Recensioni Cofanetti Autunno-Inverno 9. Un Box Lussuoso (E Costoso) Ma Fondamentalmente Inutile. A Meno Che… Eagles – Legacy

eagles legacy front

Eagles – Legacy – Warner 12CD/DVD/BluRay – 15LP Box Set

…a meno che del gruppo abbiate poco o niente, nel qual caso il cofanetto in questione diventa imperdibile, in quanto elegante, ben fatto e tutto sommato dal costo equo (se dividete il totale per il numero dei dischetti, a meno che non vogliate la versione in vinile, che però omette la parte video), ma soprattutto per il fatto che la musica in esso contenuta è di livello eccelso. Ma andiamo con ordine: penso che non servano tante parole per spiegare chi sono gli Eagles, band simbolo del rock californiano degli anni settanta ed uno dei gruppi cardine della decade, nonché tra i più popolari al mondo (Italia compresa): basti pensare che, nel lungo periodo di separazione tra il 1980 ed il 1994 la loro fama non è calata di un millimetro, nonostante nel frattempo le carriere soliste dei vari membri non fossero mai veramente decollate. Ma, come ho già avuto modo di dire in passato, il gruppo guidato da Don Henley e Glenn Frey (scomparso nel nefasto 2016, primo e finora unico membro presente e passato ad averci lasciato) ha sempre avuto il braccino parecchio corto nella gestione degli archivi, regalando negli anni ai fans davvero poco a livello di materiale inedito (in studio praticamente nulla, qualcosa in più dal vivo ma quasi sempre con concerti monchi), ed anche con questo cofanetto celebrativo, intitolato Legacy, pare abbiano badato più alla confezione che al contenuto.

Eagles Legacy

Il box è, come già accennato, davvero bello, con inseriti all’interno, tre libretti a copertina dura, uno comprendente tutti gli album di studio, uno i live (compreso un DVD ed un BluRay) ed il terzo le note disco per disco e parecchie foto, ma niente testi o nomi di chi suona cosa nei vari dischi (e qualcuno online ha criticato anche la scelta di ignorare le vesti grafiche originali dei vari album). Il tutto senza l’ombra di mezza bonus track: l’unica chicca, se così vogliamo chiamarla, è un CD di dieci pezzi che contiene lati A e B di singoli, esclusivo per questo box, ma anche lì vedremo con poche sorprese. Ma analizziamo nel dettaglio il contenuto del cofanetto, che è comunque strepitoso, specie per i neofiti o per i super fan.

CD1: Eagles (1972) Suona strano che il disco d’esordio della band californiana sia stato registrato a Londra (con la produzione del grande Glyn Johns). Ma Eagles è un debutto coi fiocchi per il gruppo di Henley e Frey (completato da Bernie Leadon e Randy Meisner), e sono già presenti classici come lo splendido country-rock Take It Easy (scritta da Jackson Browne insieme a Frey), la potente ed intrigante rock song Witchy Woman e la deliziosa e countreggiante Peaceful, Easy Feeling. Tra i restanti brani si segnalano la trascinante Chug All Night, il rockin’ country Nightingale, ancora di Browne, e lo squisito honky-tonk Train Leaves Here This Morning di Leadon, responsabile anche del bluegrass elettrico Earlybird.  CD2: Desperado (1973) L’album migliore del primo periodo delle Aquile, un disco quasi perfetto in cui spiccano la splendida title track, tra le più belle canzoni dei seventies, la soft ballad di classe Tequila Sunrise e la sontuosa Doolin-Dalton, così bella che viene ripresa due volte. Ma non sono da meno Twenty-One, altro scintillante bluegrass di Leadon, l’irresistibile rock’n’roll di Out Of Control e la fulgida Saturday Night, con le perfette armonie vocali tipiche del gruppo.

CD3: On The Border (1974) Gli Eagles ringraziano Johns ed iniziano una lunga collaborazione con Bill Szymczyk, che dura fino ai giorni nostri. On The Border è un album di transizione, privo di vere hits, ma solido e di buon livello, a partire dal pimpante rock’n’roll d’apertura Already Gone, per proseguire con la bella cover di Tom Waits Ol’ 55 e con la 100% californiana The Best Of My Love. Brani minori ma comunque validi sono la squisita Midnight Flyer, ancora tra rock e bluegrass, la raffinata ballad My Man e la potente ed elettrica James Dean. In due brani fa la sua comparsa alla solista Don Felder, che da lì a breve entrerà a far parte stabile del gruppo. CD4: One Of These Nights (1975) La solita formula iniziava a mostrare la corda, e quindi i nostri aumentano le sonorità rock, pop ed anche errebi (come nel caso della famosa title track) entrando in disaccordo con Leadon che se ne andrà di lì a poco, non prima di aver lasciato in eredità l’ambizioso strumentale tra rock e musica western Journey Of The Sorcerer (per la verità tirato un po’ per le lunghe). Ci sono comunque un paio di omaggi al suono country-rock degli esordi con la tersa Lyin’ Eyes e la deliziosa e malinconica Hollywood Waltz. Ma il capolavoro del disco, e della carriera di Meisner, è la straordinaria ballata Take It To The Limit, tra le più belle in assoluto dei nostri. L’album è anche l’unico delle aquile a contenere un brano cantato da Felder, Visions, e dopo averlo ascoltato non è difficile capire perché non abbiano insistito.

