Rilettura In Musica Di Un Grande Irlandese. Eleanor McEvoy – The Thomas Moore Project

eleanor mcevoy the thomas moore project

Eleanor McEvoy – The Thomas Moore Project – Moscodisc Recording

Seguendo per certi versi il “nuovo corso” di Eric Andersen con i suoi due ultimi album Shadow And Light Of Albert Camus e Mingle With The Universe, The Worlds of Lord Byron, anche la brava cantautrice irlandese Eleanor McEvoy (ospite abituale su queste pagine http://discoclub.myblog.it/2014/06/18/al-solito-buona-roba-dallirlanda-eleanor-mcevoy-stuff/ ), rilegge in chiave musicale le opere del grande poeta, commediografo e attore Irlandese Thomas Moore (per chi non lo conoscesse, l’equivalente  in ambito letterario del poeta e compositore scozzese Robert Burns), ma a differenza di Burns le cui opere sono regolarmente reinterpretate un po’ in tutto il mondo, Moore è stato dimenticato ed è caduto fuori moda troppo in fretta, e bene ha fatto la McEvoy a rispolverare e far conoscere queste undici ballate popolari e le loro melodie. Suonando chitarre, strumenti a corda e tastiere (oltre che produrre il disco), Eleanor ha reclutato Damon Butcher (Beautiful South) alle tastiere, Eoghan O’Neil (Moving Hearts) al basso, Guy Rickerby alla batteria e percussioni, e Eamonn Nolan alle trombe e flicorno, con gli arrangiamenti dei brani che ricordano (con un suono più “attualizzato”, ma non troppo) il Van Morrison del bellissimo Poetic Champions Compose (80), per un insieme di canzoni che pur essendo rivisitate in una forma moderna, vedono rispettate le stesure originali di Thomas Moore.

Il “progetto letterario” di Eleanor parte con Oft In The Stilly Night, un brano che era già presente nel precedente Naked Music, qui riproposto in una versione più elettrica, a cui fanno seguito una The Last Rose Of Summer arrangiata con una sorta di tappeto sonoro tra swing e valzer (ne esiste anche una bella versione fatta dai Clannad), una ballata irish  intrisa di tocchi di flamenco e maracas Come Send Round The Wine, e la successiva Trough Humble The Banquet con la tromba educata di Nolan (che rimanda ai tempi dell’Herb Alpert più ispirato), ad assecondare la dolcissima voce della McEvoy. La poesia e la canzoni di Moore sono profondamente evocativi, e lo si riscontra particolarmente nella dolce ninna-nanna di una struggente At The Mid Hour Of Night, e nella sua più famosa ballata popolare The Minstrel Boy (la triste storia di un ragazzo “arpista” ucciso in battaglia), con un accattivante crescendo finale ad assecondare la sapiente interpretazione di Eleanor. Commovente anche una delle più belle melodie che accompagnano la lenta marcia di Believe Me, If All Those Endearing Young Charms, per poi passare ad una leggenda irlandese The Song Of Fionnuala, che si sviluppa sulla nota aria di Silent Oh Moyle, che viene accompagnata nuovamente dalla tromba del bravo Nolan. Ci si avvia alla fine con il pianoforte minimalista di Butcher, che sottolinea la splendida voce delle brava irlandese e ancora le note di una tromba jazzy, nella ballata notturna Erin, The Tear And The Smile In Thine Eyes (forse il punto più alto del lavoro), la breve Oh! Breathe Not His Name con un intrigante “drumbeat” in stile africano, e per chiudere, una delle canzoni più note di Moore, The Harp That Once Through Tara’s Halls, un brano tradizionale irlandese rifatto brilantemente in una chiave Pogues, che sono sicuro lo “sdentato” Shane MacGowan approverà.

Sono passati ormai 25 anni da quando con Only A Woman’s Heart (ancora uno dei dischi più venduti in Irlanda e che probabilmente le permette di vivere di rendita dedicandosi ai progetti che più le piacciono) Eleanor McEvoy è salita ai vertici delle classifiche raggiungendo un certo successo globale, ma questo quattordicesimo album The Thomas Moore Project è certamente un lavoro di “nicchia”, pur se nello stesso tempo pare un passo significativo nel percorso artistico della cantautrice irlandese, facendoci scoprire in forma canzone le poesie, le melodie e la vita straordinaria di Thomas Moore, che per più di due secoli sono state comunque radicate nella cultura Irlandese, ma che probabilmente senza questo meritevole “progetto” di Eleanor McEvoy rischiavano di perdere il loro posto tra le nuove generazioni. Affascinante!

