Lo Springsteen Della Domenica: Un Boss Recente, Ma Con Un Inatteso Sguardo Al Passato. Bruce Springsteen & The E Street Band – MSG 11.07.09

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Bruce Springsteen & The E Street Band – MSG 11.07.09 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Nel corso della tournée del 2009 seguita alla pubblicazione di Working On A Dream, Bruce Springsteen e la sua E Street Band avevano introdotto una pratica che è poi andata avanti per qualche anno, e cioè quella di riproporre ogni tanto, in date un po’ “random”, alcuni loro album storici dalla prima all’ultima canzone. L’onore era principalmente riservato a tre lavori della discografia del Boss, ovvero Born To Run, Darkness On The Edge Of Town (eseguito anche di fronte al sottoscritto nel 2013 al Wembley Stadium di Londra) e Born In The U.S.A. (suonato anche a San Siro sempre nel ’13), ma in occasioni più uniche che rare è toccato anche ad altri album: è il caso dell’esordio Greetings From Asbury Park, NJ proposto a Buffalo proprio nel 2009 e, pochi giorni dopo, a The River nel secondo dei due concerti al Madison Square Garden di New York (l’esecuzione integrale del mitico album del 1980 diventerà un’abitudine nella parte americana del tour del 2016, ma fino a quel momento era una cosa più unica che rara). Entrambi questi show (Buffalo e MSG 2) erano già usciti nell’ambito degli archivi live di Bruce, ed il triplo CD di cui mi occupo oggi riguarda invece la prima delle due serate al Madison, tenutasi il 7 novembre 2009, un altro show a modo suo epocale in quanto presenta un’altra riproposizione “one off” di uno dei dischi storici del Boss, vale a dire il suo secondo album The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle, uscito originariamente nel 1974.

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MSG 11.07.09 è un altro live record di alto livello musicale ed emozionale, con il Boss e la sua storica band in ottima forma quando suonano il repertorio “normale” ed addirittura sensazionale quando si cimentano con le sette canzoni del disco del ’74, che vengono letteralmente reinventate grazie ad una performance di notevole spessore con la sezione fiati che aumenta la già considerevole potenza del suono della E Street Band. Il concerto parte con un indizio di ciò che succederà di lì a poco, e cioè con una performance decisamente soulful di Thundercrack, che del secondo album del Boss era una delle outtakes più conosciute dai fans https://www.youtube.com/watch?v=H7_SlKZNArA ; a seguire i nostri scaldano a puntino la platea con la rockeggiante Seeds, resa ancora più trascinante dai fiati, una Prove It All Night perfetta e con un grande assolo chitarristico ed il classico singalong di Hungry Heart. Dopo l’unico omaggio della serata a Working On A Dream con la non eccelsa title track, ecco arrivare The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle (con ospite sul palco il percussionista Richard Blackwell, che aveva suonato anche sul disco originale), un album molto amato dagli estimatori del nostro, e che negli anni è stato rivalutato a classico minore della discografia springsteeniana. Il pezzo più famoso tra i sette di quel disco è senza dubbio Rosalita, che non manca quasi mai nelle scalette del Boss, ma anche la toccante 4th Of July, Asbury Park (Sandy) viene suonata con discreta continuità (e qui Charlie Giordano sostituisce alla fisarmonica Danny Federici, scomparso da poco).

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Il resto è decisamente più raro, a partire dal vibrante errebi The E Street Shuffle https://www.youtube.com/watch?v=3ajmKLeorXQ , per continuare con la folkie Wild Billy’s Circus Story, eseguita dal solo Bruce con l’acustica, e con Kitty’s Back, proposta in una formidabile rilettura di un quarto d’ora in cui quasi ogni componente della band ha un momento tutto per lui (ma il dominio del sound resta in mano ai fiati ed al fantastico piano di Roy Bittan). Ma l’highlight di questa parte di spettacolo (e forse di tutto lo show), sono Incident On 57th Street, grandissima rock ballad con chitarre e piano sugli scudi https://www.youtube.com/watch?v=2LRkV93pd4A , e soprattutto una delle più belle New York City Serenade mai sentite, tredici minuti incredibili che non esito a mettere tra i momenti migliori di questa serie di concerti dal vivo: emozione pura https://www.youtube.com/watch?v=HQlMGe-eEVc . Il Boss torna quindi sulla terra con la coinvolgente Waitin’ On A Sunny Day, durante la quale urla un chiaro “Tutto bene!” in italiano, e poi, con la solita Raise Your Hand di Eddie Floyd in sottofondo, scende tra il pubblico per scegliere tra i cartelli con le richieste: questa sera tocca a tre pezzi, e cioè un altro tuffo nel passato con la solare e ritmata Does This Bus Stop At 82nd Street?, una rarità, la classica Glory Days che Bruce dedica ai New York Yankees che avevano appena vinto le World Series di baseball, e Human Touch che il trattamento E Street Band fa sembrare quasi un’altra canzone.

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Da qui in poi lo show diventa la solita prevedibile autocelebrazione di una delle rock band più travolgenti di sempre, con classici recenti (Lonesome Day, The Rising), passati (Born To Run, Bobby Jean) ed anche futuri (Wrecking Ball); il gran finale parte con American Land e Dancing In The Dark, che fanno saltare e ballare tutto il Madison, e termina con una vertiginosa versione di (Your Love Keeps Lifting Me) Higher And Higher di Jackie Wilson, con Elvis Costello ospite a sorpresa per duettare con Bruce https://www.youtube.com/watch?v=kdUoVKA1mhA . Il prossimo volume si occuperà di una serata ancora più recente, che non ha particolari caratteristiche se non quella di essere stata giudicata tra le migliori del tour di cui fa parte.

