Primo disco dal vivo per il cantautore texano Sam Baker, titolare di cinque pregevoli album pubblicati tra il 2004 ed il 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/07/06/un-poeta-dalle-melodie-intense-prosegue-il-suo-cammino-sam-baker-land-of-doubt/ . Baker è un songwriter dalla vena poetica tenue, capace di costruire canzoni semplici e toccanti al tempo stesso, con pochi accordi ed il minimo indispensabile di strumenti, che però servono a dare più colore alle sue composizioni. In questo Horses And Stars (registrato a Buffalo, stato di New York, il 20 Luglio del 2018) Sam si presenta sul palco nudo e crudo, soltanto voce, chitarra (elettrica) e armonica solo in qualche brano, probabilmente per ragioni puramente economiche, e devo purtroppo constatare che in più di un momento il disco mostra la corda fino a lasciar affiorare un filo di noia. Baker non è in possesso di un range vocale particolarmente ampio, il suo modo di cantare assomiglia più ad un talkin’ ed è più monocorde anche di altri “parlatori” come Lou Reed e James McMurtry; pure come chitarrista il nostro è abbastanza nella media, e quindi alla fine molte canzoni finiscono per assomigliarsi tra loro. Sam non ha il passo del folksinger e possiede una vena di autore che gira intorno un po’ sempre agli stessi accordi: in poche parole è semplicemente un cantautore che non si può permettere di girare con una band, e questo a lungo andare nel CD si sente.
Non posso dire che Horses And Stars sia un brutto disco, ma non sarei sincero se non dicessi che in più di un momento provoca qualche sbadiglio. Boxes, che apre l’album, è una canzone splendida, una sorta di valzer texano che brilla anche in questa versione spoglia (e la voce calda ed arrochita di Sam è giusta per brani come questo), ma già Thursday, più parlata che altro, è di difficile assimilazione, ed anche la strascicata Angel Hair si ascolta piuttosto a fatica fino in fondo. Il disco non cambia passo, è costruito attorno a pezzi lenti tutti sulla medesima tonalità, e si segnalano solo le (poche) canzoni dotate di una melodia vera e propria, come Same Kind Of Blue, intensa ballata che sembra ispirarsi a certe cose di Springsteenhttps://www.youtube.com/watch?v=m2wbLS8sMik, la toccante Migrants, la tenue Waves, eseguita con buon pathos, e la deliziosa e quasi sussurrata Odessa, che inizia e finisce con due strofe prese dal traditional Hard Times. Anche Snow e Broken Fingers sarebbero due potenziali belle canzoni, ma l’arrangiamento ridotto all’osso non le fa risaltare come dovrebbero https://www.youtube.com/watch?v=Gh8sO5JPsbI .
Non cambio idea sul Sam Baker songwriter ed autore di buoni album incisi in studio, ma come performer dal vivo in “splendid isolation” mi sento di giudicarlo quantomeno rivedibile. *NDB Anche il fatto che Il CD non sia facilmente reperibile e piuttosto costoso forse incide sulla valutazione.
Ashley Cleveland – One More Song – 204 Records – CD/Download
Chi legge questo blog ricorderà certamente che ci siamo occupati di questa signora in occasione del suo ultimo album in studio Beauty In The Curvehttps://discoclub.myblog.it/2014/08/11/ce-si-vede-gospel-rock-ashley-cleveland-beauty-the-curve/, e ora, a quasi quattro anni di distanza, Ashley Cleveland torna con il suo decimo lavoro One More Song, finanziato da una campagna di crowdfunding attraverso la piattaforma Kickstarter: ed ecco il risultato, sotto forma di una dozzina di nuove canzoni, confezionate nella consueta riconoscibile forma che abbiamo definito“Gospel Rock”. Prodotto come al solito dal marito, il musicista Kenny Greenberg (valido chitarrista e sessionmen), che ha portato negli studi di registrazione diversi validi musicisti che si alternano nei brani che compongono il CD: i bassisti Steve Mackey e Michael Rhodes, Danny Rader alla chitarra acustica e mandolino, Chad Cromwell e Nick Buda alla batteria, Eric Darken alle percussioni, Reese Wynans all’organo, e con il sostegno di una importante sezione fiati composta dai bravi Jim Hoke al sassofono, Steve Hermon alle trombe e John Hinchey al trombone, che accompagnano la Cleveland voce e chitarra acustica, senza dimenticare i puntuali interventi delle coriste Angela Primm, Gayle Mayes-Stuart e Tania Hancheroff.
Chi la segue conosce la sua musica, sa perfettamente che nonostante i testi siano “religiosi”, gli arrangiamenti e i suoni sono decisamente rock, a partire dall’iniziale Way Out Of No Way, una sorta di autobiografia sonora, un brano dai toni blues che rimanda ai suoi percorsi giovanili; per poi rispolverare in un nuovo arrangiamento un traditional di pubblico dominio come la bella Down By The Riverside (dove spicca nel finale la sezione fiati), a cui fa seguito ancora una più rilassata e poetica Crooked Heart, e una canzone dedicata alla figlia minore Lily Grown Wild, un potente rock chitarristico con il marito Kenny Greenberg sugli scudi, che sembra quasi un pezzo degli Stones come ha ricordato in una recente intervista. Si prosegue con le “preghiere” con il medley composto dalla breve Take Me To The Water, accompagnata solo da una chitarra acustico e da un organo da chiesa, e da Cool Down By The Banks Of Jordan, un torrido gospel-blues con la potente voce di Ashley (entrambi i pezzi sono sempre brani tradizionali ri-arrangiati dalla Cleveland), che poi recupera un brano di Jim Lauderdale Halfway Down (cantata in passato anche dalla star del country Patty Loveless), che in questo caso viene rifatta in una versione bluesy molto grintosa, per poi passare ad una acustica e dolcissima To Be Good, uno sguardo profondo nella proprio sfera personale.
