Una Gran Bella Compilation Ma…Che Razza Di Anniversario E’ Il Ventunesimo? VV.AA. – Appleseed’s 21st Anniversary: Roots And Branches

appleseed's 21st anniversary

VV.AA. – Appleseed’s 21st Anniversary: Roots And Branches – Appleseed 3CD

La Appleseed è una casa discografica fondata nel 1997 da Jim Musselman, un avvocato attivista ed appassionato di musica folk, che aveva l’ambizione di creare un’etichetta che si ispirasse all’età d’oro del cosiddetto folk di protesta, in auge in America negli anni cinquanta e sessanta, e a gloriose label del passato come la Smithsonian Folkways, con l’intento di creare un roster di artisti di spiccata rettitudine morale e con un debole per le cause umanitarie, oltre che per il recupero di canzoni popolari del passato. E Musselman ha visto in breve tempo realizzarsi il suo sogno, dato che negli anni hanno inciso per la Appleseed, tra i tanti, vere e proprie leggende del folk come Pete Seeger e Ramblin’ Jack Elliott, o comunque grandi artisti come Tom Paxton, Tom Rush, Eric Andersen e John Stewart, ed è riuscito a coinvolgere nei vari progetti (come i tre tributi a Seeger o l’album benefico per i senzatetto Give Us Your Poor) anche musicisti non affiliati all’etichetta ma sensibili a certe cause, come Bruce Springsteen e Jackson Browne. Già nel 2007 era uscita una compilation, Sowing The Seeds, che riepilogava il meglio dei primi dieci anni della label, ma ora con questo Roots And Branches Musselman ha fatto le cose in grande, celebrando il ventunesimo anniversario (scelta che in realtà capisco poco, l’unica cosa che mi viene in mente è che in America i 21 anni sono la maggiore età) con uno splendido triplo album, che raccoglie il meglio della Appleseed, appunto nel periodo trattato, mettendo in fila una bella serie di brani comunque rari (sfido infatti chiunque ad averli tutti) ed aggiungendo ben nove canzoni nuove di zecca, tra inediti e pezzi incisi apposta per il progetto.

I tre dischetti sono divisi per vari temi: Let Truth Be Told, che riunisce canzoni di denuncia sociale, The Wisdom Keepers, con artisti di spiccato carisma ed importanza, e Keeping The Songs Alive, che comprende brani della tradizione. Vorrei soffermarmi nel dettaglio sui nove inediti, che iniziano proprio con Bruce Springsteen che propone una intensa versione del classico di Seeger If I Had A Hammer (la presenza di Pete aleggia costante in questo triplo, sia come artista che come autore), molto folk e piuttosto lontana dal brano allegro che conosciamo: inizio lento e quasi drammatico, poi il ritmo prende corpo e gli strumenti si intrecciano abilmente, con un dominio di chitarre, banjo, violino e fisarmonica (Bruce usa musicisti insoliti per lui, con l’eccezione di Charlie Giordano, Soozie Tyrell, e della moglie Patti Scialfa), tanto che, per stare in tema, sembra un pezzo tratto dalle Seeger Sessions. L’amico del Boss Tom Morello si cimenta con una rilettura folk-rock di Dirty Deeds Done Dirt Cheap degli AC/DC, scelta strana anche se bisogna dire che del brano originale non è rimasto molto: versione discreta, ma non indispensabile, anche perché Morello come cantante non è il massimo. Bravissimo invece l’attore Tim Robbins con una strepitosa Well May The World Go (ancora di Seeger), arrangiata in puro stile Irish folk: gran ritmo, melodia squisitamente tradizionale e feeling enorme, sembrano quasi i Pogues. Splendida anche Across The Border, canzone di Springsteen (era una delle più belle su The Ghost Of Tom Joad) affidata alla voce di Tom Russell, un altro che più invecchia e più migliora: il brano, registrato insieme a Jono Manson ed alla fisa di Max Baca, sembra proprio scritto da Tom, ha il suo passo ed anche le sue tematiche.

Wesley Stace in arte John Wesley Harding rifà una sua vecchia canzone, Scared Of Guns (con un reading da parte della figlia), un pezzo molto elettrico e dal ritmo sostenuto, cantato con voce “costelliana”; Anne Hills ci delizia con una versione pura e cristallina del classico di Bert Jansch Needle Of Death, riuscendo ad emozionare con due strumenti in croce, ed anche Donovan non è da meno con una rilettura ricca di pathos della nota ballata di origini irlandesi Wild Mountain Thyme, incisa insieme a due leggende come Danny Thompson, ex bassista dei Pentangle, e lo straordinario drummer Jim Keltner. Gli ultimi inediti sono di due artisti che non sono più tra noi: Jesse Winchester commuove con Get It Right One Day, gentile e stupenda ballata nel suo tipico stile garbato (era incompleta, l’ha terminata Mac McAnally), mentre There Is Love ci fa risentire la voce del grande John Stewart, per un brano con un’intensità da brividi. Il resto del triplo è quindi composto da brani già editi, ma risentiamo (ed in alcuni casi sentiamo per la prima volta, dato che è difficile possedere il catalogo completo della Appleseed) con grande piacere collaborazioni come una meravigliosa versione dell’inno pacifista Bring Them Home ad opera di Pete Seeger, Billy Bragg, Anne Hills, Ani DiFranco e Steve Earle, un reggae decisamente orecchiabile come Kisses Sweeter Than Wine, che vede Jackson Browne duettare con Bonnie Raitt, la poco nota Stepstone di Woody Guthrie, un brano folk di straordinaria intensità che vede un quartetto formato da Joel Rafael, ancora Browne, Jimmy LaFave ed Arlo Guthrie, ed una spettacolare Bring It With You When You Come con David Bromberg e Levon Helm.

Poi, ovviamente, altre grandi canzoni come Give Me Back My Country, splendido country-rock, limpido e solare, ad opera dei Kennedys, o ancora Tom Morello che stavolta ci regala una versione corale e deliziosa dell’inno americano non ufficiale, cioè This Land Is Your Land, o di nuovo Springsteen con il superclassico folk We Shall Overcome, diversa da quella finita sulle Seeger Sessions. Il redivivo Al Stewart ci delizia con la scintillante folk song Katherine Of Oregon, bellissima, la Angel Band con la travolgente Jump Back To The Ditch, tra folk e gospel, Tom Rush con la squisita What I Know (che classe), Lizzy West And The White Buffalo con l’altrettanto bella Portrait Of An Artist As A Young Woman. Infine, non mancano emozionanti riletture di traditionals e brani di dominio pubblico, vere e proprie gemme tra le quali non posso non ricordare The Water Is Wide (John Gorka), Rovin’ Gambler (Ramblin’ Jack Elliott), John Riley (Roger McGuinn con Judy Collins), fino ad una fulgida Where Have All The Flowers Gone, tra le più belle folk songs di sempre, da parte di Tommy Sands, Dolores Keane e Vedran Smailovic. Una collezione preziosa quindi, sia dal punto di vista artistico che culturale, e perfetto regalo natalizio per qualsiasi appassionato di musica folk.

Marco Verdi

Questa Volta Non Si Scherza, Bentornati A Bordo. The Nighthawks – All You Gotta Do

nighthawks all you gotta do

The Nighthawks – All You Gotta Do – EllerSoul

Imperterriti, più o meno una volta all’anno (anche se lo scorso anno avevano “bigiato”), tornano i Nighthawks, dalla loro base di Richmond, Virginia, tramite la piccola etichetta EllerSoul, continuano a sfornare piacevoli album di blues (con innesti, rock, soul e R&B) e anche se non hanno più il vigore delle loro prove migliori degli anni ’70, quando sotto la doppia guida di Jimmy Thackery e Mark Wenner, erano una delle più eccitanti formazioni di blues-rock del panorama americano, comunque non deludono gli appassionati. Thackery non suona con loro ormai da diverso tempo (facciamo 31 anni) e quei livelli ormai sono forse solo un bel ricordo, ma la band, come si dice negli States, è “still alive and well”, anche se, se mi passate un ardito gioco di parole, quella sorta di esperimento unplugged del 2015, Back Porch Party, non era poi troppo viv(ace), specie considerando che ne avevano già fatto un altro pure nel 2009. Questa volta la spina è riattaccata e il suono è più brillante, gagliardo a tratti: come dimostra subito That’s All You Gotta Do, un poderoso blues-rock dal repertorio di Jerry Reed, con Wenner, pimpante ad armonica e voce, Paul Bell  a tutto riff e Johnny Castle e Mark Stutso, che pompano di gusto su basso e batteria, e tutta la band che mette a frutto, quel lavoro vocale corale che hanno messo a punto negli ultimi anni e dà alle canzoni una patina rock gioiosa e frizzante.

