Quasi Un Piccolo Classico Del Rock! Steve Azar & The Kings Men – Down At The Liquor Store

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Steve Azar & The Kings Men – Down At The Liquor Store – Ride Records

Steve Azar non è un novellino, nonostante dalle foto sembri molto più giovane, in effetti il nostro amico è nato a Greenville, Mississippi l’11 aprile del 1964, ed è sulla breccia già dagli anni ’90, quando nella sua prima carriera come country singer, anche per etichette importanti come A&M e Mercury, ebbe un certo successo nelle classifiche, pure come autore. Poi la sua musica progressivamente si è spostata verso uno stile dove prevalgono il blues, la roots music, ma anche il soul, magari blue-eyed e altre forme sonore che creano un genere forse ibrido e meticciato, ma che poi alla fine lo accomuna con i cantautori classici: se non siamo ai livelli di Springtseen, Petty, Mellencamp, Seger o Jackson Browne, e forse neppure in seconda fascia con “talenti sfortunati” come Michael McDermott, Matthew Ryan, o anche un meno noto James House, con cui Azar ha firmato parecchie canzoni. Non siamo a quei livelli si diceva, ma questo Down At The Liquor Store è veramente un gran bel dischetto, registrato con una gruppo di musicisti veterani che in passato hanno suonato con Elvis Presley, B.B. King. Little Milton e altri luminari della musica nera (per la maggior parte) e bianca: per esempio David Briggs, il nome di punta di questi Kings Men, uno dei “Nashville Cats” originali coloro hanno suonato con Elvis, ai Muscle Shoals Studios, con B.B. King, Johnny Cash, Kristofferson e una miriade di altri, ma anche Walter King ai fiati, che è il nipote di B.B., Ray Neal, il chitarrista, dalla Louisiana, fratello di Kenny, anche con Little Milton e BB King, di cui ha avuto l’onore di suonare Lucille e altri bluesmen di pregio, Regi Richards al basso, anche lui nelle band di King e Bobby Blue Bland, come pure il batterista Herman Jackson (l’altro bianco) e ancora, il  sassofonista e trombettista Dr. Alphonso Sanders..

Il tutto è stato registrato nello storico locale Club Ebony, un ritrovo nella zona del Mississippi, a Indianola, la città natale di B.B: King, trasformato per l’occasione in studio di registrazione, e dove è stato filmato anche un documentario sulla realizzazione dell’album. Disco che, oltre ad avere un suono magnifico, contrariamente a quanto si possa pensare, non ha una componente soul e blues preponderante, ma come detto all’inizio ha un sound da cantautore tipo,  sia purecon elementi blue-eyed e country got soul molto presenti, ma anche richiami a gente come Seger, Mellencamp e i cantanti-autori del country del lato giusto di Nashville. Ci sono brani di qualità superiore, tipo la splendida Rena Lara, un country-rock got soul dal ritmo incalzante, con tocchi magistrali di chitarra e organo, e inserti libidinosi dei fiati, il tutto cantato con voce partecipe e vellutata da Steve Azar, ma anche la bluesata Start To Wanderin’ My Way ha il fascino del “country” robusto e fiatistico del Lyle Lovett in versione big band, oppure Tender And Tough, una canzone notturna, tenera e raffinata, percorsa dalla tromba di Sanders,.con una aura da blue-eyed soul anni ’70, delicato e quasi mellifluo, ma di grande fascino., Azar ha definito la sua musica “Delta soul” e direi che ci sta. Ma anche la mossa Wake From The Dead, una via di mezzo tra i primi Doobie Brothers e un blues-rock made in Memphis, sempre con i fiati sincopati in bella evidenza, oltre ad una solista pungente e reiterata come il ritmo del pezzo; Down At The Liquor Store è un’altra bellissima canzone, con la seconda voce del percussionista James Young a sottolineare quella di Azar, sembra un pezzo di Tom Jans o di nuovo del Lyle Lovett più romantico.

She Just Rolls With Me parte su una chitarra acustica arpeggiata poi entra l’organo che ci trasporta dalle parti di Nashville o di Muscle Shoals, quasi profondo Sud, altro brano di grande fascino; anche I Don’t Mind (Most Of The Time) ha questo mood avvolgente, grazie agli arrangiamenti sontuosi con cui i Kings Men avvolgono la musica di Azar, tra citazioni di “The Night They Drove Old Dixie Down” e ritmi dove la soul music non ha un ruolo secondario, di nuovo con la chitarra a punteggiare la melodia. Chance I’ll Take è di nuovo blue-eyed soul misto a country, contagioso e solare, con belle armonie vocali e i fiati sempre ben delineati, oltre alla chitarra deliziosa e presente senza essere invadente. Anche quando i tempi si fanno più malinconici e meditativi, quasi nostalgici dei vecchi tempi che furono, come in Over It All, la qualità delle canzoni non scende e Azar si conferma autore dalle penna ispirata, come ribadisce la quasi elegiaca The Road Isn’t There Anymore, altro brano dall’arrangiamento sontuoso e sinuoso, o la melodica These Crossroads, ancora giocata sul lavoro eccellente di piano e organo e con un assolo di sax struggente, il tutto condito dalla voce sempre partecipe di Steve. Ode To Sonny Boy sembra un brano del James Taylor più movimentato e Greenville ricorda forse il Jackson Browne più intimo, comunque ancora due canzoni di qualità, per concludere un album veramente riuscito e consigliato.