La “novena” si avvia al termine con il tambureggiante rock di Ezekiel 2, che Ashley ha composto insieme al chitarrista Phil Keaggy, non senza raccontare una storia vera, con la meravigliosa ballata One More Song, un ricordo dolce e personale di sua madre, recuperare da Beauty In The Curve un altro brano tradizionale come Walk In Jerusalem, dove emerge ancora una volta la bravura del marito Kenny, e infine concludere con un ulteriore gospel proveniente dal lontano passato, parliamo del 1928, Born To Preach The Gospel, riletto in forma moderna sempre con la meravigliosa voce della Cleveland in grande spolvero.
Bisogna ricordare che questa non più giovanissima signora è stata forse la prima donna nominata durante i famosi Grammy Awards nella categoria Rock Gospel, nel 1996 ed anche l’unica donna a vincere il premio tre volte, il tutto come conferma e certifica anche questo ultimo lavoro One More Song, dove ogni canzone come sempre funziona per proprio merito e nulla suona forzato, con testi intimamente personali, dove la fede è sempre presente in primo piano ma in mono naturale e non forzato. Ashley Cleveland per il sottoscritto è una di quelle rare artiste con un proprio curriculum musicale impareggiabile, che ha attraversato disparati generi che vanno dal blues al rock, dallo stile Americana al gospel-rock, esibendosi con cantanti del valore di John Hiatt, Steve Winwood, Joe Cocker, Emmylou Harris, Etta James, James McMurtry, come autrice nell’ultimo Mary Gauthier (*NDB. Dobbiamo recensirlo assolutamente)e moltissimi altri, a ulteriore dimostrazione che queste canzoni meriterebbero di essere ascoltate per conoscere finalmente una grande artista come “sorella” Ashley Cleveland, anche se i suoi dischi, da qualche anno a questa parte distribuiti in proprio, rimangono di difficile reperibilità per chi non abita negli States, e quindi piuttosto costosi. Però vale la pena di fare lo sforzo.
Siamo arrivati in quel periodo dell’anno in cui si fa il “giochino” dei migliori dell’anno, ovviamente parliamo di musica e dischi nello specifico: i gusti del Blog, se leggete abitualmente, li conoscete, comunque quest’anno, come vedete sopra, si sono riuniti non uno ma tre pensatori e il risultato state per leggerlo, così se magari qualcosa vi era sfuggito potete rimediare e in ogni caso, andando a ritroso, trovate più o meno tutti i dischi di cui si parla sotto, esaminati per esteso (e quelli per mancano magari verranno recuperati). A seguire, nei prossimi giorni, in una serie di Post, come tutti gli anni, ci sarà anche una disamina delle classifiche di fine anno di alcune delle riviste musicali e Blog specializzati internazionali più famosi e/o interessanti. Partiamo quindi con i tre collaboratori fissi di Disco Club e le nostre liste del Best del 2015. Inizia il sottoscritto, che poi si riserva di integrare questa lista che è quella ufficiale (ma ristretta) che andrà anche sul Buscadero, preparata al volo e dove mancano molti altri di quelli che considero i “migliori” dell’anno, comunque per partire, questo è quanto: come sempre sono in ordine casuale, né cronologico, né di posizione e neppure alfabetico:
Top 10
Blue Rodeo Live At Massey Hall
Joe Bonamassa Muddy Wolf At Red Rocks
Eric Clapton Slowhand At 70 Live At Royal Albert Hall
Decemberists What A Terrible World, What A Beautiful World + Florasongs
James McMurtry Complicated Game
Patty Griffin Servant Of Love
Beth Hart Better Than Home
Richard Thompson Still
Amy Helm Didn’t It Rain
Warren Haynes & Railroad Earth Ashes And Dust
Ristampe:
Bob Dylan Bootleg Series vol. 12 The Cutting Edge
Bruce Springsteen The Ties That Bind: The River Collection
Bruno Conti
Questo è quanto, per il momento, da Milano, Lombardia, passiamo ora a Valenza Po, Piemonte con le liste di Marco Verdi:
THE DECEMBERISTS – What A Terrible World, What A Beautiful World
TOM JONES – Long Lost Suitcase
CHRIS STAPLETON – Traveller
DARLENE LOVE – Introducing Darlene Love
THE SONICS – This Is The Sonics
Quelli che..per un pelo:
RYAN BINGHAM – Fear And Saturday Night
JIMMY LAFAVE – The Night Tribe
JAMES MCMURTRY – Complicated Game
La Ristampa: BOB DYLAN – The Bootleg Series 12: The Cutting Edge Super Deluxe (con menzione d’onore per il box live da 80 CD dei Grateful Dead e per il box di The River del Boss, che avrebbero vinto la categoria a mani basse in qualunque altra annata)
Disco Live: ERIC CLAPTON – Slowhand At 70 (se consideriamo il box dei Dead una ristampa)
La Cover: BOB DYLAN – That Lucky Old Sun
Il Produttore: DAVE COBB
La Rivelazione: ANDERSON EAST
La Delusione: SUFJAN STEVENS – Carrie & Lowell (viste le recensioni entusiastiche un po’ ovunque, mi aspettavo di meglio…un disco per me monocorde ed un tantino soporifero, con canzoni che dopo un po’ sembrano tutte uguali). *NDB Ma A livello internazionale si trova in molte liste di fine anno, quindi de gustibus…
Disco Da Evitare: BILL WYMAN – Back To Basics
Piacere Proibito: JEFF LYNNE’S ELO – Live In Hyde Park
Occasione Perduta: ALLMAN BROTHERS BAND: Idlewild South Box (intendiamoci, grandissimo disco ed il Ludlow Garage è un grandissimo live, ma forse, se davvero non c’erano inediti di studio, si poteva mettere un concerto inedito e tenersi il Ludlow per una ristampa futura)
Personaggio Dell’Anno: sicuramente Bob Dylan che, con estrema nonchalance, prima pubblica Shadows In The Night, un disco in cui reinventa mirabilmente una manciata di canzoni incise da Frank Sinatra, poi piazza il colpo da k.o. con quello che forse è il suo miglior Bootleg Series di sempre.