Marco Verdi

Sono Veramente Bravi Tutti! Elvin Bishop’s Big Fun Trio – Something Smells Funky ‘Round Here

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Elvin Bishop’s Big Fun Trio – Something Smells Funky ‘Round Here – Alligator/Ird

Con l’album omonimo dello scorso anno hanno rischiato di vincere il Grammy per il miglior disco di Blues tradizionale nel 2018 https://discoclub.myblog.it/2017/02/04/come-il-buon-vino-invecchiando-migliora-elvin-bishops-big-fun-trio/ , ed Elvin Bishop era già stato candidato nel 2008 con The Blues Rolls On: nel 2015 era anche entrato nella Rock And Roll Hall Of Fame come componente della Butterfield Blues Band, quest’anno a ottobre compirà 76 anni, ma il chitarrista e cantante californiano (cittadino onorario di Chicago, per i suoi meriti nella musica blues) non sembra intenzionato ad appendere la chitarra al chiodo. Si è inventato questa formula del trio dopo tanti anni on the road ,con una big band che aveva almeno sette/otto elementi in formazione, ma ha dichiarato che non è stato per motivi economici che ha cambiato il formato, quanto perché si era stufato di aspettare che il suonatore di trombone finisse il suo assolo (lo humor non gli è mai mancato). Quale che sia il motivo comunque i risultati si sentono: Bishop si è scelto due soci di grande spessore, Willy Jordan (John Lee Hooker, Joe Louis Walker e Angela Strehli), al cajon, e soprattutto vocalist formidabile e Bob Welsh (Rusty Zinn, Charlie Musselwhite, Billy Boy Arnold, James Cotton), piano e chitarra, che sono, come leggete appena sopra, musicisti dal pedigree notevole e tutti e tre insieme fanno un “casino” notevole, inteso nel senso più nobile del termine.

Sono solo dieci brani, ma uno più bello dell’altro, l’album complessivamente mi sembra addirittura superiore al precedente, insomma un gran bel disco di blues, con abbondanti elementi rock, soul e di quant’altro volete sentirci: la title track Something Smells Funky ‘Round Here è firmata da tutti e tre, anche se il testo è di Bishop, che dice di non essere una persona molto politicizzata abitualmente, però l’ultimo inquilino della Casa Bianca è riuscito a fare “incazzare” anche lui, il tutto viene spiattellato a tempo di un rock-blues vibrante e tirato quanto consente un trio in teoria non elettrico, ma con le chitarre che ci danno dentro di gusto. La cover di (Your Love Keeps Lifting Me) Higher And Higher di Jackie Wilson è semplicemente splendida, accompagnamento minimale, ma la voce di Willy Jordan tenta dei falsetti acrobatici e spericolati che neanche Wilson ai tempi raggiungeva, mentre Bishop e Welsh con piccoli accenni di chitarra e slide danno il loro tocco di classe; Right Now Is The Hour è una nuova versione di un pezzo del 1978 che era su Hog Heaven, cantata a due voci da Jordan e Bishop, non sfigura rispetto all’originale del disco Capricorn che aveva un arrangiamento sontuoso, tanta grinta e chitarre anche nella nuova rivisitazione. Pure Another Mule di Dave Bartholomew, il pard storico di Fats Domino, era uscita su un disco di Bishop del 1981, e questa nuova versione mescola Chicago e New Orleans Blues in grande scioltezza, mentre la chitarra è sempre felpata e con sprazzi di gran classe in questo sinuoso blues.

That’s The Way Willy Likes It parte cantata coralmente poi diventa un blues and soul godurioso cantato alla grande da Jordan, con Bishop e Welsh sempre precisi e puntuali alle chitarre. I Can Stand The Rain è l’altra grande cover di un classico della soul music, questa volta di Ann Peebles, di nuovo cantata magnificamente da Wily Jordan, mentre la slide di Bishop e l’organo di Welsh aggiungono ancora tocchi di genio ad una versione intensa, mentre in precedenza in Bob’s Boogie Welsh aveva fatto volare a tutta velocità le mani sulla tastiera del  suo piano. Anche Stomp è un altro strumentale, questa volta di Bishop, sempre a tempo di boogie, con Elvin che mostra la sua abilità sia alla slide come alla solista; prima della conclusione arriva uno dei classici blues confidenziali di Bish che “conversa” con il suo pubblico su pregi  e difetti della terza età, con ironia e dosi di piano e stridente chitarra sparse a piene mani, e ancora il cajun soul godurioso della cover di un vecchio brano di Edwin Hawkins (quello di Oh Happy Day, scomparso di recente a gennaio), con l’accordion di Andre Thierry a duettare brillantemente con piano e chitarra.

Bruno Conti

Lo Springsteen Della Domenica: Un “Fiume” Di Grande Musica! Bruce Springsteen & The E Street Band – MSG, Nov. 08, 2009

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Madison Square Garden, New York, Nov. 08, 2009 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Verso la fine della scorsa decade Bruce Springsteen aveva iniziato a proporre saltuariamente durante i suoi concerti con la E Street Band una serie di suoi album storici, suonati integralmente dalla prima all’ultima canzone. Questo non comprendeva tutti i suoi lavori, ma solo i più famosi: principalmente Born To Run, Darkness On The Edge Of Town e Born In The U.S.A., con qualche rara eccezione che riguardava Greetings From Asbury Park, NJ e The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle. Solo una volta però Bruce, prima che la cosa diventasse quotidiana nel tour del 2016, aveva suonato tutto The River dalla prima all’ultima nota, e ciò era avvenuto verso la fine del tour di Working On A Dream, l’8 Novembre del 2009, al Madison Square Garden di New York, concerto che ora esce per la meritoria serie di live d’archivio del Boss. The River è uno dei grandi dischi della nostra musica (per il sottoscritto è il secondo migliore di sempre dopo Highway 61 Revisited di Bob Dylan), ma è anche un album impegnativo da suonare dal vivo, dato che è doppio e che da solo occupa ben più della metà della scaletta.

