Un Ennesimo Ottimo Album Della Band Inglese, Nuovo Ma Vecchio Al Contempo. Fairport Convention – Fame And Glory

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Fairport Convention – Fame And Glory Reissue 2020 – Explore Rights Managent Ltd/Cherry Red

Fame And Glory è una sorta di album matrioska: già pubblicato nel 2008 dalla Matty Grooves, l’etichetta personale dei Fairport Convention, che ha comunque una buon distribuzione (per quanto non capillare), praticamente si trattava già allora di una specie di compilation di brani della band inglese, estrapolati dalle produzioni di Alan Simon, un musicista bretone, molto noto in ambito folk- celtic – prog rock-world-new age, che tra il 1998 e il 2009 (e qui le date non coincidono) ha realizzato una serie di cinque album, tre della serie Excalibur, più Gaia e Anne De Bretagne, che trattano dei miti e delle leggende delle epoche cavalleresche. Ovviamente quindi non stiamo parlando di un vero e proprio album dei Fairport, ma di una sequenza di canzoni estrapolate, da questi dischi; dove peraltro appaiono molti altri musicisti famosi nei generi citati: e alla fine il risultato, ottimo, ha anche una sua logica, tanto che a dodici anni dal CD originale, togliendo (o aggiungendo) un’altra matrioska otteniamo un ulteriore variazione sul tema, con altre tre bonus aggiunte alla versione “originale”.

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Dave Pegg, basso e Gerry Conway (meno un brano dove c’è Dave Mattacks), batteria, Simon Nicol e Chris Leslie, chitarre acustiche ed elettriche, mandolino, bouzouki, e violino, equamente divisi tra i due, che si spartiscono anche le parti vocali, con Ric Sanders al violino, sono il nucleo della band in quella decade. Castle Rock è lo strumentale che apre idealmente questa lunga suite, una vibrante giga elettrica guidala dal violino e dalla solista pimpante di Chris Leslie, mentre un lirico Martin Lancelot Barre, all’epoca ancora nei Jethro Tull, è il chitarrista ospite in Pilgrims, dal secondo Excalibur, composto quasi interamente, come tutti i brani di questa saga, da Simon https://www.youtube.com/watch?v=PLViztoculY ; Celtic Dream, estratta dal terzo capitolo dal vivo, vede la presenza di ben due flautisti, lo stesso Simon e Brian Finnegan, per un’altra extravaganza folk strumentale, con interessanti intrecci tra i vari musicisti presenti, che potrebbero ricordare parecchio la musica di Alan Stivell https://www.youtube.com/watch?v=m5FxT0N7CF4 . The Geste Of Gauvain, cantata da Simon Nicol e con la presenza anche di una orchestra, viene sempre dal primo Excalibur https://www.youtube.com/watch?v=urlCo6jGOH8 , mentre Morgane, ancora dal live, vede la presenza di Dan Ar Braz alla chitarra e Jacqui McShee alla voce, in una epica ballata, dove si gusta anche la presenza del violinista jazz Didier Lockwood, che duetta con l’altro violino di Sanders https://www.youtube.com/watch?v=Lq1clF_lESk .

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Doppio flauto di nuovo per la breve Dragon Breath, dove partecipa anche il sassofonista dei Supertramp John Helliwell, pure al clarinetto, ottima anche la sognante Lugh, nella quale rimane Helliwell, e arriva John Wetton dei King Crimson, con Barre che esplode un assolo dei suoi nel finale, e di nuovo dal live la lunga Behind The Darkness, con testo di Simon e musica di Leslie e Sanders, che guidano le danze, nel vero senso della parola, molto bello anche questo brano https://www.youtube.com/watch?v=DH4v4vShfkA . La Guerre Folle, viene dalla rock opera Anne De Bretagne, uno strumentale con il franco-irlandese Pat O’May alla chitarra, Fame And Glory dal vivo è cantata da Nicol https://www.youtube.com/watch?v=ltAXFQHLlgs , mentre la bellissima Sacrifice con Andreas Vollenweider all’arpa, Jacqui McShee alla voce e Martin Barre alla chitarra è un altro gioiellino https://www.youtube.com/watch?v=k4A1AeScUrs . Danza Del Crepusculo (ma imparare l’italiano no!?) è un breve pezzo per violino solo di Sanders da Gaia, la deliziosa Marie La Cordeliere, cantata dal coautore James Woods, viene sempre da Anne De Bretagne, come pure la successiva Duchess Anne, altro brillante folk-rock in tipico stile FC, e a chiudere l’album originale l’epilogo della rock opera, The Soldier, cantata da Chris Leslie, che si accompagna con il solo bouzouki.