Se c’è da suonare il blues comunque non si tirano mai indietro, come in una piacevole When I Go Away, scritta da Larry Campbell per i Dixie Hummingbirds, quindi anche con un deciso retrogusto gospel, o più “rigorosi” in una brillante e scandita Baby, I Want To Be Loved dal songbook di Willie Dixon, con Mark Wenner che soffia a fondo nella sua armonica. Let’s Burn Down The Cornfield di Randy Newman diventa un minaccioso blues a tutta slide, con Paul Bell che lavora di fino con il bottleneck con risultati eccellenti. Anche quando fanno da sé, come in Another Day, scritta e cantata da Johnny Castle, o in VooDoo Doll, dalla penna di Stutso, un’aura tra rock e R&B bianco alla Blood, Sweat And Tears, si respira nei rispettivi brani, con risultati che sembravano perduti da tempo. Ninety Nine di Sonny Boy Williamson permette a Mark Wenner di dimostrare nuovamente perché è tuttora considerato uno dei migliori armonicisti bianchi.

Pure Three Times A Fool, una bella ballata soul dell’accoppiata Nardini e Stutso, certifica della ritrovata vena dei Nighthawks, poi ribadita nell’eccellente cover di Isn’t That So di Jesse Winchester, un altro ottimo brano che aggiunge anche uno spirito swamp, quasi alla Tony Joe White o alla Creedence, grazie alla chitarra “riverberata” di Paul Bell. E la cover di Snake Drive di R.L. Burnside, con un micidiale call and response tra l’armonica di Wenner e la slide di Bell, è ancora meglio, veramente fantastica. Blues For Brother John, uno strumentale scritto da Mark Wenner, ha forti agganci con Spoonful e altri classici delle 12 battute, ma nel blues è sana usanza “prendere in prestito”, di solito non si offende nessuno. E come ciliegina sulla torta di un album che è il loro migliore da “illo tempore”, per concludere una versione sparatissima di Dirty Waters degli Standells, che sembra uscire da qualche vecchio vinile degli Stones o degli Yardbirds, pure citati a colpi di riff classici nella parte strumentale. Peccato si fatichi a trovare il CD, ma questa volta ne varrebbe la pena: bentornati “Falchi della Notte”!

Bruno Conti

Un Bel Concerto Dalle Plurime Edizioni Per Un “Gentiluomo” Che Non C’è Più! Jesse Winchester – Defying Gravity Studio Six Montreal, 1976

jesse winchester defying gravity studio 6 montreal, 1976jesse winchester seems like only yesterday

Jesse Winchester – Defying Gravity Studi Six Montreal 1976 – CD Echoes

*NDB Prima di addentrarci nella recensione una breve precisazione sul titolo del Post: lo stesso concerto, identico, ma con un altro titolo, Seems Like Only Yesterday è uscito anche negli States a “livello ufficiale”, per la Real Gone Music. prendete quello che trovate!

James Rideout “Jesse” Winchester è stato veramente un gentiluomo di altri tempi, un cantautore che avrebbe potuto avere un grande successo nell’era dorata di quel tipo di musica, ma che per le sue idee politiche in piena epoca della guerra in Vietnam si era rifugiato in Canada per sfuggire alla chiamata alle armi. Canada dove Winchester rimase in esilio fino al 1977, quando l’amnistia di Jimmy Carter per i renitenti alla leva gli consentì di rientrare negli Stati Uniti. Ma in quegli anni fervidi, tra il 1970 e il 1976, Winchester realizzò una serie di album splendidi per la Bearsville, l’etichetta fondata da Albert Grossman, il manager di Dylan e della Band, nel primo omonimo dei quali erano presenti sia Robbie Robertson che Levon Helm, il chitarrista della Band anche co-autore di un brano e produttore del disco, con Todd Rundgren ingegnere del suono. Quel disco, sentito ancora oggi è un mezzo capolavoro (a tratti sembra di sentire i Little Feat prima del loro tempo https://www.youtube.com/watch?v=hNGrSREm4YU e comprende la canzone più celebre del suo repertorio, Brand New Tennesse Waltz, con un verso stupendo che recita “I’ve a sadness too sad to be true”, su una musica magnifica. Ma il nostro ha scritto tantissime altre canzoni memorabili nella sua carriera, conclusa con un album ottimo, A Reasonable Amount of Trouble, pubblicato postumo nel 2014, pochi mesi dopo la sua morte avvenuta in aprile, per un cancro all’esofago che lo aveva tormentato negli ultimi anni della sua esistenza.

Ricordo ancora la sua splendida esibizione nello Spectacle di Elvis Costello, una serata magica dove erano presenti Ron Sexsmith, Sheryl Crow e Neko Case, con l’immagine stupenda di quest’ultima con delle lacrime silenziose che le scorrono sul viso, mentre Jesse Winchester esegue una struggente  “Sham-A-Ling-Dong-Ding”, e anche Costello e il resto del pubblico non erano meno emozionati, se non la conoscete andate a vedervi il video su YouTube, oppure guardate qui sopra e non potrete evitare di commuovervi.

Ma questo Live del 1976, perché di concerto radiofonico si tratta, lo ritrae nel pieno del suo fulgore artistico, una serata che è una primizia, Jesse è ancora in Canada, a Montreal, ma lo show viene trasmesso in contemporanea anche negli Stati Uniti, la prima volta nella storia, con una presentazione bilingue, anche in francese, e una esibizione notevole (e ben registrata), dove Winchester, accompagnato da un quartetto, dove la stella è il suonatore di pedal steel, Ron Dann, presente anche nell’album di quell’anno Let The Rough Side Drag, come pure in dischi di altri grandi canadesi come David Wiffen, Ian Tyson e Murray McLauchlan, ma anche l’altro chitarrista, Bob Cohen, era un ottimo musicista. Jesse Winchester era molto legato al Canada (dove aveva vissuto per lunghi periodi della sua vita, prima di tornare negli USA, in Virginia nel 2002) e quindi inizia la serata con un omaggio alla sua terra di adozione con una versione in francese di Let The Good Times Roll, per l’occasione Laisse Les Bons Temps Rouler, che sembra un pezzo di Zachary Richard prima del suo tempo.

Silly Heart, un’altra delle sue bellissime e malinconiche ballate, viene da Third Down, 110 To Go, il suo secondo eccellente album con un titolo mutuato dal football americano https://www.youtube.com/watch?v=K6djDoCx0TE , la voce di Winchester, calda ed avvolgente, è al top della sua espressività, pensate ad un Lyle Lovett ante litteram, partecipe delle storie dei personaggi delle sue canzoni. Tell Me Why You Like Roosevelt è un vecchio spiritual tradizionale, con delicati intrecci vocali e strumentali dell’ottima band che accompagna Winchester. Bowling Green è un brano del ’67 degli Everly Brothers, deliziosa (l’ha incisa anche, toh, Neko Case), con una pedal steel avvolgente, seguita da una versione assai mossa di Midnight Bus e dalla bluesata Everybody Knows But Me, sull’album del 1976, prima di lanciarsi nel più bel pezzo country scritto da un autore che country non era, anche se aveva vissuto a lungo a Memphis, pur essendo nato in Louisiana, stiamo parlando di The Brand New Tennessee Waltz, e qui la pedal steel è perfetta.

Ancora quasi country per Let The Rough Side Drag, con Winchester al piano e poi una ballata splendida come Defying Gravity, e pure All Of Your Stories, altro brano pianistico, in quanto a fascino non scherza. Seems Like Only Yesterday è un brillante country-rock, mentre si ritorna alle ballate acustiche malinconiche con Mississippi You’re On My Mind e ad un brano di grande atmosfera come Black Dog, poi lo swing-blues à la Bromberg di Twigs And Seeds. Ancora blues elettrico per Isn’t That So, che precede la bellissima Yankee Lady dal primo album, prima di avviarsi alla conclusione con You Can’t Stand Up Alone, a cappella. Il bis è una delicata e quasi jazzata Blow On Chilly Wind, altro brano che conferma la classe di questo splendido autore ed interprete.