Ma Bruce in quella serata del 2009 se ne è giustamente fregato, e dopo aver aperto lo show con l’allora inedita Wrecking Ball (non una grande canzone, ma che garantisce un avvio potente), ha snocciolato uno per uno tutti i venti brani dell’album del 1980, nobilitando il tutto con una performance al solito scintillante e seguito alla grande da una E Street Band perfettamente rodata (e nella quale militava ancora Clarence Clemons, mentre sia Soozie Tyrell che Charlie Giordano erano sul palco ma non ancora membri fissi del gruppo), con il risultato finale di una splendida festa a base di rock’n’roll. So che molti preferiscono le performances infuocate del biennio 1980-1981, quando Bruce ed i suoi erano ancora affamati, piuttosto che il gruppo “arrivato” e quasi auto-celebrativo di oggi, ma per me sono quisquilie, dato che comunque un’altra rock band simile al mondo non si trova. Riascoltiamo quindi con grande godimento le versioni “da terzo millennio” dei pezzi di questo storico LP, diviso tra gioiosi rock’n’roll del calibro di The Ties That Bind, Sherry Darling (un uno-due di apertura che pochi artisti possono vantare, qui eseguite in versione leggermente rallentata rispetto all’originale), Out In The Street, You Can Look (But You Better Not Touch), più irresistibile che mai, fino alle due più trascinanti in assoluto, Cadillac Ranch e Ramrod, oppure struggenti ballate come la magnifica Independence Day, la drammatica Point Blank, con lo splendido piano di Roy Bittan in evidenza, e lo strepitoso trittico finale formato da The Price You Pay, Drive All Night (altra rilettura da brividi) e Wreck On The Highway. Senza dimenticare la formidabile title track, una delle ballad più belle di sempre, e non solo di Springsteen.

Da apprezzare anche i brani considerati “minori” (e raramente suonati da Bruce fuori dal contesto originale dell’album d’origine), ma che decine di musicisti sognerebbero di avere nel proprio repertorio, come I Wanna Marry You, Fade Away e Stolen Car, che anticipava le atmosfere di Nebraska. E quella sera fanno la loro porca figura anche i due pezzi che ho sempre considerato un gradino sotto, cioè Crush On You e I’m A Rocker. Prima dei bis c’è il tempo per altre cinque canzoni: la festosa Waitin’ On A Sunny Day, che in quel periodo veniva suonata ogni sera, una Atlantic City tesissima e decisamente elettrica, le immancabili Badlands e Born To Run e la classica Seven Nights To Rock di Moon Mullican, che come di consueto fa venire giù il teatro. Come encores abbiamo gli unici due pezzi tratti da Born In The U.S.A. (da notare che da Working On A Dream, l’album nuovo a quell’epoca, non ne viene eseguita mezza, e non è un male), cioè la splendida No Surrender e la famosa Dancing In The Dark, che non ho mai amato, la travolgente giga rock American Land, che fa saltare tutto il Garden, una toccante e purtroppo breve Can’t Help Falling In Love (Elvis, naturalmente), e due classici del soul ed errebi “da colpo di grazia” come Sweet Soul Music (Arthur Conley) e (Your Love Keeps Me Lifting) Higher And Higher (Jackie Wilson), un concentrato di energia e ritmo che metterebbe al tappeto una mandria di tori, e dove fa la sua bella parte anche la tromba di Curt Ramm.

Grandissimo concerto, come sempre d’altronde, direi anche questo da non perdere.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: L’Ultima Notte Allo Spectrum! Bruce Springsteen & The E Street Band – Wachovia Spectrum, Philadelphia, PA 10/20/09

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Wachovia Spectrum, Philadelphia, PA 10/20/09 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Nuovo volume degli archivi dal vivo di Bruce Springsteen, e secondo dedicato ad un concerto del 2009 dopo quello di Buffalo (l’ultimo con Clarence Clemons in squadra http://discoclub.myblog.it/2017/03/13/lultima-volta-dellindimenticabile-big-man-bruce-springsteen-the-e-street-band-hsbc-arena-buffalo-ny-112209/ ); ultimamente si è insistito parecchio con serate recenti della storia live del Boss, ma già dai primi di Agosto la nugs.net, che cura la pubblicazione di questi CD (o download) ha fatto sapere che ci sarà un’inversione di tendenza, e cioè una pubblicazione al mese (il primo venerdì) e la promessa di scavare più a fondo negli archivi: la prima uscita (che dovrei ricevere a breve) mantiene le promesse, in quanto si occupa di due concerti completi del 1977, uno degli “anni magici” di Bruce, e curiosamente uno dei meno esplorati dai bootleggers (e proprio mentre scrivo queste righe è stato annunciato un altro volume, un concerto registrato a Belfast nel 1996 durante il tour di The Ghost Of Tom Joad, quindi Springsteen voce e chitarra). Ma veniamo a questa serata del 20 Ottobre 2009: si tratta di un evento di una certa importanza, in quanto è l’ultimo di una serie di concerti del Boss nel mitico Spectrum di Philadelphia, una vera istituzione nella quale hanno suonato davvero tutti (da Elvis a Jimi Hendrix, dai Cream ai Doors, passando per Bob Marley e Pink Floyd), a pochi giorni della sua demolizione, giusto il tempo per ospitare ancora i Pearl Jam (il 31 dello stesso mese). Una celebrazione quindi tra il festoso e l’amaro, ma il Boss fa di tutto come al solito per divertire il pubblico, lasciando solo per il finale le lacrime.