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Sarebbe già tutto molto bello (e vivamente consigliato nel caso non lo abbiate), ma ci sono anche tre bonus: una ulteriore giga rock strumentale come Beltaine, una diversa versione di Fame And Glory, registrata in studio, e Goodbye My Friends un’altra canzone inedita https://www.youtube.com/watch?v=KXWE-JdK-SU , sempre nel tipico stile dei Fairport Convention.

Bruno Conti

Supplemento Della Domenica: La Ristampa Dell’Anno Bis. Pentangle – The Albums 1968-1972

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Pentangle – The Albums 1968-1972 – 7 CD Cherry Red Records                     

Bisogna dirlo per una volta, i Pentangle stranamente sono stati “serviti” bene dall’industria discografica: tra cofanetti, retrospettive, dischi dal vivo, le ristampe potenziate degli album della loro discografia fondamentale, quella tra il 1968 e il 1972, ma anche le svariate reunion successive, parziali e quelle più rare della band originale (fino a quella splendida e definitiva celebrata in Finale An Evening With Pentangle di cui vi abbiamo dato conto su queste pagine circa un anno fa), sono state ben documentate nel corso degli anni. Mancava forse un box retrospettivo dedicato agli anni cruciali, quelli che vanno appunto dal ’68 al ’72 e questo cofanetto rimedia a questa mancanza in modo splendido: 7 CD rimasterizzati ad arte, nuovamente per l’occasione, una messe di materiale inedito che amplia quella già ricca che era disponibile nelle ristampe potenziate della Castle/Sanctuary, pubblicate nella prima decade degli anni 2000 e tuttora rintracciabili, magari non facilmente, ma anche il materiale extra che era inserito nell’eccellente box quadruplo The Time Has Come, che invece è molto più difficile da reperire.

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La Cherry Red ha fatto un ottimo lavoro con questo box: i CD riproducono la grafica dei dischi originali ed in ognuno sono inserite moltissime bonus tracks alla fine del programma dell’album originale, sia quelle delle ristampe, sia quelle del quadruplo, ma anche ulteriori versioni alternative o brani live tratti da concerti, canzoni che non erano apparse in passato; i primi tre dischetti hanno tra le 10 e le 15 bonus per ciascuno, mentre i successivi quattro ne riportano 6 per Basket Of Light come pure per Cruel Sister, mentre  Reflection, ne ha 8, e Solomon’s Seal ha “solo” tre brani dal vivo tratti dall’ultimo tour britannico del 1972 della formazione originale. Quindi  indispensabile per i fan della band, ma anche chi si avvicina per la prima volta, oltre a sei dischi splendidi, troverà un totale di 54 bonus, di cui 22 registrazioni mai pubblicate prima. Il Box è corredato anche da un bel libretto di 88 pagine, che comprende vecchie interviste con Bert Jansch, John Renbourn e Jacqui McShee, dei brevi saggi dedicati a ciascuno dei sei album (Sweet Child era doppio), la cronologia della loro storia e soprattutto un track-by-track su ogni singolo brano contenuto nel cofanetto. Ma la cosa più importante è la musica contenuta: quella unica ed incredibile fusione tra folk, blues, jazz e l’arte dell’improvvisazione che era la loro cifra stilistica e nasceva in un periodo estremamente fecondo per la musica “rock” in generale, quando si esploravano anche territori sonori che si spingevano fino alle prime propaggini di quella che poi si sarebbe chiamata “world music”, attraverso la maestria strumentale di due dei più grandi chitarristi nati sul suolo britannico, di una cantante dotata di una emissione vocale pura e celestiale, e di una sezione ritmica, composta da Danny Thompson e Terry Cox, che definire prodigiosa è quasi fare loro un torto.

Pentangle, l’omonimo esordio classico del 1968, oltre alle splendide (ma sono tutte belle le canzoni) Let No Man Steal Your Thyme, la dolcissima Pentangling, il traditional Bruton Town e l’intricato e jazzato brano strumentale Waltz, presenta svariate chicche tra le tredici bonus: Koan uno strumentale inedito, in due diverse takes, The Wheel e The Casbah, anche queste strumentali, due differenti versioni di Bruton Town, Travellin’ Song, il primo singolo, inedito su album, pubblicato insieme al disco e caratterizzato dalla presenza di una sezione di archi. E tra le bonus delle bonus, 3 pezzi registrati nella primissima sessione di registrazione, effettuata nell’agosto del 1967, tra cui spicca l’elettrica Poison, e due canzoni che poi sarebbero state re-incise per il successivo doppio Sweet Child, le splendide Market Song e I’ve Got A Feeling.