Evento Dell’Anno “Bello”: la notizia che, finalmente, Van Morrison dovrebbe (con l’irlandese il condizionale è d’obbligo) aver dato l’ok alle ristampe potenziate di tutto il suo catalogo.
E, last but not least, da Villanterio (PV), Lombardia ecco il meglio del 2015 secondo Tino Montanari (* NDB Ci sono anche alcuni titoli usciti nel 2014, ma visto che è un “classico” di tutti gli anni, sorvolo):
Disco Dell’Anno
Warren Haynes & Railroad Earth – Ashes & Dust
Canzone Dell’Anno
Waifs – 6000 Miles
Cofanetto Dell’Anno
Fabrizio De Andrè In Studio (14 CD + Libro)
Ristampa Dell’Anno
Fotheringay – Nothing More: The Collected Fotheringay
Tributo Dell’Anno
Ted Hawkins & Friends – Cold And Bitter Tears
Disco Rock
Decemberists – What A Terrible World, What A Beautiful World
Disco Folk
Waifs – Beautiful You
Disco Country
Asleep At The Wheel – Still The King
Disco Soul
Paul Kelly – Paul Kelly & The Merri Soul Sessions
Disco Blues
Joe Bonamassa – Muddy Wolf At Red Rocks
Disco Jazz
Danilo Rea – Something In Our Way
Disco World Music
Dom La Nena – Soyo
Rhythm & Blues
Nathaniel Rateliff – Nathaniel Rateliff & The Night Sweats
Disco Live
Needtobreathe – Live From The Woods
Disco Italiano
Francesco De Gregori – Amore e Furto
Colonna Sonora
Another Day, Another Time: Celebrating The Music Of Inside Llewyn Davis
Dvd Musicale
Railroad Earth – Live At Red Rocks
GLI ALTRI
Jimmy LaFave – The Night Tribe
James McMurtry – Complicated Game
Ryan Adams – Live At Carnegie Hall
Foy Vance – Live At Bangor Abbey
Otis Taylor – Hey Joe Opus Red Meat
Leonard Cohen – Can’t Forget A Souvenir Of The Grand Tour
Richard Thompson – Still
Tom McRae & The Standing Band – Did I Sleep And Miss The Border
Greg Trooper – Live At The Rock Room
Paul Brady – The Vicar St.Sessions Vol.1
Beth Hart – Better Than Home
Bettye Lavette – Worthy
Brandi Carlile – The Firewatecher’s Daughter
Natalie Merchant – Paradise Is There: The New Tiger
Romi Mayers – Devil On Both Shoulders
Dar Williams – Emerald
Shawn Colvin – Uncovered
Eva Cassidy – Nightbird
Michelle Malone – Stronger Than You Think
Darlene Love – Introducing Darlene Love
Point Quiet – Ways And Needs Of A Night Horse
Orphan Brigade – Soundtrack To A Ghost Story *NDB Bellissimo, una delle “sorprese” di fine anno, su questo ci torniamo di sicuro!
Session Americana – Pack Up The Circus
Continental Drifters – Drifted: In The Beginning & Beyond
Blue Rodeo – Live At Massey Hall
Lee Harvey Osmond – Beautiful Scars
Black Sorrows – Endless Sleep
Eels – Eels Royal Albert Hall
Lucero – All A Man Should Do
Ballroom Thieves – In Wolf In The Doorway.
Tino Montanari
Direi che per oggi è tutto, nei prossimi giorni, per arrivare al Natale, inserirò anche il meglio di riviste e siti internazionali, oltre alla seconda (e forse terza) parte del mio Personal Best, senza comunque tralasciare le solite recensioni, magari con “recuperi e sorprese” dell’anno che si sta per concludere, alla prossima.
Shawn Mullins – My Stupid Heart – Sugar Hill / Rounder Records
Fra un divorzio e l’altro, Shawn Mullins (con una dozzina d’album all’attivo in studio) è ormai considerato un veterano della scena folk-rock cantautorale americana. Il buon Shawn era già un giovane e affermato musicista di Decatur, Georgia, quando nel lontano ’98 ha cominciato a raccogliere i frutti di una carriera comunque abbastanza lunga con l’album Soul’s Core, ma Mullins in precedenza aveva esordito con Better Days (92), quindi due anni dopo aveva pubblicato Big Blue Sky (94), poi due lavori incisi con Matthew KahlerJeff’s Last Dance Vol. 1 e 2 (credo che a parte il sottoscritto siamo in pochi ad averli, e ormai siano introvabili), e nel ’96 ha visto la luce il successivo Eggheels. Dopo l’interlocutorio Beneath The Velvet Sun (00), anni di silenzio non compromettono la sua buona vena compositiva, a partire da 9th Ward Pickin Parlor (06), Honeydew (08), il primo disco dal vivo Live At The Variety Playhouse dello stesso anno, fino all’ultimo lavoro in studio, l’ottimo Light You Up (10).
