritmica è la stessa del primo disco, con Kevin McCormick al basso (già con John Mayall, Jackson Browne, CSN e Crosby solista) e Chris Layton alla batteria, ex Double Trouble di Stevie Ray Vaughan ed attuale drummer di Shepherd; in più, abbiamo le armonie vocali che danno un tocco quasi gospel ad opera di Raven Johnson e Stephanie Spruill, e come ospite speciale all’armonica in un paio di pezzi Kim Wilson, leader dei Fabulous Thunderbirds. La produzione è nelle mani dei Rides stessi insieme a McCormick. Grande inizio con Kick Out Of It, un brano di puro rock alla Stills (e la voce di Stephen è in buono stato), gran ritmo, chitarre poderose ed il piano di Goldberg che si fa sentire, e poi iniziano i duelli a suon di assoli, insomma un godimento assoluto. Riva Diva è puro rock’n’roll, travolgente come pochi, con Kenny voce solista (non è Stills, ma se la cava egregiamente), grande performance di Goldberg e solite chitarre fiammeggianti; Virtual World l’avevo già sentita dal vivo con CSN lo scorso autunno a Milano, l’atmosfera è più soffusa, ma il ritmo è sempre presente, e con una chitarra ed un mood quasi alla Neil Young, gran bella canzone e classe da vendere. By My Side (canta Kenny), ancora energica, è un gospel-rock di grande potenza emotiva, con elementi swamp nel suono, un motivo che entra sottopelle ed un crescendo notevole, splendida canzone; Mr. Policeman è ancora molto spedita, anche se dal punto di vista compositivo inferiore alle precedenti, ma comunque un ottimo showcase per la chitarra di Stills, mentre I’ve Got To Use My Imagination è proprio il successo di Gladys Knight (ma l’autore è Goldberg, insieme all’ex marito di Carole King, Gerry Goffin), e la versione dei Rides è un soul-blues molto ricco dal punto di vista sonoro, con un bel botta e risposta voce-coro nel ritornello ed assoli superbi dei due leader e di Barry all’organo: una delle cover dell’anno, da sentire fino alla nausea.

La cadenzata Game On è la più blues finora, con Kim Wilson che “armonicizza” da par suo, un altro pezzo decisamente vigoroso ma grondante feeling, e poi le chitarre sono una goduria nella goduria; I Need Your Lovin’ è ancora rock’n’roll, con la solita superba prestazione da parte di tutti (specialmente Goldberg, un fenomeno…ma vogliamo parlare delle chitarre?) e la quasi impossibilità per il sottoscritto di stare fermo. There Was A Place è uno slow-blues di gran classe, e sebbene Stills non abbia più la voce di un tempo sopperisce con il resto: un brano caldo e vibrante, molto anni settanta; la versione regolare del CD si chiude con My Babe, noto successo di Little Walter (scritta da sua maestà Willie Dixon), rilasciata dai nostri con buona aderenza all’originale, gran lavoro di Barry e performance nel complesso molto sciolta e rilassata. L’edizione deluxe aggiunge tre brani, a partire da Same Old Dog, un rock-blues potente e tonico, un pretesto per far cantare le chitarre dato che come canzone è più canonica; chiudono due cover, Born In Chicago, scritta da Nick Gravenites e presente sul disco d’esordio della Paul Butterfield Blues Band, spedita e fluida, con Wilson nei panni di Butterfield ed il binomio Stills-Shepherd che tenta di emulare Mike Bloomfield Elvin Bishop (mentre Goldberg non ha paura di Mark Naftalin), e la nota Take Out Some Insurance di Jimmy Reed (ma incisa anche dai primi Beatles con Tony Sheridan), un bluesaccio sporco e sudato, che Stephen canta con voce un po’ impastata ma suona, eccome se suona.

Che altro dire? Che molto probabilmente anche per il 2016 nei dieci migliori dischi di fine anno i posti a disposizione sono solo più nove…

Marco Verdi