CD5: Hotel California (1976) Il capolavoro degli Eagles, un disco quasi senza sbavature che deve gran parte della sua fama all’epica title track, una canzone magnifica dall’agghiacciante testo sul tema dell’autodistruzione e con uno dei più begli assoli di chitarra di sempre. Ma l’album contiene diverse altre perle, dal pop-rock quasi perfetto di New Kid In Town, alle roccate e coinvolgenti Life In The Fast Lane e Victim Of Love, fino alla buona slow ballad Wasted Time. Sul finale il disco cala leggermente, con il congedo di Meisner (che lascerà dopo l’uscita del disco) Try And Love Again, e l’esordio del nuovo chitarrista Joe Walsh (ex James Gang e subentrato al posto di Leadon), che con Pretty Maids All In A Row dimostra che le ballate non sono il suo pane. Ma c’è ancora tempo per un colpo di coda con la straordinaria The Last Resort, altra sontuosa ballad dalla melodia memorabile e con un crescendo emozionante. CD6: The Long Run (1979) Timothy B. Schmit, ex Poco, sostituisce Meisner giusto in tempo per partecipare a quello che per molti anni sarà l’ultimo album del gruppo, distrutto dai conflitti interni. The Long Run è un lavoro discontinuo, con tre pezzi ottimi (il gustoso errebi della title track, il rock’n’roll trascinante di Heartache Tonight, scritto con Bob Seger, e la malinconica The Sad Café), due buoni (la sofisticata I Can’t Tell You Why, perfetta per la voce angelica di Schmit, e la roccata In The City, con Walsh stavolta nel suo ambiente naturale) ed altri non proprio eccelsi, soprattutto le brutte The Disco Strangler e Those Shoes e la pessima Teenage Jail, forse la peggiore canzone in assoluto dei nostri. The Greeks Don’t Want No Freaks, che vede la presenza ai cori di Jimmy Buffett, è divertente nonostante sia un po’ stupidotta.

CD7/8: Long Road Out Of Eden (2007) un nuovo disco 28 anni dopo The Long Run, quasi un miracolo (anche se i nostri sono di nuovo insieme dal 1994 come live band), e la formazione è la stessa meno Felder, che ha “abbandonato” all’inizio del nuovo secolo per dissidi con Henley e Frey. Long Road Out Of Eden è formato da due CD, ed è il classico caso di un buon doppio album che avrebbe potuto essere un eccellente singolo, tenendo solo i brani migliori. Che sono concentrati in gran parte nel primo dischetto: la suggestiva apertura corale a cappella di No More Walks In The Wood, l’irresistibile country-rock How Long (scritta da J.D. Souther e suonata più volte dal vivo negli anni settanta dalle Aquile, ma mai incisa fino a quel momento), le belle Busy Being Fabulous, What Do I Do With My Heart e Waiting In The Weeds, la raffinata No More Cloudy Days e la delicata You Are Not Alone. Non male anche Guilty Of The Crime di Walsh, mentre gli highlights del secondo CD sono la grintosa Somebody e l’epica title track (10 minuti di durata), una signora canzone che però non è, come ha detto qualcuno, la nuova Hotel CaliforniaCD9: Eagles Live (1980) il primo disco dal vivo della band esce praticamente postumo, e contiene brani tratti dal tour del 1980 ma anche del 1976 (quindi ancora con Meisner in qualche brano). Ed è comunque un live splendido, con i nostri che forniscono scintillanti riletture delle pagine più belle del loro songbook (ma pare che i pezzi siano stati pesantemente ritoccati in studio), con l’aggiunta di due episodi del repertorio solista di Walsh (All Night Long e la trascinante Life’s Been Good, la signature song del biondo chitarrista) e della bellissima cover corale di Seven Bridges Road di Steve Young.

CD10: Hell Freezes Over (1994) la tanto attesa reunion avviene per un concerto negli studi della MTV a Burbank, al quale seguirà un tour di clamoroso successo. Il titolo si riferisce ad una frase di Henley dei primi anni ottanta, quando asserì che gli Eagles avrebbero suonato ancora assieme “quando l’inferno ghiaccerà”. I cinque (c’è anche Felder) sono in forma eccellente, e ci regalano versioni splendide di Take It Easy, Tequila Sunrise, I Can’t Tell You Why, The Last Resort e Desperado, e soprattutto una sontuosa Hotel California suonata interamente unplugged. Peccato scelgano di inserire anche le mediocri Pretty Maids All In A Row e New York Minute (di Henley solista quest’ultima). Ma la ciliegina sono quattro pezzi nuovi di zecca registrati in studio, tutti molto belli: il rock’n’roll quasi alla ZZ Top Get Over It, la romantica Love Will Keep Us Alive, scritta da Jim Capaldi e Paul Carrack ed affidata alla limpida voce di Schmit, la country ballad vecchio stile The Girl From Yesterday e l’intensa Learn To Be Still, slow song di Henley sulla falsariga di The End Of The InnocenceCD11: The Millenium Concert (2000) Uscito originariamente all’interno del cofanetto celebrativo Selected Works 1972-1999, in questo album si comincia a vedere il braccino corto dei nostri. Registrato il 31 Dicembre 1999 a Los Angeles, il CD (che è anche l’ultima apparizione su disco di Felder all’interno del gruppo) propone solo una parte del concerto, la miseria di dodici canzoni. Il suono e la performance sono impeccabili, e, a parte Hotel California e Peaceful, Easy Feeling, le Aquile propongono una scaletta “diversa”, con le raramente suonate Victim Of Love, Please Come Home For Christmas, Ol’ 55, The Best Of My Love ed una Take It To The Limit eseguita per la prima volta dal 1976 (la canta Frey). Però, porca pupazza, con solo 12 canzoni a disposizione, dovevamo per forza sorbirci le non eccezionali (eufemismo) Those Shoes, Dirty Laundy, All She Wants To Do Is Dance, Funky New Year e Funk # 49?