Proprio Sweet Child, uscito solo quattro mesi dopo l’esordio (erano altri tempi) viene considerato dai componenti della band il loro disco migliore, e come dargli torto, la parte dal vivo registrata in concerto alla Royal Festival Hall è strepitosa, con le sette tracce aggiunte, già nella ristampa in doppio CD dell’album, con pezzi di Mingus, Furry Lewis, Anne Briggs e diversi traditional, il tutto eseguito con uno spirito complessivo e  dell’arte dell’improvvisazione applicata alla musica folk che sfiora il genio puro. Anche nel disco in studio ci sono ben 11 tracce bonus, oltre a capolavori come la splendida title track e pure I Loved A Lass, deliziosa, ma anche lo strumentale Three Part Thing, la delicata Solvay, un altro vorticoso strumentale come In Time, con le chitarre di Jansch e Renbourn in piena libertà, ma pure in questo caso è difficile scegliere le più belle; anche qui tra le bonus delle bonus spiccano una versione di Poison con Duffy Power all’armonica, una versione full band di Moondog, un pezzo che nella parte Live veniva eseguita in solitaria da Terry Cox, e una alternate take di Sally Go Round The Roses, che poi apparirà nel successivo.

Basket Of Light, ed è il trait d’union tra i due dischi, oltre ad esserne uno dei brani migliori. Insieme a Light Flight e Once I Had A Sweetheart, entrambe cantate in modo celestiale da Jacqui McShee, nella seconda c’è un intervento al sitar di John Renbourn; tra le bonus le due b-sides Cold Mountain e I Saw An Angel, oltre a tre brani dal vivo House Carpenter, Light Flight e Pentangling, registrati in un concerto ad Aberdeen del 1969, la terza in una versione strepitosa di quasi venti minuti, che quasi varrebbe da sola l’acquisto del CD.

Nel 1970, l’anno dopo, esce Cruel Sister, il loro disco di maggior successo che arrivò fino al 5° (!?!) posto delle classifiche: se si eccettua forse When I Was In My Prime, le restanti quattro canzoni sono dei (piccoli) capolavori, A Maid That’s Deep In Love, Lord Franklin, la celeberrima e splendida Cruel Sister, oltre alla lunghissima Jack Orion che durava un’intera facciata del vecchio vinile; le sei bonus stranamente vengono da una session del marzo del 1971 per il successivo album Reflection, ma visto che sono tutte interessantissime non ce ne cale molto della provenienza, la take 1 di Will The Circle Be Unbroken, che anticipa l’album più “americano” del gruppo, Rain And Snow, con sitar e banjo, e Omie Wise, cantata da Bert Jansch, sono entrambe bellissime, come anche la lunghissima Reflection che è del tutto pari alla versione ufficiale (con una diversa improvvisazione di contrabbasso suonato con l’archetto da Danny Thompson) che uscirà nell’album successivo di studio.

Reflection è il secondo disco del 1971, ed oltre ai brani citati brillano anche il traditional da country/mountain music Wedding Dress, la malinconica e struggente When I Get Home, con uno splendido lavoro all’elettrica di John Renbourn, per non parlare della corale Helping Hand, altro esempio del genio compositivo dei Pentangle, e di So Clear cantata da Renbourn, che sembra quasi una canzone di James Taylor, brani che completano la loro fase musicale più creativa ed insuperata. Conclusa l’anno successivo con il disco Solomon’s Seal, l’unico uscito per la Reprise e non per la Transatlantic, come tutti gli altri. Ma prima un cenno alle bonus di Reflection, tre brani tratti dall’album solo di John Renbourn Faro Annie, e che quindi non prevedono la presenza di Jansch e McShee, oltre a tre alternate takes di canzoni tratte dall’album e una inedita, Wondrous Love, che illustra ancora il loro approccio verso lo stile Appalachiano del disco, sia pure in veste elettro-acustica.

Solomon’s Seal esce nel settembre del 1972, ed è sicuramente il loro disco “minore” di questa prima fase, non un disco brutto ovviamente, per chiunque altro, ma forse meno riuscito: tra i brani si ricordano soprattutto l’iniziale Sally Free And Easy, del tutto degna delle cose migliori del loro repertorio, molto belle anche The Snows e il tradizionale High Germany, e niente male pure People On the Highway, di nuovo di stampo americano e la lunga e delicata Willy O’Winsbury, insomma se non avessero fatto cinque album splendidi prima, anche questo sarebbe imperdibile (e per certi versi lo è). Le tre bonus dal vivo vengono da un concerto del 10 novembre 1972, dal loro ultimo tour primo dello scioglimento, sempre interessanti, anche se la qualità sonora non è impeccabile. Uno dei cofanetti più belli dell’anno, e ne sono usciti tanti nel 2017, forse il migliore di una ottima annata (se la batte con quello di Dylan che però non dovremmo considerare una ristampa, visto che è tutto inedito9.