Bruno Conti

Un “Eroe Non Celebrato”! Albert Lee – Highwayman

Albert Lee Highwayman

Albert Lee – Highwayman – Palm Bridge 

Albert Lee è uno di quei rari personaggi che si è soliti definire “unsung heroes” (l’italiano “eroi non celebrati” è forse troppo epico): spesso confuso con il quasi omonimo Alvin Lee “Ah, ma è quello dei Ten Years After”! Però a ben guardare il nostro è già in azione dai primi anni ’60, all’inizio nella band R&B dei Thunderbirds che accompagnava il giovane Chris Farlowe (e dove verrà sostituito da Richie Blackmore, che ne ha più volte magnificato le doti, e se guardate bene, nella versione in studio di Gemini Suite di Jon Lord, c’era proprio Lee alla chitarra). Nello stesso periodo forma gli Heads, Hands & Feet, una grandissima band country-rock che era la risposta europea ai Flying Burrito Brothers e alla Nitty Gritty (purtroppo, o per fortuna, gli anni passano, fate voi, li ho anche visti dal vivo ai tempi, fantastici), poi si trasferisce negli USA, dove suona prima con i Crickets e in seguito nella Hot Band di Emmylou Harris, sostituendo James Burton (uno dei suoi eroi musicali, con cui recentemente ha registrato un disco live di cui vi ho parlato su queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/2015/06/02/piccolo-ripasso-nella-storia-della-chitarra-elettrica-james-burton-albert-lee-amos-garrett-david-wilcox-guitar-heroes-making-history/); dal 1978 e per cinque anni entra nella band di Eric Clapton, con cui registra anche Just One Night, il doppio dal vivo in Giappone e Money & Cigarettes, dove c’è pure Ry Cooder. Nello stesso anno, 1983, diventa il chitarrista ufficiale nella reunion degli Everly Brothers (andatevi a sentire il bellissimo doppio dal vivo registrato quell’anno), con  i quali rimarrà per oltre 20 anni, alternando quel lavoro con la sua carriera come solista (il primo album Hiding, è solo del 1979) e come leader degli Hogan’s Heroes, un gruppo dalla formazione fluttuante, tutt’ora in attività.

Quindi stiamo parlando di uno dei chitarristi più stimati dai colleghi, conosciuto a livello di culto dagli amanti della buona musica, un vero virtuoso dello stile fingerpicking e flatpicking elettrico, famoso soprattutto per una canzone, la fantastica Country Boy https://www.youtube.com/watch?v=GGEtrEYklzo , anche se la lista delle sue partecipazioni è quasi infinita, soprattutto in ambito country-rock, rockabilly e dintorni, pur se il nostro è in grado di eccellere, nel suo modo discreto e mai invadente, in qualsiasi tipo di musica, il perfetto gregario di lusso. Ma a 70 anni passati Albert Lee decide inaspettatamente di registrare un album tutto acustico in solitaria (salvo pochi brani), questo Highwayman, dove il chitarrista inglese rivisita alcuni dei brani più celebri in cui ha suonato, insieme ad alcune delle sue canzoni preferite. Il risultato, manco a dirlo, è buono, anche se forse non memorabile: Lee è un buon cantante, in possesso di una voce gentile e suadente, ben intonata, ma come ce ne sono tante, si districa bene anche al piano e, ovviamente, è anche un buon chitarrista acustico. Quindi un disco di ballate, canzoni folk e country, brani celebri e meno noti: Bye Bye Love, è quel capolavoro assoluto degli Everly Brothers che ha spinto Simon & Garfunkel a darsi alla musica, qui in una bella versione, con la partecipazione di Mike Berry alla seconda voce e chitarra, il brano lo richiede, e devo dire che Albert si dimostra in ottima forma vocale. Dimming Of The Day per molti è il capolavoro assoluto di Richard Thompson, una canzone di stampo folk, meravigliosa, cantata quasi alla Christy Moore (o alla Luka Bloom se preferite, sempre in quella famiglia siamo), con le ottime armonie vocali di Freddy Schloemer che la rendono ancora più affascinante.

Hey Doll Baby è un altro brano minore degli Everly Brothers, mentre The Highwayman è la celeberrima canzone di Jimmy Webb, resa famosa da quei quattro signori (Cash, Jennings, KristoffersonNelson https://www.youtube.com/watch?v=hi94mMed6EQ ) l’unico brano dove appaiono anche tastiere, batteria e archi per una versione sorprendentemente complessa ed affascinante con Albert Lee che si rivela anche fluente pianista. Skip Rope Song è un altro gioiellino pianistico dal repertorio di Jesse Winchester, con una atmosfera che ricorda il primo Elton John, anche per gli arrangiamenti orchestrali del produttore e factotum Steve Mann. Like Strangers e Sleepless Nights vengono dalla famiglia Felice Boudleaux Bryant, grandi autori, altri esempi di country-folk vocale d’autore. Till I Gain Control Again è quella bellissima canzone scritta da Rodney Crowell per Emmylou Harris, e Albert suonava nella versione originale, qui trasformata in una ballata pianistica, mentre Keep a Knockin’ è il capolavoro R&R di Little Richard, una rara occasione per ascoltare il virtuosismo all’acustica di Albert che eccelle anche in Eighteen Yellow Roses di Bobby Darin, e poi rende omaggio a Buddy Holly in una deliziosa Well Alright. Per concludere un album piacevolissimo, e in fondo, per certi versi, sorprendente, una ultima ballata pianistica scritta da Glenn Campbell, A Better Place.

Bruno Conti

Il Ritorno (E Forse Commiato) Di Un Grande! Donnie Fritts – Oh My Goodness

donnie fritts oh my goodness

Donnie Fritts – Oh My Goodness – Single Lock CD

Donnie Fritts, ultrasettantenne musicista dell’Alabama, è un pezzo di storia della musica. Sessionman, tastierista, autore, Fritts è stato, dalla fine degli anni sessanta in poi, tra i maggiori responsabili del mitico Muscle Shoals Sound, dal nome dei famosi studi di Sheffield (Alabama) dai quali è passata la crema del rock americano e non, insieme a luminari del calibro di Dan Penn, Billy Sherrill, David Briggs, Robert Putnam, Jerry Wexler, Spooner Oldham, Tony Joe White, David Hood e Barry Beckett, solo per citare i più noti, un suono caldo con marcati elementi soul ed un grande uso dell’organo, con variazioni talvolta funky, talvolta quasi country, sound che all’epoca diventò un vero marchio di fabbrica. Come pianista ed organista il suo nome è legato a doppio filo a quello di Kris Kristofferson, per il quale ha suonato per circa quarant’anni, mentre come autore ha scritto, da solo o in coppia con altri, alcuni brani diventati dei veri e propri classici, tra cui Adios Amigos (Arthur Alexander), Breakfast In Bed (Dusty Springfield) e soprattutto, insieme a Troy Seals (un’altra mezza leggenda), We Had It All, incisa per primo da Waylon Jennings ma in seguito anche da gente come Ray Charles, Willie Nelson, Rolling Stones (è nella ristampa deluxe di Some Girls https://www.youtube.com/watch?v=4mJ6aZ3Bj7c ), Rod Stewart e Dolly Parton, oltre ad essere stata suonata dal vivo per una trentina di volte da Bob Dylan durante la sua tournée con Tom Petty negli anni ottanta.

Fritts non ha inciso molto a suo nome, solo tre dischi in quaranta anni (Prone To Lean nel 1974, l’ottimo Everybody’s Got A Song nel 1997, con ospiti del calibro di John Prine, Willie Nelson, Waylon, Kristofferson, Tony Joe White e Delbert McClinton, e One Foot In The Groove nel 2008), e pertanto questo nuovissimo Oh My Goodness, uscito un po’ a sorpresa, è da considerarsi un piccolo evento, impreziosito dal fatto che il disco risulta decisamente buono. Donnie ha prodotto l’album insieme al tastierista Ben Tanner ed a John Paul White, ex dei Civil Wars https://www.youtube.com/watch?v=GYBaUU34iy4 , il quale ha fatto un lavoro eccelso, mettendo la voce di Fritts (non perfetta, ma particolare e comunicativa sì) al centro di tutto, e rivestendola con pochi e selezionati strumenti, lasciando uscire quindi l’essenza delle canzoni. Un disco composto per lo più da ballate, arrangiate in maniera semplice e classica, e che mette spesso da parte l’elemento sudista (sempre comunque presente) in favore di un’atmosfera più intimista, risultando certamente tra i lavori di Donnie quello più personale (i brani sono quasi tutti scritti da lui, alcuni decenni fa e alcuni oggi, ma c’è spazio anche per qualche selezionata cover).

Anche gli ospiti speciali (e ce ne sono: John Prine, Brittany Howard degli Alabama Shakes, le Secret Sisters, ovvero Laura e Lydia Rogers, Jason Isbell ed il chitarrista Reggie Young) non si prendono mai il centro della scena, ma si mettono a completa disposizione delle canzoni, rendendo il giusto omaggio ad un musicista d’altri tempi. L’album si apre con Errol Flynn, una canzone poco nota di Amanda McBroom, una toccante ballata dall’arrangiamento spoglio ma di grande effetto, solo un wurlitzer, la chitarra acustica, qualche fiato e la voce vissuta di Donnie https://www.youtube.com/watch?v=4Fj5NXCQJy0 . La splendida If It’s Really Gotta Be This Way, di Donnie e Arthur Alexander https://www.youtube.com/watch?v=4ELdcxo9Px0 , rivive in questa nuova versione, con la melodia eccellente che spicca in mezzo ad un arrangiamento di grande impatto emotivo, con un bel quartetto d’archi che aggiunge il giusto pathos. Memphis Women And Chicken è un noto brano di Fritts e Dan Penn, e qui il caldo suono dell’Alabama fa finalmente la sua comparsa, un country-blues elettrico dal timbro decisamente sudista e con la chitarra “paludosa” di Bryan Farris; The Oldest Baby In The World, scritta dal nostro insieme a Prine (che suona anche l’acustica) è una folk ballad pura, che ha il passo e lo stile del grande cantautore di Chicago, alla quale il piano elettrico di Donnie aggiunge l’”Alabama touch”.