CD12: Singles And B-Sides (2018) Il CD “esclusivo” presenta, su dieci pezzi totali, sei versioni “single edit” di brani contenuti nei dischi precedenti; l’unica vera rarità, mai uscita prima in CD, è Get You In The Mood, un discreto rock-blues che era sul lato B di Take It Easy. Poi abbiamo le due facciate del singolo natalizio del 1978, Please Come Home For Christmas, decisamente bella (è un classico di Charles Brown), e Funky New Year, decisamente trascurabile. Chiude il dischetto la splendida Hole In The World, toccante canzone scritta all’indomani della tragedia dell’11 Settembre 2001, e caratterizzata dalle inimitabili armonie vocali del gruppo. DVD: Hell Freezes Over (1994) Trasposizione video del concerto già uscito in CD, con l’aggiunta di The Heart Of The Matter di Henley e Help Me Through The Night di Walsh e, come bonus audio, Seven Bridges Road, che però è un remaster della versione di Eagles Live (?!?). E, particolare non trascurabile, le quattro canzoni nuove che sul CD erano in studio qua sono dal vivo. BluRay: Farewell I Tour: Live From Melbourne (2005) Finalmente un concerto completo delle Aquile, e stavolta pure lungo, ma anche uno dei live in video più belli in circolazione, con i quattro in forma strepitosa, compreso Walsh (che nelle interviste degli extra sembra invece suonato come una campana). Inutile dire che i classici ci sono tutti, e sono suonati e cantati in maniera perfetta. Non mancano comunque le chicche, come alcuni ottimi episodi delle carriere soliste: The Boys Of Summer di Henley, You Belong To The City di Frey, Walk Away e Life’s Been Good di Walsh. Ci sono anche due brani all’epoca nuovi, No More Cloudy Days, che andrà su Long Road Out Of Eden, e One Day At A Time, che Walsh pubblicherà sul suo album solista Analog Man. Come ciliegina, la prima versione live ufficiale dell’emozionante Hole In The World, con armonie vocali da brivido.

A parte tutti i giudizi già espressi sull’avarizia discografica degli Eagles, Legacy è un cofanetto con dentro tantissima grande musica: diciamo che se conoscete qualcuno che a Natale vi vuol fare un bel regalo, questa potrebbe essere un’ottima opzione.

Marco Verdi

Un Archeologo Texano Che Vive In Inghilterra Che Musica Fa? Facile: Del Country-Rock Californiano! George St. Clair – Ballads Of Captivity And Freedom

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George St. Clair – Ballads Of Captivity And Freedom – George St. Clair CD

Interessantissimo debutto per questo texano che da anni risiede in Inghilterra, dove svolge la sua professione principale di archeologo ed antropologo. George St. Clair, grande appassionato di musica, da anni si diletta nella composizione, ed oggi ha finalmente deciso di pubblicare in proprio questo Ballads Of Captivity And Freedom (bel titolo), un disco che nella sua ora di durata ci regala una bella serie di canzoni di classico country-rock cantautorale. C’è poco del nativo Texas in questi brani, la fonte di ispirazione principale di George sono le sonorità californiane degli anni settanta, il suo pane quotidiano sono gruppi come gli Eagles ed i Poco, o solisti come Jackson Browne, e le canzoni hanno arrangiamenti diretti, classici, con chitarre e pianoforte in evidenza e quasi sempre una bella steel in sottofondo: i musicisti rispondono ai nomi di David Cuetter, Dan Lebowitz, Amy Scher, Mike Stevens, Kirby Hammel e Ben Bernstein, sessionmen sconosciuti ma in grado di fornire un suono limpido e compatto, perfetto per le ballate terse di George.

L’album inizia in maniera scintillante con Tularosa, un country-rock che profuma di California anni settanta, ed il paragone con gli Eagles viene rafforzato dalla voce di George, che ricorda quella di Glenn Frey: motivo decisamente orecchiabile e solare, con steel e violino protagonisti. The Places Where They Prayed si mantiene sullo stesso livello https://www.youtube.com/watch?v=VBuQCtgXejU , e non si sposta musicalmente dal Golden State (di Texas neanche l’ombra, ma va bene lo stesso), una ballata limpida e discorsiva tra Browne ed il miglior John Denver, mentre Autumn 1889, con i suoi otto minuti di durata, è uno degli highlights del disco, uno slow dal delizioso gusto melodico e dal raffinato accompagnamento basato su chitarra acustica e pianoforte, con il motivo che si apre a poco a poco. Niente male anche Corridors, tutta giocata su una chitarra arpeggiata, un leggero gioco di percussioni ed una ritmica veloce ma leggera.

Good Times è vero country in puro stile honky-tonk, un bel piano da taverna e la chiara influenza di Byrds e Flying Burrito Brothers. La lunga Cynthia propone un’accattivante fusione tra una classica melodia folkeggiante ed una percussione che dona un tocco esotico https://www.youtube.com/watch?v=b0VSkfLF3IQ , Up To Fail è decisamente più elettrica, quasi come fosse una rock ballad sferzata dal vento alla Neil Young (ed è una delle più riuscite), mentre Lie To Them è ancora country, spedito, scorrevole e di nuovo con la steel in primo piano. Cimarrones è un lento molto classico, forse già sentito ma piacevole, New Mexico è una bellissima western song, tersa ed immediata, e che non si schioda dai seventies come decade di riferimento. Il CD, quasi un’ora di musica davvero piacevole, si chiude con Pedro Paramo, tra California e Messico https://www.youtube.com/watch?v=6L3t60H7rdA , e con il puro folk di Talkin’ Mesquite, con George che si cimenta con successo anche nel talking, come da titolo. E’ uscito da qualche mese ma vale la pena di cercarlo.