Tino Montanari

Texas? No, Ravenna E Dintorni! The Crazy Bulls Band – Lifestream

crazy bulls band LIFESTREAM_COVER

The Crazy Bulls Band – Lifestream – Folk And Roll/ Distr. IRD CD

Chi pensa che il country sia un genere poco considerato in Italia forse non conosce il fitto sottobosco di band che da anni portano avanti il verbo della musica americana per antonomasia, soltanto con le esibizioni dal vivo e magari senza vedere mai il loro lavoro gratificato da pubblicazioni discografiche. Tra questi uno degli acts di punta è certamente la Crazy Bulls Band, un combo di sette elementi proveniente da Ravenna e dintorni e guidato dal chitarrista Giuliano Guerrini: i Tori Pazzi si sono formati nell’Ottobre del 2013 ed in breve tempo sono diventati un gruppo tra i più richiesti, arrivando a partecipare anche a diversi festival country europei (come quello di Tolone, che non sapevo essere il più importante in Francia nel suo genere). Oltre a Guerrini troviamo Stefano Bandini alla chitarra acustica (e fondatore del gruppo insieme a lui), Federico Baldassarri al banjo e steel, Nicola Nieddu al violino e mandolino (molto bravo), Francesco Ricci al basso e Guido Minguzzi alla batteria, mentre la voce solista è femminile (Leda De Waure) ed è anche l’unica non italiana, essendo originaria del Sudafrica.

Lifestream è il loro esordio discografico, un album che ci rivela una band che suona americana al 100% (con un po’ di influenze celtiche portate in dote da Leda, che ha precedenti esperienze in quel campo), un country-rock assolutamente credibile ed anche di buon livello, con tutti i dieci brani scritti da Guerrini in perfetto stile a stelle e strisce: un gruppo che ha ritmo, feeling e passione, e si meriterebbe qualcosa in più del culto al quale pare destinato, dato che il disco è molto meglio di almeno il 50% del materiale che viene prodotto ogni anno a Nashville. L’inizio è sorprendente: Power And Pain è un rockin’ country potente, decisamente chitarristico, con il suono appena stemperato da steel e violino, e Leda che si propone come vocalist grintosa e di personalità. Doing Well è davvero bella, una ballata elettrica dalla melodia di ampio respiro, una sezione ritmica solida ed un bel banjo che ricama in sottofondo, mentre Big Old Wheel è un irresistibile bluegrass dal vago sapore folk irlandese, un refrain travolgente ed un violino scatenato; Run Run Run è invece un country’n’roll tutto da gustare, ritmo al solito sostenuto che rende il brano perfetto da ballare in un saloon texano. Un avvio di tutto rispetto, i CBB, a dispetto della carta d’identità nostrana, dimostrano di fare sul serio.

La lenta e pianistica A Brand New Day conferma che i nostri sono anche in grado di scrivere brani maggiormente strutturati, ma con Back To My Town, un impetuoso rockgrass (si può dire?), la temperatura torna a salire, e resta alta anche con Big Strides, che ha uno stile ancora a metà tra country e Irish. Spaghetti Catalan, a dispetto del titolo idiota, è un western tune intenso ed evocativo, uno dei migliori del CD (e Nieddu si conferma un violinista notevole); l’album termina con White Rose (in duetto con tale Giò De Luigi, ammetto che non so chi sia), un mid-tempo roccato ed asciutto, che se il gruppo fosse americano definiremmo di matrice southern, e con la potente e diretta My Main Attraction, altro scorrevole rockin’ country che chiude il disco nello stesso modo con cui Power And Pain lo aveva aperto.

Cercando in giro, anche in Italia, si può comunque trovare qualcosa di valido, e la Crazy Bulls Band valida lo è di sicuro.

Marco Verdi