Bruno Conti

Anticipazioni Cofanetti Autunnali 2: Pentangle -The Albums: 1968-1972 7CD box set

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Pentangle – The Albums 1968-1972 – Box 7 CD Cherry Red Uk – 29-09-2017

Nel corso degli anni ai Pentangle sono state dedicate diverse ristampe, compreso un bellissimo box da 4 CD The Time Has Come, pubblicato nel 2007 dalla Castle Music, che negli anni 2000 aveva pubblicato anche tutte le ristampe, rimasterizzate e potenziate da bonus tracks, dei 6 album registrati dalla band nel periodo classico 1968-1972, gli anni della formazione originale: Bert Jansch, John Renbourn, Jacqui McShee, Danny Thompson Terry Cox. Di recente, a seguito della scomparsa prima di Jansch e poi di Renbourn c’è stato un grande ritorno di interesse per questo formidabile quintetto, una delle band seminali del revival del “British Folk”, ma anche una delle più grandi ed eclettiche della scena musicale inglese. Proprio sul finire dello scorso anno vi avevo parlato di uno splendido doppio CD http://discoclub.myblog.it/2016/11/06/supplemento-della-domenica-lultimo-atto-straordinaria-carriera-pentangle-finale/  che raccoglieva le registrazioni dell’ultimo tour di reunion e di commiato della band nella formazione classica, e comunque le celebrazioni proseguono, con le (ri)pubblicazioni degli ultimi album solisti di Bert Jansch in cofanetti arricchiti sempre da qualche chicca, nonché di un album inedito di John Renbourn Joint Control, registrato poco prima della morte insieme a Wizz Jones. Ora la Cherry Red pubblica questo cofanetto da 7 CD che raccoglie i 6 album del gruppo incisi per la Transatlantic (e uno per la Reprise) in quei “magici” 5 anni, in occasione del 50° anniversario della nascita della band, avvenuta appunto nel 1967.

Ecco i contenuti completi del box:

CD1: The Pentangle]
1. Let No Man Steal Your Thyme
2. Bells
3. Hear My Call
4. Pentangling
5. Mirage
6. Way Behind The Sun
7. Bruton Town
8. Waltz
Bonus Tracks:
9. Koan (Take 2)
10. The Wheel
11. The Casbah
12. Bruton Town (Take 3)
13. Hear My Call (Alternate Version)
14. Way Behind The Sun (Alternate Version)
15. Way Behind The Sun (Instrumental)
16. Bruton Town (Take 5) *
17. Koan (Take 1)
18. Travelling Song (Non-LP Single Version With Strings)
19. Poison
20. I Got A Feeling *
21. Market Song *

[CD2: Sweet Child – Disc 1 (Live At The Festival Hall)]
1. Market Song
2. No More My Lord
3. Turn Your Money Green
4. Haitian Fight Song
5. A Woman Like You
6. Goodbye Pork-Pie Hat
7. Three Dances (Brentzel Gay/La Rotta/The Earl Of Salisbury)
8. Watch The Stars
9. So Early In The Spring
10. No Exit
11. The Time Has Come
12. Bruton Town
Bonus Tracks:
13. Hear My Call
14. Let No Man Steal Your Thyme
15. Bells
16. Travelling Song
17. Waltz
18. Way Behind The Sun
19. John Donne Song

[CD3: Sweet Child – Disc 2 (Studio)]
1. Sweet Child
2. I Loved A Lass
3. Three Part Thing
4. Sovay
5. In Time
6. In Your Mind
7. I’ve Got A Feeling
8. The Trees They Do Grow High
9. Moon Dog
10. Hole In The Coal
Bonus Tracks:
11. Hole In The Coal (Alternative Version)
12. The Trees They Do Grow High (Alternative Version)
13. Haitian Fight Song (Studio Version)
14. In Time (Alt. Version)
15. A Woman Like You (Unabridged Trio Version) *
16. I’ve Got A Woman (Trio Mix) *
17. I Am Lonely (Jansch Solo Mix) *
18. Poison
19. Blues
20. Sally Go Round The Roses (Alt. Version 2)
21. Moondog (Full Band Vsn) *

[CD4: Basket Of Light]
1. Light Flight (Theme From “Take Three Girls”)
2. Once I Had A Sweetheart
3. Springtime Promises
4. Lyke Wake Dirge
5. Train Song
6. Hunting Song
7. Sally Go Round The Roses
8. The Cuckoo
9. House Carpenter
Bonus Tracks:
10. Sally Go Round The Roses (Alternative Version)
11. Cold Mountain (B-Side)
12. I Saw An Angel (B-Side)
13. House Carpenter * (Live In Aberdeen)
14. Light Flight (Live In Aberdeen) *
15. Pentangling (Live In Aberdeen)

