“Finalmente” Un Cofanetto Dal Vivo Dei Dead! Grateful Dead – Fare Thee Well: Chicago, IL, Soldier Field

grateful dead fare thee well complete

Grateful Dead – Fare Thee Well: Chicago, IL, Soldier Field – Warner/Rhino 2 CD (Best Of) – 2 DVD – 2 BluRay – 3 CD + 2 DVD – 3 CD + 2 BluRay – Super Deluxe 12CD/7DVD – 12CD/7BluRay

Il titolo del post è volutamente sarcastico, dato che per l’anno della celebrazione dei 50 anni di attività dei Grateful Dead  (anche se negli ultimi 20 si sono più che altro occupati dei loro archivi), pensavo che sarebbe bastato (e avanzato) il box di 80CD 30 Trips Around The Sun http://discoclub.myblog.it/2015/09/28/anteprima-mondiale-meno-male-che-gli-anni-trenta-grateful-dead-30-trips-around-the-sun/ , o la sua versione ridotta a 4CD, ma come potevano esimersi i membri superstiti (quindi senza il leggendario leader Jerry Garcia e tutti i tastieristi della loro storia – anni fa, giuro, ho letto una classifica delle cause di morte più comuni tra musicisti rock, ed una di esse era ‘essere tastieristi dei Grateful Dead’) dal pubblicare ufficialmente un resoconto dei loro concerti d’addio di quest’estate? Cinque spettacoli tutti esauriti, due a Santa Clara ed i tre finali al Soldier’s Field di Chicago (dove nel 1995 tennero il loro ultimo show prima del ricovero e della susseguente morte di Garcia), e proprio queste tre serate sono oggetto di questo Fare Thee Well, pubblicato in vari formati: un CD doppio che raccoglie il meglio di tutti i tre concerti, un box triplo (più due DVD o BluRay, che escono anche da soli) con la serata finale, e la solita versione monstre limitata e numerata con i tre show completi su 12CD e 7DVD (o BluRay), con le immagini che comprendono anche i dietro le quinte e la parte audio che aggiunge 3 CD dei Circles Around The Sun (la nuova band di Neal Casal) con le loro improvvisazioni di rock psichedelico suonate negli intervalli (saranno anche bravi, ma forse tre dischetti interi sono anche troppi), il cui meglio è uscito anche a parte su doppio CD con il titolo Interludes For The Dead.

neal casal interludes

Ma veniamo ai nostri: Bob Weir, Phil Lesh, Mickey Hart e Bill Kreutzmann, con l’aggiunta alle tastiere di Jeff Chimenti e Bruce Hornsby (il quale nel biennio 1990-1991 suonò diverse date coi Dead) e soprattutto con Trey Anastasio al posto di Garcia (scelta più che logica, il leader dei Phish è sempre stato un deadiano di ferro, e secondo me può essere l’erede naturale di Jerry) hanno fatto le cose in grande, celebrando il loro passato davanti ad un pubblico immenso, che forse neppure si aspettavano, una gigantesca festa in musica che ha permesso ala band di uscire di scena in grande stile (anche se poi secondo me hanno rovinato un po’ le cose continuando in autunno con altre date come Dead & Company insieme a John Mayer).(NDM: so che Tom Constanten e Donna Godchaux sono stati due membri che poco hanno inciso nella storia dei Dead, ma visto che sono entrambi in vita una ospitata come special guests in un paio di canzoni sarebbe stata una cosa carina).

grateful dead fare thee well 3 cd + 2 dvd

Cinquant’anni (o forse è meglio dire trenta) di grande musica in tre serate, anche se però sono costretto a far notare qualche magagna, principalmente tre. La prima è il suono, più che buono, ma che secondo me poteva essere molto meglio, dato che ho ancora nelle orecchie gli ultimi live di Eric Clapton e Who incisi meravigliosamente; in seconda battuta le scalette: so benissimo che ognuno ha la sua setlist preferita (personalmente io adoro Brown Eyed Women, Mississippi Half-Step Uptown Toodeloo, Alabama Getaway e Black Muddy River, e chiaramente a Chicago non ne hanno suonata mezza – ma le prime tre a Santa Clara sì), ma trovo inconcepibile che non si sia trovato posto in nessuna delle tre serate né per Dark Star, la signature song dei Dead, né per Uncle John’s Band, cioè quella che quasi all’unanimità viene considerata la loro canzone più bella, e che sarebbe stata perfetta per chiudere la serata finale al posto dell’anonima Attics Of My Life, inserendo però brani minori come Passenger, Lost Sailor, Saint Of Circumstance, la soporifera Stella Blue (so che ha molti estimatori, ma io l’ho sempre trovata di una noia mortale), Days Between o, in ogni show, il binomio Drums/Space che ho sempre considerato uno spreco di minutaggio.

