Dopo Un Grande Album In Studio, Ecco Un Ottimo Live. Margo Price – Perfectly Imperfect At The Ryman

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Margo Price – Perfectly Imperfect At The Ryman – Loma Vista/Universal CD

That’s How Rumors Get Started, ultimo album di Margo Price, è stato per il sottoscritto uno dei dischi del 2020 https://discoclub.myblog.it/2020/07/11/nuovi-e-splendidi-album-al-femminile-parte-1-margo-price-thats-how-rumors-get-started/ . Un album profondo e coinvolgente con una serie di canzoni splendide da parte di un’artista matura che è andata oltre i suoi esordi country e si è presentata come una singer-songwriter a 360 gradi, proponendo un sound di stampo californiano vicino a certe cose dei Fleetwood Mac e di Tom Petty. L’album, che doveva uscire agli inizi di maggio, è stato però posticipato a luglio a causa della pandemia, ma per consolare i fans Margo ha pubblicato più o meno nello stesso periodo sulla piattaforma Bandcamp (e quindi solo in formato download) un disco dal vivo inedito intitolato Perfectly Imperfect At The Ryman, registrato nel maggio 2018 presso la mitica location del titolo, vero tempio della musica country a Nashville.

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Ora Margo ha deciso di far uscire l’album anche in CD, e devo dire che l’idea è davvero gradita in quanto ci troviamo tra le mani un ottimo live di puro country-rock elettrico, eseguito dalla Price con piglio da vera rocker, cantato benissimo e suonato da una band coi fiocchi formata dal marito Jeremy Ivey alle chitarre (insieme a Jamie Davis), Micah Hulscher alle tastiere, Luke Schneider alla steel e dobro e con la sezione ritmica formata dal bassista Kevin Black e dal batterista Dillon Napier, oltre ad un nutrito gruppo di backing vocalist e tre ospiti d’eccezione che vedremo a breve. Chiaramente essendo un concerto di più di due anni fa non ci sono le canzoni di That’s How Rumors Get Started, ma una selezione del meglio dei primi due album di Margo ed un paio di cover azzeccate. L’iniziale A Little Pain è una ballata a tempo di valzer ma suonata con molto vigore: la Price possiede una gran voce ed il brano ha un delizioso sapore anni 60, compreso l’assolo chitarristico in stile twang.

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Weekender è una bella canzone dalla tipica melodia country (ricorda parecchio Dolly Parton), ma con un arrangiamento funk-rock che crea un contrasto interessante (e che voce). Il tutto precede la squisita Wild Women, vivace e coinvolgente country-rock con Emmylou Harris che raggiunge Margo per un duetto tutto da godere https://www.youtube.com/watch?v=DetT8QUvp1w . La Price saluta Emmylou ed invita sul palco l’amico Sturgill Simpson (che tra l’altro ha prodotto il suo ultimo disco) per una rilettura tutta ritmo e chitarre del classico di Rodney Crowell I Ain’t Living Long Like This https://www.youtube.com/watch?v=iw1MOT4W6sc , controbilanciato subito dalla tenue e gentile Revelations, mentre Worthless Gold di country non ha praticamente nulla essendo una rock song elettrica e riffata, che dimostra la versatilità di Margo ed anche la sua grinta.

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Il trascinante honky-tonk medley intitolato Hurtin’ (On The Bottle), in cui compare anche un accenno a Whiskey River di Willie Nelson, fa da apripista per una versione inizialmente rallentata e sinuosa dell’evergreen dei Creedence Proud Mary, quasi come se l’autore invece di Fogerty fosse Tony Joe White https://www.youtube.com/watch?v=IYhYhzjugFU , ma poi arriva una decisa accelerata ed il pezzo assume la veste di un travolgente gospel-rock grazie anche al botta e risposta con il Gale Mayes Nashville Friends Choir. Chiusura con All American Made, slow di quasi otto minuti molto intensi per voce, piano e armonica  https://www.youtube.com/watch?v=E9-ORYUNqhw, l’energico rockin’ country Honey, We Can’t Afford To Look This Cheap, in cui Margo duetta con un acclamatissimo Jack White (co-autore del pezzo) https://www.youtube.com/watch?v=ngyvtmMA_6Q , e con la delicata ballata acustica World’s Greatest Loser. Scusate il bisticcio di parole, ma questo Perfectly Imperfect At The Ryman è un live molto “vivo”, ed un altro bel disco per la bravissima Margo Price.