Tuscaloosa 1962 è una gustosa rock song rurale, sullo stile delle ultime cose di Levon Helm, con graditi interventi di Isbell alla slide; Them Old Love Songs, solo voce, piano, basso e le sorelle Rogers, è un altro lento pieno d’anima, cantato con feeling dalla voce quasi spezzata del nostro, mentre Foolish Heart (di Jesse Winchester), sempre guidata dal wurlitzer di Donnie, è trasformata in un pezzo quasi dixieland grazie al sapiente uso dei fiati. Lay It Down è la signature song del semisconosciuto Gene Thomas (ed incisa tra gli altri da Waylon e dagli Everly Brothers), ed è un’ altra emozionante slow tune: è anche il brano tra tutti con più strumenti (chitarre, archi, fiati), ma usati con senso della misura e grande classe https://www.youtube.com/watch?v=gtmfPKwgKmg ; la mossa Good As New dà un po’ di verve ad un album che predilige i ritmi lenti (ottima qui la parte strumentale); Temporarily Forever Mine, una canzone del bravo Paul Thorn, è un altro slow suonato in punta di dita e cantato in maniera diretta. Il CD si chiude con la grintosa e ritmata Choo Choo Train (*NDB: si tratta del celebre brano dei Box Tops di Alex Chilton, scritta con Eddie Hinton) e la toccante title track, solo Donnie alla voce ed il vecchio compare Spooner Oldham al piano, un finale di sicuro effetto.

Dai ringraziamenti stampati nel libretto interno al disco sembrerebbe che Oh My Goodness possa essere l’ultimo lavoro per Donnie Fritts (ed è credibile vista l’età e la regolarità con cui incide): se così fosse, sarebbe il migliore dei commiati.

Marco Verdi

Novità Di Settembre Parte I. Steve Forbert, Woven Hand, Patterson Hood, Ben Folds Five, Skunk Anansie, Jon Spencer Blues Explosion, Roy Storm & The Hurricanes, Coal Porters, Tributes To Nick Lowe & Jesse Winchester

steve forbert over with you.jpgwoven hand the laughing.jpgpatterson hood heat lightning.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Questo mese la rubrica sulla novità discografiche ha latitato fino ad oggi, considerando che nei mesi scorsi mi ero portato abbondantemente avanti con le uscite discografiche e molte sono state recensite direttamente, ma qualcosa sfugge sempre, per cui oggi recuperiamo con gli altri dischi interessanti pubblicati in questi primi venti giorni di settembre.

Iniziamo con Steve Forbert che ritorna con un nuovo album, Over With You, circa tre anni e mezzo dopo The Place and the Time e a 34 anni dal bellissimo Alive On Arrival, il cantante di Meridian, Mississippi non ha perso un briciolo del suo fascino. La voce è un filino più vissuta, ma le canzoni sono sempre affascinanti: questa volta si parla di una relazione finita e a dargli una mano a livello musicale ci sono anche due Ben, Sollee al cello e Harper alla chitarra. Etichetta Blue Corn Music, è uscito in questi giorni sul mercato americano, se ne parla più diffusamente nei prossimi giorni.

I Woven Hand avevano pubblicato da pochissimo tempo un ottimo CD+DVD in concerto, Live at Roepan, edito dalla Glittehouse ed accolto da unanimi critiche favorevoli. A distanza di cinque mesi dal disco dal vivo esce, sempre per la Glitterhouse, questo nuovo lavoro di studio, The Laughing Stalk: David Eugene Edwards, ex leader dei non dimenticati 16 Horsepower, aggiunge un tastierista e un secondo chitarrista e il suono del disco assume una patina più rock ma sempre con le solite volute dark e gotiche.

Nuovo album solista anche per Patterson Hood, che periodicamente si prende delle vacanze dai Drive-by-Truckers per pubblicare i suoi dischi da cantautore. Questo nuovo si chiama Heat Lightning Rumbles In The Distance, è uscito per la PIAS, Play It Again Sam, e ancora una volta ci ricorda che Hood scrive delle belle canzoni anche quando le chitarre non ruggiscono a tutto spiano.

ben folds five the sound of the life.jpgjon spencer blues explosion meat and bone.jpgskunk anansie black traffic.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Un altro paio di novità di gruppi incentrati intorno al nome di un leader, band che era qualche annetto che non si facevano sentire. Per i Ben Folds Five, il cui nuovo disco si chiama The Sound Of The Life Of The Mind ed esce per la Sony Music, di anni ne sono passati 13 dal precedente The Unauthorized Biography Of Reinhold Messner (i titoli sono sempre spettacolari), anche se Ben Folds nel frattempo aveva pubblicato vari CD a nome proprio.

La Jon Spencer Blues Explosion invece, era solo otto anni che non pubblicava un disco nuovo in studio, anche se nel frattempo, tra una collaborazione e l’altra, è stato ristampato tutto il catalogo del gruppo in versione riveduta e potenziata. Per questo nuovo Meat And Bone, su etichetta Bronze Rat Records (!?!), Jon Spencer, Russell Simins e Judah Bauer si sono ritrovati a registrare in quelli che furono i leggendari studios di Sly Stone.

Gli Skunk Anansie da quando si sono rimessi insieme nel 2009 hanno ripreso a pubblicare dischi con cadenza regolare, questo Black Traffic, che esce in questi giorni per la loro etichetta 100% Records, nell’immancabile formato CD+DVDè il terzo dopo la reunion.

rory storm and the hurricanes.jpglowe country.jpgcoal porters find the one.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Se il tipo seduto dietro alla batteria con un poderoso ciuffo vi dice qualcosa, non vi state sbagliando. E’ proprio Ringo Starr, nella formazione di Rory Storm & The Hurricanes prima di entrare nei Beatles, Ringo Starr ha fatto parte di questa band della preistoria musicale di Liverpool. In questo periodo è stato ritrovato un nastro inedito che documenta una performance del gruppo, Live At The Jive Hive, registrato appunto in quel di Liverpool, il 5 marzo del 1960 e viene pubblicato dalla Rockstar Records. Non vi so dire la qualità delle registrazioni (ma dal video si intuisce, pensavo peggio, precursori del beat inglese), in ogni caso questa è lista dei brani:

1. Introduction
2. “Brand New Cadillac”
3. “(You’re So Square) Baby I Don’t Care”
4. “Make Me Know You’re Mine”
5. “Bye Bye Love”
6. “Jet Black”
7. “Down The Line”
8. “C’mon Everybody”
9. “Don’t Bug Me Baby”
10. “Rip It Up”
11. “Somethin’ Else”
12. “Train To Nowhere”
13. “Since You Broke My Heart”
14. “Honey Don’t”
15. “All American Boy”
16. “Willie & The Hand Jive”
17. Closing Announcement
18. “Milk Cow Blues” (home recording)
19. “What ‘d I Say” (home recording)
20. “Cathy’s Clown” (home recording)
21. “Now Is The Hour” (home recording)

Beatlesiani, occhio alla penna!

Altra vecchia gloria del rock britannico, a Nick Lowe viene dedicata questa compilation-tributo, Lowe Country, edita dalla Fiesta Red Records. Il sottotitolo è The Songs Of Nick Lowe e in questo caso gli ho già dato una ascoltata e devo dire che è proprio bello e gli artisti partecipanti sono tutti di ottimo spessore artistico:

1. Lately I’Ve Let Things Slide – Caitlin Rose
2. Don’T Lose Your Grip On Love – The Parson Red Heads
3. All Men Are Liars – Robert Ellis
4. I Love The Sound Of Breaking Glass – Amanda Shires
5. Marie Provost – Jeff The Brotherhood
6. (I’M Gonna Start) Living Again If It Kills Me – Hayes Carll
7. Lover Don’T Go – Erin Enderlin
8. When I Write The Book – The Unsinkable Boxer
9. You Make Me – Colin Gilmore
10. Heart Of The City – Chatham County Line
11. What’S Shakin’ On The Hill – Lori Mckenna
12. Cracking Up – Griffin House
13. Where’S My Everything? – Ron Sexsmith