Si parte con la bellissima The Price You Pay, che se lo scorso anno durante The River Tour veniva suonata quasi tutte le sere, nel 2009 era una rarità assoluta, in quanto non veniva eseguita addirittura dal 1981; dopo una coinvolgente Wrecking Ball (che all’epoca era ancora inedita), si torna a The River per due brani, la sempre trascinante Out In The Streets e la più ruffiana Hungry Heart, seguite a ruota dall’allora nuova Working On A Dream, che per me rimane un brano minore del Boss. Ed ecco la parte centrale dello spettacolo, che termina il primo CD ed occupa la prima metà del secondo: la riproposizione, brano per brano, di tutto l’album Born In The U.S.A. da cima a fondo. Lasciando stare le critiche sul suono radiofonico e anni ottanta del disco originale (critiche che non ho mai condiviso), dal vivo è sempre un bel sentire, e le mie preferite sono quelle che prediligevo anche nell’album di studio, cioè Working On The Highway, più rock’n’roll che mai, Downbound Train, No Surrender, splendida e contagiosa, e I’m Goin’ Down, ma c’è da dire che Cover Me sembra un’altra canzone, che la title track riesce sempre a coinvolgere alla grande, e che Glory Days dal vivo è trascinante come poche.

Il secondo dischetto termina con le consuete, non mancano praticamente mai, The Promised Land e Born To Run (ma quella sera non c’è Badlands, altro brano di solito sempre presente), la meravigliosa The River, la vibrante Long Walk Home, uno dei pezzi migliori di Magic, la sempre emozionante The Rising ed un’infuocata (Your Love Keeps Lifting Me) Higher And Higher di Jackie Wilson. I bis (cioè il terzo CD) iniziano con una tonica versione di Spirit In The Night, più soulful che mai e con ospite alla batteria Vini Lopez, il primo drummer della E Street Band (che suonava nell’incisione originale), seguita dalle rare ma bellissime Loose End e Kitty’s Back, quest’ultima con una parte strumentale strepitosa, guidata da un formidabile Roy Bittan. Altre chicche sono una sentita Save The Last Dance For Me dei Drifters (ecco il momento delle lacrime) e, dopo l’altrettanto commovente Thunder Road, il gran finale con la festosa Rosalita (Come Out Tonight), introdotta alla tromba dal motivo di Gonna Fly Now, il tema di Rocky, che per Philadelphia è un’istituzione pur essendo un personaggio fittizio.Un altro bel concerto per Bruce Springsteen (ma ne ha mai fatti di brutti?), anche se la mia mente è già proiettata al prossimo volume della serie, che come ho già scritto prenderà in esame il Boss di quaranta anni fa.

Marco Verdi

Supplemento Della Domenica: Se Quattro Ore (Abbondanti) Di Rock’n’Roll Vi Sembrano Poche… Bruce Springsteen & The E Street Band – Olympiastadion, Helsinki, July 31st 2012

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Olympiastadion, Helsinki, July 31st 2012 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 4CD – Download

Ultimamente le uscite degli archivi live di Bruce Springsteen si sono concentrate soprattutto sugli anni più recenti, lasciando da parte lo scopo iniziale della serie di documentare i concerti storici (anche se in ognuna di queste uscite c’è un fatto importante, tipo la serata di Buffalo nel 2009 che era l’ultimo concerto con Clarence Clemons in formazione): mentre scrivo queste righe è già disponibile il nuovo volume, di cui tratterò prossimamente, che documenta uno show allo Spectrum di Philadelphia nel 2009, l’ultimo concerto prima della demolizione della storica venue (ma il sito sul quale si possono acquistare questi concerti promette che con la successiva uscita si tornerà indietro nel tempo, vedremo…). La particolarità di questo show all’Olympiastadion di Helsinki è che, oltre a concludere la tournée europea seguita alla pubblicazione di Wrecking Ball, con le sue quattro ore e sei minuti di durata complessiva è ad oggi il concerto più lungo del Boss (ed infatti è il primo della serie ad uscire su quattro CD). Ma, lunghezza e considerazioni sull’opportunità di pubblicare un altro concerto recente a parte, siamo di fronte ad una delle uscite migliori della serie, in quanto in quella serata Bruce ed i suoi compagni di viaggio sono in forma strepitosa, forse ancora di più del solito (io li avevo visti a San Siro il 7 Giugno di quell’anno e già allora erano stati indimenticabili, tra l’altro sfiorando anche lì le quattro ore), e diederp veramente tutti loro stessi in una serata all’insegna del miglior rock’n’roll che si possa trovare in circolazione (Tom Petty e Rolling Stones permettendo).

Uno spettacolo che sarebbe stato sconsigliabile perdersi (e peccato che questi live non escano anche in video): inizio roboante con Rockin’ All Over The World di John Fogerty, con Bruce e la band che hanno subito tutto il pubblico in pugno, brano seguito a ruota da una sequenza micidiale formata da Night, un classico da Born To Run che però non viene eseguito sempre, Out In The Street, la rara Loose Ends, Prove It All Night, introdotta da un assolo torcibudella di Little Steven, e l’allora nuova We Take Care Of Our Own, più trascinante dal vivo che in studio. Il concerto fu la solita grande festa rock’n’roll, con classici acclarati (bellissime versioni di My City Of Ruins, torrenziale soul-rock di altissimo livello, una tonicissima Downbound Train, una Because The Night al solito strepitoso showcase per l’abilità chitarristica di Nils Lofgren, ed una sempre emozionante The Rising).

Ottime renditions di brani presi da Wrecking Ball (tra le quali spiccano le trascinanti Death To My Hometown e Shackled And Drawn ed una toccante Jack Of All Trades, con un grande Roy Bittan), e rarità varie come le preistoriche Does This Bus Stop At 82nd Street? e Be True, l’intensa Back In Your Arms (dalla raccolta di outtakes Tracks) ed un torrido medley tra Light Of Day ed il classico di Wilson Pickett Land Of 1000 Dances. Nei soliti lunghissimi bis (che occupano tutto il quarto CD ed il 70% del terzo), oltre alle presenze più o meno fisse di Born In The U.S.A., Born To Run, Dancing In The Dark e Tenth Avenue Freeze-Out (ma manca Thunder Road), c’è posto per il sempre formidabile Detroit Medley e, nel finale, una commovente rilettura di I Don’t Want To Go Home di Southside Johnny (in duetto con Little Steven, che poi è colui che l’ha scritta) ed un’infuocata (Your Love Keeps Me Lifting) Higher And Higher di Jackie Wilson (nella quale per l’occasione suona la chitarra perfino lo storico manager del Boss, Jon Landau), oltre al consueto e travolgente happy ending di Twist & Shout.       Più di quattro ore di grandissimo rock’n’roll: il pubblico finlandese è steso per terra, e anch’io ho bisogno di un integratore vitaminico.

