Il Blues Secondo Van Morrison, Classico E Raffinato. Roll With The Punches E’ Il Nuovo Album

van morrison roll with the punches

Van Morrison – Roll With The Punches – Exile/Caroline/Universal

Per il mese di settembre, in un primo tempo, era stata annunciata la ristampa potenziata, in versione triplo CD, di The Healing Game, l’album di Van Morrison che quest’anno avrebbe festeggiato il 20° Anniversario dall’uscita: il disco ora ha una nuova data di uscita prevista per il 15 febbraio 2018, quindi il ventennale va a farsi benedire, ma si sa che queste date sono spesso solo degli optional per le case discografiche, specie se l’artista, come il rosso irlandese, ha due contratti con diverse etichette, la Caroline, e quindi il gruppo Universal, per i dischi nuovi (ed è già il secondo di seguito che esce con loro, un record per il Van degli ultimi anni, che sarà ribadito a breve), e la Sony Legacy per le ristampe del vecchio catalogo. Comunque verso l’inizio dell’estate è stata annunciata l’uscita di un nuovo album, Roll With The Punches, a cui, nel corso delle procedure, è stata anche cambiata la foto di copertina, in quanto nella prima versione era obiettivamente piuttosto pacchiana. Cosa che invece non è il contenuto del disco, classico e raffinato come dico nel titolo, dedicato al Blues, inteso nel senso più ampio del termine, quindi anche R&B, soul, R&R e un filo di gospel, il tutto attraverso l’ottica unica di Morrison, che per l’occasione scrive anche cinque nuovi brani, sintonizzati su questa lunghezza di onda sonora, con un chiaro omaggio ai suoi ascolti giovanili, agli artisti e alle canzoni che lo hanno influenzato nella parte iniziale della sua carriera, e che ancora oggi spesso sono l’oggetto delle sue ricerche sonore. Come è abbastanza noto i dischi del nostro amico, per definizione, appartengono al “genere Van Morrison”, o se proprio vogliamo affibbiargli una etichetta, diciamo celtic soul:music, quindi, secondo i detrattori, “purtroppo” tutti uguali tra loro, e per gli ammiratori, “per fortuna” tutti uguali tra loro. Ovviamente sto estremizzando parecchio, ma il succo è un po’ quello, infatti parlando dei suoi CD, non si parla di un album bello, ma di un Van Morrison bello, e quello dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/10/02/male-esordiente-irlandese-van-morrison-keep-me-singing/, era molto bello, uno dei suoi migliori da parecchio tempo a questa parte, forse proprio dai tempi di The Healing Game.

Come sapete il sottoscritto è un grande estimatore dell’opera di Van The Man, ma credo anche di essere obiettivo, e quindi direi che questo Roll With The Punches è “solo” un bel disco, non un grande disco, con alcune canzoni decisamente sopra la media, e cantato come sempre da una delle più belle voci dell’orbe terracqueo, a 72 anni ancora limpida e potente come se il tempo per lui non passasse (anche se come sapete, secondo una mia teoria già esposta in passato, da bambino Van Morrison ha ingoiato un microfono, e quindi è avvantaggiato rispetto ai suoi concorrenti). Facezie a parte, il disco è anche suonato in modo impeccabile, e questa volta il nostro amico utilizza, oltre alla sua band attuale, anche parecchi ospiti (in modo in parte diverso rispetto all’album dei duetti http://discoclub.myblog.it/2015/03/21/vivo-van-morrison-duets-re-working-the-catalogue-la-recensione/ , dove ogni tanto i partner scelti non erano alla sua altezza). Il nome più importante è sicuramente quello di Jeff Beck, un vecchio amico con cui ha suonato in parecchie jam, e componente della “santa trinità” dei chitarristi rock inglesi, con Clapton e Page, che appare in cinque brani. Nel disco, come ospiti ci sono altre tre “vecchie glorie” del british blues, Chris Farlowe, Georgie Fame Paul Jones, oltre al più giovane (nasceva più o meno quando l’irlandese iniziava la sua attività musicale) Jason Rebello, pianista di impronta jazz, sempre inglese. Mentre nella band abituale di Van Morrison troviamo Paul Moran all’organo, Stuart McIlroy al piano, Dave Keary alla chitarra, Laurence Cottie al basso, Mez Clough alla batteria, oltre alle due eccellenti coriste Dana Masters Sumudu Jayatilaka, e qualche altro strumentista che appare saltuariamente, ma questa volta, salvo due o tre eccezioni, niente fiati. Dieci cover e cinque brani nuovi di impronta prevalentemente blues, ma grazie alla verve vocale di questo signore comunque nettamente superiori alla produzione media nell’ambito delle 12 battute.

Prendiamo la prima canzone, la title track Roll With The Punches, uno dei brani nuovi, una vibrante blues song, un Chicago Blues potente e sanguigno, con Keary molto efficace alla slide e  il duo McIlroy e Moran alla tastiere che sottolinea il cantato intenso di Morrison: Transformation all’inizio mi pareva identica a People Get Ready di Curtis Mayfield (orrore, un quasi plagio), ma è un attimo e poi diventa un’altra classica soul ballad tipica dell’irlandese, serena e fluida, con le due voci femminili e Chris Farlowe che danno una mano nell’arrangiamento, mentre un misuratissimo Jeff Beck, lavora di finezza per l’occasione, trattenendo i suoi istinti più “esagerati”. Un bel uno-due di apertura, seguìto dalla prima cover dell’album, I Can Tell, un pezzo dal repertorio di Bo Diddley, ma che nella scansione sonora ricorda pure lo stile di un altro dei “maestri” di Van Morrison, il grande John Lee Hooker, con il suo riff insistito e ripetuto, che sta a mezza strada tra R&R e R&B anni ’50, sempre con piano e organo che si dividono con le chitarre gli spazi, fino a che arriva Jeff Beck e mette d’accordo tutti, mentre Farlowe e le coriste sono sempre in moto sullo sfondo in modalità call and response e anche Morrison mette in azione la sua armonica. Due canzoni celeberrime sono poi proposte in un medley di grande intensità, Stormy Monday di T-Bone Walker, con la voce duettante di Chris Farlowe, questa volta alla pari con Van, e Lonely Avenue, un pezzo di Doc Pomus, che cantava Ray Charles, una delle grandi passioni di Morrison, ancora con un Jeff Beck in grande spolvero, nell’inconsueta veste più misurata utilizzata in questo album (ma se suona sempre), e anche il nostro amico si scatena nuovamente all’armonica. Goin’ To Chicago, scritta da Count Basie & Jimmy Rushing è più jazzata, eseguita in quartetto, con Georgie Fame, seconda voce e organo hammond, lo stesso Van armonica e chitarra elettrica, Chris Hill al contrabbasso e James Powell alla batteria, per un brano più notturno e felpato, che potrebbe essere il preludio del nuovo disco di Van. Un altro direte voi? Ebbene sì, a dicembre dovrebbe uscire un altro disco nuovo di Morrison, dedicato agli standards jazz, che dovrebbe chiamarsi Versatileve lo anticipo qui, poi ve lo confermerò più avanti, ma dovrebbe essere quasi certo.

