Il Vangelo di Augusto… Secondo Graziano. Graziano Romani – Augusto

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Graziano Romani – Augusto: Omaggio Alla Voce Dei Nomadi – Route 61 Music

Alcuni anni fa, al termine di un bel concerto di Graziano Romani in quel di Pavia (al Bar Trapani per la precisione), ho avuto la possibilità insieme all’organizzatore Paolo Pieretto, e al partner di quella serata di Romani, Max Marmiroli, di chiedere (come si fa sempre in queste occasioni) a Graziano se era in programma l’uscita di un nuovo disco e quelle che erano le sue voglie musicali (per intenderci, se proseguire il percorso dei CD dedicato ai fumetti), e fin d’allora il nostro amico manifestava un alto interesse di riuscire prima o poi a dedicare un tributo alle canzoni dei Nomadi e Augusto Daolio. E ora fortunatamente quel “poi” è arrivato, con il 24° disco della sua corposa carriera (compresi quelli con le sue band, i mitici Rocking Chairs e i meno noti Megajam 5), portando nel consueto e abituale Bunker Studio di Rubiera la sua attuale “line-up” composta da Max Marmiroli (amico di lunga data di Graziano) al sax, flauto, armonica e percussioni, Follon Brown alle chitarre, Lele Cavalli al basso, Nick Bertolani alla batteria, Gabriele Riccioni alle tastiere, e Lorenzo Iori al violino, dando così una nuova vita a brani più o meno noti dei Nomadi, risalenti al periodo compreso tra gli anni ‘60 e ‘70, e facendoli risplendere sotto una nuova luce con un progetto multiforme.

Il viaggio attraverso la via Emilia inizia con Augusto Cantaci Di Noi, brano che Romani aveva già inserito nell’album Storie Della Via Emilia (01), e che in questa occasione viene riproposto anche in chiusura di questo lavoro in versione più breve, poi a seguire arrivano le famose Tutto A Posto, rifatta in una versione rock-blues che mette in rilievo la bravura della band di Graziano, e l’accattivante melodia di Un Giorno Insieme, per poi riproporre due cover d’autore come L’Auto Corre Lontano (Ma Io Corro Da Te), nella versione originale Wichita Lineman di un musicista superbo come Jimmy Webb (che Romani ama moltissimo), con in sottofondo il sax di Marmiroli, e meritoriamente recuperare una Ala Bianca, vecchio singolo dei Nomadi, ovvero Sixty Years On di Elton John, riletta in una versione semi-psichedelica 

Si riparte per Casalgrande (paese d’origine di Romano), pescando sempre dal repertorio di Francesco Guccini con la mitica Canzone Per Un Amica, riproposta in modalità rock stradaiolo, con un impronta del sax che sembra uscire dalle labbra del compianto Clarence Clemons, per poi ritornare all’anima blues di Non Credevi e Ritornerai ( Sulla Strada), grazie al sapiente uso di armonica e chitarre.

Ecco anche la poco conosciuta Mercante E Servi con un“groove” marcato e l’ottimo lavoro alla chitarra di Follon Brown, e la ripresa di una sempre iconica Per Fare Un Uomo, dove ancora un volta Max Marmiroli dà il meglio di sé. Ci si avvia quindi alla fine del viaggio con una “fumettistica” Gordon, canzone simbolo dell’album, almeno per chi scrive, più innovativo dei Nomadi, seguita da una accelerata versione di Ti Voglio un classico di Bob Dylan, la celeberrima I Want You, con un’armonica a bocca martellante, e riproporre infine una ballata poco conosciuta come Mille E Una Sera, e terminare in gloria in vista di Novellara (paese d’origine di Augusto Daolio) con la ripresa di Augusto Cantaci Di Noi, in una versione più rock, ma anche più breve. Penso che per la riuscita di questo lavoro non sia trascurabile il fatto che da ragazzino Graziano Romani era spesso sotto il palco dei Nomadi, ad ascoltare Augusto che cantava quelle canzoni che parlavano di forza e amore, e che a distanza di tempo oggi come ieri siano ancora attuali.