Marco Verdi

Il Volo Solitario Dell’Aquila. Glenn Frey – Above The Clouds: The Collection

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Glenn Frey – Above The Clouds: The Collection – Geffen/Universal CD – Box Set 3CD/DVD

La carriera solista di Glenn Frey, uno dei principali musicisti scomparsi nel nefasto 2016, sia artisticamente che commercialmente non è neppure lontanamente paragonabile a quella con gli Eagles, dei quali ha sempre condiviso la leadership insieme a Don Henley. Appena cinque album in 35 anni (di cui quattro nei primi dodici), più un live ed un’antologia, nessuno dei quali si può considerare imprescindibile (e con un suono talvolta eccessivamente radiofonico e lavorato), anche se prendendo il meglio da ognuno di essi indubbiamente il materiale interessante non manca, visto che comunque la classe non era acqua. Come dimostra questo box celebrativo appena uscito, intitolato Above The Clouds, che offre in tre CD più un DVD una panoramica più che completa del periodo che Frey ha trascorso lontano dal suo gruppo principale: non ci sono inediti veri e propri, ma qualche rarità sì (prese principalmente da varie colonne sonore) e, nel terzo dischetto, una chicca assoluta e da un certo punto di vista inattesa. Ma “ciancio alle bande” ed esaminiamo il contenuto disco per disco.

CD 1: qui troviamo i brani più popolari di Glenn, quasi a formare un ideale Greatest Hits (ed infatti è uscito anche separatamente in versione singola), a partire dal suo più grande successo, The Heat Is On, tratto dalla colonna sonora di Beverly Hills Cop, canzone però viziata da orrende sonorità plastificate tipiche degli anni ottanta. Molto meglio altri due pezzi presi da una soundtrack (cioè quella del noto telefilm Miami Vice, nel quale Frey ha pure recitato), la raffinata You Belong To The City, che nonostante un suono quasi AOR è una delle sue canzoni migliori, e la grintosa e roccata Smuggler’s Blues, mentre la rara Call On Me, presa dalla serie di detective stories televisive South Of Sunset (che vedevano Glenn protagonista), soffre in parte degli stessi problemi di The Heat Is On. Altri brani degni di nota sono la bella e sinuosa I’ve Got Mine, tra le sue canzoni più riuscite, l’ottima Part Of Me, Part Of You, una scintillante rock ballad che non avrebbe sfigurato nel repertorio degli Eagles (che era nella colonna sonora di Thelma & Louise), e le godibili Sexy Girl e Soul Searchin’, entrambe tra pop ed errebi di gran classe, con la seconda che presenta anche marcati elementi gospel.

CD 2: altri brani presi dagli album solisti di Glenn, ma meno famosi (i cosiddetti “deep cuts”), con diverse selezioni tratte dall’album di standard del 2012 After Hours, invero piuttosto loffio (ma la rilettura in puro stile honky-tonk di Worried Mind, brano di Jimmie Davis reso immortale da Ray Charles, è molto bella). Ci sono anche due dei tre brani inediti della Solo Collection del 1995, la solare This Way To Happiness, pop song vibrante e coinvolgente, e la deliziosa Common Ground, tra country, rock e gospel, cantata alla grande. Glenn era anche un appassionato di soul ed errebi, e questo si nota nella raffinatissima Let’s Go Home e soprattutto nella squisita I Got Love, tra le più belle del box, perfetta sotto ogni punto di vista (suono, arrangiamento e melodia). Meritano una menzione anche il travolgente rock’n’roll Better In The U.S.A., l’emozionante Brave New World, melodicamente inappuntabile anche se con qualche synth di troppo, e l’intensa ballatona Lover’s Moon.

CD 3: probabilmente la vera ragione per acquistare questo box è in questo dischetto: l’unico album, omonimo, pubblicato nel 1969 dai Longbranch/Pennywhistle, un duo formato da Glenn con John David Souther, disco che non ebbe il minimo successo (sparendo presto dalla circolazione), ma che fu importante perché pose le basi del suono country-rock degli Eagles, oltre ad iniziare una collaborazione tra i due musicisti che durerà anche in seguito (Souther scriverà infatti più di un brano per le Aquile). Stampato in CD per la prima volta ufficialmente (le copie che trovate su internet sono di dubbia provenienza), Longbranch/Pennywhistle conta anche sul supporto di una super band, formata da Jim Gordon, batterista per Eric Clapton, George Harrison e Derek & The Dominos, dal grande steel guitarist Buddy Emmons, il violinista Doug Kershaw, lo straordinario pianista Larry Knetchel, e, alle chitarre, l’axeman di Elvis, James Burton, oltre ad un giovane Ry Cooder. Trenta minuti di durata e dieci canzoni, sei delle quali scritte da Souther, due da Frey, una dai due insieme ed una buona versione, molto country, di Don’t Talk Now di James Taylor.

Ci sono momenti davvero pregevoli come la scattante Jubilee Anne, curiosamente simile al suono dei dischi “americani” che Elton John farà di lì a poco, lo spedito country-rock elettrico Run Boy, Run, una sorta di Take It Easy in embrione, o la deliziosa ballata folkeggiante Rebecca. La ritmata Lucky Love non è distante dallo stile che i Byrds avevano in quegli anni, mentre Kite Woman ha i germogli dell’Eagles-sound; la nervosa Bring Back Funky Women non è un granché, meglio la mossa Star-Spangled Bus, con il piano in evidenza, e la delicata e bucolica Mister, Mister. Chiudono la già citata Don’t Talk Now è l’orecchiabile Never Have Enough, con un ritornello facile e diretto. Un ripescaggio molto interessante quindi, pur essendo molto lontani dal capolavoro (e comunque vorrei sapere quanti di voi ne possiedono una copia originale).