Bruno Conti     

Country (Rock) Dal Texas Via Nashville. Eli Young Band – Fingerprints

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Eli Young Band – Fingerprints – Big Machine Label Group/Universal           

Vengono presentati ancora come una “giovane band”, ma in effetti Mike Eli e James Young, ovvero la Eli Young Band dovrebbero essere intorno alla quarantina, e sono in pista dall’inizio anni ’00, avendo già pubblicato sei album di studio, oltre ad alcuni EP e un album dal vivo, a livello indipendente: vengono da Denton, nel nord della Texas, ma ormai da parecchi anni fanno parte della scena country(rock) di Nashville, e quindi anche loro ogni tanto sono soggetti alle sirene del suono più becero della Music City, di solito evitandolo, anche se nel precedente 10,000 Towns, come da loro ammesso, qualche segnale c’era stato, e, temo, anche in questo nuovo. Comunque per lunghi tratti il sound è quello giusto e le canzoni anche, collaborano come autori con gente come Shane McAnally (Miranda Lambert, Brandy Clark, e altri molto meno raccomandabili) e soprattutto in un pezzo, con la brava Lori McKenna; tutte le undici canzoni sono scritte ad hoc per questo progetto, niente cover.

I due co-produttori Ross Copperman (che suona anche un tot di strumenti aggiunti e firma cinque brani) e Jeremy Stover, sono due “professionisti” della scena di Nashville, e tra i sessionmen si segnala Dan Dugmore alla steel. Insomma un onesto e ben fatto album di country-rock, che cerca di mediare tra il sound texano e quello nashvilliano, buone armonie vocali, chitarre anche spiegate a tratti, un mix tra la musica radiofonica commerciale e quella più ruspante: la firma e voce solista principale con otto brani è Mike Eli, James Young è co-autore in tre. Salwater Gospel è una buona partenza, un moderato country-rock dei buoni sentimenti, con piacevoli intrecci vocali, un ritornello che resta facilmente in mente, anche radiofonico, ma nei limiti della decenza, uno di quei brani in equilibrio tra i due mondi sonori del gruppo. La title track è più grintosa, un riff “sudista”, chitarre più arrotate, anche slide, ritmo incalzante, con un sound più “old school”, come lo definiscono loro, rispetto al disco precedente, mentre Never Again, che va di groove, è decisamente più commerciale, niente di criminale tipo l’ultimo NEEDTOBREATHE, ma non entusiasma, per usare un eufemismo. Old Songs, con Young all’armonica e un bel uso di chitarre acustiche ed elettriche, armonie vocali a profusione (anche la voce femminile di Carolyn Dawn Johnson) e un insieme che ricorda molto il country rock classico, sia quello anni ’70, che quello anni ’90 di Jayhawks e Blue Rodeo.

Per rimanere nel tema decadi, Drive è un innocuo rockettino AOR anni ’80, Skin And Bones, scritta con Lori McKenna è uno di quelle morbide ballate midtempo che sono nel DNA della band,con la bella voce di Mike Eli in evidenza, una love song dedicata alla moglie che è anche il primo singolo tratto dall’album; ancora dal lato radiofonico, ma con giudizio, viene A Heart Needs A Break, quei pezzi vagamente antemici che sono croce e delizia di chi non ama troppo il sound dell’attuale country di Nashville. Once, ancora con un approccio più rock, è nuovamente un brano che probabilmente piacerà molto ai fans dal vivo, con un bel tiro delle chitarre, da sentire magari in macchina a volume elevato (se potete sulle Highway americane, se no vanno bene anche le nostre autostrade) e pure Never Land non si distacca di molto dal canovaccio, country poco, rock (un filo commerciale), anche troppo, insomma i tempi di Life At Best sembrano passati http://discoclub.myblog.it/2011/08/22/buon-country-rock-dal-texas-via-nashville-eli-young-band-lif/ , gli arrangiamenti mi sembrano fin troppo pompati.

In God Love The Rain, tornano le chitarre acustiche e i buoni sentimenti di Old Songs, di nuovo con la voce di supporto della Johnson e il tempo della ballata a prevalere, eseguita con diligenza ma senza quel quid che anche nell’ambito dei “revivalisti” distingue il compitino dalla canzone di classe, che è poi comunque anche la cifra di tutto il disco. Per esempio la conclusiva The Days I Feel Alone, che non è una brutta canzone, ricorda un po’ gli ultimi Coldplay con una steel aggiunta e se facessero country, che non so se è una offesa o un complimento, fate voi. Il titolo del Post è simile a quello di sei anni fa, ho solo aggiunto un paio di parentesi intorno a rock!

Bruno Conti