Torna La Band Di Austin Con Un Ennesimo Ottimo Album. The Band Of Heathens – Stranger

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The Band Of Heathens – Stranger – BOH Records

Nel 2018 avevano rivisitato con garbo e classe A Message From The People, uno dei capolavori assoluti di Ray Charles, riproposto attraverso la loro ottica sonora più rootsy e rock https://discoclub.myblog.it/2018/10/23/un-disco-storico-di-ray-charles-rivisitato-con-garbo-e-classe-band-of-heathens-a-message-from-the-people-revisited/ : due anni dopo i Band Of Heathens ritornano, con la produzione di Tucker Martine, che ha messo il suo stampo musicale, più etereo e ricercato sonicamente, con il nuovo album Stranger, registrato in trasferta per loro a Portland in Oregon, considerando che i cinque, originari di Austin, vivono tra California, North Carolina e Tennessee, e durante la pandemia si sono comunque abilmente ingegnati a realizzare una serie di video di deliziose cover, spesso con ospiti aggiunti, ognuno impegnato dalla propria casa, anche in concerti trasmessi in streaming (cercate su YouTube, perché meritano, per esempio una splendida versione di My Sweet Lord con Raul Malo, che vedete qui sotto.

Pandemia che indirettamente è in tema con il titolo del disco, che però è ispirato dal romanzo di Camus e da Straniero In Terra Straniera di Heinlein: Ed Jurdi e Gordy Quist, con le loro voci e chitarre, sono sempre alla guida della band, coadiuvati dalle tastiere di Trevor Nealon, che anche lui contribuisce vocalmente, come pure il bassista Jesse Wilson e il batterista Richard Milssap, alle intricate armonie che sono uno dei marchi di fabbrica del gruppo. Il suono è più complesso e con soluzioni più lavorate aggiunte da Martine, ma l’iniziale Vietnorm, scritta dal bassista Wilson, e con un marcato, benché non invasivo, impegno politico e sociale inconsueto nel loro songbook, immagina il ritorno di questo veterano del Vietnam Norm, che era un personaggio della sitcom Cheers, il tutto a tempo di scandito rock classico, con le solite influenze beatlesiane dei BOH, tra chitarre vibranti e fuzzy, tastiere insinuanti e melodie comunque molto piacevoli.

Ritmi sempre mossi anche in Dare, che tratta di fake news, di cui The Donald è (stato) uno specialista, armonie vocali mirabili, euforiche sonorità 60’s pop tra British invasion e Byrds/Buffalo Springfield, con chitarre tintinnanti e sound avvolgente.

La divertente Black Cat racconta la storia di un immigrato portoghese di più di 2 metri che fu tra i lavoratori impiegati nella costruzione del ponte di Brooklyn e poi entrò nella leggenda perché uccise a mani nude una pantera in un combattimento sotterraneo, il tutto naturalmente descritto a tempo di morbida psichedelia, tra spolverate di archi, tastiere misteriose, influssi orientaleggianti e chitarre che appaiono e scompaiono ai comandi di Martine.

Anche How Do You Sleep? tratta dei problemi della cattiva informazione, in una affascinante ballata elettroacustica, con goduriosi interscambi vocali tra Jurdy e Quist e spolverate di pop barocco, Call Me Gilded è una sorta di folk tune a tempo di valzer, sempre con le splendide armonie vocali della band presenti, magari con un leggero aumento del tasso zuccherino, ma sopportabile. South By Somewhere e Asheville Nashville Austin, sono entrambi brani che trattano della vita on the road, tra continui spostamenti per portare in giro la loro musica, e l’approccio è quello del sound classico della band, più roots e rock, anche se il produttore lavora più per aggiunta che per detrazione, benché mai in modo fastidioso, con una strumentazione ricca e ricercata, che vira in un country southern brillante nel secondo, dove appare anche una pedal steel https://www.youtube.com/watch?v=79uXntmFOYQ ; anche Truth Left tratta del tema dell’informazione, questa volta della sua eccessiva politicizzazione, una canzone vivace di impianto rock, con chitarre e tastiere a sorreggere le usuali ed eleganti divagazioni vocali del gruppo, con i consueti inserti orchestrali ed “effettistici” di Tucker Martine.

Today Is Our Last Tomorrow, tra arditi falsetti e le immancabili derive beatlesiane dei BOH, è sempre molto godibile, grazie anche a degli interventi decisi delle chitarre, mentre la conclusiva sognante ed ottimista Before The Day Is Done, con una voce femminile a renderla ancora più eterea, conferma questa svolta più ricercata e meno immediata del loro sound. Piacerà? Vedremo, comunque i Beatles avrebbero approvato e anche il sottoscritto ha apprezzato questo nuovo ottimo album della band di Austin.