DVD – Strange Weather/Live In Dublin: la parte video prende in esame un concerto del 1992 a Dublino, che non è inedito in quanto era uscito all’epoca in VHS, e pure su CD come Glenn Frey Live, con tre brani in meno per questioni di durata (ma entrambi i supporti sono da tempo fuori catalogo). Un bel concerto, molto piacevole, con Glenn in ottima forma fisica e vocale ed accompagnato da una solida band di undici elementi. Ci sono chiaramente i brani più noti del suo periodo da solo, con qualche assenza (You Belong To The City, ma lo show è comunque incompleto), qualche new entry rispetto ai primi due CD di questo box (tra cu la festosa e rockeggiante Party Town), ed una buona versione della classica folk song scozzese Wild Mountain Thyme, qui stranamente attribuita a Bert Jansch, che è solamente uno dei mille artisti che l’hanno incisa. Detto di due trascinanti True Love e Love In The 21st Century, meglio delle loro controparti in studio,  il piatto forte sono i pezzi appartenenti al songbook degli Eagles: le bellissime Peaceful, Easy Feeling e New Kid In Town poste ad inizio serata, uno splendido medley tra Lyin’ Eyes e Take It Easy, presente anche in versione audio nel primo CD, ed il finale con la sempre trascinante Heartache Tonight e la magnifica Desperado, che con Glenn alla voce solista è una rarità (infatti nelle Aquile la cantava Henley).

In definitiva Above The Clouds è un buon modo per celebrare adeguatamente la figura di Glenn Frey e, pur con qualche momento discutibile nei primi due CD, un cofanetto che può stare dignitosamente in qualsiasi collezione che si rispetti.

Marco Verdi

Ecco Un Altro Gruppo Con Il Braccino Corto! Eagles – Hotel California 40th Anniversary

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The Eagles – Hotel California 40th Anniversary – Elektra/Warner CD – 2CD – Box Set 2CD/BluRay

(NDM: mi spiace cominciare al solito con una precisazione, ma il disco in questione uscì nel Dicembre del 1976, e quindi questa deluxe edition doveva essere pubblicata lo scorso anno, in quanto se la matematica non è un’opinione gli anni sono 41. Poi siamo d’accordo che il suo enorme successo ha avuto il suo picco nel 1977, ma nessuno si è mai sognato, per esempio, di affermare che The Wall dei Pink Floyd fosse un album del 1980).

Se c’è un gruppo che negli anni ha sempre concesso pochissimo ai suoi fans in materia di inediti e concerti d’archivio, questi sono certamente gli Eagles, e la cosa è ancora più strana in quanto stiamo parlando di una delle band più popolari al mondo. Oggi l’occasione per riparare in parte a questa mancanza è affidata a questa ristampa celebrativa del loro disco più famoso, e per molti il loro capolavoro (per me è Desperado, ma di un nonnulla), cioè Hotel California, uno degli album più venduti di tutti i tempi. L’operazione comprende l’inutile riedizione singola (buona al limite per i neofiti), un doppio CD ed un cofanetto deluxe, ma anche questa volta il gruppo californiano d’adozione (o chi decide per loro) si è contraddistinto per il braccino corto, in quanto la versione doppia propone sul secondo CD un concerto inedito a Los Angeles dell’Ottobre del 1976, ma soltanto dieci canzoni per la miseria di 48 minuti! Cosa ancora più grave, il cofanetto, oltre ad essere ridicolmente caro (circa 90 euro), non aggiunge un solo minuto di musica inedita, essendo il terzo dischetto una versione in BluRay audio dell’album principale: quindi quasi 70 euro in più per un doppione sonoro ed un (bel) libro con foto e note (note completamente assenti dalla versione doppia, solo qualche foto ed i crediti, neppure i testi delle canzoni).

E per le Aquile questo è un vecchio vizio, siccome già in passato si erano contraddistinti per la loro parsimonia: nel cofanetto retrospettivo del 2000 Selected Works, oltre alla miseria di tre inediti che non erano neppure canzoni, c’era il Millenuim Concert, e anche lì solo 12 canzoni, mentre come aggiunta alla versione deluxe dello splendido DVD History Of The Eagles c’era un live del 1977, ma anche stavolta solo una manciata di brani. Esaminiamo quindi il contenuto di questa ristampa, e stavolta mi limito alla versione doppia, dato che basta e avanza. Nel 1976 gli Eagles erano ad un punto di svolta: dopo l’ottimo successo di One Of These Nights avevano perso un pezzo per strada, in quanto Bernie Leadon non era soddisfatto della direzione musicale più commerciale presa dal gruppo; Don Henley e Glenn Frey, da sempre i due leader della band, ingaggiarono quindi Joe Walsh, ex chitarrista della James Gang, che garantiva un approccio più rock ed era considerato il giusto partner per l’altro axeman Don Felder. Don e Glenn avevano in mente quindi di alzare ulteriormente l’asticella, e pensarono ad una sorta di concept album sui problemi causati da fama e successo, dalla perdita dell’innocenza e dalla discesa agli inferi a seguito di un tenore di vita “nella corsia di sorpasso”: Hotel California, l’album che ne risultò (con una iconica copertina che raffigurava il barocco Beverly Hills Hotel di Los Angeles in maniera un po’ inquietante) fu un grande disco, e lo è ancora quattro decenni dopo. Gran parte della sua fortuna la deve indubbiamente alla fantastica title track, una di quelle canzoni che definiscono una carriera intera, un irripetibile equilibrio tra una melodia di prim’ordine, un ritornello strepitoso, un testo degno di una trama da film horror ed un assolo di chitarra finale, suonato all’unisono da Walsh e Felder, che è stato giudicato tra i più belli di sempre.