Tornando al disco, Fame (omaggio a Georgie?), è un altro pezzo originale, per l’occasione in duetto con Paul Jones (Manfred Mann Blues Band), all’armonica, oltre che voce duettante, un altro blues duro e puro molto classico; e pure Too Much Trouble, ancora proveniente dalla penna dell’irlandese, e che lo vede impiegato anche al sax, è Morrison tipico, con Moran alla tromba e Cottie al trombone, nell’unico brano fiatistico che si inserisce nel filone swingante à la Moondance. con un ottimo Rebello al piano. Uno dei pezzi forti dell’album è sicuramente la rilettura intensa e sentita del capolavoro di Sam Cooke, Bring It On Home To Me, una delle più belle canzoni della storia della musica nera (e non solo), veicolo ideale per la magnifica voce senza tempo di Van, che già ne aveva incisa una versione splendida nell’indimenticabile doppio dal vivo del 1974 It’s Too Late To Stop Now, superiore a quella attuale per me, che però si avvale di uno strepitoso Jeff Beck alla solista che quasi pareggia quella dell’epoca, grande musica in entrambi i casi (quindi doppio video). Ordinary People è l’ultimo degli originali firmato da Van, un altro buon blues, se mi passate il termine, molto hookeriano, dall’andatura falsamente pigra ed ondeggiante, con Keary Beck che si stuzzicano alle chitarre, mentre Farlowe fa lo stesso con il “capo”, e McIlroy fa scorrere le dita veloci sulla tastiera e alla fine chi gode è l’ascoltatore, come dice il famoso detto adattato per l’occasione “sarà solo blues ma ci piace”! How Far From The God di Sister Rosetta Tharpe, con il piano barrelhouse di Mcilroy in evidenza, ha un empito quasi R&R, con piccoli sussulti gospeli, nel suo dipanarsi e Morrison scurisce la sua voce ulteriormente, per Teardrops From My Eyes, un brano che facevano Louis Jordan, Louis Prima e Ray Charles, molto più felpata e dal sound errebì vecchia scuola, con Georgie Fame di nuovo all’organo e il buon Van che sfodera un ficcante assolo di sax, mentre le coriste si agitano sempre sullo sfondo. Automobile di Sam “Lightnin’ Hopkins è un intenso blues lento elettrico, con armonica, chitarra (lo stesso Morrison) e piano, a guidare le danze. Benediction è uno dei classici brani di Mose Allison, altro grande pallino ed amico dell’irlandese, con Rebello eccellente al piano e Moran all’organo e ancora il sax del nostro, che impiega Keary e Clough come voci “basse” di supporto, insieme alle due ragazze, per un brano dalla struttura squisita. Mean Old World era un celebre brano dell’armonicista Little Walter, un altro slow blues in cui Morrison non può esimersi dal soffiare nello strumento. e in chiusura rimane la divertente e mossa Ride On Josephine, l’altro pezzo dal repertorio di Bo Diddley, con drive e riff che erano quelli tipici di Ellas McDaniel.

Una ennesima buona prova quindi di Van Morrison, che ne conferma la ritrovata vena, insieme alla sua immancabile e proverbiale verve vocale. E’ uscito oggi, venerdì 22 settembre.

Bruno Conti  

Per La Serie Un Cofanetto Non Si Nega A Nessuno! Cozy Powell – The Polydor Years

cozy powell the polydor years

Cozy Powell – The Polydor Years – 3 CD Caroline/Universal

Cozy Powell, uno dei batteristi storici del rock e dell’hard rock britannico è scomparso ormai da parecchi anni, nel 1998 ,a soli 50 anni, e forse non ha lasciato una traccia indelebile nella storia della musica, ma è stato uno dei batteristi più potenti ed eclettici in quel ambito musicale. Ha iniziato con i Sorcerers, una band che obiettivamente nessuno ricorda, ma poi, dove avere incrociato i suoi percorsi con Robert Plant, John Bonham, Dave Pegg e Tony Iommi, tutti prima che diventassero famosi, nel 1970 arriva il primo incarico importante, come batterista per il Jeff Beck Group, coi quale incide dei brani per un progetto di brani della Tamla Motown, che rimane a tutt’oggi incompleto ed inedito, registrato nel periodo in cui Beck era reduce dall’incidente che gli aveva impedito di formare un gruppo con Bogert ed Appice dei Vanilla Fudge, che avrebbero formato i Cactus. Nel frattempo in Inghilterra Powell partecipa al Festival dell’Isola di Wight come batterista con Tony Joe White, e finalmente nell’ottobre del 1971 esce il primo dei due ottimi dischi del Jeff Beck Group Mark II, Rough And Ready, seguito l’anno successivo dal disco omonimo, a questo punto Jeff può formare il trio Beck, Bogert And Appice e Cozy entra nei Bedlam, una band che non ha lasciato tracce significative, se non un buon disco di rock-blues progressivo nel 1973. Nello stesso anno Cozy Powell registra Dance With The Devil https://www.youtube.com/watch?v=NO_fx1WshCA, un singolo che nel gennaio del 1974 arriverà fino al n° 3 delle classifiche inglesi, con Suzi Quatro al basso, poi inizia una serie di incontri con musicisti del giro hard-rock-blues che non approdano a nulla, fino a che nel 1975 entra nei Rainbowinsieme a Ritchie Blackmore Ronnie James Dio, dove rimarrà fino alla fine degli anni ’70. Uno potrebbe pensare che questo box sia una sorta di summa del meglio delle collaborazioni di Powell in quella decade, ma in effetti raccoglie i suoi tre dischi solisti, pubblicati appunto per la Polydor tra il 1979 e il 1983.

E più precisamente Over The Top del 1979, Tilt del 1981 Octopuss del 1983. In seguito il nostro amico suonerà ancora nel Michael Shenker Group, nei Whitesnake dal 1982 al 1985, come Emerson, Lake & Powell, per un paio di anni, forse perché era l’unico batterista di una certa caratura con il cognome che iniziava per P, per poter usare la sigla E, L & P; altre apparizioni con i Black Sabbath, la Brian May Band, il Peter Green Splinter Group, Yingwie Malmesteen, fino alla morte avvenuta nell’aprile del 1998 in seguito ad un eclatante incidente automobilistico avvenuto in autostrada a 150 chilometri all’ora.. Come si rileva dai nomi citati, più o meno sapete cosa aspettarvi nel contenuto dei tre dischi presenti in questo cofanetto, che tra i suoi pregi ha anche il fatto di avere un costo che dovrebbe essere intorno ai 20 euro, forse meno. Nel primo disco, quello del 1979, alle chitarre si alternano Gary Moore, Bernie Marsden Clem Clempson, al basso troviamo Jack Bruce e alle tastiere Don Airey, con Max Midlleton nel brano The Loner, dedicato a Jeff Beck. Il produttore è Martin Birch, quello di quasi tutti i dischi migliori dei Deep Purple, dei Fleetwood Mac, dei Wishbone Ash, dei Rainbow e dei Whitesnake, oltre a decine di altri gruppi. Nella versione contenuta nel box il CD riporta ben 8 bonus tracks, tra cui sei brani strumentali. Anche in Tilt ci sono una valanga di ospiti: di nuovo Bernie Marsden, Gary Moore, Jack Bruce Don Airey, ma anche Jeff Beck, Mel Collins David Sancious. In Octopuss appaiono Colin Hodgkinson, lo strepitoso bassista dei Back Door, un trio jazz-rock attivo all’inizio anni ’70 https://www.youtube.com/watch?v=2EL_AiCDXP0 , dove gli strumenti solisti erano il sax e il basso, usato quasi come una chitarra, Mel Galley dei Trapeze, Gay Moore, Don Airey Jon Lord completano la line-up del disco. Tre più che onesti dischi di, come vogliamo chiamarlo, hard-rock-blues virtuosistico (ogni tanto forse anche “esagerato”, come nella title-track del primo album che è un ri-arrangiamento di un brano di Tchaikvosky, però suonato spesso alla grande), con l’accento sovente posto, naturalmente, sulla presenza della batteria. Ecco il contenuto completo del cofanetto.

[CD1: Over The Top]
1. Theme One
2. Killer
3. Heidi Goes To Town
4. El Sid
5. Sweet Poison
6. The Loner
7. Over The Top
Bonus Tracks:
8. Over The Top (Single Version)
9. The Loner (Single Version)
10. Heidi Goes To Town (Instrumental 1)
11. Heidi Goes To Town (Instrumental 2)
12. Sweet Poison (Instrumental 1)
13. Sweet Poison (Instrumental 2)
14. Sweet Poison (Instrumental 3)
15. The Loner (Instrumental)

[CD2: Tilt]
1. Cat Moves
2. Sunset
3. Living A Lie
4. Hot Rock
5. The Blister
6. The Right Side
7. Jekyll & Hyde
8. Sooner Or Later

[CD3: Octopuss]
1. Up On The Downs
2. 633 Squadron
3. Octopuss
4. The Big Country
5. Formula One
6. Princetown
7. Dartmoore
8. The Rattler

Esce il 1° di settembre.