Ma la magagna più seria a mio giudizio è la qualità complessiva della performance, troppo discontinua e che, soprattutto nella prima serata, mostra la ruggine accumulatasi sugli ex membri del gruppo in vent’anni di inattività (almeno come Dead), con performance vocali di Weir e Lesh di molto sotto la media (specie il secondo, che non è mai stato un cantante) ed i due batteristi che vanno spesso fuori tempo: i tre show comunque mostrano un deciso crescendo, dato che la seconda serata inizia maluccio ma si tira su su quasi subito, e nella terza fila tutto abbastanza liscio, con molti momenti di eccellenza che ricordano il periodo d’oro. Il merito della riuscita complessiva va sicuramente attribuita anche ai tre membri aggiunti (Hornsby ed Anastasio sono anche due cantanti migliori, ma non hanno tutto lo spazio vocale che meriterebbero, probabilmente a causa della loro non appartenenza alla band storica), che anche nei momenti più difficili della prima serata si caricano sulle spalle la responsabilità di dare un senso alla performance.

grateful dead fare thee well 2 dvd

Serata 1 – 3 Luglio: iniziare con la pur bella Box Of Rain forse non è la scelta migliore, dato che in cinquant’anni Lesh non ha mai imparato a cantare, ma il concerto si raddrizza subito con una solida Jack Straw e con la bellissima Bertha, solitamente scintillante ma stasera appena sufficiente, con Anastasio che si barcamena come può, abituato com’è alla precisione dei Phish. Dopo una trascurabile Passenger abbiamo una liquidissima The Wheel (anche se non tutto è perfetto), seguita da una Crazy Fingers che vede i Dead un po’ confusi e sfasati. Tra i pochi highlights ci sono la sempre solare Scarlet Begonias e la rara (e qui plaudo alla scelta) Mason’s Children, che purtroppo viene affidata alla voce monocorde e stonata di Lesh. Il medley Help On The Way/Slipknot!/Franklin’s Tower, una delle cose più belle dei Dead, ed una toccante Ripple cantata a più voci (questa sì eseguita come Dio comanda) chiudono in crescendo un concerto tutto sommato mediocre.

Serata 2 – 4 Luglio: anche qui si comincia maluccio con una versione approssimativa e troppo lunga di Shakedown Street (un brano che non ho mai amato), per di più cantata malissimo da Weir, seguita da Liberty che non è certo uno dei pezzi più riusciti del binomio Garcia-Hunter. Ma già con la terza canzone, Standing On The Moon, ben cantata da Trey, la serata si alza di livello: le cose migliori sono la splendida Tennessee Jed, dove Weir, Hornsby ed Anastasio si alternano alla voce solista, una Little Red Rooster ben suonata (anche se il blues non è molto nelle loro corde), la vivace Deal, anche se ne ho sentite di molto migliori quando c’era Garcia, una Bird Song liquida al punto giusto (finalmente!), la solida e vibrante West L.A. Fadeaway e la sempre gradevole Foolish Heart, con un grande Anastasio.

Serata 3 – 5 Luglio: lo show finale è nettamente il migliore dei tre, un po’ per la presenza di vari classici assodati del gruppo (l’uno-due iniziale China Cat Sunflower e I Know You Rider, la splendida Althea, una delle mie preferite, la coinvolgente Truckin’ e la sontuosa Terrapin Station), ma soprattutto per la qualità della performance, finalmente degna del passato della band. Built To Last non la ricordavo così bella, Throwing Stones è uno dei brani più diretti di Weir, mentre, subito dopo una trascinante Not Fade Away (il classico di Buddy Holly è ormai in tutto e per tutto un classico dei Dead), la serata si chiude con l’inno Touch Of Grey, una delle canzoni più belle di Garcia, e con la già citata Attics Of My Life, carina ma poco adatta a mio parere a dare l’addio definitivo.

In conclusione un box altalenante, che presenta un gruppo parecchio incerto all’inizio ma finalmente padrone della situazione nella serata finale (che consiglio a chi non vuole accaparrarsi il super box da 12 CD), ma che conferma ciò che avevo sempre pensato, e cioè che i Grateful Dead con Jerry Garcia erano una delle migliori band di sempre, mentre senza di lui sono poco più di un gruppo di ottimi mestieranti.

Marco Verdi