Penso anche che a differenza dei due tributi dedicati a Bruce Springsteen, Soul Crusaders e Soul Crusaders Again, in questo caso forse Romani lo abbia sentito ancora più nelle sue corde, con la sua bellissima voce sempre più riconoscibile, regalandoci un omaggio alla voce dei Nomadi, pieno di belle canzoni, interpretate con amore e tanta passione, accompagnato da un nucleo di grandi musicisti italiani (una menzione particolare per il più volte ricordato Max Marmiroli), che ha contribuito in modo determinante alla riuscita del disco. Fine del viaggio. *NDT: Mi permetto di fare un inciso: negli anni ’60 e ’70 i discografici italiani hanno “banchettato” come Corvi (c’era pure il gruppo), traducendo in italiano i vari successi inglesi e americani dell’epoca, facendo la fortuna di molti gruppi “senza arte ne parte”, ma non è il caso dei Nomadi, che su questo ci hanno costruito spesso intere carriere.

Tino Montanari

Combat-Folk Dalla Val Camonica. I Luf – Pihini: Tornando Al Monte

i luf pihini

I Luf – Pihini: Tornando Al Monte – PSP Music

Per chi ancora non li conoscesse, I Luf sono in pista da una ventina di anni, hanno realizzato una dozzina di album, e hanno all’attivo una intensa e regolare attiva live con concerti sempre più affollati. Nel loro percorso musicale mischiano con intelligenza il combat-folk dei Modena City Ramblers (s’intende i primi MCR), con gli arrangiamenti “contrabbandieri” dei Van De Sfross, con la musica e i testi della terra da cui provengono ed il risultato sono sempre dei lavori freschi e vitali, che negli anni sono costantemente migliorati. Ieri come oggi Dario Canossi (ex collaboratore di Davide Van De Sfross) è il geniale cantante, autore e leader della formazione, che nell’attuale line-up si avvale di Sergio Pontoriero al mandolino, banjo e voce, Cesare Comito chitarra acustica e voce, Samuele Redaelli alla batteria, Alessandro Rigamonti al basso e contrabbasso, Lorenzo Marra alla fisarmonica e voce, Alberto Freddi al violino e voce, e Pier Zuin alle cornamuse e flauti, per una sorta di “concept album,” che si avvale nella stesura dei testi della collaborazione di scrittori italiani come i noti Mauro Corona, Paolo Cagnetti, Max Solinas, Nives Meroi e Erri De Luca, ed è composto da 11 canzoni inedite, più una rilettura della solita e un po’ stancante Bella Ciao,  il tutto registrato presso lo Studio Alari Park di Cernusco Sul Naviglio, e prodotto dal capobanda Dario.

Il brano di apertura L’Aiva La Grigna fa capire dove si orienta la musica del gruppo, in cui il banjo, la fisarmonica e le chitarre sono subito in evidenza, a cui fa seguito la ballata Dove Sarai Sarò con una melodia coinvolgente cantata benissimo da Dario in stile “gucciniano”, mentre Pihini il brano che dà il titolo al disco, è una folk-song da osteria che rimanda ai tempi gloriosi dei Pogues dello sdentato Shane MacGowan, mentre la delicata Non Ti Farò Aspettare su un tema di Nives Meroi si sviluppa grazie ad un bel “riff” coinvolgente dove emergono le chitarre e il violino. Si riparte da una versione cadenzata di Bella Ciao (o partigiano), che come detto potevano anche risparmiarsi in quanto nulla toglie e nulla aggiunge al disco, ascoltariamo poi il primo testo letterario, a cura di Paolo Cagnetti, con Il Ragazzo Selvatico, cantato su una melodia dall’andamento country, mentre viene estratto poi dal libro di Mauro Corona Il Canto Delle Manere, un magnifico testo sostenuto da una bella melodia, e si prosegue musicalmente con uno stile da festa di paese con la scanzonata Le Quater Meraviglie Del Mont, cantata in dialetto camuno. Con La Leggerezza Della Crisalide, da uno scritto di Erri De Luca tratto dal Peso Della Farfalla, si raggiunge il punto più alto del disco, una meravigliosa ballata cantata con pathos da Canossi, che viene accompagnata nel suo percorso dal magnifico suono della band, per poi passare poi all’intrigante etno-folk di Il Lupo E L’Equilibrista da un idea di Max Solinas, mentre la bella Tra Vino E Cenere ammorbidisce i toni, in cui nel finale la fisarmonica e il violino sviluppano un “sound” coinvolgente, per poi andare a concludere il CD in bellezza con la ballabile e trascinante Tornando Al Monte, ancora con il “contagioso” violino di Freddi in primo piano ( altro brano dove è proprio impossibile non muovere i piedini).