Prodotto dalla cantante country nativa della Florida Lari White, (impegnata anche alle armonie vocali con Shondra Bennett e Max Gomez) e registrato al The Holler di Nashville, My Stupid Heart vanta altri musicisti di valore come il marito della White, Chuck Cannon (cantautore e autore di alcuni brani scritti con Mullins) all’acustica e seconda voce, Dan Dugmore alla steel, Jerry McPherson alla chitarra elettrica, Gerry Hansen alla batteria e percussioni, Michael Rhodes al basso, Guthrie Trapp al mandolino e bouzouki, e i bravissimi Radoslav Lorkovic (Jimmy LaFave) alla fisarmonica e Fender Rhodes e Matt Rollings (Lyle Lovett) al pianoforte, e naturalmente lo stesso Shawn che suona diversi strumenti, il tutto per una raccolta di dieci canzoni, che toccano temi anche profondamente personali.
My Stupid Heart apre con la magia di una classica ballata alla Mullins, The Great Unknown, per poi passare alla recitativa It All Comes Down To Love, che potrebbe sembrare uscita dai solchi di Too Long In The Wasteland di James McMurtryhttps://www.youtube.com/watch?v=bTCq0MccLro, seguite dall’incantevole Ferguson che inizia lentamente per poi crescere nello sviluppo del brano https://www.youtube.com/watch?v=qr3MwKKjSpc , fatto che si ripete pure nella title track, anche questa parte acustica con pochi accordi di chitarra, poi la voce di Shawn, gli strumenti e i cori danno spessore alla ballata, mentre Roll On By si avvale di un buon ritmo e della fisarmonica di Radoslav Lorkorvic. Il lavoro prosegue con Go And Fall una canzone di sofferenza, cantata con grande intensità, poi troviamo una magnifica love song come Gambler’s Heart (scritta con il cuore in mano) evidenziata dal piano di Matt Rollings, e ancora la pianistica Never Gonna Let Her Go (un brano alla Robbie Robertson e Band, magari cantato da Levon Helm) https://www.youtube.com/watch?v=ZjK6TdtceNs , una delicata e melodica Sunshine, e a chiudere il moderno blues di Pre-Apocalyptic Blues, dove si rincorrono il trombone di Roy Agee, la fisarmonica di Lorkovic, e il superbo pianoforte di Rollings.
Con questo My Stupid Heart, la carriera artistica di Shawn Mullins sembrasegnare un ulteriore livello di crescita, musicale e narrativa, con canzoni che si dividono tra americana, rock, folk e blues, cantate da una voce che rimane pur sempre una delle più belle e intense del panorama musicale americano. Non so come sia messo attualmente con i “rapporti sentimentali” il buon Shawn, ma se dopo ogni divorzio ci ritroviamo un Mullins più maturo e ispirato, e pienamente consapevole del suo potenziale, forse, ma dico forse, è augurabile tra qualche anno saperlo nuovamente divorziato!
David Corley – Available Light – Continental Song City/Ird
Parafrasando la famosa frase del compianto maestro Manzi (in occasione del recente tour italiano con la partecipazione, tra gli altri, al Buscadero Day e al concerto di martedì 14 Luglio in Piazza Della Vittoria in quel di Pavia, in compagnia di Richard Lindgren), presentiamo una delle rivelazioni della scena “roots” americana, tale David Corley. La dimostrazione che “non è mai troppo tardi”, anche per iniziare, è data dal fatto che Corley (che viene dall’Indiana)non è un musicista di “primo pelo”, con una sua storia personale che lo ha portato in Georgia, Connecticut, New York City, California, per poi ritornare al paese natio di Lafayette (dove si è stabilito), superare un infarto, ed infine dopo aver scritto le canzoni di questo lavoro, conoscere un musicista canadese Hugh (Chris)topher Brown ( ottimo musicista canadese, per un brevissimo periodo anche nei Barenaked Ladies) che gli produce Available Light, permettendogli di esordire a livello discografico alla “tenera” età di 53 anni. David per questo esordio si avvale del supporto di validi musicisti “di area”, che rispondono al nome di Gregor Beresford alla batteria, Kevin Bowers alle chitarre elettriche, Peter Bowers alle percussioni, Barry Walker alle chitarre acustiche, Tony Scherr al basso, e lo stesso polistrumentista Brown al piano e tastiere, con l’apporto alle armonie vocali delle brave Kate Fenner e Sarah McDermott.