[CD5: Cruel Sister]
1. A Maid That’s Deep In Love
2. When I Was In My Prime
3. Lord Franklin
4. Cruel Sister
5. Jack Orion
Bonus Tracks:
6. Will The Circle Be Unbroken (Take 1, No Harmonica) *
7. Rain & Snow (Take 2) *
8. Omie Wise (Take 2, Live Vox) *
9. John’s Song (Take 7) *
10. Reflection (Olympic Studios Take 1) *
11. When I Get Home (Alternative Vocal) *

[CD6: Reflection]
1. Wedding Dress
2. Omie Wise
3. Will The Circle Be Unbroken?
4. When I Get Home
5. Rain And Snow
6. Helping Hand
7. So Clear
8. Reflection
Bonus Tracks:
9. Shake Shake Mama
10. Kokomo Blues
11. Faro Annie
12. Back On The Road Again
13. Will The Circle Be Unbroken (Take 3, Live Vox) *
14. Reflection (Command Studios, Take 1, Wordless Vox) *
15. John’s Song (Take 5, Fuzz Guitar) *
16. Wondrous Love *

[CD7: Solomon’s Seal]
1. Sally Free And Easy
2. The Cherry Tree Carol
3. The Snows
4. High Germany
5. People On The Highway
6. Willy O’ Winsbury
7. No Love Is Sorrow
8. Jump, Baby, Jump
9. Lady Of Carlisle
Bonus Tracks:
10. When I Get Home (Live At Guildford Civic Hall 11/72) *
11. She Moved Through The Fair (Live At Guildford Civic Hall 11/72) *
12. Train Song (Live At Guildford Civic Hall 11/72) *

* Previously Unissued

Sono gli stessi contenuti dei singoli album che erano già usciti? Direi di no, sono stati inseriti anche brani tratti dai dischi solisti di Jansch e Renbourn, oltre ad outtakes e brani dal vivo, mentre i compilatori del cofanetto annunciano che ci sono 22 brani comunque inediti. Non ho avuto tempo di verificare se non erano stati già inseriti nel box quadruplo o in altre compilations varie uscite nel corso degli anni, ma diamogli fiducia. Quando sarà il momento, ovvero dopo l’uscita prevista per il 29 settembre, verificheremo nella recensione ad uopo dedicata a questo Pentangle The Albums 1968-1972, che fa il paio come importanza con il cofanetto dei Fairport Convention Come All Ye The First Ten Years, di cui leggerete sul Blog la recensione completa nel supplemento della domenica.

Alla prossima.

Bruno Conti

Il Mezzo Secolo Di Una Band Leggendaria! Fairport Convention – 50:50@50

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Fairport Convention – 50:50@50 – Matty Grooves CD

I Fairport Convention, forse il miglior gruppo folk britannico di tutti i tempi (specie nei primi anni, ed in particolare nel 1969, un vero e proprio “dream team” con all’interno gente del calibro di Richard Thompson, Sandy Denny, Ashley Hutchings e Dave Swarbrick, credo che solo nei Beatles ci fosse più talento tutto insieme) non è mai stato allergico alle auto-celebrazioni, anzi: più o meno dal 25° anno di attività, ogni lustro hanno pubblicato un disco, dal vivo o in studio, che festeggiasse l’evento, e quindi figuriamoci se si lasciavano sfuggire l’occasione delle cinquanta candeline (il loro esordio discografico è del 1968, ma come band esistevano già da un anno, *NDB Così l’anno prossimo possono festeggiare di nuovo). A voler essere pignoli, gli anni sarebbero meno, in quanto i Fairport, a parte le annuali reunion a Cropredy che oggi sono diventate un must, di fatto non sono esistiti come band nel periodo dal 1979 al 1985, anno in cui Simon Nicol, unico tra i membri fondatori, e Dave Pegg, altro capitano di lungo corso (e complessivamente ad oggi il più presente in assoluto nelle tante line-up del gruppo), insieme al nuovo Ric Sanders (in sella ancora oggi), al rientrante Dave Mattacks (in seguito sostituito da Gerry Conway) e, un anno dopo, a Martin Allcock (a cui negli anni novanta subentrò Chris Leslie), decisero di riformare la vecchia sigla per il discreto Gladys’ Leap.