Marco Verdi

L’Ultima Volta Dell’Indimenticabile “Big Man”! Bruce Springsteen & The E Street Band – HSBC Arena, Buffalo, NY 11/22/09

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Bruce Springsteen & The E Street Band – HSBC Arena, Buffalo, NY 11/22/09 – Bruce Springsteen/Nugs.net 3CD/Download

Nel 2016 la pubblicazione di storici concerti d’archivio da parte di Bruce Springsteen (di cui avevo fatto un riassunto in questo blog http://discoclub.myblog.it/2016/02/14/supplemento-della-domenica-bruce-springsteen-sempre-comunque-grandissimo-performer-il-punto-sugli-archivi-live-del-boss/ ) ha subito un rallentamento, principalmente per lasciare spazio agli instant live tratti dagli 89 shows del River Tour: solo il doppio The Christic Shows, da due esibizioni acustiche del 1990 http://discoclub.myblog.it/2016/07/03/il-supplemento-della-domenica-dello-springsteen-dagli-archivi-live-del-boss-ottimo-anche-senza-la-band-bruce-springsteen-the-christic-shows-1990/ , e, sotto Natale, questo triplo tratto da un concerto svoltosi a fine 2009 a Buffalo, nello stato di New York, per la serata conclusiva della tournée a supporto dell’altalenante album Working On A Dream, forse il meno riuscito della carriera del Boss dopo il raffazzonato High Hopes (la recensione del live arriva solo adesso in quanto ho atteso più di due mesi che mi arrivasse il CD). Il perché di questa scelta apparentemente strana, visto che questo tour, pur presentando un Bruce in grande forma (avevo assistito alla serata di Torino, una delle migliori da me mai viste per quanto riguarda il Boss) non è certo passato alla storia come tra i suoi più leggendari, è presto detta: il concerto di Buffalo è anche l’ultimo con il grande Clarence “Big Man” Clemons in formazione, dato che il sassofonista di colore morirà per malattia nel Giugno del 2011. Chiaramente all’epoca nel concerto ancora non si sapeva che la E Street Band, già orfana di Danny Federici, avrebbe avuto un altro lutto, e proprio nell’elemento più amato dal pubblico (a parte Bruce naturalmente), vecchio amico e compagno di scorribande del Boss, un vero gigante buono che è anche sempre stato una parte fondamentale nel suono degli E Streeters, pur non essendo certo considerato tra i fenomeni mondiali del suo strumento.

In questo concerto quindi si respira la solita aria di festa, ed il triplo CD si ascolta che è un piacere: l’apertura è potente con Wrecking Ball, all’epoca ancora inedita su disco, poi si entra subito in clima “arena rock” con The Ties That Bind e Hungry Heart, ed un dovuto omaggio a Working On A Dream con l’obamiana title track, una canzone assolutamente normale che infatti sparirà dalle scalette dei successivi tour. Ed ecco la parte più ghiotta della serata: sappiamo che ormai da anni il Boss ha preso l’abitudine di omaggiare ogni tanto i suoi album più popolari del passato suonandoli da cima a fondo (Born To Run, Darkness On The Edge Of Town, Born In The U.S.A., The River lo scorso anno), ma questa sera decide di fare una cosa mai vista, cioè riproporre in versione aggiornata il disco da cui è nato tutto, ovvero il suo esordio del 1973, Greetings From Asbury Park, NJ, un album all’epoca passato quasi inosservato ma ampiamente rivalutato negli anni (e Bruce stasera lo dedica al suo scopritore, il leggendario produttore John Hammond). Si parte quindi con la solare Blinded By The Light, piena di suoni e ritmo, per finire con la fluida It’s Hard To Be A Saint In The City (che chiude anche il primo CD): in mezzo, la sempre bellissima Growin’ Up, la drammatica Lost In The Flood, interpretata con la solita incredibile intensità, le travolgenti Does This Bus Stop At 82nd Street? e Spirit In The Night, la poco conosciuta The Angel: davvero una gradita sorpresa.

Il secondo CD presenta alcuni classici (The Promised Land, Born To Run, The Rising, Tenth Avenue Freeze-Out), ma anche diverse chicche, a partire, visto che siamo a fine Novembre ed è l’ultimo concerto del tour, da un uno-due formato dalle festose Merry Christmas Baby e Santa Claus Is Coming To Town; poi abbiamo la rara Restless Nights (era sul cofanetto Tracks), dedicata a Little Steven dato che è anche il suo compleanno, ed un trittico molto interessante di cover formato dal mitico strumentale di Booker T & The MG’s Green Onions, da una Boom Boom molto più rock’n’roll e meno blues di quella di John Lee Hooker, e da Hang Up My Rock And Roll Shoes di Chuck Willis, arrivata sul palco come richiesta e con conseguente siparietto di Bruce che se la prende con l’autore del cartello per non aver incluso anche il testo, dato che dichiara di non ricordarlo (ma poi la canterà in maniera impeccabile). Il terzo ed ultimo dischetto è incentrato sui bis, tra i quali troviamo una Thunder Road full band, la sempre irresistibile American Land e le ormai classiche Dancing In The Dark e Rosalita. Come conclusione abbiamo una torrenziale ed incandescente Higher And Higher, noto brano di Jackie Wilson (e con Willie Nile ospite ai cori) ed un finale a tutto rock’n’roll con la famosa Rockin’ All Over The World di John Fogerty. Gran concerto, inciso anche splendidamente, il modo migliore per omaggiare il grande Clarence Clemons.