Bruno Conti

Sempre Più Raro, Formidabile E “Sconosciuto”, Anche A Quasi 30 Anni Dalla Morte! Roy Buchanan – Telemaster Live in ’75

roy buchanan telemaster live in '75

Roy Buchanan – Telemaster Live in ‘75 – Powerhouse Records

E’ stato detto mille volte, spesso anche dal sottoscritto http://discoclub.myblog.it/2016/01/02/dal-vivo-raro-formidabile-roy-buchanan-lonely-nights-my-fathers-place-1977/ , ma ripeterlo giova: Roy Buchanan è stato uno dei più grandi chitarristi della storia del rock (e del blues), tanto da venire definito “the world’s greatest unknown guitarist”, in possesso di una tecnica mostruosa, che prevedeva il “chicken picking”, l’uso del plettro, ma anche delle dita, del pollice persino, tecniche mutuate dall’uso della lap steel, senza entrare troppo in tecnicismi diciamo che spesso usava queste tecniche contemporaneamente, e nel tempo ci sono stati chitarristi, professionisti e non, che hanno provato a cimentarsi con il suo stile, e sono tuttora inestricabilmente legati alle corde della propria chitarra. Ma Buchanan aveva anche un “tone”, un suono, unico, con lo strumento che sembrava piangere, strepitare, ululare, miagolare, uno dei pochi in grado, non dico di migliorare, ma di replicare gli assoli di Jimi Hendrix, pure quelli col wah-wah, oppure del suo grandissimo ammiratore Jeff Beck. Roy è morto suicida in prigione nel 1988, a Fairfax in Virgina, dopo una lite domestica: ma la sua eredità, il suo retaggio musicale è stato mantenuto vivo da una serie di pubblicazioni d’archivio Live e in studio http://discoclub.myblog.it/2016/08/24/completare-la-storia-roy-buchanan-the-genius-of-the-guitar-his-early-recordings/ , a volte non molto legali, per quanto spesso ben incise, e comunque sempre splendide nei contenuti, ma anche da alcuni dischi approvati dalla famiglia, e in particolare dalla moglie Judy, ancora in vita, o forse da qualcuno dei sette figli e innumerevoli nipoti.

Buchanan, come è noto, ma forse no, per cui diciamolo, aveva rischiato di entrare anche negli Stones, nell’era di Mick Taylor, ma purtroppo non aveva il “physique du role”, per quanto lo avrei visto bene accanto a Keith Richards. Ci ha lasciato una splendida serie di album, soprattutto quelli pubblicati dalla Polydor, dove Roy ha deliziato diverse generazioni di aficionados della chitarra con i suoi assoli al limite del paranormale, ricchi di tecnica e feeling, dischi sia in studio che dal vivo. Proprio da quel periodo viene questo Telemaster Live in ’75, il terzo pubblicato dalla Powerhouse Records, l’etichetta di Tom Principato, grande fan e discepolo di Roy Buchanan e anche di Danny Gatton, altro “mostro sacro” della chitarra elettrica: il primo, uscito nel 2003 era intitolato American Axe, l’altro Live: Amazing Grace, nel 2009, entrambi formidabili. L’unico piccolo appunto che possiamo fare a questo nuovo titolo è la non eccessiva lunghezza, circa 40 minuti, aggiungendo 2 brani registrati nell’agosto del 1973 ai sei provenienti dal concerto del settembre 1975, sempre all’Agora Ballroom di Cleveland. Suonano con lui John Harrison, al basso, Byrd Foster alla batteria e Malcolm Lukens, a organo e piano: i pezzi del suo repertorio sono più o meno sempre quelli, ma come per i grandi della musica classica, ogni esecuzione è talmente diversa che va assaporata e centellinata.

Can I Change My Mind è un delizioso brano tra soul e rock, con l’organo di Lukens che “scivola” sul groove della sezione ritmica, mentre l’assolo parte con una levità e una delicatezza incredibili, poi si sviluppa nel “solito” crescendo meraviglioso di note, prima di lasciare spazio a tutto il gruppo per questo splendido brano di Tyrone Davis. Poi parte Running Out, un brano che sarebbe uscito solo l’anno dopo su A Street Called Straight, quello con il bimbo in copertina con Roy, la dimostrazione lampante che Buchanan avrebbe potuto benissimo suonare rock con gli Stones, un pezzo ruvido e tirato con il nostro che inizia a strapazzare la sua Telecaster come solo lui sapeva fare, scale velocissime ed inconsuete scovate sul manico; segue una Further On Up The Road, leggermente più veloce di altre versioni conosciute, ma il momento topico è comunque sempre quello dell’assolo, in questo caso quasi canonico, quasi, perché dopo un minuto si stufa e cava dalla sua Tele un fiume di note, e pure Lukens fa la sua parte. Non vorrei dire una eresia, non credo però, ma a me il cantante (anche se non accreditato nelle note, al solito scarne) sembra proprio il grande Billy Price, voce storica della band e presente pure nel disco ufficiale del 1975 Live Stock, e di cui, detto per inciso, al 7 Aprile uscirà un nuovo album, Alive And Strange, per la VizzTone.

Ma ritorniamo al concerto, tocca a I Used To Have A Woman, uno di quei blues lancinanti dove Buchanan rivolta la sua chitarra come un calzino, creando un fiume di note che emoziona e stordisce l’ascoltatore grazie alla sua varietà di temi e tonalità, e fantastica pure la parte cantata (confermo può essere solo Price, canta troppo bene!). Non ci siamo ancora ripresi che arriva  una poderosa Sweet Home Chicago, mentre il concerto del ’75, senza soluzione di continuità, termina con lo strumentale classico The Messiah Will Come Again, la chitarra elettrica al limite del preternaturale e oltre. Se considerate che il tutto è inciso benissimo, questo disco è indispensabile. E alla fine ci sono pure i due brani del ’73: prima una travolgente Whole Lotta Shakin’ Goin’ On, dove il cantante è effettivamente “sconosciuto”, ma gli altri, soprattutto Roy, suonano, cazzo (scusate il francesismo) se suonano! E anche il finale, con la sua strepitosa versione strumentale del classico Sweet Dreams, è da sballo. Aspettiamo il prossimo della serie, magari prima di sette o otto anni.

Bruno Conti

roy buchanan rockpalast

P.s. Sempre il 7 aprile verrà (ri)stampato di Roy Buchanan anche questo Live At Rockpalast – Hamburg 1985, in versione CD+DVD, ma comunque le versioni divise del CD e del DVD sono regolarmente in produzione e si dovrebbero trovare con facilità, però per confondere le idee…

Sempre Texani…Ma Molto Più Famosi! ZZ Top Tonite At Midnite: Live Greatest Hits From Around The World

zz top tonite at midnite live greatest hits

ZZ Top – Tonite At Midnite: Live Greatest Hits From Around The World – Suretone Records/Warner

Credo siate d’accordo con me nell’affermare che gli ZZ Top non facciano un disco in studio degno della loro fama da” illo tempore”: bisogna risalire agli anni ’70, e pure il disco solista di Billy Gibbons dello scorso anno, Perfectamundo, non ha fatto molto per ristabilire la loro reputazione. Però dal vivo il trio è ancora una poderosa macchina di boogie-rock texano, con ampie spruzzate di blues e per quanto la voce di Gibbons, mai fantastica, sia ormai ridotta al lumicino, con i loro riff ed il solismo di Billy, ben coadiuvato dalla potenza devastante di Frank Beard alla batteria e Dusty Hill al basso, i tre barbudos sono ancora capaci di scaldare arene e stadi in giro per il mondo. Per questo live hanno pensato all’escamotage del Greatest Hits, quindi i grandi successi pescati dal loro sterminato repertorio e da molte diverse date del tour mondiale: quindi diciamo che se ancora una volta non hanno pubblicato quel bel doppio dal vivo che ci si aspetta da loro (in fondo gli altri dischi Live usciti finora erano versioni in CD di concerti nati per il DVD, o nel caso del leggendario Fandango!, un misto studio/live), comunque questa loro ultima fatica può essere definita soddisfacente, se non definitiva.

La qualità del suono è peraltro ottima, forse un filo pompata e lavorata a tratti, sembra persino che a Gibbons sia tornata la voce e anche se in fondo non è vero che ci sono tutti i successi, ci accontentiamo: Got Me Under Pressure da Eliminator, Rough Boy da Afterburner e Pincushion da Antenna non sono forse primissime scelte. Ma in Rough Boy registrata dal vivo a Londra c’è la solista aggiunta di Jeff Beck, che regala il suo tocco di classe alle già notevoli evoluzioni di Gibbons, per un brano che stranamente per loro è una ballata, per quanto sempre duretta, anche se la tastiere, qui e altrove, ce le potevano risparmiare, e l’iniziale Got Me Under Pressure, registrata a New York, era pur sempre uno dei brani migliori di Eliminator il loro ultimo album degno di nota, va subito di boogie alla grande. Beer Drinkers & Hell Raisers viene dalla data di Las Vegas, e tiene fede al proprio titolo con una scarica di riff a destra e manca, come pure una micidiale Cheap Sunglasses estratta dal concerto di Parigi, dove Gibbons e soci ci danno dentro alla grande. Waitin’ For The Bus ,con tanto di armonica, ripresa dalla serata di Nashville è un ritorno alle loro radici blues (rock) e viene da Tres Hombres, forse il loro massimo capolavoro, come pure la successiva Jesus Left Chicago, e qui non si prendono prigionieri. Legs la potevano fare solo a San Paolo in Brasile, di nuovo Eliminator, mi sembra che la versione dal vivo, anche con gli inserti di synth che fecero rumore all’epoca, non sia malaccio, ma Sharp Dressed Man, Live from LA, è decisamente migliore, con il classico boogie del trio dispiegato a piena potenza.