Sono passati quasi vent’anni da quando questo Collettivo Folk Rock (come si autodefiniscono), si è presentato con l’album d’esordio Ocio Ai Luf (03,) sino ad arrivare, dopo un percorso di una dozzina di dischi a questo ultimo lavoro Pihini, e la cosa più sorprendente è che il gruppo di volta in volta è riuscito al alzare la famosa “asticella”, mantenendo invariata la vivacità del suono della band che fa largo uso di fisarmonica, chitarre, violino e cornamuse, per canzoni che parlano di storie vere, che nascono dai racconti di chi la storia l’ha vissuta in prima linea, canzoni che ti entrano dentro e non se ne vanno facilmente, e la “colpa” è anche del capobanda Dario Canossi, cantante e indiscusso leader dei “lupi”, profondo conoscitore delle proprie radici e della tradizione culturale della canzone d’autore italiana. Nel fiorire del movimento “Folk” in Italia (soprattutto nel sottobosco musicale), per chi scrive I Luf sono quanto di meglio ci sia oggi in circolazione, un “branco” di musicisti che arrivano da esperienze diverse e che insieme riescono a creare un forte impatto sonoro “folk-rock”, divertente e vitale, che trascina e coinvolge. Altamente consigliato.!

NDT*: Se siete interessati al genere, vi consiglio anche un gruppo Aostano L’Orage, di cui sul finire dello scorso anno è uscito il terzo lavoro Medioevo Digitale, dopo il bel debutto con L’Età Dell’Oro (13) e Macchina Del Tempo (15). Alla prossima.!

Tino Montanari

40 Anni (E Oltre) Fa Succedeva In Italia, E Oggi Splendidamente Di Nuovo! Gang – Calibro 77

L’gang calibro 77

Gang – Calibro 77 – Rumbe Beat/Sony Bmg – 24-2-2017

Questa settimana, venerdì prossimo 24 febbraio per la precisione, esce attraverso i canali tradizionali il nuovo album dei Gang Calibro 77: chi ha partecipato alla operazione di crowdfunding (che la band dei fratelli Severini, ha utilizzato con successo, mi pare per la seconda volta, anche il precedente Sangue E Cenere era stato finanziato con la stessa formula), lo ha già ricevuto o lo sta ricevendo in questi giorni, con l’aggiunta di Scarti Di Lato, un ulteriore disco di outtakes riservato, come premio, a chi ha partecipato al finanziamento Per tutti gli altri che sono ancora indecisi, vediamo di cercare di convincerli all’acquisto: come cerco di spiegare nel titolo del Post il disco vuole essere una sorta di rivisitazione della musica e degli umori della società italiana negli anni ’70, attraverso la riproposta di una serie di canzoni che non vengono solo dal 1977, ma da tutta la decade in oggetto. Per fare tutto ciò si sono affidati ancora una volta, in fase di produzione, a Jono Manson, che ha rivestito, come è sua consuetudine, l’album con una patina di suoni tipicamente americani, utilizzando i soliti musicisti delle sue produzioni nei pressi di Santa Fè nel New Mexico, ai Kitchen Sink Studios di Chupadero, ovvero Michael Jude, John Michel (Hall And Oates / Brothers Keeper), Craig Dreyer, Clark Gayton (E Street Band/Levon Helm Midnight Ramble), John Popper (Blues Traveler), Jason Crosby, Jeff Kievit, Wally Ingram, Rob Eaton Jr, Ben Wright, Jeremy Bleich, John Egenes, Robby Rothschild, Char Rothschild, Jay Boy Adams, Scott Rednor, Jerry Weimer, Stefano Barotti Tutti nomi “locali” di grande abilità, come si vede, con una eccezione, a cui si aggiungono le chitarre di Sandro Severini e la voce di Marino Severini, per un tuffo nella canzone d’autore italiana degli anni ’70, rivista con affetto, ma anche, a tratti con lo spirito barricadero e punk che è sempre stato nel DNA della band rock marchigiana, senza dimenticare la maturità e la saggezza acquisita con lo scorrere del tempo.