Marco Verdi

Il Terzo Episodio Di Una Saga Lunga Mezzo Secolo. Paul McCartney – McCartney III

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Paul McCartney – McCartney III – Capitol/Universal CD

Quest’anno è scattato il cinquantenario di parecchi capolavori della nostra musica (ed alcuni verranno celebrati nel 2021 causa Covid), ma sono trascorse anche cinque decadi dall’esordio solista di Paul McCartney, cioè quel McCartney con la famosa copertina con la ciotola di amarene e che musicalmente aveva spiazzato non poco critici e fans che si aspettavano un disco pieno di pop songs arrangiate con tutti i crismi ed invece si ritrovarono una serie di bozzetti in gran parte acustici ed in cui Paul suonava da solo tutti gli strumenti. Dieci anni dopo, esaurita l’epopea degli Wings, Paul aveva bissato il suo esordio appunto con McCartney II, altro lavoro in cui l’ex Beatle faceva tutto da solo ma con una maggiore propensione alle sperimentazioni ed ai suoni moderni (anche se non mancavano un paio di ballate acustiche vecchio stile). Nel 2020 non era previsto un nuovo album da parte di Paul, anche perché l’ultimo Egypt Station era ancora “caldo” grazie anche a tutte le versioni deluxe e super deluxe uscite dopo, ma il nostro ha deciso di occupare il tempo trascorso durante il lockdown (o “rockdown”, come lo ha ribattezzato lui) nella sua fattoria nel Sussex incidendo una manciata di nuove canzoni nel suo studio casalingo in perfetta solitudine, cosa che gli ha fatto venire l’idea di pubblicare un nuovo episodio della trilogia solista (complice anche il fatto che siamo in un anno che finisce con lo zero).

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Ecco quindi disponibile da pochi giorni McCartney III, un vero e proprio nuovo album che si collega direttamente ai suoi due predecessori, in particolare al primo per le foto di carattere bucolico-familiare del booklet interno, mentre dal punto di vista musicale abbiamo una via di mezzo tra i due, con il McCartney autore di canzoni pop immediate e di intense ballate acustiche e pianistiche che ogni tanto cede il passo allo sperimentatore, pur senza stranezze del tipo Temporary Secretary o Bogey Music. Dopo un paio di attenti ascolti posso affermare che McCartney III è un buon disco, diciamo un tre stelle pieno tendente alle tre e mezza, che riflette lo standard del nostro degli ultimi vent’anni, ma con due o tre zampate che confermano che non ha perso del tutto il suo “magic touch”, cosa che peraltro era avvenuta anche in Egypt Station che era il suo miglior disco da Flaming Pie in poi nonostante qualche lungaggine di troppo. Il McCartney del 2020 è quindi un artista che forse non ha più nelle corde il capolavoro, e che si difende comunque con tonnellate di mestiere, e che dal punto di vista compositivo è limitato dal dover comporre canzoni adatte al suo range vocale attuale, che non è più quello di un tempo: per dirla in breve, che senso avrebbe scrivere brani come Oh! Darling, Venus & Mars/Rockshow o Tug Of War (ammesso che sia ancora in grado di farlo) se poi non li riesce più a cantare?

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Prima di passare alla disamina dettagliata, due parole sulla cervellotica strategia di marketing del disco, che vanta ben nove versioni diverse in LP con differente colore del dado in copertina e vinile di conseguenza (compresa una ultra-limitata di 333 copie in vinile giallo-nero messo in vendita dalla Third Man Records di Jack White ed esaurita quasi subito), e cinque in CD, cioè quella standard e quattro in vendita solo sul sito dell’artista (con dado bianco, giallo, rosso e blu), ognuna delle quali con una bonus track esclusiva diversa! (NDM: non escludo, visto il soggetto ed i precedenti, che il prossimo anno “spunti” una edizione super deluxe con tutte le quattro bonus tracks più magari qualcos’altro…)