Di Rough Boy si è detto, Pincushion, dal concerto di Berlino, a parte la potenza del basso di Hill, che pompa come un dannato, non è una delle mie prime scelte, subito redenta da quello che è uno dei quattro o cinque riff imprescindibili della storia del rock (pensate il vostro), La Grange, registrata nel loro home state, Dallas, Texas, grandissima versione, con Billy Gibbons in grande spolvero e anche I’m Bad I’m Nationwide, dalla serata di Vancouver, non scherza un c..zo, scusate il francesismo, rock-blues da manuale. Dal concerto di Roma viene estratta una Tube Snake Boogie costruita per fare muovere il pubblico a tempo di rock, mentre per Gimme All Your Lovin’, un altro dei classici, torniamo in Texas, questa volta a Houston, e il rito collettivo si rinnova a tempo di riff boogie e R&R. E Tush, un altro dei brani blues-rock indimenticabili la potevano fare solo a Chicago, altra versione energica con Billy Gibbons indemoniato alla slide. E infine, per incontrarsi in un territorio comune, una bella Sixteen Tons di nuovo con Jeff Beck, membro aggiunto onorario per l’occasione, in un brano dove sembra quasi di sentire i Led Zeppelin, o era il Jeff Beck Group l’inventore, se no il vecchio Jeff mi mangia vivo!?! Nonostante sia assemblato da diversi concerti e quindi c’è una fastidiosa pausa tra un brano e l’altro, gran bel disco, fosse stato un doppio sarebbe stato perfetto.

Bruno Conti

Eric Clapton & Guests – Crossroads Revisited. Dopo I DVD Ecco Il Cofanetto Triplo Con I CD!

eric clapton crossroads revisited eric clapton crossroads revisited box

Eric Clapton And Guests – Crossroads Revisited – 3 CD Rhino/Warner

Questo cofanetto esce ora anche in formato CD, e quindi a eventuali fans di Eric Clapton (e di tutti gli altri grandi artisti coinvolti) si pone il quesito se si debbano eventualmente ricomprare, per collezione, anche questa edizione in un formato diverso dai DVD e Blu-Ray in cui erano stati pubblicati in origine, ma il manufatto, peraltro molto bello esteticamente, come vedete qui sopra, e con un prezzo contenuto, si rivolge anche a quella platea che non ama il formato video come supporto di queste uscite (e vi assicuro che, stranamente, sono molti). Quindi ben venga pure questa versione audio, ancorché delle varie edizioni, quella del 2013, era già uscita in un doppio CD,  sia pure solo con una selezione di brani estratti da quel concerto. Quindi direi che ora ci manca solo Neil Young che ne faccia la versione in Pono. Per completare la disamina dei contenuti in questo caso parliamo di una selezione di pezzi scelti dagli eventi del 2004, 2007 e 2010, e anche 2013, per cui bando alle ciance e vado a (ri)ascoltare e rivedere (come ripasso) cosa troviamo in questi favolosi festival della chitarra. Sotto trovate la tracklist completa dei contenuti:

[CD1]
1. Sweet Home Chicago Eric Clapton, Robert Cray, Buddy Guy, Hubert Sumlin, & Jimmie Vaughan (2004)
2. Rock Me Baby Eric Clapton, Buddy Guy, B.B. King, & Jimmie Vaughan (2004)
3. Steam Roller James Taylor with Joe Walsh (2004)
4. What The Cowgirls Do Vince Gill with Jerry Douglas (2004)
5. After Midnight J.J. Cale with Eric Clapton (2004)
6. Green Light Girl Doyle Bramhall II (2004)
7. Hell At Home Sonny Landreth with Eric Clapton (2007)
8. City Love John Mayer (2004)
9. Funk 49 Joe Walsh (2004)
10. Drums Of Passions (Jingo) Carlos Santana with Eric Clapton (2004)
11. Cause We’ve Ended As Lovers Jeff Beck (2007)
12. Have You Ever Loved A Woman (Blues In C) Eric Clapton (2004)
13. Layla Eric Clapton (2004)

[CD2]
1. Little By Little Susan Tedeschi with The Derek Trucks Band (2007)
2. Poor Johnny The Robert Cray Band (2007)
3. Paying The Cost To Be The Boss B.B. King with The Robert Cray Band, Jimmie, Vaughan, & Hubert Sumlin (2007)
4. Tulsa Time Sheryl Crow with Eric Clapton, Vince Gill, & Albert Lee (2007)
5. On The Road Again Willie Nelson with Sheryl Crow, Vince Gill, & Albert Lee (2007)
6. Isn’t It A Pity Eric Clapton (2007)
7. Belief John Mayer (2007)
8. Mas Y Mas Los Lobos (2007)
9. Big Block Jeff Beck (2007)
10. Presence Of The Lord Steve Winwood & Eric Clapton (2007)
11. Cocaine Eric Clapton (2004)
12. Waiting For The Bus/Jesus Just Left Chicago ZZ Top (2010)
13. Don’t Owe You A Thing Gary Clark Jr. (2010)
14. Bright Lights Gary Clark Jr. (2010)

[CD3]
1. Our Love Is Fading Sheryl Crow with Eric Clapton, Doyle Bramhall II, & Gary Clark Jr. (2010)
2. Lay Down Sally Vince Gill with Sheryl Crow, Keb Mo , Albert Lee, James Burton, & Earl Klugh (2010)
3. Space Captain Derek Trucks & Susan Tedeschi Band with Warren Haynes, David Hildago, Cesar Rosas, & Chris Stainton (2010)
4. Hammerhead Jeff Beck (2010)
5. Five Long Years Buddy Guy with Jonny Lang & Ronnie Wood (2010)
6. Hear My Train A Comin’ Doyle Brahmhall II (2010)
7. Dear Mr. Fantasy Steve Winwood & Eric Clapton (2010)
8. Born Under A Bad Sign Booker T. with Steve Cropper, Keb’ Mo’, Blake Mills, Matt “Guitar” Murphy, & Albert Lee (2013)
9. Everyday I Get The Blues The Robert Cray Band with B.B. King, Eric Clapton, & Jimmie Vaughan (2013)
10. Please Come Home Gary Clark Jr. (2013)
11. Tumbling Dice Vince Gill with Keith Urban & Albert Lee (2013)
12. I Shot The Sheriff Eric Clapton (2010)
13. Crossroads Eric Clapton (2013)

L’apertura è affidata ad uno dei super classici del blues, parliamo di Sweet Home Chicago, con Eric che incrocia subito la sua chitarra con Robert Cray, Hubert Sumlin, Jimmie Vaughan e Buddy Guy, che è anche la voce solista, ed è subito goduria estrema, in una jam da brividi, anno 2004, come quasi tutto il primo CD. Vi segnalo solo i brani più interessanti, ma ce ne sono ben 40 nel triplo, e tutti validi: Rock Me Baby, con il vecchio B.B. King in gran forma, che si unisce a Guy e Vaughan, è in una grande versione, e anche James Taylor, in versione bluesman, alle prese con Steamroller, con Joe Walsh alla chitarra, è una bella sorpresa. Le varie serate, oltre al blues e al rock, che fanno la parte del leone, ospitano anche altri stili, per esempio il country di What The Cowgirls Do con Vince Gill che canta ( e suona, capperi se suona!) e Jerry Douglas che lo spalleggia da par suo al dobro, mentre After Midnight, è “genere” JJ Cale, e il suo autore inizia a cantare e suonare, poi arriva Eric. Hell At Home, anno 2007, con Clapton che accompagna il maestro della slide Sonny Landreth; Drums Of Passions (Jingo) è l’incontro con il latin rock di Carlos Santana, in un duello titanico di soliste, con Eric che poi lascia il palcoscenico a Jeff Beck per una splendida Cause We’ve Ended As Lovers, il tributo a Roy Buchanan dal concerto del 2007. A seguire Clapton sale al proscenio con due suoi cavalli di battaglia, una lunghissima Have You Ever Loved A Woman, il brano più lungo del triplo CD e Layla, la più bella canzone mai scritta da Enrico (ma anche Presence Of The Lord, che però è legata alla voce di Steve Winwood).