Non voglio tuffarmi nell’esame complesso e specifico dei significati politici e sociali dei testi (c’è chi lo ho fatto o lo farà meglio di me), che essendo per una volta in italiano è di facile decifrazione e soggetto comunque all’interpretazione personale di chi ascolterà questo Calibro 77, ma preferisco soffermarmi sui contenuti delle singole canzoni, che in ogni caso riflettono anche in modo incidentale i significati di cui sopra. L’album si apre con Sulla Strada, un pezzo di Eugenio Finardi che era su Sugo, il disco del 1976 che conteneva anche Musica Ribelle (presente in Scarti Di Lato), il brano del cantautore milanese subisce un trattamento che non ne snatura lo spirito tipicamente rock all’italiana, anzi, forse lo accentua, aggiungendo un drive insistente che sta tra Bo Diddley e gli Stones, con le chitarre di Severini, Manson e Wright, che allargano ulteriormente lo spettro sonoro che ai tempi era fornito da Camerini e Tofani, senza dimenticare l’eccellente lavoro all’organo di Jason Crosby, vero maestro dell’Hammond. Nel testo c’è anche una licenza poetica, il ” vada a ranare” lombardo viene sostituito da un sonoro  “vada a cagare”, ma il significato rimane lo stesso. Il secondo brano è Io Ti Racconto, canzone che si trovava sul secondo album di Claudio Lolli, quel Un Uomo In Crisi del 1974, che come sottotitolo riportava Canzoni di Morte, Canzoni Di Vita, un  pezzo molto pessimista e triste, quasi lugubre nella versione di Lolli, che non era certo un allegrone, nella versione dei Gang il brano diventa una sorta di valzerone rock, splendido, con mandolino e piano che si uniscono all’organo per confermare questo sound da grande canzone americana, tra Dylan e il miglior rock a stelle e strisce, pur mantenendo una specificità da cantautore all’italiana.