Sid Griffin è stato per anni il leader dei Long Ryders, oltre che scrittore e giornalista musicale per varie testate britannica. Ma già da alcuni anni il suo gruppo sono i Coal Porters con i quali ha pubblicato una decina di album, che escono per la propria etichetta, la Prima Records. Anche questo Find The One prosegue nella tradizione: in questo nuovo disco, anche se lo stile è il solito gustoso mix di folk e bluegrass, ci sono alcune novità. Una cover di Heroes di Bowie in puro stile folk-bluegrass, bellissima, la partecipazione di Richard Thompson in un brano e un’altra cover d’autore, una Paint It Black con tanto di sitar vero, non la chitarra “trattata” della versione originale degli Stones, ovviamente la battaglia a tempo di bluegrass tra violino e sitar è quantomeno inconsueta. Produce John Wood, quello dei dischi di Nick Drake e Fairport Convention, e l’ingegnere del suono è Ed Stasium (Ramones, dice qualcosa). Bella anche l’alternanza tra la voce di Sid Griffin e quella della violinista Carly Frey. Tra l’altro vedo dal dischetto che è anche un CD Enhanced e contiene un documentario di sei minuti sulla band.

quiet about it a tribute to jesse winchester.jpgcelebration-day.jpeg

 

 

 

 

 

 

 

Il tributo a Jesse Winchester Quiet About It, viene pubblicato questa settimana negli Stati Uniti e la settimana prossima in Europa dalla Mailboat Records, che è l’etichetta di Jimmy Buffett. I fondi raccolti sarebbero dovuti servire per le cure inerenti al tumore all’esofago che lo aveva colpito lo scorso anno. Poi, nel frattempo, sembra che la malattia sia regredita dopo varie cure ed interventi, e la cosa ci fa piacere, ma il disco era pronto ,per cui viene pubblicato ugualmente e Jesse Winchester che è già tornato a fare concerti nel frattempo, lo considererà un omaggio da parte di alcuni suoi colleghi illustri che interpretano i suoi bellissimi brani:

1. Payday (James Taylor)
2. Biloxi (Rosanne Cash)
3. Gentleman of Leisure (Jimmy Buffett)
4. I Wave Bye Bye (Allen Toussaint)
5. Talk Memphis (Vince Gill)
6. Defying Gravity (Mac McAnally)
7. Brand New Tennessee Waltz (Lyle Lovett)
8. Mississippi You’re On My Mind (Lucinda Williams)
9. Dangerous Fun (Rodney Crowell, feat. Emmylou Harris and Vince Gill)
10. Rhumba Man (Little Feat)
11. Quiet About It (Elvis Costello)

Non si sa ancora nulla di preciso su formato e contenuti, anche se pare probabile un doppio CD più doppio DVD ma nel frattempo la reunion dei Led Zeppelin alla O2 Arena di Londra, ha un titolo Celebration Day e una copertina, che è quella che vedete sopra. Prima uscirà nei cinema e poi il 19-20 novembre dovrebbe essre nei negozi, questo è il trailer:

Alla prossima.

Bruno Conti

Ristampe Che Passione! Edsel:Sam & Dave, Little Feat, Philip Bailey, Manhattan Transfer, Felix Cavaliere, Todd Rundgren, Foghat & Jesse Winchester

sam & dave hold on.jpgsam & dave soul men.jpgphilip bailey chinese wall.jpg

 

 

 

 

 

 

 

La Edsel Records è una etichetta del Demon Music Group (la più grande compagnia indipendente dell’universo musicale britannico, fondata nel lontano 1980 da Andrew Lauder e Jake Riviera che erano i due “inventori” anche della Stiff Records) ed è specializzata nelle ristampe: dopo un periodo opaco durato per alcuni anni, nell’ultimo periodo ha ripreso con vigore a pubblicare materiale assai interessante tratto dal repertorio delle case discografiche più disparate. Mi sono accorto che nei miei periodici “resoconti” sulle uscite ho dato poco spazio negli ultimi tre mesi ai loro prodotti, in effetti solo il doppio dei Jo Jo Gunne, per cui oggi recuperiamo, anche con una piccola anticipazione sulle uscite di fine Aprile. Si tratta quasi sempre di CD nel formato 2in1: due album su un CD, due album su 2 CD o tre titoli su 2 CD ed escono con cadenza mensile (alla fine del mese). Ne ho scelti alcuni pubblicati tra gennaio, febbraio e quelli che escono in questi giorni.

Sam & Dave sono due “giganti” della musica soul: Sam Moore e Dave Prater hanno fatto la storia della Stax soprattutto con i loro singoli, ma questi quattro album usciti nella seconda metà degli anni ’60 sono imprescindibili per chi ama il Soul con la S maiuscola. Il primo CD, singolo, con 27 brani, contiene Hold On e Double Dynamite i primi 2 album del 1965-1966 più tutti i 45 giri lati A&B usciti nel periodo con brani come Hold On I’m Coming, You Don’t Know Like I Know e When Something Is Wrong With My Baby. Il secondo CD, doppio, contiene Soul Men e I Thank You sempre con moltissime bonus tracks e risale al periodo 1967-1968, il secondo disco non più su Stax ma su Atlantic e i due brani principali sono quelli che danno il titolo agli LP dell’epoca, Soul Man e I Thank You.

Philip Bailey non ha forse il pedigree di Sam & Dave ma è stato comunque il cantante degli Earth, Wind & Fire dal 1972 e con qualche pausa lo è tuttora. Questi due album Chinese Wall e Inside Out sono usciti per la CBS tra il 1984 e il 1986, periodo non molto fausto per la musica nera e il primo contiene il famoso duetto con Phil Collins, Easy Lover mentre nel secondo anche musicisti come Jeff Beck, Omar Hakim dei Weather Report, George Duke, Ray Parker, Daryl Jones, Nathan East e il produttore Nile Rodgers degli Chic più di tanto non possono fare, basta dire che l’unica bonus di questo doppio CD è un Dub Mix (?!?) di State Of The Heart. Per appassionati della musica anni ’80.

little feat time loves a hero.jpgmahattan transfer live extensions.jpgfelix cavaliere + destiny.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Tutte queste ristampe hanno libretti molto curati, una buona rimasterizzazione e, soprattutto, costano poco! Proseguiamo:

i due album dei Little Feat Times Loves A Hero e Down On The Farm non sono i loro migliori in assoluto ma sono comunque esempi rispettabili del loro rock d’autore. Il primo è del 1977 e il secondo completato postumo dopo la scomparsa di Lowell George nel 1979. Time Loves A Hero, New Delhi Freight Train, Old Folks Boogie, Rocket In My Pocket sono dei signori brani e il gruppo li esegue ancora oggi dal vivo e li trovate in questo doppio CD.

I Manhattan Transfer oggi, anche per l’età, non sono più quel formidabile quartetto vocale, ma nel periodo da cui provengono il Live del 1978 ed Extensions del 1979, il primo con Cheryl Bentyne e quello che contiene la loro versione di Birdland dei Weather Report, erano fantastici.

Il nome Felix Cavaliere, ai non appassionati, dice poco, ma è stato il leader degli Young Rascals, poi Rascals uno dei gruppi bianchi che tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70 meglio hanno saputo fondere il pop, il rock e la musica nera con canzoni come Good Lovin’, Groovin’, People Got To Be Free, i cui titoli magari non conoscete ma ascoltandole dovrebbero tornarvi alla memoria (spero). Questi 2 album solisti di Cavaliere uscirono entrambi per la Bearsville nel 1974 e sono stati già ripubblicati separatamente dalla Wounded Bird in CD (come più o meno tutti gli album di cui stiamo parlando che però spesso sono fuori catalogo o irreperibili). Felix Cavaliere e Destiny sono stati raccolti in un 2in1 e nel primo disco prodotto da Todd Rundgren suonano anche tutti gli Utopia mentre nel secondo ci sono Laura Nyro, Leslie West, Elliott Randall, Rod Price dei Foghat, Michael Brecker e David Sanborn.

todd rundgren's utopia-another live.jpgtodd rundgren hermit of mink hollow.jpgtodd rungren a cappella.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Proprio di Todd Rundgren prosegue la serie delle ristampe (ne erano già usciti in precedenza): quello con Todd Rundgren’s Utopia e Another Live è un appuntamento a cui non si può mancare. Se vi piace il rock progressivo, suonato da dei virtuosi dei loro strumenti, un po’ prolisso ma trascinante, assolutamente dovete acquistare questo doppio CD. Pensate agli Yes incrociati con Zappa, i Beatles e l’hard rock e avrete una vaga idea degli Utopia. Il primo album contiene una versione di The Icon che è un brano epico di 30 minuti mentre l’altro dal vivo, uscito nel 1975 (l’omonimo è del ’74), non è da meno. Hermit Of Mink Hollow, Healing e The Ever Popular Tortured Artist, 3 album su 2CD sono usciti tra il 1978 e il 1982. Pensate che in quegli anni Rundgren produsse anche Bat Out Of hell di Meat Loaf, Remote Control dei Tunes, la Tom Robinson Band, Wave di Patti Smith, i Psychedelic Furs e tanti altri album meno riusciti (qualcuno ha detto Walking Wild dei New England?). Ma poi, solo per avere fatto Skylarking degli Xtc merita la riabilitazione per molte ciofeghe successive. L’altro 3in2CD contiene A Cappella del 1985, dove, solo con la voce, imita anche il suono di tutti gli strumenti, Nearly Human del 1989 e Second Wind che è un live del 1991 nel quale era stato detto al pubblico di stare il più in silenzio possibile (non è normale, spesso un “genio”, ma non normale).