Ma l’album contiene altre grandi canzoni, ed è in un certo senso il disco di Henley, che canta da solista ben cinque degli otto pezzi totali (uno è una ripresa strumentale di Wasted Time): oltre alla title track Don è protagonista infatti della roboante Life In The Fast Lane, caratterizzata da un gran lavoro di Walsh, della già citata Wasted Time, romantica ma non melensa, la roccata e trascinante Victim Of Love e soprattutto la magnifica The Last Resort, una lunga e sontuosa ballata con una melodia ed un crescendo strepitosi, uno dei pezzi più belli delle Aquile in assoluto. Frey canta da solista in un solo brano, il pop-rock di gran classe New Kid In Town (il brano più di successo dopo Hotel California), Randy Meisner fornisce il suo ultimo contributo (lascerà la baracca l’anno dopo, sostituito da Timothy B. Schmit) con la gradevole Try And Love Again, unico rimando sonoro ai primi Eagles, mentre Walsh a mio parere “cicca” un po’ il suo esordio con la lenta e noiosa Pretty Maids All In A Row: Joe non è mai stato un grande songwriter, e men che meno nelle ballate. E veniamo al secondo CD, che come da copione è davvero bello, in quanto i nostri sono sempre stati una live band coi fiocchi…peccato che finisca quando ci si comincia a prendere gusto! Da Hotel California, che al momento del concerto doveva ancora uscire, ci sono la title track, già imperdibile, ed una New Kid In Town più rock che in studio; l’inizio della serata è riservato alla sempre bellissima e coinvolgente Take It Easy, anch’essa decisamente più chitarristica, subito seguita dall’altrettanto splendida Take It To The Limit, la signature song di Meisner. Ci sono anche due “deep cuts”, ovvero due pezzi poco noti (entrambi tratti da On The Border), James Dean e Good Day In Hell, uno spedito country-rock chitarristico la prima ed un ruspante brano che sa di southern la seconda (ottima la slide). L’intrigante Witchy Woman è sempre una gran bella rock song, mentre Funk # 49 dimostra i limiti di Joe come autore. Finale con la funkeggiante One Of These Nights, la già citata Hotel California ed il travolgente rock’n’roll di Already Gone.

E poi, come già detto, il CD finisce, lasciandoci l’amaro in bocca per l’ennesima occasione perduta.

Marco Verdi

Il Leone Di Detroit Torna A Ruggire (Con Un Paio Di Stecche). Bob Seger – I Knew You When

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Bob Seger – I Knew You When (Deluxe Edition) – Capitol/Universal

Soltanto tre anni separano il nuovo album di Bob Seger dal precedente Ride Out, e questa è già una buona notizia per chi lo ha seguito con passione durante la sua lunga e gloriosa carriera, caratterizzata dagli esaltanti live shows (purtroppo solo in terra americana) in cui ha dato il meglio di sé, come testimoniano gli splendidi Nine Tonight del 1981 e, soprattutto, Live Bullet del ’76, considerato da molti uno dei più importanti live album della storia del rock a stelle e strisce. Da parecchio tempo ha diradato le sue uscite in studio, soltanto tre negli ultimi ventidue anni, fino a far temere un definitivo ritiro dalle scene. Che non se la passi benissimo fisicamente è comprovato dal fatto che abbia dovuto posticipare parecchie date dell’attuale Runaway Train Tour a causa di problemi alle vertebre, ma almeno la sua voce non ha perso un grammo della ruvida irruenza che l’ha sempre caratterizzata, come possiamo verificare in quest’ ultimo I Knew You When. Già nel pezzo d’apertura, Gracile, Bob ci fa intendere che non ha nessuna voglia di gettare la spugna dandoci dentro senza risparmiarsi in un rock blues dalla ritmica granitica che ricorda certi suoi anthems degli anni settanta. Ottima la scelta delle due covers presenti nell’album: Busload Of Faith,  tratta da New York, lo splendido affresco che Lou Reed  dedicò alla sua città nel 1989,e Democracy, ironica e visionaria traccia del talento poetico di Leonard Cohen, presente su The Future, del’92. Seger rivisita entrambe con passione e bravura, irrobustendo la prima con sezione fiati e cori femminili, oltre a due fulminanti assoli di chitarra (il primo del mago della slide Rick Vito), e la seconda con una ritmica più incisiva, da marcia militare, e un bel violino sullo sfondo a sostituire l’armonica dell’originale.

The Highway ha un bel passo, tipico di tante composizioni del rocker di Detroit perfette per l’ascolto in macchina. Un buon pezzo, nonostante la presenza di una tastiera un po’ invadente che ne appesantisce la melodia. Non possiamo procedere senza prima citare colui a cui Seger ha dedicato quest’intero lavoro, Glenn Frey, il leader degli Eagles deceduto nel gennaio 2016. Tra i due perdurava da mezzo secolo una profonda e sincera amicizia e Bob ha voluto celebrarla con due toccanti canzoni. La prima, dal titolo emblematico, Glenn Song, una delle tre bonus tracks della deluxe edition, è un malinconico ricordo dei tempi andati cantato con voce rotta dall’emozione. La seconda dà il titolo all’album ed è una di quelle stupende ballate che sono da sempre il vero marchio di fabbrica del rocker di Detroit. Melodia impeccabile, scandita dal pianoforte (presumo suonato dal grande Bill Payne) e ritornello che ti entra sottopelle per non uscirne più. Della stessa categoria, non sono niente male Something More con un bel solo centrale condiviso tra sax e chitarra elettrica, Marie, dall’incedere solenne e drammatico che rimanda allo stile del già citato Cohen, e I’ll Remember You, un lentaccio assassino con pregevoli cori femminili che avrebbe fatto la sua bella figura su qualunque disco delle aquile californiane.