Cercando Un Altro Egitto era sul terzo album omonimo del 1974 di Francesco De Gregori, quello “con la pecora”, e al Principe l’amore per la musica d’Oltreoceano non è certo mai mancato, quindi il pezzo si adatta perfettamente al trattamento rigoglioso cucitogli addosso da Jono Manson, che per l’occasione abbonda in trombe, sax, flauto e trombone, oltre all’immancabile organo, percussioni latineggianti che alleggeriscono il testo ermetico del brano, ma nella parte centrale non manca un breve assolo di chitarra tagliente e ficcante, poi ribadito da quello del sax, mentre Marino Severini lo canta con una “leggerezza” deliziosa, quasi noncurante. E niente male pure la lunga coda strumentale dove chitarre e fiati si scatenano in una bella jam. Questa Casa Non La Mollerò era già a sua volta una cover di Six Days On The Road dei Flying Burrito Brothers (che a loro volta l’avevano ripresa dalla tradizione country), fatta da Ricky Gianco su un 45 giri del 1978, e nella versione della Gang viene accentuato lo spirito R&R e country-rock del brano , con il piano scintillante di Crosby e chitarre (anche la pedal steel di John Egenes) in bella evidenza, mentre la voce di Marino mi ricorda quella del primo Giorgio Gaber, il periodo Due Corsari con Jannacci. Poteva mancare un brano di Fabrizio De André in un excursus sulla canzone italiana degli anni ’70? Ovviamente no, e il prescelto è Canzone Di Maggio, tratto da Storia di Un Impiegato del 1973, resa come una ballata quasi soul, con il sax di Craig Dreyer a duettare con l’organo, mentre la ritmica prende un pigro Groove che accompagna la canzone. Poi è la volta di Sebastiano, di nuovo a tempo di country’n’roll , un brano di Ivan Della Mea, tratto da Sudadio Giudabestia del 1979 (quindi coe Gianco, oltre il fatidico 1977), e che in questa veste sonora si faticherebbe immaginarla, ma funziona alla grande, con il testo intenso che viene reso più leggero dallo spirito dylaniano della musica, che a chi scrive ricorda anche Edoardo Bennato, di cui tra un attimo. ottimo John Popper all’armonica e il solito lavoro di fino delle chitarre

Ma prima troviamo Uguaglianza di Paolo Pietrangeli, l’unico brano non concepito negli anni ’70, visto che è del 1969, ma lo spirito della canzone è comunque già quello, pur se l’esecuzione vira su un folk conciso e laconico, due chitarre acustiche, una batteria spazzolata e poco altro, che più che a Dylan si ispirano allo Springsteen più crudo di Nebraska o Tom Joad, anche per gli argomenti trattati, visti però da un’ottica italiana. Si diceva di Bennato, del suo songbook viene affrontata Venderò, che era su La Torre Di Babele del 1976, un pezzo lontano dagli episodi più rock del cantautore napoletano (70 anni portati bene), e il cui testo portava la firma del fratello Eugenio Bennato: con fisarmonica, mandolino, violino e banjo, diventa un brano dal taglio bluegrass-country, sempre comunque con il piano delizioso di Crosby a guidare le danze, e un’aria spensierata che cerca di cancellare la malinconia del testo, riuscendoci in pieno.

Un Altro Giorno E’ Andato è di un altro “pezzo grosso” degli anni ’70, Francesco Guccini, il disco originale era L’Isola Non Trovata, proprio del 1970: un brano che ai tempi era una sorta di talkin’ blues all’italiana, e all’inizio, con una chitarra acustica arpeggiata, piano, una chitarra elettrica slide, lo spirito viene rispettato, ma poi il brano prende un bel crescendo, entra la ritmica, l’organo, il ritmo accelera e sembra di ascoltare un pezzo del Jackson Browne anni ’70, con David Lindley alla chitarra, bellissima (e qui sospetto lo zampino di Jay Boy Adams, citato nei credits, grande epigono browniano). Più distaccata e ironica la divertente Ma Non E’ Una Malattia, targata 1976, e che ci porta tra le strade di New Orleans, con ritmi soul e dixie, tra fiati che impazzano e l’immancabile pianino che si insinua ovunque. Per terminare l’Opera (con la O maiuscola, perché il CD è veramente bello) non si poteva scegliere meglio de i I Reduci di Giorgio Gaber, canzone simbolo di quegli anni ’70. tratta da Libertà Obbligatoria, uscito nel 1976, e con Marino Severini che in questo brano (ma a me personalmente pare in tutto l’album) ricorda in modo impressionante, per la voce e l’impeto l’inventore del genere “teatro canzone”. La versione di questa canzone è splendida, con l’uso magnifico della doppia tastiera e delle chitarre, e un arrangiamento che ancora una volta fonde l’italianità dei testi e lo spirito Americano della musica.

Tanto di cappello, grande disco.

Bruno Conti