Quello che si svolge lungo le dieci tracce di Available Light, è lo “storytelling” di una vita intera che si snoda (nel bene e nel male) attraverso una lunga sequenza di racconti, a partire dall’iniziale title track https://www.youtube.com/watch?v=xz_VasV1SV0 e dalla seguente Beyond The Fenceshttps://www.youtube.com/watch?v=gQ01hvCGAbU, due perfetti brani “roots” cantati con voce baritonale dall’autore, che non possono non richiamare lo stile del grande James McMurtry, per poi passare ai ritmi più rock di The Joke, ad una ballata confidenziale come Easy Mistake (con coretti soul), e mostrare l’anima blues alla Tony Joe White in una robusta Dog Tales. Con Unspoken Thing (con le coriste in evidenza) si viaggia dalle parti di un dolcissimo “country-soul” https://www.youtube.com/watch?v=bIPD4dei748 , passando per le lente note pianistiche di Lean, ritrovare il determinante apporto di Kate e Sarah nello sviluppo di un brano “folkie” come Neptune / Line You’re Leavin’ From, toccare il punto più alto del lavoro in una sontuosa e lunga ballata come The End Of My Run (con echi di tex mex), andando a chiudere le sue meravigliose “storie” con i sette minuti “chitarristici” (tra soul e blues) di The Calm Revolutionhttps://www.youtube.com/watch?v=xz_VasV1SV0 .
David Corley, volto segnato dalla vita (come da cover del CD) e aspetto da “beautiful loser”, che si rispecchia esattamente nella musica di questo “atteso” esordio, con canzoni che si possono definire o etichettare nel genere “country-soul”, sporcate da una voce consumata da ogni esperienza (oltre, si presume, a damigiane di Whiskey), con un timbro baritonale che lo colloca per certi versi vicino ad artisti come Greg Brown e Jon Dee Graham, un talento, che, visto da chi scrive l’altra sera in concerto a Pavia, non ha certamente dato l’impressione di essere un’esordiente, e come recita il citato detto, per David (e speriamo per altri), può essere che “non sia mai troppo tardi”. Consigliato!
Tino Montanari
*NDB. Il titolo del Post è anche per ricordare il colpevole ritardo con cui abbiamo parlato sul Blog di questo CD, ormai uscito da parecchi mesi, ma appunto “it’s never too late”!
James McMurtry – Complicated Game – Blue Rose Records/Ird
C’era molta attesa per questo dodicesimo album di James McMurtry, attesa dovuta all’alone culturale che avvolge questo songwriter (è figlio d’arte, suo padre è lo scrittore Larry McMurtry, vincitore di un premio Pulitzer), e a sette anni di distanza dall’ultimo disco in studio, James torna a raccontarci le sue storie di “Giochi Complicati”, con un lavoro molto interessante. Era il lontano ’89 quando il buon James esordiva su Columbia con il folgorante Too Long In The Wasteland, prodotto da John Mellencamp, e naturalmente suonava come un disco di Mellencamp https://www.youtube.com/watch?v=Zbh-JDU3dXE (con tutta la sua gang di musicisti e fonici), come pure il successivo Candyland (92) con stessa squadra, negli stessi studi. Dopo aver incontrato i favori della critica americana, al terzo giro, con Where’d You Hide The Body (95), James si affidò all’esperienza musicale di Don Dixon e alla chitarra di David Grissom, per cambiare lo stile compositivo nelle classiche lente ballate, rette su un semplice giro musicale, ma sostenute dalla personale tonalità dell’autore. Lasciata la Columbia, McMurtry si affida alla Sugar Hill, dove sforna un trittico di capolavori, It Had To Happen (97), Walk Between The Raindrops (98, e l’intenso (e dal bellissimo titolo) Saint Mary Of The Woods (02), con il suono (a)tipico di una jam-band, aiutato solo da una solida sezione ritmica (Ronnie Johnson e Daren Hess). Live In Aught-Three (04) è il primo disco dal vivo di McMurtry, quasi ottanta minuti di musica suonata con cuore e cantata con forza, accompagnato dalla sua band The Heartless Bastards, a cui fa seguire l’ottimo Childish Things (05) con ospiti di riguardo come David Grissom, Bukka Allen e Joe Ely in un duetto, Slew Foot; e ancora l’immancabile raccolta Best Of The Sugar Hill Years (07), arrivando ad un altro dei suoi capolavori con Just Us Kids (08), ricco di canzoni oneste e vere (anche politiche), scritte per raccontare la disperazione e i sogni della provincia americana, seguito dal secondo disco dal vivo Live In Europehttps://www.youtube.com/watch?v=A_SakvKz3bM (09) sempre con i suoi “Bastardi” che sono i già citati Ronnie Johnson, Daren Hess, Tim Holt, più Ian McLagan, il tutto registrato durante il tour Europeo in Germania e Olanda (CD + DVD edito dalla Blue Rose) https://www.youtube.com/watch?v=mZ7NbFAPdcc , e dopo una pausa lunga di sette anni, questo nuovo lavoro Complicated Game, di cui mi accingo a parlarvi.
Questo lavoro ha avuto una lunga gestazione in quel di New Orleans, e sotto la produzione del duo CC Adcock e Mike Napolitano, James, dalla Big Easy,ha saputo trarre un “sound” ricco e corposo, al servizio sia della narrazione che della scrittura https://www.youtube.com/watch?v=JztgL_r0OfE . Come al solito McMurtry oltre alla sua attuale band composta da Daren Hess alla batteria, Tim Holt alle chitarre, Ronnie “Cornbread” Johnson al basso, si avvale di validi musicisti di “area”, e di alcuni ospiti di valore quali il grande Benmont Tench al piano e all’organo, Derek Trucks alla slide-guitar e Ivan Neville alle armonie vocali, il tutto registrato ai Nappy Dug Marigny Studios a New Orleans.