Una critica che viene spesso rivolta all’attuale formazione dei Fairport, la più longeva di sempre, è di essere un gruppo di onesti mestieranti senza alcun fuoriclasse al suo interno, e specie nei primi anni della reunion c’era chi faceva fatica ad accettare che il gruppo fosse guidato da Nicol (che obiettivamente nella golden age, gli anni sessanta, era il componente di minor spessore artistico), ma col tempo la situazione si è normalizzata, anche perché i cinque, pur non sfornando nuovi capolavori all’altezza di Unhalfbricking o Liege & Lief, hanno sempre pubblicato album più che dignitosi, alcune volte ottimi, sicuramente piacevoli, di classico folk-rock nella miglior tradizione britannica, senza mai scendere sotto il livello di guardia (meglio anche, per fare un esempio, dei tre LP usciti prima del loro scioglimento nel 1979, Gottle O’Geer, The Bunny Bunch Of Roses e Tipplers Tales, forse il punto più basso della loro storia). E l’album appena pubblicato per celebrare il mezzo secolo di attività (per ora in vendita solo sul loro sito, dal 10 Marzo sarà disponibile ovunque), 50:50@50, è indubbiamente uno dei più riusciti degli ultimi vent’anni: un disco suonato alla grande ed inciso benissimo, e d’altronde i nostri sono dei musicisti talmente capaci ed esperti che, quando li sostiene anche l’ispirazione, è difficile che sbaglino il colpo.

Il CD, quattordici brani, è diviso esattamente a metà (50:50, e qui si spiega il titolo) tra brani in studio nuovi di zecca e performances dal vivo (registrate in varie locations negli ultimi due anni), dove però si evita di riproporre per l’ennesima volta i classici assodati, rivolgendosi a pagine meno note: come ciliegina, un paio di grandi ospiti che aggiungono ulteriore prestigio al lavoro. Ma direi di analizzare il contenuto, cominciando dai sette brani in studio e passando poi ai live (anche se sul CD la distinzione non è netta, anzi le due diverse situazioni si alternano). Eleanor’s Dream, scritta da Leslie (in questo album il songwriter e cantante di punta, assume quasi la leadership a discapito di Nicol) apre benissimo il disco, una rock ballad elettrica, solo sfiorata dal folk, con un bel refrain ed un arrangiamento vigoroso, un ottimo inizio per un gruppo che dimostra subito di non aver perso lo smalto. Step By Step è una deliziosa ballata dalla melodia tenue e limpida, punteggiata da un delicato arpeggio, mentre Danny Jack’s Reward è il rifacimento di un brano apparso nel 2011 su Festival Bell, uno strumentale scritto da Sanders e qui rafforzato dalla presenza di una vera e propria orchestra folk di otto elementi, che mischia archi e fiati, un pezzo trascinante ed eseguito con classe sopraffina, uno degli highlights del CD. L’acustica e bucolica Devil’s Work è puro folk-rock, un genere che i nostri hanno contribuito ad inventare (magari non in questa formazione, ma lasciamo stare), l’autocelebrativa Our Bus Rolls On è più canonica comunque sempre piacevole, con un motivo da fischiettare al primo ascolto. The Lady Of Carlisle è un delizioso traditional elettroacustico che vede la partecipazione alla voce solista di Jacqui McShee, ex ugola dei Pentangle, creando così un ideale ponte tra i due gruppi più leggendari della scena folk britannica, mentre la breve Summer By The Cherwell, scritta dal collega ed amico PJ Wright, è una cristallina folk ballad, pura e tersa, tra le più immediate del disco.

E veniamo alla parte dal vivo, il cui punto più alto è certamente una versione del noto traditional Jesus On The Mainline (reso immortale negli anni settanta da Ry Cooder), grazie alla presenza alla voce solita nientemeno che di Robert Plant: l’ex cantante dei Led Zeppelin è da sempre un grande ammiratore dei Fairport (basti ricordare il duetto con Sandy Denny in The Battle Of Evermore, dal mitico quarto album del Dirigibile), e questa versione, tra rock, folk e gospel, è semplicemente strepitosa, al punto da lasciarmi la voglia di un intero album dei nostri insieme al lungocrinito vocalist. Gli altri sei brani on stage vengono da diversi periodi del gruppo, e solo due da prima della reunion del 1985: la frizzante Ye Mariners All è uno di questi due (era infatti su Tipplers Tales), un reel cantato, con violino e mandolino grandi protagonisti e ritmo decisamente vivace; splendida The Naked Higwayman, saltellante brano scritto dal folksinger Steve Tilston, un bellissimo folk-rock dal motivo coinvolgente (canta Nicol) ed eseguito in maniera perfetta, un genere nel quale i nostri sono ancora i numeri uno. La lunga e drammatica Mercy Bay è uno dei brani a sfondo storico che ogni tanto scrivono, una canzone abbastanza strutturata e complessa, ma non ostica, anche se pur mantenendo la base folk è indubbiamente moderna; Portmeirion è un malinconico strumentale costruito intorno ad una melodia per violino e mandolino, tra i più noti di quelli usciti dalla seconda fase della carriera del gruppo. Completano il quadro la corale Lord Marlborough, il più antico tra i pezzi dal vivo (apriva Angel Delight, album del 1971) e la struggente John Condon, che ricorda certe ballate folkeggianti di Mark Knopfler, senza la sua chitarra ovviamente.