Marco Verdi

Una Chitarra (E Una Voce) Che Vivono Lo Spirito Del Blues! Tas Cru – Simmered And Stewed

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Tas Cru – Simmered And Stewed – VizzTone

 All’incirca un annetto fa “usciva” You Keep The Money, l’ultimo album di Tas Cru, un veterano della scena blues dell’area di New York, anche se poi il disco, come vi riferivo nella recensione, era in effetti in faticosa circolazione da parecchio tempo. Ma ottime recensioni ne hanno incrementato le vendite, tanto da risultare uno dei dischi blues più venduti e con le migliori critiche nel 2016. Nel frattempo la VizzTone (l’etichetta di Bob Margolin che recentemente ha pubblicato anche le ottime prove di Austin Young e Nancy Wright) lo ha messo sotto contratto e questo Simmered And Stewed, il suo 7° disco di studio, è il risultato di questa alleanza per le 12 battute. Tas Cru nel nuovo CD privilegia, a tratti, pure un approccio più raccolto alla materia, ma in altri più ricco e corposo, impegnato oltre che alla elettrica, anche alle resonator e cigar box guitars, nonché  all’acustica. Quello che non gli manca, come sempre, è l’arguzia e l’ironia nei testi delle sue canzoni (un tratto che mi ricorda quello di David Bromberg): una delle migliori è Tired Of Bluesmen Cryin’ , un classico bluesaccio elettrico che parte lento e poi si scatena in tutti i sensi, con folate di resonator slide, ficcanti armonie vocali, l’uso dell’armonica dell’ottimo Dick Earl Ericksen e del piano di Chip Lamson, degni compari di Cru in questa divertente presa per i fondelli degli stereotipi dei bluesmen che devono piangere a tutti i costi nelle loro canzoni.

Anche Dat Maybe, posta in apertura, applica la stessa formula di un blues sanguigno e tirato, slide impazzita, le coriste pure, la ritmica picchia di gusto, l’armonica sottolinea e il nostro canta con forza, impeto e passione. Ma anche quando un insinuante pianino honky-tonk si prende il proscenio, come nella swingante Grizzle’n’Bone, Tas Cru ha sempre tutto sotto controllo, la sua band viaggia a cento all’ora, tra giri di blues forsennati, le solite coriste assatanate, chitarre acustiche ed elettriche gettate con misura nel sound d’assieme, dove anche l’organo hammond fa capolino all’occorrenza. Feel I’m Falling è un esempio di quel blues più raccolto, ma ricco di atmosfera, con la strumentazione meno in evidenza, però sempre con arrangiamenti di grande classe, comunque pronti ad ampliare a comando lo spettro sonoro dei brani, che in ogni caso anche in questo pezzo è complesso e di notevole impatto, qualcuno ha parlato di hill country blues per questo pezzo. Anche nell’elettroacustica Time And Time, una splendida blues ballad dal fascino incontaminato, si conferma l’abilità di Tas Cru come songwriter, uno che non scrive mai canzoni banali, ricche comunque di piccoli tocchi sonori geniali, come la vena gospel che viene utilizzata nel brano in questione, cantato con grande trasporto e con deliziosi attimi di finezza della sua chitarra. Road To My Obsession è una canzone autobiografica sulla sua passione per il blues, “play them blues, anytime, and most anywhere!”, un ritmo funky, le solite coriste impegnate e impregnate dal classico call and response, una solista guizzante e il gioco è fatto ancora una volta, mentre Biscuit che si apre per sola voce e armonica poi riparte sparata per un’altra sana razione di blues elettrico, incalzante e senza freni: bisogna dirlo, è proprio bravo questo signore.

In Cover My Love tutti in trasferta per un’altra dose di urgente blues urbano, da New York a Chicago senza sforzo apparente, divertimento e grinta sempre presenti; Woman Won’t You Love Me è un ondeggiante country-blues con tratti R&B e un flavor sonoro quasi alla New Orleans, grazie a piano e resonator, non so cosa ho detto, ma ha senso. Just Let It Happen è un altro dei brani che gioca sul lavoro di sottrazione per creare interesse, suono acustico, con chitarra, contrabbasso, piano e le immancabili armonie vocali che gli donano uno spirito molto old fashioned e chic; di Tired Of Bluesmen Crying abbiamo detto, per concludere rimane una bella versione del classico errebi di Jackie Wilson (Your Love Keeps Lifting Me) Higher And Higher, che perde parte del suo spirito giubilante e trascinante per trasformarsi in una sorta di blues del Delta, rallentato ad arte, ma sempre con elementi gospel grazie alle presenza delle voci femminili, musicalmente un lavoro di questo tipo avrebbe potuto farlo il miglior Ry Cooder, bellissima versione, affascinante ed inconsueta, anche se poi, giustamente, nel finale la canzone lentamente riacquista il suo spirito originale, grazie ad un crescendo splendido, dove Tas Cru distilla dalla sua chitarra lo spirito del Blues. Di cui, mi sento di dire, questo signore attualmente è una delle voci più interessanti in circolazione.