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L’iniziale Long Tailed Winter Bird è aperta da un suggestivo e prolungato fraseggio chitarristico, ed il brano è in pratica uno strumentale con Paul che si limita a qualche breve vocalizzo, e quando entra la sezione ritmica il tutto acquista solidità e grinta. Find My Way è il primo singolo, un pop-rock elettrico e vivace dalle sonorità moderne ed un motivo di base piacevole nonostante la voce del leader non sia più quella di una volta: forse non un pezzo di cui ci si ricorderà in futuro, ma il suo lo fa https://www.youtube.com/watch?v=2oSmP3GtOBk . Pretty Boys è una discreta ballata elettroacustica, ben costruita e con una linea melodica non scontata, anche se Paul è in grado di fare di meglio, come per esempio la seguente Women And Wives, uno slow pianistico decisamente fluido ed eseguito in maniera impeccabile, con Paul che canta con la sua voce “alla Lady Madonna” https://www.youtube.com/watch?v=csh97_r1jwQ , mentre Lavatory Lil è un rock’n’roll piacevole che scorre via liscio senza lasciare troppe tracce, uno di quei divertissement che in questi album “fai da te” di Macca non mancano mai. Per contro Deep Deep Feeling è uno dei brani centrali, ben otto minuti che partono attendisti con Paul che sperimenta coi suoni e gioca con gli strumenti senza però mai perdere di vista il motivo di fondo, riuscendo nell’intento di darci qualcosa di non prevedibile e riportando alla memoria certe cose del periodo Ram https://www.youtube.com/watch?v=c1Ph4MD4EIo .

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Slidin’ è una canzone roccata e chitarristica incisa con l’aiuto dei suoi abituali collaboratori Rusty Anderson alla chitarra ed Abe Laboriel Jr. alla batteria (ma non doveva fare tutto da solo? Ahi ahi ahi…) ed una parte di basso molto potente, anche se dal punto di vista del songwriting il pezzo non ha molto da offrire ed è il meno interessante del lavoro https://www.youtube.com/watch?v=Vvwqt9YvgeA ; meglio The Kiss Of Venus, un delizioso bozzetto acustico che purtroppo risente del timbro di voce di Paul che dimostra tutti i suoi 78 anni (bello però l’intervento di clavicembalo) https://www.youtube.com/watch?v=Z7ZOoyIWOkE . Decisamente riuscita invece Seize The Day, una pop song che ci restituisce il miglior McCartney (stavolta anche dal punto di vista vocale), con una melodia di quelle che solo Paul sa scrivere in questo modo: forse il brano che preferisco insieme all’ultimo che però, come vedremo tra poco, è fuori concorso  . Finale con la cadenzata e https://www.youtube.com/watch?v=Cid0reVAfI0discreta Deep Down, dal sapore soul-errebi moderno, e con il medley Winter Bird/When Winter Comes, che unisce una breve ripresa strumentale del brano iniziale ad una squisita ballata acustica tra le più belle sentite da Paul negli ultimi anni: peccato che si tratti di un’incisione del 1992 (e si capisce anche dalla voce), e quindi non sia molto attinente al resto del disco https://www.youtube.com/watch?v=GmF1H_vUhbc .

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In definitiva McCartney III è né più né meno al livello che mi aspettavo, ma visto che è un album in un certo senso piovuto dal cielo (senza la pandemia probabilmente non sarebbe esistito) e che difficilmente in futuro avremo un McCartney IV, lo accetto di buon grado e lo giudico positivamente.