In definitiva, un altro bel disco per un gruppo che, nonostante i cinquant’anni sul groppone, non ha perso la voglia di fare ottima musica. Consigliato.

Marco Verdi

Supplemento Della Domenica: L’Ultimo Atto Di Una Straordinaria Carriera! Pentangle – Finale

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Pentangle – Finale An Evening With Pentangle – 2 CD Topic Records

Credo sia noto a tutti (e a quelli che non ne sono edotti, per ragioni varie, immagino per lo più anagrafiche, lo stiamo dicendo adesso) che i Pentangle siano stati una delle formazioni chiave del filone del cosiddetto folk-rock britannico, insieme a Fairport Convention, Steeleye Span, e per certi versi anche Albion Band e Incredible String Band, oltre a molte altre definite minori, ma non per questo meno importanti. Il revival del folk nelle isole britanniche nasce, più o meno, all’inizio degli anni ’60 – e qui certo non ne tracceremo la lunga storia – grazie alla spinta di personaggi come Davy Graham, Ewan MacColl, Martin Carthy, Shirley Collins, i Watersons, oltre a moltissimi altri, tra cui spiccano certamente Bert Jansch e John Renbourn. Proprio questi ultimi due, unendosi ad altri musicisti, dopo alcune prove come solisti ed in coppia, diedero vita nel 1967 ai Pentangle, che furono gli iniziatori di una sorta di sotto filone unico, il folk jazz, dove oltre al folk della tradizione, rappresentato dalla splendida e cristallina voce di Jacqui McShee, anziché il rock, confluivano elementi jazz rappresentati da Terry Cox alla batteria e dallo straordinario Danny Thompson al contrabbasso. Poi naturalmente nel corso degli anni e dei dischi, sarebbero entrate anche le infiltrazioni etniche, portate dal sitar di John Renbourn, e gli elementi blues che si univano al folk, nel lavoro di entrambi i chitarristi, Bert Jansch, anche voce solista insieme alla McShee e il citato Renbourn.

Non tracciavano forse la storia completa neppure dei Pentangle, ma i sei album pubblicati dalla formazione originale tra il 1967 e il 1973 sono essenziali per ogni appassionato della buona musica, a prescindere dal genere. In alternativa (o in aggiunta) potreste anche rivolgervi allo splendido cofanetto The Time Has Come, un box di 4 CD, pubblicato nel 2007 in occasione del 40° anniversario, e che raccoglie il meglio del repertorio della formazione originale, arricchito da materiale vario, raro ed inedito. Poi esistono molti dischi anche delle varie formazioni che si sono susseguite nel corso degli anni e tuttora circola una formazione definita Jacqui McShee’s Pentangle, che la vede unica sopravvissuta del quintetto iniziale. Ma nel 2007, prima per ricevere il BBC Radio 2 Lifetime Achievement Award, eseguendo per l’evento anche due brani, per la prima volta insieme dopo 25 anni, e soprattutto l’anno successivo, con un tour di 12 date, preceduto da due apparizioni al programma televisivo di Jools Holland, il gruppo fu ancora una volta in grado di riproporre quella magica miscela musicale definita “folk-jazz”, ma che in fondo non era categorizzabile, diciamo Musica con la M maiuscola.

Il risultato di quei concerti ha avuto una lunga gestazione: Bert Jansch che stava seguendo il mixaggio e la messa in sequenza dei brani, scompare nel 2011, mentre John Renbourn che aveva preparato i masters originali ci ha lasciato a sua volta nel 2015. Ma alla fine la Topic, l’etichetta degli album originali, ce l’ha fatta, e abbiamo tra le mani questo Finale, un doppio CD splendido, con 21 brani estratti da otto dei dodici concerti, ma che all’ascolto non palesano differenze, dando l’impressione di ascoltare il risultato di “Una Serata Con i Pentangle”. Il suono è splendido, e le canzoni ancora di più, la chimica tra i vari componenti della formazione è rimasta inalterata, e Jansch e Renbourn, anche se non più giovani e malandati in salute, sono in grado di mandare più di un brivido nella schiena degli ascoltatori, e pure gli altri non scherzano, soprattutto la McShee, ancora in possesso di una voce splendida. Diciamo che questo doppio è un documento pressoché perfetto del loro repertorio Live, sfiorato nella parte dal vivo di Sweet Child e nel Live 1994 dove c’erano solo Jansch e McShee. Il concerto, nella ricostruzione discografica, si apre con Let No Man Steal Your Thyme, che era proprio il brano che apriva la prima facciata del debutto The Pentangle, subito con la splendida fusione delle chitarre di Renbourn e Jansch, svolazzanti ed imprendibili, sostenute dal finissimo lavoro della sezione ritmica, dove giganteggia Thompson e con Jacqui McShee splendida.