Bruno Conti

Dalle Strade Di Londra Al Grande Vintage Soul E R&R! Si Cranstoun – Old School

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Si Cranstoun  – Old School – Ruf Records

Si Cranstoun, cantante inglese, 40 anni, ha avuto una carriera particolare: proveniente da una famiglia della provincia profonda, con un babbo promotore di musica giamaicana nell’Inghilterra degli anni ’60, in seguito con i fratelli ha formato una band, The Dualers, che proponeva musica ska per le strade di Londra, quindi un perfetto busker, e non lo ha fatto per poco, le biografie parlano di circa venti anni on the road. Intorno al 2010 ha incontrato quella che sarebbe diventata la sua futura moglie e ha messo su famiglia, quindi ha abbandonato la strada (dove ai tempi anche l’allora premier Tony Blair gli ha dato la classica monetina) e iniziato a pubblicare dischi, prima a livello indipendente, con lo stile che però nel frattempo era mutato in un R&R, Rhythm & Blues e Soul vintage molto rigoroso, ma anche assai divertente. Quindi nel 2014 ha pubblicato un album Modern Life, per la East West del gruppo Warner, ottenendo un buon successo di critica e anche discrete vendite, probabilmente comunque non sufficienti per un ulteriore album con la stessa etichetta.

A questo punto interviene la Ruf che gli pubblica questo Old School, titolo quanto mai esplicativo, ma attenzione, dei 16 brani contenuti nel CD, solo due sono cover. E non vi ho ancora detto che questo signore ha pure una bellissima voce, paragonato di volta in volta a Sam Cooke, Otis Redding, soprattutto Jackie Wilson, con cui a tratti ha una somiglianza impressionante. Quindi tutte buone frequentazioni e referenze musicali. Aiutato da un gruppo dove non ci sono nomi noti, ma la formazione è corposa, con chitarra, piano, la sezione ritmica ed una di fiati con ben tre elementi, oltre allo stesso Si Cranstoun impegnato a chitarra, basso e tastiere. E il suono è veramente amabile e godibile, come pure il disco. Se già non vi eravate imbattuti con lui in passato vale la pena di farne la conoscenza: è musica revivalistica per amor di Dio, ma lo dichiara nei suoi intenti e poi è suonata e cantata con grande passione. Potrebbe essere una piacevole sorpresa, magari non vi cambierà la vita ma la renderà sicuramente più gradevole.

L’iniziale title track Old School rimanda a quel sound dell’era pre-Beatles, tra rock and roll e R&B, fiati e piano vorticosi, pensate ai vecchi Coasters, un tipo di approccio tipo quello di un altro grande vocalist misconosciuto della scena inglese, il bravissimo James Hunter http://discoclub.myblog.it/2016/02/22/forse-fin-troppo-vintage-sempre-gran-voce-james-hunter-six-hold-on/ . Vegas Baby, puro doo-wop misto a soul primordiale ricorda moltissimo i brani di Jackie Wilson tipo Reet Petite, tra assoli di trombone, fioriture vocali spericolate, senza mai dimenticare che stiamo parlando di music for fun, splendida e irresistibile, mentre Nighttime, più lenta, bluesy e riflessiva, evoca addirittura il miglior Sam Cooke, tra citazioni nel testo di vecchi brani dei tempi che furono, un delizioso assolo di piano di Neil Casey ed una atmosfera pigra e sorniona, ma appassionata. Anche Run Free, con i suoi woo-woo ripetuti ed il suo ritmo incalzante è Sam Cooke puro e non adulterato, di grande fascino, la voce scivola sulle note con grande leggiadria, ma anche con la giusta grinta. Right Girl, anche come titolo, ricorda il Billy Joel innamorato degli anni ’50, romantico e a voce spiegata e Jukebox Jump si spinge ancora di più nel passato con echi di Louis Jordan o ancora di più degli Sha Na Na (chi se li ricorda?), il ritmo si fa sempre più vorticoso, ma il divertimento non manca, con intrecci vocali anche raffinatissimi, credo sia lo stesso Cranstoun che moltiplica più volte la sua voce grazie al multi-tracking (antico nei gusti, ma moderno nell’esecuzione).

Anche un pizzico di cha-cha-cha nella languida Elise The Brasilian, sempre deliziosa, con Count On Me che getta nel calderone anche un pizzico di R&R melodico alla Buddy Holly con assoluta nonchalance. Insomma non ci si annoia mai in questo album, Si Cranstoun ha anche una bella penna, scrive canzoni ricche di melodia, come la bluesata e fiatistica Around The Midnight o la spensierata A Christmas Twist, ideale per i balli sotto l’albero, per non parlare di una Skinny Jeans propulsa da un pianino frenetico. E ancora Thames River Song, con tanto di fruscio fasullo di vinile d’epoca, che di nuovo ricorda il Sam Cooke d’antan, alle prese con il suo blues più raffinato, con tanto di assolo di armonica o Commoner To King, di nuovo alle prese con Jackie Wilson e le grandi voci del primo R&B e soul, fiati e piano a destra e manca e la voce sfavillante del nostro che titilla i padiglioni auricolari, non più usi a queste prelibatezze. Big Bess, una delle due cover, è un vecchio brano di Louis Jordan, fatto alla perfezione, in un tripudio di fiati scatenati, mentre Lover Please, firmata da Billy Swan, è di nuovo pura delizia sonora distillata. Si conclude con Happy Birthday, la nuova canzone che amerete farvi cantare al vostro compleanno, magari facendovi regalare o regalandovi questo piccolo gioiellino. Se amate tutti i nomi citati nella recensione non potete farvelo sfuggire. Consigliato di cuore!

Bruno Conti

Forse Fin Troppo Vintage, Ma Sempre Una Gran Voce Soul! James Hunter Six – Hold On!