Il secondo CD si apre con il rock got soul eccitante di Little By Little, cantata da Susan Tedeschi, accompagnata dalla Derek Trucks Band, annata 2007, dallo stesso anno una eccellente Paying The Cost To Be The Boss, di nuovo B.B. King, con Robert Cray, Hubert Sumlin e Jimmie Vaughan. Ottima anche la versione, tutti insieme appassionatamente, di Tulsa Time, Sheryl Crow, Eric Clapton, Albert Lee e Vince Gill, che rimangono poi per accompagnare Willie Nelson in On The Road Again. Altro momento topico una splendida versione di Isn’t It A Pity, il bellissimo brano di George Harrison, cantato dal padrone di casa, che inchioda anche un assolo magnifico. Gagliardi anche i Los Lobos con Mas y mas e John Mayer che con Belief dedicata a BB King, dimostra di non essere solo un belloccio, ma anche un grande chitarrista. Jeff Beck viene da un altro pianeta, e in Big Block ci introduce per la prima volta ai grandi talenti della allora giovanissima bassista Tal Wilkenfeld. A questo punto c’è Presence Of The Lord con Winwood che cede all’inizio il microfono a Clapton, poi scatenato al wah-wah e pure Cocaine, di nuovo dall’annata 2004, non è male come canzone, potrebbe avere successo.

Gli ZZ Top dal vivo sono sempre micidiali, il medley Waiting For The Bus/Jesus Just Left Chicago del 2010 lo testimonia, Billy Gibbons non ha più voce ma alla chitarra se la “cava” ancora. Come pure Gary Clark Jr. con l’uno-due di Don’t Owe You A Thing e Brights Light, uno dei nuovi talenti. Terzo CD che si apre con Sheryl Crow Our Love Is Fading, poi Lay Down Sally, Vince Gill, di nuovo la Crow, e per il reparto chitarre Keb’ Mo’, Albert Lee, James Burton e Earl Klugh.  Bellissima Space Captain, l’omaggio a Joe Cocker, con Derek Trucks e Susan Tedeschi Band insieme a Warren Haynes, David Hildago, Cesar Rosas e Chris Stainton. Jeff Beck (presente in tutti e tre i CD) in Hammerhead e Buddy Guy, con Jonny Lang e Ron Wood, in Five Long Years, strapazzano le chitarre da par loro. E Steve Winwood dimostra di essere anche un grande chitarrista con una versione siderale di Dear Mr. Fantasy, insieme a Clapton, che rimane anche per una notevole Everyday I Have The Blues, guidata da Robert Cray, di nuovo con BB King e Jimmie Vaughan, uno dei cinque pezzi estratti dall’annata 2013. Ricorderei altri due altri classici di Clapton, I Shot The Sheriff, dal 2010, e a chiudere il tutto, non poteva mancare, una potente versione di Crossroads! Ma sono belle tutte, ripeto, anche quelle non citate. Una annata non male per uno che si è “ritirato”, il disco nuovo di studio, fra poco il Live con JJ Cale, e ora anche questo.

Bruno Conti

Jeff Beck – Loud Hailer. Le Chitarre Bene, Il Resto un Po’ Meno!

jeff beck loud hailer

Jeff Beck – Loud Hailer – Atco/Rhino/Warner

Jeff Beck, nonostante l’improbabile colore nero corvino della capigliatura (per la tinta probabilmente va dallo stesso parrucchiere di Bobby Solo, Silvio Berlusconi e da cui andava il collega Jimmy Page) quest’anno a giugno ha compiuto 72 anni, ad agosto, dopo un tour con Buddy Guy, festeggerà all’Hollywood Bowl con un concerto 50 anni di carriera: anche se avendo iniziato nel 1963 con i Tridents o al limite nel 1965 con gli Yardbirds, l’anniversario, come sempre, è molto opinabile. Quello che è certo è che Beck è uno dei più grandi chitarristi del rock, innovatore, ma anche appassionato del R&R delle origini (e di moto, le sue due passioni), questo dualismo lo rende uno dei solisti più imprevedibili a livello strumentale da sempre. Più prevedibile, purtroppo, da parecchi anni a questa parte, è la qualità dei suoi album: dopo un buon Emotion & Commotion uscito 6 anni fa nel 2010 http://discoclub.myblog.it/2010/03/25/un-fenomeno-di-65-anni-coi-capelli-neri-corvini-jeff-beck-em/ , di cui vi avevo parlato su queste pagine, seguito di dischi veramente bruttarelli come Jeff e You Had It Coming (entrambi vincitori di premi Grammy, a dimostrazione della non grandissima attendibilità di quel riconoscimento, comunque per la cronaca ne ha vinti 8), ma anche di ottimi live come quello dedicato a Les Paul insieme alla band di Imelda Day e al Live+ dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2015/05/27/il-chitarrista-la-c-maiuscola-jeff-beck-live/ .

Proprio il disco del 2015, nei due brani nuovi presenti, aveva evidenziato i soliti “problemi”, almeno per chi scrive, della sua musica nel nuovo secolo: squarci di puro rumore chitarristico su ritmi tra l’elettronico e il pomposo all’eccesso, utilizzo di giovani vocalist femminili sconosciute (Veronica Bellino?!) e canzoni che cercano di sorprendere l’ascoltatore, ma spesso sfondano solo i timpani. Non sempre, lo ammetto, e non in tutti i brani, anzi: Jeck Beck ha utilizzato anche l’ottima Imelda Day appena citata, o Joss Stone, per non parlare del veterano Jimmy Hall,  ex Wet Willie, nell’ultimo tour, o la scoperta della prodigiosa e giovanissima bassista Tal Wilkenfeld,  ma per questo nuovo album, alla spasmodica ricerca di giovani talenti che ne aumentino l’appeal verso le ultime generazioni, il nostro “si accoppia” con la cantante Rosie Bones e la chitarrista Carmen Vandenberg, entrambe londinesi e provenienti dalla band Bones, a suo dire scoperte ai loro spettacoli e quindi sul campo, e non uscite da improbabili talent, parole sacrosante. Ma se poi, oltre a loro, si affida anche alla produzione del giovane italiano Filippo Cimatti, anche a tastiere e all’elettronica aggiunta, che porta con sé la sua sezione ritmica di Davide Sollazzi e Giovanni Pallotti, non c’è da stupirsi se il risultato è sì “moderno” nei suoni e al passo con i tempi, ma quanto ad innovativo e di qualità c’è da discutere.

Sintomatico è un brano come O.L.L (Can’t Get Enough Of That Sticky), un pezzo funky-dance pasticciato posto quasi alla fine del CD, che probabilmente anche Bruno Mars e Pharrell Wlliams avrebbero scartato per la scarsa qualità, chitarra slide di Beck esclusa. Per fortuna non tutto il disco è così: la fusione tra ritmi moderni, voci distorte (quella della Bones lo è spesso e volentieri) e le folate chitarristiche del nostro, a tratti funziona, come nell’inziale, pur esagerata, The Revolution Will Be Televised, dove un ritmo marziale viene accoppiato alle sonorità incredibili della chitarra di Beck, per una sorta di brano futuribile del XXI secolo, o nella dura In The Dark, sempre contaminata da sonorità fastidiose e pure un poco pacchiane, con la chitarra che comunque si salva sempre. Pull It è uno dei due strumentali dove Jeff Beck rivolta la sua solista come un calzino, anche esagerando, ma ragazzi suona, mentre Thugs Club è un funky-rock, sempre firmato con la Bones, onesto ma non memorabile.

Meglio Scared For The Children, che, come altri brani presenti in questo album, tratta nel testo di tematiche legate a questi difficili tempi che stiamo vivendo, e lo fa attraverso una onesta ballata, dove la voce della Bones per una volta non è filtrata e le evoluzioni della chitarra di Beck sono più liriche che acrobatiche, con il solito assolo fenomenale. In Right Now Jeff sfodera un wah-wah hendrixiano tipo Band Of Gypsys, ma la solita voce filtrata irrita; Shame, con le sue sonorità riflessive, un ritmo vagamente soul e la voce non filtrata della Bones che nel timbro assomiglia a Cyndi Lauper, nel sound della chitarra ricorda quel Roy Buchanan tanto amato da Beck  , “citato” anche nel breve strumentale Edna. Rimangono The Ballad Of The Jersey Wives, un altro mid-tempo vagamente minaccioso, sempre sostenuto dai virtuosismi di Jeff che sorreggono un certo vuoto di idee https://www.youtube.com/watch?v=JZEutc2g6Ko . Di O.L.L. abbiamo detto, ma la sorpresa, piacevole, è la ballata conclusiva, una Shrine che ricorda molto le atmosfere sospese di certi brani di Jeff Buckley, tipo la sua versione di Hallelujah, che viene evocata nelle melodie di questo brano (quasi ai limiti del plagio) nobilitato da un lavoro di fino della solista di Jeff Beck che è sempre un maestro nell’uso della sua chitarra ed in fondo è il motivo per cui si comprano i suoi album. Esce oggi 15 luglio.