foghat foghat+rock & roll.jpgfoghat energised+rock & roll outlaws.jpgfoghat fool for the city + nighshift.jpg

 

 

 

 

 

 

 

I Foghat sono stati un formidabile gruppo di rock, hard-rock, blues-rock nato dalla fusione di 3 musicisti inglesi provenienti dalla scissione con Kim Simmonds dei Savoy Brown nel 1971, ossia Lonesome Dave Peverett, voce e chitarra solista, Tony Stevens al basso e Roger Earl alla batteria con l’aggiunta del virtuoso americano della slide Rod Price ( i due chitarristi sono entrambi scomparsi, qundi occhio alla band del batterista Earl che gira ancora con quel nome, sono come i Creedence senza Fogerty). La Edsel ristamperà tutti i 13 album della band usciti tra il 1972 e il 1983 per la Bearsville (allora non avevano problemi di prolificità) in varie combinazioni, ma quelli da avere sicuramente sono i primi 2 (che vedete qui sopra), l’omonimo Foghat del 1972, prodotto da Dave Edmunds e quello che si chiama Rock & Roll, del 1973 ma in copertina non c’e scritto nulla, vedete solo una michetta e una pietra ma ragazzi se suonano, del buon vecchio rock come Dio comanda e i 2 album stanno comodamente in un CD. E vendevano mezze milionate di dischi. Anche Energised e Rock & Roll Outlaws, entrambi del 1974, per usare un eufemismo, non sono niente male e ci stanno anche loro in un solo CD. Come pure Fool For The City del 1975 (2 milioni di copie vendute) e Nightshift del 1976. E in queste ristampe manca il micidiale Live, sempre del 1976, che uscirà nel prossimo giro di ristampe a fine Aprile.

jesse winchester j.w-third down.jpgjesse winchester learn to love it.jpgjesse winchester nothing but a breeze.jpg

   

 

 

 

 

 

 Sempre nella serie delle uscite di Aprile usciranno anche questi tre Twofer dedicati a Jesse Winchester più la ristampa potenziata di Talk Memphis del 1981 con 6 bonus tracks. Ma ci torniamo al momento dell’uscita, nel frattempo, se volete, potete leggere questo breve post che avevo dedicato a questo grande cantautore lo scorso agosto piccoli-tocchi-di-classe-e-perle-estive-jesse-winchester-spe.html (magari eravate in vacanza o vi siete distratti un attimo).

Per il momento per le ristampe Edsel è tutto (ma ce ne sono moltissime altre)!

Bruno Conti

Una “Altissima”Concentrazione Di Talenti In Due “Piccoli” Dischetti! Spectacle Season 2 – Elvis Costello With…

elvis costello spectacle 2.jpg

 

 

 

 

 

 

 Elvis Costello – Spectacle Season 2 – VSC/Red Spybox – 2 DVD

Come vi dicevo in sede di anticipazione credo che sarà difficile trovare un DVD musicale migliore di questo nel corso del 2011. Una così alta concentrazione di talenti in due dischetti così piccoli, quasi 6 ore di musica (e chiacchiere, ma assai interessanti) e tutto ciò purtroppo è destinato a sparire. Anzi è già finito perché i 7 episodi della seconda stagione, registrati tra settembre e novembre 2009 e andati in onda tra la fine del 2009 e i primi mesi del 2010 (sulle televisioni americane e canadesi, non stiamo parlando di fantascienza, se captate l’ironia!), sono stati gli ultimi di questa meravigliosa serie di musica fatta e raccontata dai musicisti.

Costello si è confermato quel grande musicista e, in questo caso, appassionato di musica che abbiamo sempre conosciuto e con l’aiuto di Elton John e del compagno David Furnish (l’altro produttore esecutivo) ha realizzato questa serie di episodi per la CTV in Canada e Sundance Channel negli Stati Uniti (e Channel 4 in Inghilterra). Dietro le quinte credo che sia stato importante il lavoro di Bill Flanagan, grande giornalista americano, ex di Musician, inventore di VH1 Storytellers e CMT Crossroads, nonché autore di Written in My Soul (“Scritto Nell’Anima” in italiano), la più bella serie di interviste fatte a musicisti e raccolte in unico libro, che se riuscite a trovare ancora, vi consiglio indistintamente!

Della prima stagione pubblicata in quintuplo DVD ad inizio 2010 ve ne ho parlato qui…elvis-costello-spectacle-season-1-5-dvd-box-set.html, della seconda vi voglio ricordare i tanti highlights che l’hanno caratterizzata e i musicisti che hanno partecipato.

Primo episodio, Bono & The Edge, puntata monotematica, senza sezione ritmica degli U2 al seguito, ma l’argomento ovviamente è quello. Registrata al Masonic Temple di Toronto, Ontario in una pausa del 360° World Tour. Tra irlandesi ci si capisce (anche se Costello è nato a Londra, uno che di vero nome fa Declan Macmanus qualche ascendenza irlandese ce l’avrà pure) e quindi i due svestono i panni delle superstar e chiaccherano amabilmente non, per una volta, del futuro del mondo ma di musica ma soprattutto della strana amicizia sviluppata con Frank Sinatra e del brano Two Shots Of happy, One Shot Of Sad scritto per “Ol’ Blue Eyes” e mai inciso dal grande Frank, ma curiosamente dalla figlia Nancy in una versione dove erano presenti Larry Mullen e Adam Clayton che non c’erano nella versione degli U2 uscita come retro di un CD singolo. Complicato? Molto bella comunque la versione eseguita dal vivo con Steve Nieve al piano, come pure l’omaggio iniziale di Costello con gli Imposters che per aprire la puntata canta Mysterious Ways e poi tutti insieme in un medley tirato di Pump It/Get On Your Boots. Per completare una ottima versione di Stuck In A Moment You Can’t Get Out Of e una, acustica, di Stay (Faraway, So Close). Quindi niente anthems ma tutto molto bello e rilassato.

Elvis Costello è un padrone di casa simpatico ed arguto (nonchè fisicamente sempre più simile a Peter Sellers quando faceva ‘Spettor Clouseau in qualche travestimento per non farsi riconoscere), ma, come già detto, un grande appassionato e conoscitore di musica. Nella puntata con Jesse Winchester, di cui vi ho parlato a parte, appaiono anche Ron Sexsmith, ottimo cantante canadese con undici album all’attivo, di cui Costello è un fan (ma di chi dei suoi ospiti non lo è?), che esegue una delle sue più belle canzoni Secret Heart. Ma anche Sheryl Crow alle prese con una versione molto intensa di If It Makes You Happy con tutti gli ospiti sempre sul palco (in tutta la puntata peraltro). La rossa Neko Case prima di commuoversi per Jesse Winchester dichiara il suo profondo amore professionale per Harry Nillson con una versione perfetta di Don’t Forget Me. Jesse Winchester dopo avere incantato pubblico e musicisti sul palco con Sham-A-Ling-Dong-Ding si ripete con una stupenda Brand New Tennesse Waltz con le armonie vocali di Sheryl Crow. Ron Sexsmith l’aveva già cantata, ma farla con l’autore è diverso e la versione a due voci di Everyday I Write The Book è da manuale. Ancora una ottima Sheryl Crow con Leaving Las Vegas e una versione da brividi di Neko Case della sua Prison Girls. Poi gran finale con una cover di Ring Them Bells di Bob Dylan guidata da Ron Sexsmith. All’inzio tutti insieme avevano fatto una versione corale di Payday un altro dei cavalli di battaglia di Winchester. In questa puntata, se non conoscete già, a parte Costello e Crow, ci sono tre cantautori “nuovi e vecchi” assolutamente da avvicinare.