Purtroppo troviamo anche un paio di episodi meno riusciti, che non intaccano il giudizio comunque positivo sull’album. The Sea Inside, dalla ritmica pesante e dalle chitarre roboanti che si mescolano ad una tastiera che sembra citare Kashmir dei Led Zeppelin, è un tentativo di fare hard rock in modo insipido ed anacronistico. Peggio ancora Runaway Train, che pare un pezzo rubato agli ZZ Top del  periodo più scarso, con batteria elettronica, coretti scontati e melodia anonima, malgrado il buon intervento del sax nel finale. Di ben altra levatura sono, per fortuna, le prime due tracce aggiunte nella deluxe edition: Forward Into The Past è un solido rock cantato a voce spiegata dal protagonista ben supportato come di consueto dalle coriste, con chitarre elettriche e piano che si alternano sapientemente. Ancora meglio si rivela Blue Ridge, che ti cattura subito con un’ accattivante struttura melodica scandita dal costante rullare della batteria e da un intrigante uso delle tastiere. Un brano che certamente farà la sua bella figura se inserito nelle scalette dei futuri concerti.

Diamo dunque il nostro bentornato a Bob Seger, nella speranza di poterlo ammirare un giorno anche dalle nostre parti. Intanto, godiamoci questo I Knew You When che ha in sé il giusto calore per contrastare le fredde giornate invernali che ci attendono.

Marco Frosi

Un Nuovo Disco Degli Eagles? Più O Meno… Dave Barnes – Carry On, San Vicente

dave barnes carry on, san vicente

Dave Barnes – Carry On, San Vicente – 50 Year Plan CD

Normalmente non ho nulla contro gli artisti derivativi, a patto che comunque facciano della buona musica. Non considero infatti un peccato mortale prendere a modello un cantante o un gruppo e ricalcarne il suono tipico, anzi a volte, in mancanza dell’originale, un buon surrogato può comunque risultare gradito: ci possono essere milioni di esempi, ma chissà perché mi viene in mente il nome di Kid Rock, musicista di dubbio talento ed autore di dischi tra il pasticciato ed il tamarro, il quale nel 2010 ha pubblicato un album di buon livello, Born Free (senza dubbio il suo migliore), che però aveva il difetto (ma abbiamo visto che per il sottoscritto difetto non è) di avere un suono che riproponeva in maniera quasi pedissequa il classico stile di Bob Seger, avete presente quelle ballate pianistiche sferzate dal vento, tipiche del rocker di Detroit? Dave Barnes, cantautore di stampo country-rock originario del South Carolina, ma trapiantato a Nashville, nei suoi dischi precedenti (una mezza dozzina dal 2004 ad oggi, oltre a ben due album natalizi) non aveva mai palesato influenze ben precise, ma per questo nuovo Carry On, San Vicente ha voluto cambiare, ispirandosi direttamente (parole sue) ad un certo tipo di musica californiana degli anni settanta, con un attenzione maggiore verso Eagles, Fleetwood Mac e Crosby, Stills & Nash. Ora, dopo un paio di attenti ascolti di questo album, personalmente non ho trovato grandi tracce di CSN, e giusto qualche accenno qua e là al suono del gruppo di Lindsay Buckingham e Stevie Nicks, ma per quanto riguarda le Aquile sembra davvero di avere per le mani un loro lost album della seconda metà dei seventies.

Sarà per il timbro di voce, curiosamente simile sia a Don Henley che a Glenn Frey a seconda dei brani (più il primo però), sarà per il suono californiano al 100%, con quella miscela di country e pop così diffusa in quegli anni, ma Carry On, San Vicente è una collezione di canzoni (nove) che forse non ci presenta un artista dalla spiccata personalità, ma di sicuro uno che con la penna ci sa fare (a Nashville Barnes è anche un apprezzato autore per conto terzi), e che quindi ci regala una mezz’oretta abbondante di piacevole ascolto Il disco, prodotto dallo stesso Barnes con Ed Cash (e suonato da un ristretto gruppo di musicisti tra cui spiccano Dan Dugmore alla steel e la coppia formata da Derek Wells e Kris Donegan alle chitarre elettriche) è quindi un riuscito omaggio del nostro ad un suono ed un’epoca leggendari, un momento storico in cui la California era, musicalmente parlando, al centro del mondo, un album che farà dunque la felicità di coloro che si sentono orfani degli Eagles all’indomani della recente dipartita di Glenn Frey. E pazienza se qualcuno penserà che siamo di fronte ad un clone… She’s The One I Love apre il CD con un attacco tipico delle Aquile (ricorda Already Gone) e pure la voce è molto Frey, ma il brano sta in piedi con le sue gambe grazie alla ritmica spedita, i bei fraseggi chitarristici e la melodia accattivante (non per niente è il primo singolo).

