Un Altro Bel Disco, Anche Se Fa Sempre Parte Della Serie “Ah, Trovarlo”! Gurf Morlix – Impossible Blue

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Gurf Morlix – Impossible Blue – Rootball Records              

Come ricordavo parlando del precedente album di Gurf Morlix The Soul And The Heal (tra l’altro registrato prima, ma pubblicato dopo, un attacco di cuore quasi fatale avvenuto nel 2016) https://discoclub.myblog.it/2017/03/24/un-altro-gregario-di-lusso-gurf-morlix-the-soul-and-the-heal/ ), il musicista residente da molti anni a Austin, Texas ma nativo di Buffalo, si è sempre considerato un “gregario”, magari di lusso, uno che scrive, suona e produce per altri (Lucinda Williams, Blaze Foley, Ray Wylie Hubbard, Mary Gauthier, Slaid Cleaves, Robert Earl Keen, solo per citarne alcuni), ma approda comunque con questo Impossible Blue al suo decimo album di studio, in una carriera solista iniziata nel 2000. Morlix propone questo suo “blues” personale, dai testi spesso basati su esperienze personali, storie di amore e di vita ancor più rafforzate dal suo incontro ravvicinato con la morte, ma presenti da sempre nelle proprie canzoni, brutalmente oneste, buie e dure, con rare aperture ad un ottimismo dolente ed espresso a fatica: del nuovo album ha detto che secondo lui è il suo migliore di sempre (ma d’altronde non ho ancora sentito un artista dire che la sua ultima opera è la peggiore che abbia mai realizzato), però nel caso di questo album sembra essere vero.

Accompagnato come di consueto dal fedele batterista Rick Richards e per l’occasione dalla leggenda texana dell’organo Hammond B3 Red Young, oltre che dalle leggiadre armonie vocali femminili della brava Jaimee Harris, Gurf Morlix canta, suona le chitarre, il basso, le percussioni e le altre tastiere, produce, fa da ingegnere del suono e tecnico, il tutto nello studio di registrazione Rootball che dà anche il nome alla propria etichetta. E ovviamente scrive tutte le nove canzoni: la voce come al solito è roca, spezzata, dolente, molto vissuta, per certi versi vicina a quella di un paio di sue illustre clienti  e colleghe come la Williams e la Gauthier, ma riesce a convogliare questo spirito del blues according to Gurf. Turpentine apre su un riff che è un incrocio tra Green Onions e il suono “paludoso” dell’ultimo Tony Joe White, con la solista di Morlix che poi si intreccia con l’organo sinuoso di Red Young, abrasiva come l’acquaragia che vorrebbe usare per pulire una amante fastidiosa e petulante. 2 Hearts Beatin’ In Time è una sognante, pigra e delicata ballata, quasi sussurrata da Morlix che si avvale della voce dolce e suadente della Harris per impreziosire questa ode all’amore https://www.youtube.com/watch?v=Of0BDK1vrag , dove l’accompagnamento scarno e il suono secco della sezione ritmica evidenziano la melodia che ricorda molto certi “blues” personali di Lucinda Williiams.

My Heart Keeps Poundin’ è quasi una constatazione meravigliata sul fatto che il suo cuore, nonostante tutto, continui a funzionare, e il ritmo incalzante del brano, con il basso che pulsa e la batteria più indaffarata del solito, vive anche di essenziali sferzate di chitarra e organo. I’m A Ghost torna al suo innato pessimismo e all’oscurità che abita spesso nelle sue canzoni, benché la forma sonora prescelta sia quella di una ballata soffusa e quasi carezzevole, sempre grazie all’uso essenziale della voce elegante di Jaimee Harris, mente le schegge di luce presenti appunto in Sliver Of Light cercano di squarciare queste tenebre che abitano le sue composizioni, in questo caso una sorta di ode alla vita “on the road” da un concerto all’altro, in cui la musica cerca di animarsi più del solito a tempo moderato di blues-rock e un principio di ritornello con coretto, ma si torna subito alle “allegre” vicende di Bottom Of The Musquash River che narra del rimpianto, del lutto, di un uomo per la propria amante trovata annegata in fondo al  fiume, una ballata intensa e accorata che ricorda nuovamente il songbook della Williams, comunque molto bella, con Spinnin Planet Blues dove le 12 battute sono classiche come raramente accade nei suoi brani e sul tappeto dell’organo di Young Gurf Morlix si concede un lungo assolo ricco di feeling https://www.youtube.com/watch?v=fW_gMrK3EpQ .