Il dialogo e le interviste hanno una certa importanza nell’economia dei DVD, che non sono purtroppo sottotitolati, ma la musica compensa abbondantemente. Di una puntata dove ci sono Richard Thompson, Nick Lowe, Allen Toussaint e Levon Helm che dire? Una meraviglia. Dopo l’introduzione di Costello con gli Imposters (Faragher, Thomas & Nieve) con Rag mama rag della Band, si susseguono Shoot Out The Lights con Thompson che ancora una volta dimostra perché è uno dei migliori chitarristi (e autori) del mondo, sarò parziale ma chissenefrega. Nick Lowe, dopo alcuni divertenti siparietti con Costello, esegue The Beast In Me il brano scritto per l’allora suocero Johnny Cash. Allen Toussaint conferma di essere una delle leggende della musica di New Orleans e dell’America tutta e accenna brevemente Holy Cow una delle sue canzoni più famose (per i fan italiani, sarebbe Qui e là di Patty Pravo). Poi sale sul palco dell’Apollo Theatre di New York City un’altra leggenda come Levon Helm e dopo avere stabilito che l’ultima volta ci aveva suonato fu nel 1959, viene battuto da Toussaint che passò da quelle parti nel 1957 al seguito di Shirley & Lee (e anche questi aneddoti fanno la storia della musica oltre a dimostrare la grandezza del personaggio). La puntata è stata registrata il 24 settembre del 2009 e in quella occasione Helm era reduce da un intervento alle corde vocali e quindi non potendo cantare si “limita” a suonare la batteria. Prima in Tennessee Jed dall’allora appena uscito Electric Dirt (uno dei dischi più belli del 2009 che vi dovreste affrettare ad acquistare) e poi in A Certain Girl dove Allen Toussaint guida il gruppo in un brano che dire coinvolgente è poco.

Visto che si trova da quelle parti Ray Lamontagne viene coinvolto per cantare l’attacco di The Weight (poi cantata a turno da tutti) una delle cinque (va bene facciamo dieci) più belle canzoni di tutti i tempi.

Il quarto episodio del primo DVD, ma l’ultimo ad essere registrato nel novembre 2009, è la serata autocelebrativa di Elvis Costello e se nella prima serie Diana Krall si era fatta intervistare da Elton John qui appare come intervistatrice Mary-Louise Parker che curiosamente nelle note del libretto viene citata come attrice/giornalista musicale. Non sapevo. Comunque conduce con competenza e si rivela una appassionata di musica e Costello (vera o recitata non so, è brava quindi…). Nel corso del’intervista Elvis parla dei suoi “amici” e collaboratori, T-Bone Burnett, Burt Bacharach e Paul McCartney, eseguendo anche nel corso della serata alcuni capolavori come (i Don’t Want To Go To) Chelsea, Motel Matches, I Still Have That Other Girl, Town Cryer, Shabby Doll (entrambe da Imperial Bedroom) e Brilliant Mistake (da King Of America). Questi due sarebbero quelli da avere, ma i dischi di Costello belli sono tantissimi, quasi tutti. Si conclude con una bella versione di I Threw It All Away di Bob Dylan.

Altra puntata dedicata ai “Cantautori”. Sono presenti John Prine, Lyle Lovett e Ray LaMontagne ma lo spirito che aleggia sulla serata è quello di Townes Van Zandt. Prima però Costello stupisce tutti con una cover di I’m Ahead If I Can Quit While I’m Behind di Jim Ford, recentemente riscoperto e che si potrebbe considerare uno degli “inventori” del Country Got Soul, i due CD pubblicati dalla Bear Family una volta tanto sono all’altezza del polverone sollevato su queste ristampe. John Prine, il primo dei “Nuovi Dylan” fa capire perché diventato il “Vecchio Prine”, con una stupenda e commovente Lake Marie. Lyle Lovett, quattro volte vincitore di Grammy presenta l’allora nuova Natural Forces, altra canzone che ne conferma la statura di grande cantautore texano (e non solo). Ray Lamontagne è il nuovo che avanza, un cantante che, per me, non ha ancora sbagliato un disco, e se non appare nelle classifiche dei migliori di fine anno è perché ti sei dimenticato di inserirlo. Jolene è uno dei suoi brani migliori e anche la grintosa Henry Nearly Killed Me (It’s A Shame) è potente. Poi a uno che conclude la sua intervista con Costello dicendo che lui in fondo ama la gente, non è un solitario, uno scontroso, non ama solo le “teste di cazzo”, cosa vuoi dire? Standing ovation. E quartetto finale dedicato a Van Zandt con Loretta una delle tantissime belle canzoni dal repertorio di Townes.

Ultime due puntate, d’altronde è il “Boss”, dedicate a Bruce Springsteen! Non c’è tutta la E Street Band quindi si crea questo ibrido tra il gruppo di Costello e quello di Springsteen con risultati spesso esaltanti. Apre Elvis con una She’s The One grandiosa con Nils Lofgren alla seconda chitarra. Poi, tra una cacchiera e l’altra Bruce viene convinto a rifare una stupenda Wild Billy’s Circus Story con Roy Bittan alla fisarmonica. (che passava da quelle parti). Coinvolgente ed inconsueta anche American Skin (41 Shots) e ottimo il duetto tra i due in I Can’t Stand For Falling Down.

Dall’orgia E Street Band/Imposters emerge un medley “radiofonico” tra Radio Silence/Radio Nowhere/Radio Radio che è da prendere ed incorniciare. Seguono fantastiche versioni di Seeds e The Rising, oltre alla cover di Pretty Woman dell’amatissimo Roy Orbison. E ancora Black Ladder nell’inedito trio Costello, Springsteen, Lofgren e una versione acustica di Galveston Bay con Professor Roy Bittan sugli scudi.

A questo punto mi direte, ma non hai detto all’inizio che avresti parlato solo degli highlights di questo doppio DVD? Appunto, sono tutti highlights, 315 minuti di highlights e non vi ho ricordato che nelle Special Features del secondo DVD c’è un documentario inedito sul “Dietro Le Scene” della serie televisiva e tre canzoni bonus non andate in onda, due con gli U2, Dirty Day e Alison e un’altra cover di qualità, I want you!

Scusate il leggero ritardo con cui ne ho parlato ma per la serie le “stranezze della vita” il secondo DVD non partiva sul lettore, per cui, con un colpo di genio, me ne sono fatto una copia autobootlegata con il PC che funzionava alla perfezione, ed eccomi qua!

Qualche video ve l’ho inserito, se volete vederlo tutto ve lo comprate (o ve lo fate prestare da qualche amico), soldi spesi bene.

Imprescindibile, Bella Musica!

Bruno Conti


Piccoli Tocchi Di Classe E “Perle” Estive! Jesse Winchester@ Spectacle.

jesse winchester jesse winchester.jpgelvis costello spectacle 2.jpgjesse winchester love filling.jpg

 

 

 

 

 

 

 

In questi giorni sto guardando i DVD della seconda (e purtroppo) ultima stagione di Spectacle di Elvis Costello su cui vi riferirò diffusamente nei prossimi giorni e che è sicuramente il DVD musicale “da avere”  per questo anno come era stato nel 2010 per il box della Rock And Roll Hall Of Fame e il concerto di Springsteen London Calling Live In Hyde Park (Springsteen peraltro massicciamente presente in ben due episodi di Spectacle).

Proprio mentre rivedevo alcune puntate del primo dischetto mi sono imbattuto in quella con Jesse Winchester dedicata ad alcuni cantautori e ho letto che purtroppo il cantautore americano è stato colpito da una forma di tumore all’esofago e non volendo ridurmi a parlare brevemente della sua opera in qualche necrologio postumo e sperando in una sua pronta guarigione mi limito a segnalarvi un paio di album della sua discografia (ma sono tutti belli), il primo, l’omonimo Jesse Winchester del 1970, prodotto da Robbie Robertson e con la presenza di Levon Helm a batteria e mandolino, quello con Payday, Brand New Tennesses Waltz (entrambe eseguite nella serata all’Apollo Theater) ma anche Biloxi. E l’ultimo Love Filling Station, pubblicato nel 2009, l’anno in cui è stata registrata la puntata della trasmissione e da cui Winchester ha eseguito la meravigliosa e commovente Sham-A-Ling-Dong-Ding che ne ha confermato l’ineffabile classe, certificata da Dylan che lo considera uno dei migliori cantautori in circolazione. Guardate come “riduce” alla resa Costello, in lacrime (per la commozione) Neko Case e attonito e stupefatto il pubblico con la semplice esecuzione di questa dolce ballata veramente strappalacrime e vi sfido a rimanere indifferenti…

I suoi brani sono stati incisi da Elvis Costello, Jimmy Buffett, Joan Baez, Fairport Convention, Tim Hardin, Emmylou Harris, Ian Matthews, Nicolette Larson, Everly Brothers, solo per citarne alcuni e la sua statura di artista di culto lo metterebbe alla pari con musicisti come Randy Newman o Harry Nilsson se la sua carriera non fosse stata tarpata da quella “fuga” in Canada avvenuta nel 1967 e dove ha vissuto in esilio fino al 1977 per non essere costretto ad andare in Vietnam per la guerra allora in corso. Scelta difficile e coraggiosa che lo ha privato della possibilità del grande successo in America ma non di scrivere e pubblicare una serie di album e canzoni veramente molto belli.

Se volete “sprecare” una lacrima seguendo il video, questo è il testo di Sham-A-Ling-Dong-Ding, cosa vuol dire ve lo dice lui nel corso della canzone, adatta alla stagione.