Queste“ intricate storie” iniziano con Copper Canteenhttps://www.youtube.com/watch?v=IM_BjzDCDXse You Got To Me, entrambe con un ottimo lavoro (come è consuetudine nei dischi dell’artista texano) di chitarre, e sono seguite dai ritmi dettati dal banjo in Ain’t Got A Placehttps://www.youtube.com/watch?v=UCIXXqbrv9Ie dalla danzante atmosfera country-blues che si respira in She Loves Me, dal “talking-blues” intrigante di How’m I Gonna Find You Now, passando anche per la folk-ballad (marchio di fabbrica dell’autore) These Things I’ve Come To Know. Le narrazioni si semplificano con il country campagnolo di Deaver’s Crossing, per poi proseguire con la dolce e dolente ballata Carlisle’s Haul (con Tench che dispensa sapienti note all’Hammond B3), una southern song come Fargotten Coast con Derek Trucks che si diverte e ci intriga alla “slide”, un’altra ballata cantata à la Lou Reed come la “cinematografica” South Dakota, mentre con Long Island Sound la mente e la melodia viaggiano verso l’amata Irlanda, con strumentazione del posto e una “pub-gang” alle armonie vocali, terminando la narrazione delle “storie complicate”, con le note acustiche di una Cutter di nuovo con Benmont Tench e la band in gran spolvero, a chiudere un’altro grande disco di McMurtry.
James McMurtry, occhiali da professore e cappello da cowboy, con questo Complicated Game rompe un silenzio discografico di circa sette anni, con un ritorno a suoni prevalentemente acustici, con le consuete ballate caracollanti che spaziano tra folk e country, senza dimenticare un pizzico di rock, con le “solite” storie di persone perdenti, confermandosi uno dei più acuti “storytellers” della sua generazione. Forse doveva fare lo scrittore JamesMcMurtry (come voleva la famiglia), ma certamente non occorre essere un cultore del genere “americana”, per apprezzare l’arte del “songwriting” che dispensa questo cantore magnifico della “desolation row” della provincia americana e infatti, non a torto, qualcuno lo ha definito il Dylan del Sud.
Seconda parte delle anticipazioni a lunga gittata. Si è aggiunto anche un bel Box.
Laura Marling – Short Movie – Virgin/EMI/Caroline/Ribbon 24-03-2015
La giovane cantautrice inglese, una delle mie preferite tra le ultime generazioni di autori britannici http://discoclub.myblog.it/2011/09/22/giovani-talenti-si-confermano-laura-marling-a-creature-i-don/ , approda al quinto album della sua produzione. Annunciato dalla stessa Marling come un album elettronico (cosa che mi aveva un poco spaventato), in effetti è più elettrico dei precedenti, ma, a giudicare dalle due canzoni che circolano sotto forma di video, molto belle, datemene a iosa di album “elettronici” così. Il disco, concepito in America, dove Laura è andata a vivere da un paio di anni, in quel di Los Angeles, è molto influenzato dai suoni delle metropoli americane, quelli della California, con elicotteri sopra la testa a ogni piè sospinto e uno strano sottofondo sonoro nell’aria, sempre dalle sue parole, che ha ispirato un suono più metallico, urbano, rispetto alle precedenti prove più folk e bucoliche, addirittura un brano, Small Poke è stato ispirato dalla sua esperienza di trovarsi a New York durante l’uragano Sandy e di non avere difesa dalle forze scatenate della natura.
L’album è il primo che viene realizzato senza l’aiuto di un produttore esterno, con Laura Marling hanno collaborato il suo batterista Matt Ingram e l’ingegnere e produttore Dan Cox, insieme hanno realizzato la base del disco, a cui si sono aggiunti Nick Pinki al basso, Tom Hobden dei suoi vecchi amici Noah And The Whale agli archi (che forse perché suona il violino è stato indicato come Tom Fiddle!?) e Ruth De Tuberville al cello.
Warrior’ ‘False Hope’ ‘I Feel Your Love’ ‘Walk Alone’ ‘Strange’ ‘Don’t Let Me Bring You Down’ ‘Easy’ ‘Gurdjieff’s Daughter’ ‘Divine’ ‘How Can I’ ‘Howl At The Moon’ ‘Short Movie’ ‘Worship’
A giudicare dai due brani che potete ascoltare sopra si candida fin d’ora tra i migliori dell’anno, ma vedremo (e sentiremo) meglio al momento dell’uscita.
Blackberry Smoke – Holding All The Roses – Rounder/Concord Universal USA – Earache Records UK 10-02-2015
Nuovo album per la band sudista americana, il quarto di studio per il quintetto della Georgia dopo lo strepitoso live dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2014/08/28/altro-grande-doppio-southern-dal-vivo-anche-triplo-blackberry-smoke-leave-scare-live-north-carolina/, è anche il primo che uscirà per una major, almeno negli Stati Uniti, Rounder, del gruppo Universal/Concord- Il disco, prodotto da Brendan O’Brien (Springteen, Pearl Jam, Neil Young, nonché Aerosmith e AC/DC) è decisamente buono, come leggerete nella recensione, già preparata e che verrà pubblicata quando sarà il momento. Nel frattempo un piccolo anticipo…
Steve Earle & The Dukes – Terraplane – New West – CD o Deluxe CD + DVD 17-02-2015
Sedicesimo album solo per Steve Earle, come lascia presagire il titolo, e il fatto che sia stato registrato all’House Of Blues Studio D di Nashville, con la produzione di R.S. Field, si tratta di un album “ispirato” alle dodici battute classiche, rivisitate nella personale visione del barbuto musicista americano (che, come forse avrete letto, nel frattempo ha divorziato dalla sua settima moglie Allison Moorer, che ha avuto pure lei una vita travagliata come Earle, l’omicidio-suicidio dei genitori quando aveva 14 anni, e la scoperta dell’autismo del figlio avuto con lo stesso Steve, e di cui a marzo è in uscita un nuovo album Down To Believing, ma ne parliamo un’altra volta). Tornando al disco, ne uscirà anche una versione Deluxe, con un DVD che riporta il classico Making Of del disco e tre brani acustici come bonus.