Bruno Conti

Un Disco Storico Di Ray Charles Rivisitato Con Garbo E Classe. Band Of Heathens – A Message From The People Revisited

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The Band Of Heathens – A Message From The People Revisited – BOH Records

Una premessa prima di tutto: se chiamano Ray Charles “The Genius”, un motivo evidentemente ci sarà. Lo testimonia una carriera strepitosa che lo ha consacrato come una delle più grandi voci della musica del ‘900, non solo di quella nera,  con uno stile in bilico tra R&B (di cui è stato uno degli inventori), jazz, soul, con iniezioni di gospel e country (i due Modern Sounds In Country Music sono dei capolavori), una voce tra le più espressive e coinvolgenti mai ascoltate, una abilità al pianoforte mostruosa e moltissimi altri pregi che sarebbe molto lungo elencare. Questo A Message From The People, un disco uscito nel 1972 (e ristampato dalla Concord nel 2009, ma al momento nuovamente fuori produzione)  era interessante soprattutto per l’idea che gli stava dietro, e a cui Charles stava lavorando da parecchio tempo, ovvero un disco in cui attraverso una serie di canzoni scelte con cura il grande musicista nero voleva tracciare un ritratto, anche impietoso, di una nazione in uno dei suoi momenti più bui, ancora divisa dai conflitti razziali tra bianchi e neri, la guerra del Vietnam, e i primi scricchiolii nella popolarità di Richard Nixon, poi giunto al tracollo con lo scandalo Watergate.

Un album in cui Ray Charles voleva instillare una serie di buoni sentimenti: la fratellanza universale, l’amore per la Patria, la tolleranza, l’aiuto verso i poveri e i bisognosi, tutte tematiche che suonano ancora e nuovamente vere anche ai giorni nostri. Forse a livello musicale e come album nel suo insieme, risentito oggi (ma anche allora), il disco non suona forse così memorabile, un buon disco con gli arrangiamenti curati anche da Quincy Jones, pur se con alcune vette e con la voce inarrivabile del nostro. Ma visto che dobbiamo parlare della nuova versione registrata dai Band Of Heathens concentriamoci su questa: registrato in quattro giorni nel dicembre del 2017, in uno studio di Austin, la loro rivisitazione ovviamente risente dello stile del quintetto texano, tra rock, blues, country got soul, funky,  musica roots dal Sud degli Stati Uniti https://discoclub.myblog.it/2017/03/03/un-cocktail-di-suoni-americana-the-band-of-heathens-duende/ , ma rinvigorita da una serie di canzoni in ogni caso interessanti per diversi motivi e con il gruppo che tocca vertici di creatività raramente raggiunti in passato e quindi prospera anche a livello sonoro in questo tuffo nel songbook di Ray Charles. Le due canzoni che aprono e chiudono il CD sono due traditionals di Pubblico Dominio della canzone popolare americana: Lift Every Voice And Sing era un gospel-soul di straordinaria intensità nella versione di Ray Charles, e anche se Ed Jurdi non può competere a livello vocale, la versione dei Band Of Heathens ha comunque una propria dignità, qualche falsetto ai limiti, ma una rivisitazione intima ed acustica, tra folk e radici, molto coinvolgente https://www.youtube.com/watch?v=K8Tl3tqztfA .

Seems Like I Gotta Do Wrong pare un brano uscito da un disco di Jim Croce o dei praticanti del blue eyed soul più solare degli anni ’70, morbida e soffice, ma di gran classe, con un assolo di chitarra in punta di dita, un pezzo che Charles aveva pescato nel repertorio dei Whispers. Heaven Help Us All è più bluesy e sinuosa, con un ottimo uso dell’organo e un ritornello avvolgente, in origine una canzone del ’70 di Stevie Wonder, la versione dei BOH mantiene lo spirito leggermente gospel dell’originale di Wonder e della rilettura di Ray Charles; There’ll Be No Peace Without All Men As One è una ballata accorata, che fu uno due singoli estratti dal LP dell’epoca, bella versione senza strafare troppo quella dei texani. L’altro lato del 45 era Hey Mister, un pezzo decisamente più funky, con organo e chitarrina sugli scudi, molto gradevole, anche se il synth…, mentre la cover del brano di Melanie Look What The’ve Done To My Song, Ma è un mid-tempo delizioso, dove lo spirito roots e sudista della band esce in pieno, con l’intreccio costante tra le voci di Jurdi e Quist, anche se la citazione in francese del testo e il coretto finale son fin troppo sdolcinati https://www.youtube.com/watch?v=lgDUTNFwdlU .