 

Sham-A-Ling-Dong-Ding

The boys were singing shing-a-ling
The summer night we met
You were tan and seventeen
O how could I forget
When every star from near and far
Was watching from above
Watching two teenagers fall in love

The way we danced was not a dance
But more a long embrace
We held on to each other and
We floated there in space
And I was shy to kiss you while
The whole wide world could see
So shing-a-ling said everything for me

And O the poor old old folks
They thought we’d lost our minds
They could not make heads or tails
Of the young folks’ funny rhymes
But you and I knew all the words
And we always sang along to
O sham-a-ling-dong-ding
Sham-a-ling-dang-dong

So after years and after tears
And after summers past
The old folks tried to warn us
How our love would never last
And all we’d get was soaking wet
From walking in the rain
And singing sham-a-shing-a-ling again

And O the poor old old folks
They smile and walk away
But I bet they did some
Sham-a-lama-ding-dong in their day
I bet that they still close their eyes
And I bet they sing along to
O sham-a-ling-dong-ding
Sham-a-ling-dang-dong

O those sweet old love songs
Every word rings true
Sham-a-ling-dong-ding means sweetheart
Sham-a-ling-dang-dong does too
And it means that right here in my arms
That’s where you belong
And it means sham-a-ling-dong-ding
Sham-a-ling-dang-dong

© Jesse Winchester

Il primo album è stato ristampato dalla Wounded Bird nel 2006 (insieme ad altri della sua discografia) e l’ultimo è stato pubblicato nel 2009 dalla Appleseed. Ora tocca a Voi!

Bruno Conti

Country-Rock “Classico” Dagli Anni ’70, Ma Non Solo! Jonathan Edwards – My Love Will Keep

jonathan edwards.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Jonathan Edwards – My Love Will Keep – Appleseed Recordings/Ird

Questo CD è quietamente uscito da un mesetto circa e me lo stavo “studiando” da un po’ per parlarne sul Blog. Partiamo dal centro questa volta, non dalla fine o dall’inizio del disco o della storia: il quinto brano si apre con una breve introduzione pianistica, poi entra una sezione di archi e la bella voce di Jonathan Edwards, non avendo letto i titoli dei brani le parole mi ricordavano qualcosa, ma il tempo da ballata romantica lo trasforma completamente, però quando parte il ritornello immortale, anche senza gli yè-yè originali, non si può non riconoscere She Loves You dei Beatles. Altri, Emmylou Harris in testa (grande amica e con cui Edwards ha collaborato in Elite Hotel del 1975), avevano realizzato cover di Lennon-McCartney in stile country con risultati alterni. Questa versione, per il sottoscritto, è una delle migliori cover ascoltate in assoluto del repertorio Beatles, ma per la serie il mondo è bello perché è vario, su All Music (il famoso portale di musica dove però tutti i dischi, anche i più “oscuri”, stranamente sono bellissimi, le tre stellette e mezzo e quattro si sprecano) questo brano non incontra i favori del recensore che lo stronca in modo brutale, salvo poi dare al CD i canonici, e in questo caso meritati, tre punti e mezzo. 

Perché questo disco di Jonathan Edawrds My Love Will Keep ci riconsegna un autore e cantante, a 40 anni esatti dal suo esordio omonimo su Capricorn del 1971 che conteneva la sua unica hit americana Sunshine (ma da un milione di copie e 4° posto nelle classifiche di Billboard), un brano folk-country-pop contro la guerra del Vietnam che avrebbe segnato la sua carriera poi proseguita con una serie di ottimi album tra cui Honky-Tonk Stardust Cowboy, Have A Good Time For Me (entrambi ristampati dalla Collectors’ Choice in CD) e Lucky Day (live), Rockin’ Chair, Sailboat e un altro Live (per questi ha provveduto la Wounded Bird). Tutto questo negli anni ’70, poi nel 1985 un ottimo album bluegrass con i grandi Seldom Scene Blue Ridge e comunque una serie di album (tra cui ancora moltissimi dischi dal vivo, tre addirittura negli anni 2000) che ci portano fino ai giorni nostri e questo album per la Appleseed che profuma di country-rock e bluegrass mescolati insieme come facevano i primi dischi di Eagles, Poco, Dillards, Ozark Mountain Daredevils, Flying Burrito Brothers, insomma le stelle del genere in quegli anni.

Ma torniamo all’inizio. Il disco si apre con Surrounded, un brano dove la lap steel, la mandola e le chitarra di Duke Levine (una vita con Mary-Chapin Carpenter ma una presenza di qualità in una miriade di dischi a partire da questo, bellissimo il break chitarristico nella già citata She Loves You)) si fondono con il basso, il mandolino e la chitarra acustica del titolare del disco, che sfodera anche una voce calda e piacevole che può ricordare un Glenn Frey, un Paul Cotton o un Dan Fogelberg dei tempi d’oro, se unite la seconda voce femminile di Claire Lynch, una delle nuove giovani stelle del bluegrass-country recente, il risultato è musica di grande qualità, arricchita anche dal violino di Mike Barnette. Johnny Blue Horizon, dedicata a John Denver, è anche meglio, sembra saltare fuori dai solchi di uno dei primi due dischi degli Eagles o da From The Inside dei Poco, armonie vocali da sballo, con le voci di Edwards e Claire Lynch a cui si unisce Tom Dean, un break centrale di doppio mandolino con Joe Walsh e Taylor Armerding, e piano, chitarre e tutto l’insieme perfetto per questo tributo. Il brano che dà il titolo a questo album, My Love Will Keep, scritta da Mark Sanders e Adrienne Young è un’altra delizia country-rock dall’andatura saltellante con una pedal steel e il piano che la percorrono, e le armonie vocali fantastiche create questa volta di Edwards e Moondi Klein.

Un salto negli stati del Sud per una Crazy Texas Moon, dove Moondi Klein e la pedal steel di Charlie Rose rimangono ma si unisce anche l’armonica di Edwards per un brano country bluesato che può ricordare certe cose del primo Lyle Lovett. Certo tutta musica datata e derivativa, ma di un gran bello (nei prossimi giorni vi parlerò di un altro disco “nuovo”, “datato” e meraviglioso di tale Jonathan Wilson, bellissimo). Di She Loves You abbiamo detto, How Long è un altro dei pezzi dal vecchio repertorio di Edwards composta negli anni ’70 come l’iniziale Surrounded e mai incisa, questo è un veloce e vivace bluegrass alla Dillards ancora con Claìre Lynch alla seconda voce e una serie di interventi strumentali di violino, mandolino, banjo, armonica e chitarra elettrica che sono molto coinvolgenti.

This Island Earth è un vecchio brano degli anni ’80 di un gruppo che cantava a cappella, bravissimi, si chiamavano Nylons e questa versione di Edwards è molto bella, ricca di effetti di eco sulla voce e con armonie vocali da brividi con la figlia Grace e Philippe Aeglae, una ballata lenta e spirituale di grande impatto sonoro ed emozionale. La fusione tra country e musica celtica è stata tentata con successo molte volte nel passato, questa volta basta il penny whiste di Jonathan (vero polistrumentista) da aggiungere alla miriade di strumentisti che arricchiscono questa delicata Lightkeeper.

John Brannen è un bravissimo cantautore americano tra roots e heartland rock come direbbe la sua voce in Wikipedia, ma in effetti, per me, in questa Tomorrow’s Gonna Come scritta in compagnia di Henry Gross e Tommy Rocco, distilla in modo perfetto lo stile dei primi Eagles di cui è stato anche recente collaboratore, Jonathan Edwards esegue alla perfezione aggiungendo il tocco della sua armonica ad una canzone già bella di suo. Everybody Works In China scritta ancora dal vecchio amico di Edwards, Henry Gross e già incisa con Henry Paul degli Outlaws una ventina di anni fa, aldilà della risonanza che ha acquisito a livello di testo, sembra un brano, di quelli belli, di Jimmy Buffett o James Taylor, con quella sua aria fintamente dimessa e invece ricca di melodia e malinconia.

Altro momento bellissimo è la cover di un brano di un altro dei tanti “Beautiful Losers” che calcano i palcoscenici americani, parlo di Jesse Winchester e la canzone si chiama Freewheeler e quel diavolo di un Jonathan Edwards si inventa anche un ukulele a 8 corde da unire all’immancabile armonica per una versione che si colloca tra canzone d’autore e cowboy song, deliziosa in ogni caso. Per finire in gloria un altro brano stupendo, una epica Sailor’s Prayer dal repertorio di Rod MacDonald con le voci di Claire Lynch e Jonathan Edwards che ancora una volta armonizzano ai limiti della perfezione.

In definitiva se amate country, bluegrass, canzone d’autore, semplicemente la buona musica, con una produzione da major ma il piglio di una etichetta indipendente, questo è un piccolo gioiello di uno dei tanti segreti ben custoditi della musica americana.

Bruno Conti