I Saw You narra di un cuore spezzato e geloso con la partecipazione distaccata ma sentita tipica dei personaggi delle canzoni del nostro, che poi ci congeda con un brano scritto in ricordo di un vecchio amico (come aveva già fatto in passato per Blaze Foley), il batterista ed amico d’infanzia a Buffalo Michael Bannister, un pezzo quasi elegiaco e trasognato che mi ha ricordato certe ballate agrodolci del compianto Calvin Russell, dove risaltano nuovamente la voce flessuosa di Jaimee Harris e le languide mosse dell’organo di Young, per uno splendido brano che conclude degnamente questo ennesimo riuscito lavoro di Morlix. Un altro bel disco quindi, anche se fa sempre parte della serie “ah, trovarlo”, senza svenarsi.

Bruno Conti

Un Altro Gregario Di Lusso! Gurf Morlix – The Soul And The Heal

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Gurf Morlix  – The Soul And The Heal – Rootball Records

Quasi tutte le recensioni dei dischi dei Gurf Morlix partono dallo stesso assunto, e quindi ci sarà un fondo di verità: il musicista di Buffalo, NY, ma da anni cittadino di Austin, Texas, viene ricordato soprattutto per il suo lavoro come musicista e produttore, attraverso una carriera trasversale che lo ha portato prima ad essere la mano destra di Blaze Foley appunto in Texas, poi all’inizio degli anni ’80 si è trasferito in California dove ha condiviso i primi passi di una emergente Lucinda Williams, forgiandone anche il suono, grazie al suo lavoro di chitarrista e produttore in due ottimi album come l’omonimo Lucinda Williams e Sweet Old World. Poi quando era arrivato il momento di raccogliere i frutti con il fantastico Car Wheels On A Gravel Road, i due si sono scontrati di brutto in studio, e la versione del disco con Morlix, pronta per il 90%, è stata accantonata e non utilizzata. Ma il suono della musica di Lucinda è rimasto negli anni quello forgiato con Gurf,  quel roots-rock scarno, con ampie schegge di country, blues e folk, che si accende in improvvise cavalcate chitarristiche. Anche la musica di Gurf Morlix, ovviamente, viaggia su queste coordinate sonore, arricchita da anni di collaborazioni con spiriti eletti come, cito alla rinfusa, Ray Wylie Hubbard, Tom Russell, Mary Gauthier, Slaid Cleaves, l’amico Ray Bonneville, Buddy Miller, persino i Barnetti Bros di Chupadero, Sam Baker, e mi fermo, ma se c’è bisogno di uno che sa suonare tutti i tipi di chitarra, tastiere, basso, banjo, arrangiarsi alle percussioni, magari producendovi anche il disco nei suoi Rootball Studios di Austin, non cercate altrove.

E qui forse sta l’inghippo, perché in teoria, dall’inizio degli anni 2000, Morlix farebbe il cantautore, con nove album (anzi dieci, perché uno, strumentale, è il rifacimento del precedente senza le parti vocali), ma purtroppo pochi se ne accorgono: i dischi hanno una diffusione molto difficoltosa, pochi ne parlano, anche se lui testardamente, ogni paio di anni circa ne pubblica uno nuovo, l’ultimo è questo The Soul And The Heal, il contenuto è più o meno sempre il “solito”, dieci brani incentrati sui temi della rinascita, della guarigione dalle ferite della vita, spesso tosta, buia e con poche speranze, attraverso un suono denso, ripetitivo, insistito, che parte dalla sua interpretazione del blues, del rock e del country, in un modo quasi idiosincratico, che si apprezza magari solo dopo ripetuti ascolti, e anche se non sempre si eleva verso vette qualitative decise, spesso ha le stimmate dell’artista di culto. Quindi non aspettiamoci grandi voli pindarici, ma un album con dieci solide canzoni che si apre sul laidback blues dell’iniziale Deeper Down, dove il groove inesorabile viene scandito dalla batteria di Rick Richards, il “Buddha del Beat” come lo chiama Morlix nelle note, molto scarne, del CD, forse per il suo stile imperturbabile e ripetuto, usato anche negli album di tutti gli artisti citati poco fa, il resto lo fanno le svisate d’organo di Nick Connolly e il basso cavernoso e la chitarra dello stesso Gurf, che ogni tanto si impenna con brevi e mirati interventi che non tendono mai al virtuosismo, ma sono funzionali all’atmosfera della canzone; Love Remains Unbroken potrebbe essere appunto il titolo di una canzone di Lucinda Williams,e anche lo stile è quello, una ballata, cantata con voce roca e spezzata, ma graziata da una bella melodia che si dipana sul solito arrangiamento scarno ma al tempo stesso austeramente raffinato, con la chitarra che regala un piccolo solo di grande classe e feeling.