Il primo classico è Light Fight, tratta da Basket Of Light,  con complessi intrecci strumentali e vocali, per una versione ai limiti della perfezione. Mirage, di nuovo dal primo album, si avvale di alcune improvvisazioni dell’elettrica di Renbourn ed è di nuovo magnifica. Da Basket…viene Hunting Song una composizione corale, uno dei brani più lunghi del concerto (pezzi che raramente superano i sette minuti, optando per versioni concise ma di rara efficacia, quindi, purtroppo, come potete intuire, niente Jack Orion), con Cox che si esibisce al classico glockenspiel, per un brano dove il lato folk della band è più in evidenza, sognante ed etereo, come la voce di Jacqui, qui doppiata per la prima volta da quella di Jansch. Come nella dolcissima Once I Had A Sweetheart, sempre dal terzo album, uno dei più saccheggiati, mentre Market Song, la prima dove la voce solista è quella di Jansch, segnata dal tempo, ma ancora inconfondibile, viene dalla parte Live del seminale Sweet Child, altra versione deliziosa. E ancora da quel disco, la parte di studio, viene il magnifico (sono a corto di aggettivi) strumentale In Time, dove il brano viene propulso dal contrabbasso di Thompson e Danny Cox si concede un breve assolo di batteria; People On The Highway era sull’ultimo album Solomon’s Seal (a dimostrazione che tutto il repertorio viene rivisitato), una delle canzoni più “americane” tra quelle scritte da Bert Jansch per il gruppo. Jansch che imbraccia il banjo per la successiva House Carpenter (di nuovo da Basket Of Light), mentre Renbourn passa al sitar, e Bert divide la parte vocale con Jacqui, mentre la musica, come si può immaginare assume derive orientaleggianti.

Cruel Sister come la vogliamo definire? Incantevole, superba, mirabile, fate voi: una delle loro canzoni più belle, era sull’album omonimo e il sitar di Renbourn aggiunge un tocco magico alla splendida interpretazione vocale della McShee. The Time Has Come (un brano di Annie Briggs, un’altra delle “eroine” del folk revival inglese) era nella parte dal vivo di Sweet Child, e permette ancora una volta di gustare la squisita vocalità della McShee. Bruton Town era sia nel live come nel primo disco, un traditional corale, arrangiato da tutta band, A Maid That’s Deep In Love, di nuovo da Cruel Sister, con Jansch al dulcimer,  ancora più apprezzabile nei particolari grazie al perfetto sound dell’album, è seguita da I’ve Got A Feeling, la loro interpretazione blues di un brano di Miles Davis. The Snows, di nuovo da Solomon’s Seal, è un altro brano immerso nella tradizione folk più profonda, cantato da Bert, nel suo stile conciso e scarno, ma efficace. Non poteva mancare un altro omaggio al grande jazz, con la loro versione unica di Goodbye Pork Pie Hat di Charles Mingus, dove Danny Thompson fa i numeri al contrabbasso, ma anche tutti gli altri non scherzano, soprattutto Renbourn. Di nuovo un traditional da Sweet Child, No More My Lord, prima di un’altra perla da Solomon’s Seal, Sally Free And Easy, anche questa dalla tradizione del folk britannico. Wedding Dress è una delle due proposte estratte da Reflection, insieme alla traccia conclusiva che vediamo tra un attimo, in mezzo c’è una versione stupenda e scintillante della incredibile Pentangling, uno dei loro cavalli di battaglia assoluti. E a suggellare questo concerto rimane la loro versione, dal lato Atlantico della Manica, di Will The Circle Be Unbroken, che però purtroppo chiude il cerchio della loro carriera in modo definitivo ed inequivocabile, anche se nel 2011 si esibirono ancora in alcune date dal vivo e si dice abbiamo registrato del materiale inedito in studio, quindi mai dire mai. Lo devo dire, mi dispiace: imperdibile!

Bruno Conti