Con la title track siamo parzialmente sul territorio dei Mac (mentre la voce è molto Henley), un gustoso connubio tra pop e rock, un suono che nei settanta faceva faville; la lenta e pianistica Wildflower ha una melodia struggente e similitudini con brani come Desperado, compresa la struttura in crescendo e l’ingresso della band dopo un minuto e mezzo: a dispetto del suo essere derivativa, una gran bella canzone https://www.youtube.com/watch?v=0yTZdPOdedY . Glow Like The Moon inizia a cappella e poi entrano chitarra acustica e mandolino (alzi la mano chi non ha pensato a Seven Bridges Road) ed il brano si sviluppa in maniera fluida, un pezzo tra folk e rock altamente godibile https://www.youtube.com/watch?v=6Ipor4FF428 ; Sunset, Santa Fe è una ballata crepuscolare ancora molto anni settanta, steel in sottofondo ed atmosfera quieta, oltre ad una scrittura solida e senza sbavature. Honey, I’m Coming Home ricorda invece Heartache Tonight (l’intro è molto simile), bei riff chitarristici per un brano tutto da godere: anche Frey apprezzerebbe; Nothing Like You è la più lunga (quasi sei minuti), ed è un altro slow molto classico, decisamente fluido nel suo sviluppo e dotato di un refrain che si canticchia subito. L’album volge al termine, non prima però di aver apprezzato Need Your Love, altro tipico country-rock Eagles-style (versante Henley), ritmo vivace e sonorità californiane al 100%, e Wildfire Heart, un soft-rock di gran classe che chiude benissimo un disco decisamente piacevole anche se non esattamente innovativo.

Ma siccome di dischi nuovi degli Eagles non ne avremo più (se non eventuali album postumi), allora mi posso accontentare anche di Dave Barnes.

Marco Verdi

Un’Aquila Ha Preso Il Volo: E’ Morto Anche Glenn Frey!

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Raramente ricordo un periodo così nefasto per il mondo della musica mondiale come quello compreso tra la fine del 2015 e l’inizio di questo 2016: nel giro di poco tempo abbiamo avuto la scomparsa di Lemmy dei Motorhead, di David Bowie, oltre che di Natalie Cole (e del soulman Otis Clay, che come previsto non se lo è filato nessuno). Come se non bastasse, ieri sera è giunta all’improvviso la notizia della morte di Glenn Frey, cantante, chitarrista e membro fondatore degli Eagles, una delle band più popolari del pianeta, la punta di diamante del country-rock (e pop) californiano degli anni settanta, un mondo musicale a parte, ma anche uno stile di vita vero e proprio, fatto di musica, festini, donne, alcol e cocaina, che le Aquile avevano immortalato alla perfezione in due dei loro maggiori successi (di cui Frey era co-autore), cioè Hotel California e Life In The Fast Lane; proprio la vita nella corsia di sorpasso alla lunga è passata da Glenn a farsi pagare il conto, sotto forma di una serie di problemi assortiti (polmonite, artrite reumatoide e colite ulcerosa, ma anni fa il musicista aveva subito anche un trapianto di fegato), ponendo in pratica fine alla storia della band, che negli ultimi vent’anni aveva inciso poco ma era stata parecchio attiva dal vivo: difficile infatti che Don Henley, Joe Walsh e Timothy B. Schmit decidano di proseguire come trio, anche per il fatto che molti dei loro brani più noti (Take It Easy, Tequila Sunrise, New Kid In Town, Peaceful, Easy Feeling, Already Gone, Lyin’ Eyes) erano ormai legati a doppio filo alla figura di Glenn.

Originario del Michigan (alla fine l’unica Aquila, presente e passata, nata in California è Schmit), Glenn esordisce come backing vocalist e chitarrista in Ramblin’ Gamblin’ Man di Bob Seger (con il quale anni dopo scriverà l’hit degli Eagles Heartache Tonight), poi, spostatosi a Los Angeles, collaborerà con J. D. Souther, con il quale inciderà un disco in duo a nome Longbranch Pennywhistle, venendo poi preso sotto l’ala protettiva di Jackson Browne, con il quale scriverà proprio Take It Easy, che darà il via al volo delle Aquile (nel frattempo Frey aveva infatti fatto amicizia con Henley, ed i due avevano collaborato già come componenti della backing band di Linda Ronstadt, insieme anche a Bernie Leadon e Randy Meisner, praticamente gli Eagles al completo prima che diventassero una vera band).

Il resto è storia: i dischi, i concerti, il grande successo (il loro Greatest Hits è ancora oggi uno degli album più venduti di tutti i tempi), ma anche la droga, i problemi di ego, le incomprensioni ed i litigi, che porteranno il gruppo a sciogliersi in modo non amichevole nel 1980: passeranno ancora14 anni prima che i cinque (Don Felder era ancora con loro) si riunissero per il comeback album live (ma con quattro pezzi nuovi in studio, tra cui la bella e countryeggiante The Girl From Yesterday di Glenn) Hell Freezes Over, e susseguente tour, una nuova carriera che si è protratta fino ai giorni nostri con molti concerti ed un solo disco, il discontinuo Long Road Out Of Eden del 2007.

Decisamente popolari anche dalle nostre parti, gli Eagles hanno davvero segnato un’epoca, anche se buona parte della critica musicale “intelligente” non li aveva mai potuti digerire molto a causa del loro successo e di certe scelte musicali troppo pop, specie nella parte finale degli anni settanta: Glenn è sempre stato il frontman del gruppo, con la sua aria da personaggio alla Miami Vice (serie per la quale ha anche inciso dei brani negli anni ottanta e partecipato in veste di attore), ma ne ha anche sempre curato gli affari, ed è stato in prima linea a tutelare gli interessi della band nella disputa contro Felder.

Come solista non è stato mai molto prolifico (quattro album di materiale originale dal 1982 al 1992, un live ed un poco riuscito disco di standard, After Hours, nel 2012), ma ha avuto un ottimo successo con il brano The Heat Is On (inserito nella colonna sonora del film Beverly Hills Cop), un tipico esempio di pop californiano anni ottanta  un po’ plastificato.

Io vorrei ricordarlo in maniera diversa, e cioè non con un classico assodato delle Aquile ma un suo brano degli anni ottanta che all’epoca avevo amato molto, ed anche adesso in quanto mi fa ricordare un periodo in cui avevo trent’anni di meno…

So long, Glenn: adesso l’Aquila potrà davvero volare libera.

Marco Verdi