Bad Things aggiunge al menu l’armonica minacciosa di Ray Bonneville, per un blues desertico e scheletrico, scandito dalla batteria quasi metronomica di Richards e con un assolo minimale della slide di Morlix nella parte centrale; Cold Here Too, ancora più narcotica, lavora sempre di sottrazione, su ritmi e arrangiamenti, dove, sinceramente, forse un po’ di varietà in più non guasterebbe, anche se la chitarra cerca di prendere vita, mentre Right Now tenta la strada del ritmo reggae, con l’organo sibilante e i tom-tom più vivaci del solito, ma giusto un po’, perché questa è la musica del nostro. E quindi la strada della ballata sembra quella più proficua, come nella languida e malinconica Move Someone, dove il country-blues è di nuovo molto vicino alle tematiche sonore della Williams, perfino con un accenno di armonie vocali; I’m Bruised, I’m Bleedin’ è una ulteriore variazione sui temi bui delle canzoni di Morlix, anche se uno spicchio di speranza si percepisce sempre, sia nei testi, come nelle musiche. E infatti Quicksilver Kiss, sempre su questi parametri sonori, è comunque più mossa e vivace, quasi “ottimistica”, con tocchi rock leggeri ma percepibili nel delizioso assolo di chitarra, ancora più accentuati in My Chainsaw  dove il nostro amico lascia andare la sua chitarra in un mordente solo su un ritmo rock, prima di chiudere l’album con il piccolo gioiellino folk della ballata conclusiva The Best We Can, solo voce e chitarra acustica. Per chi ama la sua musica e quella della sua “amica”, una conferma.

Bruno Conti

Da Londra Al Texas, E’ Pur Sempre Rock’n’Roll! Bill Kirchen & Austin De Lone – Transatlanticana

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Bill Kirchen & Austin De Lone – Transatlanticana – Red House/Ird CD

Non è la prima volta che Bill Kirchen, chitarrista e leader insieme a George Frayne dei Commander Cody & His Lost Planet Airmen durante il loro periodo d’oro, ed il pianista Austin De Lone, tra i membri fondatori del gruppo di culto degli Eggs Over Easy http://discoclub.myblog.it/2016/07/01/unabbondante-ed-ottima-colazione-base-uova-musica-eggs-over-easy-goodncheap-the-eggs-over-easy-story/, collaborano insieme, infatti avevano già inciso due album, nel 1977 e 1983, come componenti di un quartetto denominato Moonlighters. Da quel momento in poi, Kirchen ha perseguito una carriera solita regolare e con vari album basati sul classico suono Americana di cui la band del Comandante è stata una delle pioniere, mentre De Lone è quasi sparito dai radar, realizzando solo un disco nel 1991, De Lone At Last, peraltro ottimo. Ora i due, che evidentemente non avevano mai perso i contatti, pubblicano questo album nuovo di zecca, Transatlanticana, un disco di puro rock’n’roll, ma anche country, errebi, boogie e perfino gospel, un melting pot sonoro che poi è la sintesi coerente di quanto i due hanno sempre proposto in passato: la cosa semmai che sorprende è la freschezza e la vitalità di queste dodici canzoni, divise tra originali e cover, con i due in forma smagliante, e se la cosa può essere normale per Kirchen che non ha mai smesso di fare musica (non però a questi livelli, almeno ultimamente), stupisce che De Lone, inattivo da parecchio tempo, non abbia la minima traccia di ruggine e suoni come se non avesse mai smesso di farlo.