Marco Verdi

Una Nuova” Promettente” Artista Di Talento! Loretta Lynn – Full Circle

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Loretta Lynn – Full Circle – Sony Legacy CD

Il titolo del post è volutamente ironico, in quanto ci troviamo di fronte ad una vera e propria leggenda vivente della country music (e non solo): Loretta Lynn (nata Webb), 84 anni il mese prossimo, è sulla breccia da più di cinquant’anni, e la sua serie di successi e di premi meriterebbe un post a parte (basti sapere che è, dati alla mano, l’artista donna più di successo in ambito country di tutti i tempi). Sono già passati dodici anni da quel Van Lear Rose, che ci aveva mostrato un po’ a sorpresa un’artista ancora in grandissima forma, perfettamente a suo agio anche con una produzione non proprio tradizionale, come quella dell’eclettico Jack White: ma la strana coppia aveva funzionato, e l’album era stato uno dei migliori del 2004 in ambito country. Ora Loretta ci riprova, e con Full Circle centra nuovamente il bersaglio: ben bilanciato tra brani originali (alcuni rivisitati), cover e pezzi tratti dalla tradizione, il disco ci mostra una cantante che non ha la minima intenzione di appendere il microfono al chiodo, ed anzi è ancora in possesso di una voce formidabile, pura, limpida e cristallina, di certo non tipica di un’ottuagenaria.

La produzione è più canonica rispetto a Van Lear Rose, ed è nelle mani comunque esperte di John Carter Cash (figlio di Johnny e June), che ha cucito attorno all’ugola di Loretta un suono molto classico, con piano, steel, violini e chitarre acustiche sempre in primo piano: la lunga lista di musicisti presenti comprende alcuni veri e propri luminari come Sam Bush (mandolino), Shawn Camp (chitarra, di recente stretto collaboratore di Guy Clark), Paul Franklin (steel), Ronny McCoury (figlio di Del, al mandolino), Randy Scruggs (chitarra), oltre allo splendido pianoforte di Tony Harrell (già con Don Henley, Johnny Cash, Vince Gill, Sheryl Crow e nel bellissimo Django And Jimmie di Willie Nelson e Merle Haggard). Tredici canzoni, non una nota da buttare, con alcune vere e proprie perle ed un paio di sorprese finali che vedremo.

Con i primi due brani, due lentoni intitolati rispettivamente Whispering Sea e Secret Love, Loretta sembra quasi scaldare la sua ugola ed il gruppo i muscoli, ma già con la seconda delle due la nostra dimostra di essere nel suo elemento naturale, e la voce sembra di una con trent’anni di meno. Who’s Gonna Miss Me? ha una melodia diretta ed il gruppo offre una performance cristallina, grande classe e grande canzone, ma le cose vanno ancora meglio con la splendida Blackjack David, un famoso traditional attribuito alla Carter Family, rilasciato con un arrangiamento da pura mountain music, una versione imperdibile; e che dire di Everybody Wants To Go To Heaven, ritmo spedito, grande assolo di piano, chitarrina elettrica, melodia dalla struttura gospel e Loretta che canta con la grinta di una ventenne.

Always On My Mind è una delle grandi canzoni del songbook americano (ricordo le versioni più famose, ad opera di Elvis Presley e Willie Nelson) e l’arrangiamento pianistico è più vicino a quello di Willie che a quello un po’ pomposo del King: comunque sempre un grande brano, con la Lynn che canta con un’intensità da pelle d’oca. Anche Wine Into Water è una gradevolissima country ballad, suonata alla grande (ma tutto il disco è a questi livelli: è forse brutta la rilettura del traditional In The Pines?); Band Of Gold è un honky-tonk perfetto, che sembra provenire direttamente dalla golden age di questo tipo di musica, così come la mossa Fist City (un vecchio successo rifatto), fulgido esempio di come si possa fare del vero country tradizionale nel 2016.

I Never Will Marry (ancora Carter Family, qui John Carter deve aver detto la sua) precede Everything It Takes, uno scintillante honky-tonk che Loretta ha scritto con Todd Snider, suonato e cantato con la consueta classe, con la partecipazione straordinaria (e riconoscibilissima) di Elvis Costello alle armonie vocali. Chiude il CD la tenue Lay Me Down, un vero e proprio duetto vocale con Willie Nelson (poteva mancare?), due voci superbe, una chitarra, un mandolino, un violino e feeling a palate.

Full Circle è il titolo più appropriato per questo album, in quanto ci riporta una Loretta Lynn in forma Champions (per dirla in termini calcistici), e su territori che conosce a menadito e che ormai le appartengono di diritto.

Ed è ancora la numero uno.

Marco Verdi