Bruno Conti  

Ma Che Musica Maestro! Buddy Guy – I’ll Play The Blues For You…Live

buddy guy - i'll play the blues...live

Buddy Guy – I’ll Play The Blues For You…Live – Klondike Records 

Credo che tutti sappiamo chi sia Buddy Guy, forse l’ultimo dei grandi “originali” bluesmen del periodo d’oro ancora in vita, il chitarrista elettrico per eccellenza, uno che ha suonato a lungo, prima con Muddy Waters e poi con Junior Wells, ma anche con una carriera solista altrettanto lunga, pur se non particolarmente prolifica, avvenuta in un certo senso a periodi, prima quello a cavallo fine anni ’60,  primi ’70, con i bellissimi album per la Vanguard, poi il “ritorno” ad inizio anni ’80, con i dischi targati Alligator, e l’ultima fase, tutt’ora in corso, iniziata con Damn Right, I’ve Got The Blues, uscito nel 1991 per la Silvertone/BMG e che prosegue a tutt’oggi, con lo splendido Born To Play Guitar, recente vincitore del Grammy come miglior disco Blues nel 2016 http://discoclub.myblog.it/2015/08/03/lultimo-dei-chitarristi-blues-gran-forma-buddy-guy-born-to-play-guitar/ .

E il nostro è veramente nato per suonare la chitarra: nel corso degli anni, Jeff Beck, Eric Clapton, Jimmy Page e Jimi Hendrix, i quattro grandissimi dello strumento, ma poi anche Stevie Ray Vaughan, hanno ammesso l’influenza che il grande musicista di Lettsworth, Louisiana, ma da sempre cittadino onorario di Chicago, ha esercitato sulla loro formazione come chitarristi. Keith Richards e gli Stones stravedono per lui, nel 2012 al Kennedy Center gli hanno dato un premio alla carriera, in una serata in cui Jeff Beck e Beth Hart hanno incendiato la platea dei presenti (tra cui i Led Zeppelin al completo) con una versione memorabile di I’d Rather Go Blind, nel 2014 è stato “introdotto” nella Hall Of Fame, quindi i riconoscimenti, per una volta e per fortuna, non gli sono mancati da vivo, ma quelli a cui tiene di più sono quelli che raccoglie sui palchi in giro per il mondo, con una serie di concerti che sono sempre delle feste memorabili per gli amanti della chitarra.

Il suo stile spavaldo, quasi acido, con quel sound lancinante, forte e tenero, ma anche aggressivo,  è il prototipo del blues elettrico, Buddy Guy è anche un grande entertainer, uno showman con “trucchetti” alla chitarra che qualcosa hanno insegnato anche a Jimi e a tutti gli altri citati, ma è anche un grande tecnico dello strumento e un divulgatore, in grado di suonare il repertorio pure di molti colleghi, contemporanei e non, con cui ha condiviso lunghi tratti di vita.

 

Prendete questo concerto dal vivo, il solito broadcast “ufficiale”, una registrazione del 9 gennaio 1992, dallo Sting, New Britain nel Connecticut, Guy ha appena pubblicato quel Damn Right… citato prima e delizia il pubblico presente e quello sintonizzato alla radio con un concerto dove si apprezzano tutte le sue indubbie qualità: con la sua Stratocaster in overdrive infiamma il pubblico presente con una serie di brani dove gli assolo di chitarra si sprecano, ma anche tutto il contorno blues e rock è di primissima scelta. Il suono è buono, senza essere perfetto, da bootleg, ma di quelli ascoltabili, le canzoni però sono formidabili: un’oretta di musica dove Guy sciorina un repertorio che definire eclettico è quasi fargli un torto, da una Mary Had A Little Lamb, uno dei suoi rari successi per la Chess, a lungo nel repertorio di SRV, e qui in una versione scintillante, con la chitarra che scorre con una fluidità assoluta e quella voce aspra e vissuta che canta il blues come pochi hanno fatto, prima e dopo di lui.

 

A seguire una I Just Wanna Make Love To You che parte funky e diventa una fucilata rock-blues, prima di trasformarsi, sotto la forma di medley (un modo di proporre i brani tipico del Guy performer live) in You Can’t Fool A Fool, con Buddy che fa cantare tutto il pubblico presente, con il brano che diventa quasi jazzato grazie ad un pregevole assolo di piano, senza soluzione di continuità ci troviamo scaraventati nella leggendaria blues ballad I’ll Play The Blues For You, uno degli slow più belli del repertorio di Albert King, dove Guy accarezza con libidine la sua chitarra, per poi lanciarsi in un altro medley memorabile, con il trittico da sogno della ciondolante Everything’s Gonna Be Alright, l’omaggio a B.B. King con accenni di Rock Me Baby e Watch Yourself, poi è la volta del suo “allievo” Jimi Hendrix, con l’intro a tutto wah-wah di Voodoo Chile, che poi diventa l’inchino al “maestro” Muddy Waters di una poderosa Hoochie Coochie Man, un accenno a Cold Shot di Vaughan e poi è la volta di Strange Brew dei Cream di Eric Clapton, proposta in un medley con Mustang Sally, il pezzo di Wilson Pickett, l’unico tratto dall’album in teoria in promozione, con Guy che “addestra” il pubblico e i suoi musicisti come un domatore di tigri, oltre dieci minuti di pura magia sonora che diventano più di 15 minuti in una orgia di R&B e R&R per l’accoppiata mitica di Knock On Wood/Johnny Be Goode. Ma che musica Maestro!

Bruno Conti

Per Il Momento Può Ricominciare Con Lennon E Harrison In Paradiso: E’ Morto George Martin!

george-martin_81_140634c 50th Annual Grammy Awards - Press Room

Il 2016 si dimostra sempre più nefasto: è di questa mattina la notizia della scomparsa a Londra di Sir George Martin (però alla bella età di 90 anni), musicista, compositore, arrangiatore e produttore britannico il cui nome sarà per sempre legato a doppio-triplo filo a quello dei Beatles. Di formazione classica, Martin iniziò negli anni cinquanta come produttore ed arrangiatore per la Parlophone, collaborando più che altro ai cosiddetti comedy albums e a romanzi di narrativa in versione audio con sottofondo musicale: la svolta della sua carriera avvenne nel 1962, quando fu incaricato di produrre Love Me Do, il primo singolo dei Fab Four e il suo autentico battesimo nel mondo del rock’n’roll (anche se in realtà la prima session da lui patrocinata partorì How Do You Do It?, che poi però venne scartata).

Inizialmente il rapporto tra Martin e gli “Scarafaggi” era quasi di diffidenza, talmente lontani erano i mondi da cui provenivano: aristocratico e snob il produttore, proletari e ribelli i quattro ragazzi (addirittura George Martin all’inizio aveva giudicato Ringo Starr musicalmente inadeguato, rimpiazzandolo con Andy White); con il passare degli anni il reciproco rispetto aumentò, fino a non poter fare a meno l’uno degli altri.

Martin ebbe il merito di incoraggiare sempre lo spirito di sperimentazione dei Beatles, senza porre limiti ed interagendo con loro in tutti i modi possibili; di solito non viene considerato un genio della produzione (a differenza per esempio del contemporaneo Phil Spector, che aveva comunque inventato un suono), ma il suo contributo all’opera dei quattro boys di Liverpool è senza dubbio stato determinante: fu lui infatti a convincerli a registrare Please Please Me in versione più veloce (inizialmente era uno slow alla Roy Orbison), ma potrei fare decine di esempi (le sperimentazioni di Tomorrow Never Comes, il nastro al contrario di Rain, la parte orchestrale di Strawberry Fields Forever, fino all’apoteosi dell’album Sgt. Pepper, nel quale il suo contributo può essere quasi equiparato a quello dei quattro ragazzi).