Il titolo del CD è ispirato dal fatto che è stato inciso in due locations diverse, Londra (città “adottiva” di De Lone, che è comunque americano) ed Austin, Texas, addirittura con due sezioni ritmiche distinte (Paul Riley al basso e Malcolm Mills alla batteria in Inghilterra, David Carroll al basso e Rick Richards alla batteria in America), anche se il suono rimane perfettamente unitario in tutte le canzoni, regalando all’ascoltatore circa tre quarti d’ora di piacevole e pura American music; ci sono anche degli ospiti, come l’ottimo steel guitarist Bobby Black, il noto chitarrista e cantautore Gurf Morlix e, in un brano, la voce del texano doc Butch Hancock. Hounds Of The Bakersfield è una scintillante country song di Kirchen dedicata a Merle Haggard (il titolo gioca con il celebre romanzo di Conan Doyle The Hound Of The Baskervilles con protagonista Sherlock Holmes e con la città californiana dalla quale ha avuto origine il suono tipico proprio di Haggard, oltre che di Buck Owens): il suono è spettacolare, la voce di Bill perfetta, come anche il gran dispiegamento di chitarre. Wine, Wine, Wine è il rifacimento di un vecchio pezzo del Comandante Cody, un honky-tonk suonato in maniera splendida e con lo spirito di una vera rock’n’roll band, come nella miglior tradizione dello storico combo guidato da Frayne (quello degli anni settanta, non la pallida controfigura degli ultimi anni), con Black strepitoso alla steel ed Austin che comincia a far sentire le sue dita. Proprio De Lone è il protagonista della ritmata Let’s Rock, che esce per un attimo dai bar di Austin (città) ed entra nei pub di Londra, anche se il suono è americano al 100% (come d’altronde era quello degli Eggs Over Easy): ottimi i duetti tra piano e chitarra, una caratteristica di tutto il disco.

Oxblood è scritta da Butch Hancock, e vede proprio il vecchio texano alternarsi al canto con Bill, con la sua voce polverosa e dylaniana, per un rockabilly tipico dei suoi, che ci fa venire la voglia di un disco nuovo da parte sua, dato che, non pubblica nulla da dieci anni come solista e da sette come membro dei Flatlanders. Think It Over è un successo minore di Jimmy Donley, un rock’n’roller morto suicida nel 1963 all’età di 33 anni, ed è una limpida ballata anni cinquanta, decisamente gradevole ed immediata, un puro piacere per le orecchie, così come la rivisitazione di Warm And Tender Love (una delle prime hits di Percy Sledge), che in questa versione conserva solo marginalmente lo stile errebi dell’originale, diventando una lussuosa e cristallina rock ballad (piccola curiosità: solo in questo brano, inciso a Sausalito in California, c’è una terza sezione ritmica, formata da Mike Godwin al basso e da Paul Revelli alla batteria). Nei seguenti tre pezzi De Lone diventa protagonista assoluto, sia come autore che esecutore e cantante: No Need For Knocking è uno splendido e trascinante rock’n’roll, con il pianoforte che è una goduria a parte, All Tore Up è un boogie pianistico alla Jerry Lee Lewis, impossibile stare fermi, mentre Already Walking è un limpido folk-rock, molto più Eggs Over Easy di ogni altro brano del CD. Kirchen si prende la rivincita con i tre pezzi finali: Back In The Day, scritta dalla moglie Louise, è una bellissima canzone rock, diversa dal genere del Comandante e con un’andatura quasi epica ed il solito magistrale pianoforte, oltre ad un motivo ricco di pathos, mentre Somebody’s Going Home è un gustosissimo gospel-rock registrato con alcuni backing vocalists di sostegno, un brano inatteso sullo stile degli Staples Singers, davvero ottimo; chiude il CD una deliziosa versione del classico di Bob Dylan The Times Tey Are A-Changin’, con un ritmo molto più acceso dell’originale ed una formidabile performance di De Lone al piano, degna conclusione di un album fresco e corroborante.

C’è ancora in giro qualcuno che pensa che il rock’n’roll sia morto: a loro bisognerebbe far ascoltare Transatlanticana almeno dieci volte al giorno, per un mese.

Marco Verdi