Questa è la lista dei brani:
1. Baby Baby Baby (Baby) 2. You’re the Best Lover That I Ever Had
https://soundcloud.com/newwestrecords/steve-earle-the-dukes-youre 3. The Tennessee Kid 4. Ain’t Nobody’s Daddy Now 5. Better Off Alone 6. The Usual Time 7. Go Go Boots Are Back 8. Acquainted With the Wind 9. Baby’s Just as Mean as Me 10. Gamblin’ Blues 11. King of the Blues
James McMurtry – Complicated Game – Complicated Game Records USA – Blue Rose EU – 24-02-2015
Il grande cantautore texano (uno dei segreti meglio custoditi della canzone americana) interrompe un silenzio di sei anni al livello discografico, con questo nuovo album, prodotto da CC Adcock e Mike Napolitano e che esce a livello indipendente negli Stati Uniti e distribuito in Europa dalla meritoria Blue Rose (in Italia IRD), un disco che viene annunciato come più acustico dei precedenti…
Anche se a giudicare da questo brano non si direbbe. Queste le canzoni contenute nel CD in uscita a fine febbraio:
1. Copper Canteen 2. You Got To Me 3. Ain’t Got A Place 4. She Loves Me 5. How’m I Gonna Find You Now 6. These Things 7. Deaver’s Crossing 8. Carlisle’s Haul 9. Forgotten Coast 10. South Dakota 11. Long Island Sound 12. Cutter
Fotheringay – Nothing More – The Collected Fotheringay – 3CD+DVD – Island/Universal 31-03-2015
Per finire, una bella notizia dell’ultima ora (a parte per i portafogli degli appassionati). Dopo i vari cofanetti dedicati a Sandy Denny, carriera solista, BBC Sessions, lavori con i Fairport Convention, ora ne esce uno dedicato al suo breve periodo (un anno, il 1970) con i Fotheringay, che in effetti fruttò un solo album a livello ufficiale uscito ai tempi, un Fotheringay II, uscito postumo su CD nel 2008 per la Fledg’ling Records e un Live Essen, semiufficiale. Ora la Universal pubblica questo cofanetto retrospettivo che ci regala parecchie chicche della band di Sandy Denny ( e Trevor Lucas, Jerry Donahue, Pat Donaldson e Gerry Conway): soprattutto il DVD che presenta quattro brani registrati per la trasmissione tedesca Beat Club che si aggiungono alla scarsa filmografia della bionda cantante inglese (per me la più grande prodotta da quella scena), ma anche, nel terzo CD, sette brani registrati dal vivo ad un Festival in quel di Rotterdam, nell’agosto 1970, mai pubblicati prima, e sette tracce pescate dagli archivi della BBC Radio.
La puntata della trasmissione del Beat Club è questa (così vi gustate anche Stone The Crows, Colosseum e Muddy Waters, oltre ad un brano dei Fotheringay)
E questo è il contenuto completo del cofanetto:
Tracklist CD1: 1. Nothing More 2. The Sea 3. The Ballad of Ned Kelly 4. Winter Winds 5. Peace In The End 6. The Way I Feel 7. The Pond and The Stream 8. Too Much of Nothing 9. Banks of The Nile 10. The Sea – Demo version 11. Winter Winds – Demo version 12. The Pond and The Stream – Demo version 13. The Way I Feel – Original version 14. Banks of The Nile – Alternate take 15. Winter Winds – Alternate take
CD2: 1. John The Gun 2. Eppie Moray 3. Wild Mountain Thyme 4. Knights of the Road 5. Late November 6. Restless 7. Gypsy Davey 8. I Don’t Believe You 9. Silver Threads and Golden Needles 10. Bold Jack Donahue 11. Two Weeks Last Summer 12. Late November – Joe Boyd mix 13. Gypsy Davey – Joe Boyd mix 14. Two Weeks Last Summer – Joe Boyd mix 15. Silver Threads and Golden Needles – alternative 2004 version 16. Bruton Town – Rehearsal version 17. Bruton Town – 2015 version
CD3: 1. The Way I Feel – Live in Rotterdam 2. The Sea – Live in Rotterdam 3. Too Much Of Nothing – Live in Rotterdam 4. Nothing More – Live in Rotterdam 5. I’m Troubled – Live in Rotterdam 6. Two Weeks Last Summer – Live in Rotterdam 7. The Ballad of Ned Kelly – Live in Rotterdam 8. Banks of The Nile 9. Memphis Tennessee 10. Interview / The Sea – BBC Top Gear 11. The Lowlands of Holland – BBC Folk On One 12. Eppie Moray – BBC Folk On One 13. John The Gun – BBC Sounds of The 70s 14. Bold Jack Donahue – BBC Sounds of The 70s 15. Gypsy Davey – BBC Sounds of The 70s 16. Wild Mountain Thyme – BBC Sounds of The 70s
DVD: 1. Nothing More 2. Gypsy Davey 3. John the Gun 4. Too Much of Nothing
Occupy This Album – 4 CD – Razor & Tie – 15.05.2012 anche in versione download
Contrariamente a quanto annunciato nel mio Post del 7 febbraio scorso, alla fine uscirà anche una versione fisica in 4 CD di questo manifesto sonoro del movimento Occupy Wall Street. La versione digitale di brani ne conterrà 100 ma sinceramente non so se il contenuto musicale sia tale da giustificare un acquisto, considerando che il tutto è disponibile solo sul mercato americano e che alcuni dei brani sono versioni già note e non realizzate per l’occasione, come si era detto in un primo momento: molti degli artisti “celebri” hanno donato un loro brano già conosciuto.