Dopo la separazione dei Beatles nel 1970 (e con la delusione di non essere stato coinvolto in Let It Be, a favore proprio di Spector), George si dedicò alla produzione di una miriade di altri artisti, tra cui gli America, Jeff Beck, Kenny Rogers, Cheap Trick, Celine Dion, Pete Townshend (la trasposizione teatrale di Tommy) ed Elton John (il singolo Candle In The Wind reinciso in memoria di Lady Diana), oltre a comporre colonne sonore e realizzare album di musica classica dedicata a versioni orchestrali dei Beatles e non.

L’unico Scarafaggio con il quale ha collaborato negli anni è stato Paul McCartney, producendogli singoli come Live And Let Die o interi album come Tug Of War o Pipes Of Peace (ristampati di recente nella collana di riedizioni deluxe di Macca).

Come anche in altri recenti necrologi a mia firma, vorrei ricordare Martin con un brano a mia scelta, ed opto per In My Life, il cui assolo di piano, suonato proprio da George, è uno dei miei preferiti di sempre (con il suo “effetto clavicembalo” ottenuto accelerando il nastro, con la performance eseguita a velocità normale).

RIP Sir George.

Marco Verdi

*NDB. Naturalmente molti degli “espertoni” che affollano Twitter lo hanno confuso con George R.R. Martin, lo scrittore americano, autore del ciclo delle Cronache Del Ghiaccio e Del Fuoco e della serie televisiva Games Of Thrones, ma sono gli inconvenienti dell’era tecnologica e digitale, se vuole gli è consentito toccarsi, dicono che porti bene. Spero nel frattempo che il mio omonimo calciatore goda a lungo di buona salute!

Altre Ristampe In Uscita A Marzo. Janis Joplin, Jeff Buckley, Leslie West Mountain, Motortown Revue In Paris, Yardbirds

janis little girl bluejanis little girl blue dvd

 

Tra una recensione e l’altra, ancora qualche anticipazione sulle principali ristampe del mese di marzo, dopo i cofanetti passiamo alle uscite singole (e un paio di doppi). Senza dimenticare che al 25 marzo uscirà anche un album “nuovo” curato dalla famiglia di Jeff Healey Heal My Soul, ma visto che di quello ho già preparato la recensione, poi la leggerete più avanti il mese prossimo. Per il momento partiamo con questa ulteriore antologia dedicata a Janis Joplin, si tratta della colonna sonora sul documentario dedicato alla vita della cantante texana (quelli che parlano bene dicono docufilm, ma il termine è veramente brutto): si intitola Little Girl Blue e ripercorre la breve vita di quella che è stata senz’altro una delle più grandi cantanti rock della storia (forse la più grande), una delle appartenenti al Club 27, scomparsa il 4 ottobre del 1970, L’ultima volta le avevo dedicato un Post in occasione della pubblicazione di questo live “inedito” http://discoclub.myblog.it/2012/01/07/ma-allora-ditelo-big-brother-and-the-holding-company-featuri/ al Carousel Ballroom, ora tocca alla colonna sonora che uscirà il 4 marzo su Sony Legacy, mentre il DVD e il Blu-Ray sono annunciati per il 4 Maggio.

Questo il contenuto, con qualche rarità, ma zero inediti:

1. Careless Love Janis Joplin (from: Janis Early Performances)
2. Down On Me Big Brother & The Holding Company (from: Big Brother & The Holding Company)
3. Women Is Losers Big Brother & The Holding Company) (from: Janis Boxset)
4. Ball And Chain Big Brother & The Holding Company (recorded live at the Monterey Pop Festival June 17, 1967)
5. Piece of My Heart Big Brother & The Holding Company (Live at the Generation Club April 1968, previously unreleased as audio only)
6. Catch Me Daddy Big Brother & The Holding Company (recorded live at the Grande Ballroom, Detroit March 2, 1968; from: Cheap Thrills Expanded Edition)
7. Magic Of Love Big Brother & The Holding Company (recorded live at the Grande Ballroom, Detroit March 2, 1968; from: Cheap Thrills Expanded Edition)
8. Summertime Big Brother & The Holding Company (from: Cheap Thrills)
9. Raise Your Hand Janis Joplin with the Kozmic Blues Band (recorded live in Frankfort, West Germany April 12, 1969; from: Farewell Song)
10. Maybe Janis Joplin (from: I Got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama!)
11. Work Me, Lord Janis Joplin (recorded live at the Woodstock Music & Art Fair August 17, 1969)
12. Trust Me Janis Joplin & The Full Tilt Boogie Band (from: Pearl)
13. Cry Baby Janis Joplin (recorded live in Calgary during the Festival Express Tour July 4, 1970; from: Pearl Expanded Edition)
14. Tell Mama Janis Joplin (recorded live in Calgary during the Festival Express Tour July 4, 1970; from: Pearl Expanded Edition)
15. Get It While You Can Janis Joplin & The Full Tilt Boogie Band (from: Pearl)
16. Me And Bobby McGee Janis Joplin & The Full Tilt Boogie Band (from: Pearl)
17. Little Girl Blue Janis Joplin (from: I Got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama!)

jeff buckley you and I

Sempre parlando di famiglie che si occupano degli archivi musicali dei loro cari, questa volta vengono pubblicate le cosiddette “Addabbo Sessions” una serie di registrazioni considerate come il Sacro Graal del materiale inedito di Jeff Buckley. Escono il giorno 11 marzo su Columbia/Legacy e il contenuto del CD è il seguente:

1. Just Like A Woman (Bob Dylan cover)
2. Everyday People (Sly & The Family Stone cover)
3. Don’t Let The Sun Catch You Cryin’ (Louis Jordan cover)
4. Grace (original)
5. Calling You (Jevetta Steele cover)
6. Dream Of You And I (original)
7. The Boy With The Thorn In His Side (The Smiths cover)
8. Poor Boy Long Way From Home (Bukka White cover)
9. Night Flight (Led Zeppelin cover)
10. I Know It’s Over (The Smiths cover)

leslie west mountain

Leslie West Mountain sarebbe il primo album solista del grande chitarrista newyokese, ma per molti, me compreso, in effetti è il primo album come band. Ora la Repertoire ne (ri)pubblica una nuova versione remastered, con quattro bonus e due singoli, oltre ad un libretto di 16 pagine con le note scritte dallo stesso West. la data di uscita prevista è il 18 marzo:

1. Blood Of The Sun
2. Long Red
3. Better Watch Out
4. Blind Man
5. Baby I’m Down
6. Dreams Of Milk And Honey
7. Storyteller Man
8. This Wheels On Fire
9. Look To The Wild
10. Southbound Train
11. Because You Are My Friend
Bonus Tracks:
12. Dreams Of Milk And Honey
13. This Wheels On Fire
14. Long Red
15. Blood Of The Sun

motortown revue live in paris motortown revue collection box

Della Stax sono uscite in passato varie testimonianze delle cosiddette “Revue”, cioé di quelle carovane di musicisti che giravano il mondo per promuovere dal vivo la musica della loro  etichetta. Anche la Tamla-Motown faceva lo stesso, ma a parte quel cofanetto molto costoso di 4 CD che vedete sopra, pubblicato dalla Hip–o-Select nel 2006 e chi trova ancora a cifre non proibitive, ma certo non per le tasche di tutti, non era mai stata creata una uscita dedicata ad uno spettacolo ad hoc. Ora il gap viene chiuse con l’uscita di questo album doppio Motortown Revue Live In Paris che verrà pubblicato dalla Tamla Uk, quindi Universal, il 25 marzo, al prezzo di un singolo CD o poco più. Con tutta l’esibizione parigina del 1965, compresi 12 brani non usciti nella versione in vinile del tempo. è un cosiddetto “must have”. Basta leggere i nomi e i titoli delle canzoni:

[CD1]
1. Introduction / Motortown Revue In Paris – Harold Kay
2. All For You – Earl Van Dyke Sextet
3. See See Rider – Earl Van Dyke Sextet
4. Too Many Fish In The Sea – Earl Van Dyke Sextet
5. Heat Wave (Including Introduction) – Martha & The Vandellas
6. Wild One – Martha & The Vandellas
7. If I Had A Hammer – Martha & The Vandellas
8. Nowhere To Run – Martha & The Vandellas
9. Dancing In The Street – Martha & The Vandellas
10. Jazz-Blues Instrumental – Stevie Wonder
11. Make Someone Happy – Stevie Wonder
12. High Heel Sneakers – Stevie Wonder
13. Funny (How Time Slips Away) – Stevie Wonder, Clarence Paul
14. Fingertips – Stevie Wonder

