Ancora Recuperi: Un Po’ Di Chitarre per Favore! JB And The Moonshine Band – Mixtape

jb and the moonshine band mixtape

JB And The Moonshine Band – Mixtape – Light It Up Records/Thirty Tigers CD

JB And The Moonshine Band non sono una cover band di KC And The Sunshine Band (famoso gruppo di disco music anni settanta), anche se ne rovesciano scherzosamente il moniker, ma in realtà sono un quartetto texano che suona un country-rock tosto e vigoroso, nella più pura tradizione del Lone Star State. JB Patterson e compagni (Gabe Guevara, Hayden McMullen e Chris Flores, due chitarre, basso e batteria, essenziali e senza fronzoli) sono con Mixtape al terzo disco, ma già con il precedente Beer For Breakfast (del 2012) si erano fatti notare anche al di fuori del Texas http://discoclub.myblog.it/2012/03/11/e-i-risultati-si-vedono-ma-soprattutto-si-sentono-jb-and-the/ .

Mixtape (nel quale dà una mano come membro esterno anche l’ottimo Milo Deering alla steel, banjo e violino) è però superiore al suo predecessore: il suono è sempre quello, un country-rock robusto, denso e decisamente chitarristico, con una sezione ritmica che pesta che è un piacere, ma è la qualità delle canzoni, al 90% opera di Patterson (da solo o in compagnia), ad essere notevolmente cresciuta. Un album quindi in grado di farci trascorrere tre quarti d’ora in piacevole compagnia, con una serie di canzoni che hanno il sapore del Texas in ogni nota, e con l’aggiunta di umori southern che non guastano mai, il tutto condito da un suono forte e pulsante, che al limite andrebbe un tantino limato qua e là (ma per questo ci vuole un produttore esterno, Lloyd Maines sarebbe l’uomo giusto).

L’opening track è indicativa: Shotgun, Rifle And A 45 è puro country-rock, maschio e diretto, con chiare tracce sudiste ed un banjo che prova a stemperare la tensione elettrica.           Anche You Can’t Take My Backroads non è da meno: chitarristica, ritmo sostenuto e ritornello emozionante, un pezzo da ascoltare a volume adeguato (cioè alto); la title track ha dentro violino e banjo, ma le chitarre hanno il sopravvento senza problemi, e la percentuale di cromosomi rock è elevata; How Can I Miss You è il primo slow, intenso e con una bella steel in sottofondo, ed un suono senza orpelli inutili, diretto e deciso. Light It Up è un’esplosione di chitarre e ritmo, puro rock’n’roll dai riff secchi ed arrotati; la spedita Close Enough To Heaven è più country, solito refrain gradevole e suono cristallino, mentre Wagon è nuovamente rock  dalle chitarre ruspanti, ma con un motivo gradevole che dimostra che i ragazzi non sanno usare solo i muscoli.

Anche Keep A Couple Beers Cold prosegue con il festival chitarristico: il brano è più melodico e fluido, ma l’elemento elettrico è sempre ben presente; Good Lord’s Grace, per contro, è spostata maggiormente sul versante country, ed è il pezzo finora più texano di tutti (e tra i più riusciti). Completano l’album l’intensa ballad Mess Outta Me, la saltellante e folkie Where’s Woody Guthrie, una delle migliori dal punto di vista del songwriting, la bucolica Back When We Were Kids ed un   remix abbastanza inutile (per non dire dannoso) di Shotgun, Rifle And A 45, infarcito di effettacci che poco hanno da spartire con la vera musica. Un finale controverso che però non deve far passare in secondo piano quanto di buono ascoltato prima: JB And The Moonshine Band sono sempre di più sulla strada giusta per diventare qualcuno. Gli manca soltanto un produttore che li aiuti a sgrezzare un po’ il sound ed il gioco è fatto.

Marco Verdi

Lassù Sulle Montagne, Puro Texas Country! Casey Donahew Band – Standoff

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Casey Donahew Band – Standoff – Almost Country 2013

Passare una vacanza in una ridente località delle Dolomiti (San Martino di Castrozza) è cosa abituale, uscire poi alla sera in cerca di un ritrovo tipico è altrettanto normale, entrare poi in un locale (Ranch Bar), dove tutto profuma di Texas (gestito dai titolari Loris e Giovanni), e sentire a rotazione per tutta la serata dell’ottima musica country, per chi scrive non è tanto abituale. In una di queste serate, sorseggiando del buon Bourbon del Kentucky (Woodford), sentivo scorrere i brani della Casey Donahew Band, una band che negli ultimi dieci anni ha scalato la scena della musica country, conquistandosi faticosamente una nicchia e una solida base di “fans”  che affollano i loro leggendari spettacoli dal vivo.