Quelli di Patti Smith, Loudon Wainwright III, Lloyd Cole, Willie Nelson, Tom Morello, Yoko Ono, Jill Sobule & John Doe, Garland Jeffreys, Joel Rafael, Dar Williams, Lucinda Williams sono brani già editi. Mentre le canzoni di Jackson Browne, Deborah Harry, Richard Barone, Michael Moore (il regista) che fa The Times They Are A-Changin’, Ani DiFranco, Nancy Griffitth, Joseph Arthur, Third Eye Blind, Yo La Tengo, Warren Haynes Band, James McMurtry With Joan Baez & Steve Earle, David Crosby & Graham Nash, Arlo Guthrie & Family, Mogwai, Amanda Palmer e moltissimi altri che non conosco o non ho citato, sono inedite o dal vivo. In effetti scrivendo la lista dei partecipanti mi sono accorto che non sono poi così pochi i brani potenzialmente interessanti che sono tutti disponibili nella versione CD mentre quelli degli artisti meno noti sono nell’edizione per il download.
A voi l’ardua sentenza! Disponibile dal 15 maggio p.v.
Ray Wylie Hubbard -The Grifter’s Hymnal– Bordello Records 2012
Torna, a poco più di due anni dal suo ultimo disco, Ray Wylie Hubbard, uno dei migliori texani in circolazione in assoluto, musicista e cantautore di culto, con alle spalle una carriera sviluppata in un arco di tempo più che quarantennale. Ray è diventato subito famoso negli anni settanta per avere scritto Up Against The Wall, Redneck Mother, canzone resa celebre dal grande Jerry Jeff Walker, brano che ha contribuito a lanciare la sua carriera nell’ambito del settore “outlaws”. Hubbard non è solo un “country singer”, come quella canzone poteva far prevedere, ma anche un songwriter vicino al folk, al blues ed a certe linee melodiche tipicamente Dylaniane, con una discografia abbastanza lunga, dilatata nel tempo, tra alti e bassi, ma con alcuni album di spessore, su tutti Loco Gringo’s Lament, Dangerous Spirits, Delirium Tremolos, Crusades of the Restless Knights sino ai più recenti Growl e Snake Farm.
Sono almeno venti anni che Ray dispensa grande musica e The Grifter’s Hymnal non fa eccezione, anzi è facile collocarlo tra i suoi lavori migliori. A lavorarci sono essenzialmente lui e George Reiff (co-produttore del disco), con Rick Richards alla batteria, Billy Cassis e il figlio Lucas alle chitarre, Brad Rice al basso, e con alcuni ospiti davvero speciali come Ringo Starr (grande cultore di country music) e il pianista Ian McLagan, per dodici brani tra rock, blues e folk in cui predominano le atmosfere fangose e cupe, con sonorità crepuscolari e desertiche, il tutto guidato da una voce fumosa che mastica blues ed una sezione ritmica sempre presente quando viene chiamata in causa.
Si parte con Coricidin Bottle un honky-tonky travolgente dove le percussioni la fanno da padrone, e sembra di sentire il sibilo di un serpente a sonagli. La seguente South of the River è una delle perle del disco, una ballata desertica, ben lavorata, con l’armonica in evidenza, cantata col cuore. Con Lazarus brano bluesato ed insinuante si viaggia sulle foci del Delta, mentre New Year’s Eve at the Gates of Hell, bella e roccata, si basa solamente su chitarre e batteria (niente basso). Moss and Flowers ricorda un altro superbo songwriter texano, ovvero James McMurtry, mentre Red Badge of Courage è un blues nero e tenebroso fino al midollo, con una slide maledetta. Si cambia registro con Train Yard un talkin’ blues dalla ritmica sostenuta, e nella seguente, divertente e ossessiva, Coochy Coochy, che vede come ospite Ringo Starr, l’autore del brano, che stando alle note del libretto canta e suona vari strumenti. Un recitativo introduce Mother Blues, ballata acustica cantata con voce cavernosa, che potrebbe essere usata come “soundtrack” di un film tratto da un romanzo di Cormac McCarthy. mentre la seguente Henhouse è forse il brano meno riuscito del lotto. Ray si fa subito perdonare con una splendida Count My Blessings, canzone nera e sporca, suonata divinamente e perfettamente coerente con il suo percorso musicale, e si chiude alla grande con Ask God una preghiera blues, con un refrain che ti ritrovi a cantarle dopo solo due ascolti.
Ray Wylie Hubbard durante la sua carriera ha sempre fatto i dischi che ha voluto, quando ha voluto, senza mai scendere a compromessi, ma andando diritto per la sua strada, e come sempre nelle sue opere, gli eroi non sono né buoni né cattivi, ma coloro che accettano la dura realtà della vita; un personaggio al quale, fortunatamente, per chi scrive, è mancata soltanto la celebrità. Cosa ci vuole per ascoltare un CD come The Grifter’s Hymnal? Lo spirito giusto, il tempo che serve, e dell’ottima Tequila.