Decisamente migliore la rilettura del classico di Dion, Abraham, Martin And John, grande canzone aperta dal florilegio pianistico di Trevor Nealon, e che poi si apre in un afflato quasi dylaniano che contrasta con lo spirito gospel della versione originale, ma lo rende uno dei brani più riusciti del CD https://www.youtube.com/watch?v=4wEdQqJFll8 ; come pure Take Me Home, Country Roads di John Denver è assolutamente incantevole nel suo spirito country-gospel, un ambito dove il quintetto texano dà il meglio di sé. Forse l’unico pezzo in cui il rock prende il sopravvento è una versione gagliarda e intensa di Every Saturday Night, tra chitarre ruvide, ritmi induriti e organo scivolante, prima di congedarci con quello che è considerato una sorta di inno americano di riserva, ovvero America The Beautiful, un gospel intriso di soul che se nella versione di Ray Charles era superbo, anche nella rivisitazione dei Band Of Heathens non sfigura affatto e conclude degnamente un album che certamente non è un capolavoro ma un meritorio omaggio ad un piccolo classico dimenticato degli anni ’70.

Bruno Conti

Un Cocktail Di Suoni “Americana”! The Band Of Heathens – Duende

band of heathens duende

*NDB Un po’ in ritardo, ma come promesso, ecco la recensione, buona lettura.

The Band Of Heathens – Duende – Blue Rose/IRD

Tra i diversi gruppi che riescono ad ottenere un certo successo nelle “charts” americane da qualche anno a questa parte, ci sono sicuramente, in un ambito diciamo “moderato”, i Band Of Heathens, sulla breccia ormai da più di una decade, e che a distanza di quattro anni dal precedente Sunday Morning Record (13) http://discoclub.myblog.it/2013/10/02/la-banda-della-domenica-mattina-band-of-heathens-sunday-morn/ sfornano questo ultimo lavoro Duende (il loro quinto disco in studio, tralasciando i tre “live”, nel corso della carriera). I Band Of Heathens vengono dalla sempre viva scena musicale di Austin, Texas e sono una formazione guidata dai due storici frontmen e vocalists Ed Jurdi (chitarra, armonia e piano) e Gordy Quist (chitarre), mentre a completare l’attuale “line-up” troviamo una eccellente sezione ritmica composta da Richard Millsap alla batteria e pèrcussioni, Scott Davis al basso, con l’aggiunta di Trevor Nealon alle tastiere e pianoforte e Russ Pahl alla pedal steel, per un lavoro che spazia, come al solito, dal country-rock al sound sudista, passando per soul, funky, e boogie:, il tutto registrato nei Ronjo Studios, in quel di Austin, sotto la co-produzione dell’ingegnere del suono Jim Vollentine (Spoon e White Rabbits).

Un idea di cosa sono capaci tuttora i Band Of Heathens  la rende bene l’iniziale All I’m Asking, un brano notevole, cantato e suonato con trasporto (con le parti vocali, loro punto di forza, in gran spolvero), a cui fanno seguito un super “funky” come Sugar Queen, e una deliziosa Last Minute Man con un arrangiamento molto “folk-country” oriented, per poi passare alla scanzonata Deep Is Love (sicuramente la meno riuscita del disco). Fortunatamente si continua con la contagiosa melodia di Keys To The Kingdom, il robusto rock nuovamente con venature “soul” di Trouble Came Early, cambiando poi leggermente genere con il soul-funky di Daddy Longlegs, mentre la successiva traccia è uno splendido brano acustico Cracking The Code, che ci rimanda a quei quattro ragazzi “poco noti” di Liverpool. Chiudono degnamente Duende una Road Dust Wheels, dove si viaggia verso il Messico, fondendo ritmi latini con un “sound” di frontiera, mentre la finale Green Grass Of California, viene valorizzata dalle splendide armonie vocali del gruppo (in perfetto stile Eagles).

Quindi ancora una volta i Band Of Heathens, con estrema disinvoltura, continuano ad incidere ottimi dischi, alternando come sempre la loro “miscellanea” di generi, che come detto sono un insieme di rock, blues, funky, soul, country, con ogni componente del gruppo con un proprio stile e modo di cantare e scrivere canzoni, facendo in modo che la passione degli esordi lasci il passo ad uno stile meglio delineato e più elegante. Insomma se amate il genere “americana” e non avete neanche un loro album, beh direi che è praticamente indispensabile, ma pure se non lo amate e ogni tanto vi va di ascoltare un disco in assoluto relax per un ascolto non impegnativo, Duende e le sue canzoni possono sicuramente servire.!

Tino Montanari