L’esordio risale al 2006 con l’omonmo Casey Donahew Band e Lost Days, due album autoprodotti come il seguente live Raw- Real In The Ville (2008) che li hanno portati ad avere una certa visibilità tra gli “addetti ai lavori”. Messi sotto contratto da una piccola etichetta come la Almost Country, incidono Moving On (2009) e sfondano finalmente con Double Wide Dream (2011) che entra nella Top Ten della classifica dei dischi country della “bibbia” del settore Billboard. La band è composta dal leader Casey Donahew (il Tex Willer della situazione), e i suoi fidati “pards” rispondono al nome di JJ Soto e AC Copeland alle chitarre, Dante “Taz” Gates alla batteria, Steve Stone al basso e Josh Moore al violino, che in questo ultimo lavoro, fanno del sano country-roots rock ruspante, marchio di fabbrica del Lone Star State.

I titoli iniziali (di questo film musicale Standoff) partono con l’elettrica Lovin Out Of  Control dal ritornello efficace, e proseguono con il singolo Whiskey Baby, mentre Pretending She’s You è una ballata con il pianoforte ed il violino in evidenza, che vede la bella e brava Kimberly Kelly ai cori.

Il tempo di far abbeverare i cavalli e la cavalcata riprende con Not Ready To Say Goodnight , Small Town Love e Sorry, perfetti brani di rockin’ country texano, dove la sezione ritmica picchia duro. Dopo una sosta al “saloon”, la marcia riprende con Homecoming Queen, una rock-song solida e vibrante (mi ricorda gente come Pat Green e Cory Morrow), mentre Missing You è una ballata acustica, introdotta e valorizzata dal violino di Josh e cantata in duetto con Kimberly, e a seguire la divertente Loser scritta a quattro mani con JB Patterson (JB and The Moonshine Band) e-i-risultati-si-vedono-ma-soprattutto-si-sentono-jb-and-the.html. Ci si avvia ai titoli di coda (come nei film del grande Sergio Leone) con un’altra “ballad” di spessore come Put The Bottle Down (una delle più belle scritte da Casey) con il dolce apporto vocale di Jaime Pierce, per poi correre a perdifiato verso il Grand Canyon con il country-boogie di Go To Hell. The End.

Come si intuisce dalla splendida copertina (in stile locandina da film western), Standoff  spara delle robuste pallottole di autentico “Texas sound”, per una band in impressionante crescita, che ormai è una sicurezza, ha trovato il filone giusto, con uno zoccolo duro di fans che la segue nelle date “live” in giro per gli States, e vogliono che le loro canzoni, trasudino di “sangue, dolore e polvere da sparo”.

NDT: Se passate da San Martino di Castrozza, entrate al Ranch Bar, è un oasi per tutti coloro che amano la cultura americana, che deve essere come le Dolomiti, patrimonio dell’umanità. (P&P – Pubblicità e Progresso)!

Tino Montanari

**P.s del titolare del Blog.

Non c’entra nulla con la recensione di cui sopra ma visto che ci sono dei problemi con la funzione “Commenti” del Blog e il buon Marco Verdi “scalpita” (per rimanere in tema con il disco di cui avete appena letto e del quale non casualmente, o forse sì, Marco aveva scritto la recensione per il Buscadero, così potete confrontare i pareri) per rispondere a Corrado che gli ha posto un quesito su Dylan, aggiungo la sua risposta qui di seguito:

Ciao Corrado, grazie per aver condiviso il mio pensiero. In aggiunta a quanto scritto vorrei aggiungere che mi sarebbe piaciuto avere nel BS10 un quinto CD “omaggio” (si fa per dire, con quello che costa) con il disco “Dylan” del 1973 (fatto proprio di scarti da Self Portrait) che la Columbia pubblicò come rappresaglia per il fatto che Bob fosse andato ad incidere per Geffen alla Asylum: un disco tra l’altro mai stampato in CD che aveva alcune cose ottime (Lily Of The West, Mr. Bojangles) ed altre buone(Can’t Help Falling In Love, Big Yellow Taxi).
Riguardo a Dave Alvin, ecco lo stralcio di un’intervista proprio di Dave che parla di queste incisioni:
Eventually, Dave was asked to a session in ’86 for Dylan. “I don’t think it was my greatest musical contribution to the world. I was in awe of just being in the same room with the guy. I’m still looking for a tape of that session too.” These songs were recorded for two Dylan albums called Knocked Out
Loaded and Down in the Groove. None of the songs Dave played on were released. “I saw him a few months after the recording session” Dave recalls, “Dylan was playing with Tom Petty at the L.A. Forum. I was with John Doe and Exene and my girlfriend. We were hanging out at this backstage bar, and Dylan’s road manager came and brought me backstage. We talked for awhile about Sonny Burgess and stuff like that. It was a wild scene in his dressing room. He’s more remote now.”
Quindi parrebbe una di quelle sessions “sparse” tipiche del Dylan anni ’80, che diedero vita ai due Self Portrait di quel periodo (Knocked Out Loaded e Down In The Groove), forse nulla di imperdibile tutto sommato…
Ciao,
Marco

E I Risultati Si Vedono Ma Soprattutto Si Sentono. JB And The Moonshine Band – Beer For Breakfast

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JB And The Moonshine Band – Beer For Breakfast – Average Joe’s Ent.  

Non so se i risultati dipendano effettivamente dal titolo ma questo mondo tipicamente Americano dove le birre (ma nel disco precedente c’era anche il whiskey), le donne, le macchine e il divertimento puro si alternano nel testo, calza a cappello a questi JB And The Moonshine Band. Si sarebbe potuto usare benissimo anche “Fiddle, pedal steel and country guitars” per descrivere questo giovane quartetto texano originato dal Red Dirt Movement e giunto al secondo album con Beer For Breakfast dopo l’esordio, sempre indipendente, di un paio di anni intitolato Ain’t Goin’ Bak To Jail.

Loro, orgogliosamente, proclamano di fare del country non adulterato, privo di orpelli e trucchi in sala di incisione, però il loro management è a Nashville, Tennessee e anche parte del disco è stato registrato lì. Indubbiamente c’è del talento nella loro musica, i brani sono firmati per la quasi totalità dal cantante JB Pattinson che suona anche chitarre elettriche (che divide con Hayden Mc Mullen), acustiche e banjo, hanno una solida sezione ritmica in grado di sfociare anche nel southern rock o comunque in un country-rock molto energico, si avvalgono di violino e pedal steel e possono ricordare (almeno a chi scrive) i primi Band Of Heathens (quelli più country, ora sono diventati una band molto più solida e rock) o anche la Randy Rogers Band o i Cross Canadian Ragweed.

I brani raramente superano i quattro minuti ma i ragazzi sanno anche fare ruggire le chitarre in brani come Hell To Pay (che cita il titolo del 1° album nel testo) o l’ottima Ride che ricorda addirittura i fasti della Marshall Tucker Band e qualche riff dei Lynyrd Skynyrd o la tiratissima Yes che nei continui rilanci delle chitarre soliste si avvicina alle sonorità degli Outlaws dei primi due album, quelli in bilico tra rock e country. Quando la pedal steel e il violino salgono al proscenio come nell’iniziale divertente Beer For Breakfast (alla Charlie Daniels) o nella ballata The Only Drug i suoni si ammorbidiscono e riescono ad evitare la melassa di molta country music mainstream per un pelo, anche se non sono originalissimi, ma le armonie vocali sono efficaci e Pattinson ha la “voce classica” del country rocker tipico. Già la successiva Black and White fatta con lo stampino rispetto alla precedente testa un po’ la tua pazienza.

Pure l’idea di mettere in conclusione dell’album due brani, I’m Down e Perfect Girl, che erano già apparsi nel precedente CD sia pure con un mixaggio diverso, a detta loro più professionale non è originalissima, anche se le canzoni erano tra le migliori di quell’album.

In definitiva, non saranno innovativi, ma se amate del buon country rock con una certa energia del boogie e del southern rock aggiunte come sovrappiù potete accostarvi con fiducia, c’è in giro molto di peggio anche di nomi più celebrati. Incoraggiamo i nuovi talenti.

Bruno Conti