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The James Hunter Six – Hold On! – Daptone Records

Noterete che nel titolo del Post ho detto forse, perché James Hunter,  a ben guardare, non vive di suoni del passato, ma abita in una sorta di mondo parallelo, dove Sam Cooke, Jackie Wilson, Ray Charles, Bobby “Blue” Bland, Solomon Burke e James Brown sono vivi e vegeti, e la “modernità” al limite può essere rappresentata da un giovane Van Morrison, che poi in effetti è stato il mentore e poi lo sponsor di Hunter, nell’aiutarlo a lanciare la sua carriera solista. Carriera iniziata nei lontani anni ’80 quando James, con lo pseudonimo di Howlin’ Wilf, muoveva i primi passi in questo mondo parallelo dove la musica era addirittura quella degli anni ’50, il primo R&B, il rock and roll primevo, i primissimi sommovimenti della soul music, un suono più crudo e meno rifinito rispetto a quello attuale, nel primo disco attribuito a Howlin’ Wilf & The Veejays  pubblicato nel 1986 dalla Big Beat, etichetta della Ace, alla quale Hunter aveva mandato dei demo. Il disco, Cry Wilf!, uscì all’inizio solo in vinile e la versione in CD solo dal 2006, ma è tuttora in catalogo, come pure un bellissimo DVD dal vivo Ya Ya, in circolazione dal 2007 per la Cherry Red https://www.youtube.com/watch?v=1fe03WPirlQ . Questi sono gli inizi, poi usciranno anche un EP, un disco dal vivo ed un altro album omonimo, mai ristampati in compact, prima che nel 1991 inizi la collaborazione con Van Morrison, che lo vuole con sé dal vivo, prima nel 1991 per alcune date e poi nel tour da cui verrà tratto A Night In San Francisco del 1994, e poi ancora in un paio di brani in Days Like This, dove appare con il suo vero nome di James Huntsman.

Van Morrison, che ha definito Hunter una delle migliori voci e dei segreti meglio custoditi del R&B britannico, poi renderà il favore apparendo come ospite, insieme a Doris Troy, nel disco di esordio di James Believe What I Say, dove addirittura i due duettano in Turn On Your Love Light https://www.youtube.com/watch?v=1QkMpMAteqU  Ain’t Nothin’ You Can Do. Poi, dopo un passaggio alla Ruf, Morrison gli farà avere un contratto alla Universal/Concord dove il nostro pubblicherà tre album, l’ultimo come The James Hunter Six, Minute By Minute, prodotto da Gabriel Roth, il co-fondatore della Daptone Records, che oltre ad essere di nuovo dietro alla console anche in questo Hold On!, lo pubblica pure per la propria etichetta. Anzi, per questo sesto album di James i due addirittura hanno deciso di optare per la registrazione su un vecchio nastro a 8 piste e in mono (e per quello al’inizio uso quel fin troppo, che però vuole essere assolutamente benevolo). Fin dal disco del 2006 People Gonna Talk Hunter esegue solo canzoni scritte di proprio pugno, niente cover, ma il profumo che si respira è ovviamente quello dei vecchi dischi della Brunswick (l’etichetta di Jackie Wilson), della SAR (quella di Sam Cooke), della Chess o della Stax, puro soul, ma arricchito da innesti twist, boogaloo, ska, blues, qualche tocco da crooner e tanta classe, oltre ad una voce melismatica ed espressiva come poche ce ne sono in giro nell’attuale panorama della musica, bianca o nera.

Sono dieci brani, per poco più di mezz’ora di musica, ma tutti da gustare con grande piacere, grazie anche all’eccellente band, con due fiati, un tastierista, molto bravo al piano e ottimo all’organo, e lo stesso Hunter alla chitarra: si parte sparati con il cantante di Colchester, dalla voce rauca e poderosa che. nel primo brano If That Don’t Tell You convoglia gli aspetti istrionici del grande vocalist Jackie Wilson, tra urletti e ritmi scatenati a colpi di sax e organo, per poi regalarci una splendida This Is Where We Came In , dove tra cha-cha-cha, bossa nova e soul, sembra di ascoltare un rinato Sam Cooke, con la sua voce splendida e vellutata, arricchita dai coretti dei backing vocalists, tra doo-wop e gospel, e quei whoo-whoa che erano il marchio di fabbrica del cantante di Clarksdale, delizioso anche il lavoro al piano di Andrew Kingslow; (Baby) Hold On. decisamente più mossa, è un bel soul-twist, dove sax, chitarra e ritmica ben spalleggiano il pirotecnico vocalismo del nostro amico https://www.youtube.com/watch?v=tsW1lq__vws . Something’s Calling, il primo singolo è una ballata soul, quasi da crooner https://www.youtube.com/watch?v=YCQsjLsVX8M , come amava anche Cooke, ma qui la voce è più profonda e vellutata, potrebbe ricordare Chuck Jackson,  grande cantore dell’uptempo soul newyorkese, magari meno noto ai più, ma è quello di Any Day Now I keep fogettin’ (l’ha incisa pure Bowie). A Truer Heart è un altro delizioso brano soul, con leggeri tocchi ska, sempre contrappuntato dai quei coretti che si insinuano sotto pelle e un breve break di armonica nella parte centrale, che è la ciliegina sulla torta di un dolce perfetto.

Free Your Mind (While You Still Got Time) è il momento James Brown dell’album, con la sua andatura mossa e funky, un must per gli artisti della Daptone, con James Hunter che rilascia qualche urletto tipico del Godfather of Soul e con la band che tenta anche qualche deriva à la Motown. Light Of My Life, ondeggiante e punteggiata dai fiati, è più leggera e scanzonata, arricchita da un breve assolo di organo che più vintage come sound non si può, mentre Stranded è uno di quei classici brani uptempo, con battito di mani, coretti e fiati avvolgenti, di cui Sam Cooke e  il suo discepolo Otis erano maestri, tra leggeri falsetto e piccoli urletti. Satchel Fool è uno strumentale latineggiante, con fiati sincopati, organo e la chitarra solista di Hunter a rievocare il sound fine anni ’50, con l’assolo di sax che cerca di aggiudicarsi il match con gli altri strumenti, qualcuno ha detto The Champs Tequila? Vince la bambolina! Per l’ultima canzone James Hunter ha tenuto uno dei brani migliori del disco, una In The Dark che è uno splendido mid-tempo soul che se non è degno delle migliori composizioni di Charles Brown Ray Charles poco ci manca e ci fa lasciare questo Hold On! con un sorriso compiaciuto stampato in volto.

Bruno Conti