[CD2]
1. Introduction / Motortown Revue In Paris – Various Artists
2. All About My Girl – Earl Van Dyke Sextet
3. Too Many Fish In The See (Alt. Version) – Earl Van Dyke Sextet
4. Soul Stomp – Earl Van Dyke & The Soul Brothers
5. Come See About Me – The Supremes
6. Baby Love – The Supremes
7. People – The Supremes
8. Somewhere – The Supremes
9. Stop! In The Name Of Love – The Supremes
10. You’re Nobody ‘Til Somebody Loves You – The Supremes
11. Shake – The Supremes
12. I Gotta Dance To Keep From Crying – The Miracles
13. That’s What Love Is Made Of – The Miracles
14. Wives And Lovers – The Miracles
15. Ooo Baby Baby – The Miracles
16. Come On Do The Jerk – The Miracles
17. Mickey’s Monkey – The Miracles

yardbirds roger the engineer

Altro album che è stato ristampato decine di volte, questa volta esce per l’edizione del 50°, in doppio CD, sempre su Repertoire, e se ve lo siete perso le altre volte sarà il caso di acquistarlo, imperdibile. Si tratta di quello che viene considerato il capolavoro assoluto degli Yardbirds di Jeff Beck (e per usare un eufemismo “anche gli altri non erano male”): conosciuto come Yardbirds ma anche Roger The Engineer era l’unico disco del gruppo nato non come una raccolta di singoli ma come un album compiuto. Questa edizione contiene la versione Mono, quella Stereo e undici bonus tracks, tra cui i tre pezzi in cui suonano insieme Jeff Beck Jimmy Page:

[CD1]
The Mono Album:
1. Lost Woman
2. Over,Under,Sideways,Down
3. The Nazz Are Blue
4. I Can’t Make Your Way
5. Rack My Mind
6. Farewell
7. Hot House Of Omagararshid
8. Jeff’s Boogie
9. He’s Always There
10. Turn Into Earth
11. What Do You Want
12. Ever Since The World Began
Bonus Tracks – The Yardbirds 1966 Mono Recordings:
13. Happenings Ten Years Time Ago
14. Psycho Daisies
15. Stroll On
Bonus Tracks – Keith Relf 1966 Solo Recordings:
16. Mr. Zero
17. Knowing
18. Shapes In My Mind
19. Blue Sands
20. Shapes In My Mind (Alternate Version)

[CD2]
The Stereo Album:
1. Lost Woman
2. Over,Under,Sideways,Down
3. The Nazz Are Blue
4. I Can’t Make Your Way
5. Rack My Mind
6. Farewell
7. Hot House Of Omagararshid
8. Jeff’s Boogie
9. He’s Always There
10. Turn Into Earth
11. What Do You Want
12. Ever Since The World Began
Bonus Tracks – The Yardbirds 1966 Stereo Recordings:
13. He’s Always There (Alternate Version)
14. Turn Into Earth (Alternate Version)
15. I Can’t Make Your Way (Alternate Version)

Esce il 18 marzo.

Anche per oggi that’s all folks, alla prossima!

Bruno Conti

Dal Vivo, Raro E Formidabile! Roy Buchanan – Lonely Nights My Father’s Place 1977

roy buchanan lonely nights

Roy Buchanan – Lonely Nights – My Father’s Place 1977 – Silver Dollar

C’è in giro un bootleg il cui titolo (preso da un documentario del 1971) riassume piuttosto bene la figura di Roy Buchanan: “The World’s Greatest Unknown Guitarist”! E non è vero neppure del tutto, perché comunque Buchanan a 28 anni dal suo suicidio, fu trovato appeso con la propria camicia al collo nel 1988, in una cella di una prigione a Fairfax, Virginia dove era stato rinchiuso per una disputa domestica, dicevo che non è vero, perché Buchanan è stato classificato al n°57 nella classifica di Rolling Stone e al n°46 in quella di Guitar Player, tra i più grandi chitarristi di tutti i tempi, ed è stato, ai tempi, in predicato di sostituire sia Brian Jones che Mick Taylor negli Stones. E non è tutto, tra i suoi discepoli ci sono (o ci sono stati) Gary Moore, Danny Gatton e Jeff Beck, con quest’ultimo che lo considera il più grande in assoluto e gli ha dedicato il brano Cause We’ve Ended As Lovers su Blow By Blow. Tecnicamente e come toni è considerato uno dei migliori (credo che ci sia ancora oggi gente che è rimasta legata alle corde della propria chitarra cercando di riprodurre qualche assolo di Buchanan), un misto di finger e flatpicking, spesso in contemporanea, pedali a profusione (uno dei primi a usare l’Echoplex), al wah-wah tra i pochissimi in grado di replicare, o meglio rivisitare, i soli di Jimi Hendrix, in alcune versione leggendarie di brani del mancino di Seattle https://www.youtube.com/watch?v=FMcjPZgK9GM .

Nella sua discografia, che conta anche due dischi d’oro, a parziale smentita della sua scarsa fama, ci sono parecchi album dal vivo, molti postumi, ma Livestock del 1975 e Live In Japan del 1977 (che Roy considerava il suo migliore di sempre https://www.youtube.com/watch?v=OzJc3gxomec ) sono formidabili, come pure quelli a Austin, Texas https://www.youtube.com/watch?v=DDOIL5OqvYs  e al Rockpalast, ma agli appassionati (e io mi reputo tale, uno dei chitarristi che prediligo in assoluto) fa sempre piacere ascoltare qualche concerto inedito di Buchanan. Il My Father’s Place di Roslyn, New York è sempre stato un locale dove il nostro tornava periodicamente: lo scorso anno la Rockbeat ha pubblicato l’eccellente Shredding The Blues con materiale registrato nel 1978 e nel 1984, ora la Silver Dollar (?!?) pubblica questo broadcast radiofonico registrato il 27 settembre del 1977, informazioni e note zero, solo i titoli dei brani, però qualità sonora eccellente. La formazione dovrebbe essere quella di Loading Zone, il secondo disco della Atlantic, album dove peraltro c’erano anche molti ospiti illustri (Stanley Clarke, Steve Cropper, Narada Michael Walden, Donald “Duck” Dunn, Jan Hammer), ma la sua band live comprendeva Byrd Foster, alla batteria e voce, John Harrison al basso e Malcom Lukens alle tastiere, gli stessi di Live In Japan, con cui questo Lonely Lights ha però in comune solo due brani e tre con Shredding The Blues, quindi s’ha da avere assolutamente, come pure un altro radiofonico del 1973, sempre Live At My Father’s Place https://www.youtube.com/watch?v=tq8MXk4uGd8  (entrambi non di facile reperibilità e relativamente costosi).

roy buchanan live my father's place 1973

Se amate le improvvisazioni alla chitarra elettrica ai limiti dell’impossibile, in questo concerto (e in quasi tutti i dischi di Buchanan) troverete degli esempi scintillanti e quasi al limite delle possibilità tecniche: certo Roy non era una grande cantante (per usare un eufemismo), spesso parlava più che cantare, e comunque Foster, e prima di lui più ancora, Billy Price, erano stati più che adeguati alla bisogna, ma tra i dieci brani di questo album troverete versioni stellari di I’m A Ram, con la chitarra che si arrampica subito verso tonalità impossibili, una inconsueta Honky Tonk che illustra il lato R&R del nostro, con il blues la sua grande passione, ben esemplificato da uno slow micidiale come Since You’ve Been Gone, grande tecnica e feeling allo stato puro (non so dirvi chi suona l’armonica), Further On Up The Road è una delle migliori versioni di questo classico che mai vi capiterà di ascoltare e in Delta Road Buchanan rilascia una serie di soli come non si sentivano dai tempi di Hendrix quando suonava il blues. Altro tuffo nel R&R con una versione ferocissima di Slow Down di Larry Williams (sì, quella che facevano anche i Beatles, non tra le loro cose più memorabili, come rimarca giustamente Ian MacDonald sul suo libro imperdibile dedicato ai quattro di Liverpool),seguita da I’m Evil uno dei suoi capolavori assoluti, improvvisazione chitarristica allo stato puro, mentre Lonely Nights è la sua particolare versione del country, dolce ma irto di spine nelle svisate della solista. E non è finita, c’è pure una versione di Green Onions, che è più bella di quella di Booker T & Mg’s, forse la migliore in assoluto di sempre e per concludere, The Messiah Will Come Again, il brano che ha esercitato l’influenza più profonda su Jeff Beck, un capolavoro di volumi e toni, da manuale della chitarra elettrica https://www.youtube.com/watch?v=deeBQZ8Aklc . Come tutto questo concerto!

Bruno Conti