Una Festa Tra Amici Trasformata In Un Grande Disco! New Moon Jelly Roll Freedom Rockers Vol.1

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New Moon Jelly Roll Freedom Rockers – New Moon Jelly Roll Freedom Rockers Vol.1 – Stony Plain

Sul finire della prima decade degli anni 2000, quando la sua salute non era più quella di un tempo (anche se aveva 65-66 anni nel 2007) Jim Dickinson, che poi ci avrebbe lasciati due anni dopo nell’agosto del 2009, aveva l’abitudine di tenere informali incontri con amici, colleghi e congiunti stretti, da uno di questi vecchi incontri di recente Greg Spradlin, alla guida della sua Band Of Imperials, ha realizzato un ottimo album Hi-Watter https://discoclub.myblog.it/2020/10/16/piu-di-dieci-anni-per-completarlo-ma-e-venuto-veramente-bene-rev-greg-spradlin-the-band-of-imperials-hi-watter/ : in quel caso Dickinson era solo l’eminenza grigia che aveva dato il via al progetto con i suoi consigli. Nel caso dei New Moon Jelly Roll Fredom Rockers invece Jim è presente ad attivo, in questa registrazione in presa diretta, tutti insieme nei suoi studi Zebra Ranch in quel di Indipendence (un nome un programma), Mississippi, in una sorta di jam session mirata, per creare una serie di brani fatti e finiti, poi caduti nel dimenticatoio, che il figlio Luther, su richiesta della Stony Plain, ha prodotto e completato, per dare vita a questo progetto.

Dieci brani escono in questo volume uno, gli altri undici saranno utilizzati in un volume due che sarà pubblicato (si spera) la prossima primavera del 2021. In effetti il CD, al di là della spontaneità dei partecipanti, non ha l’aria di una serie di jam senza particolari velleità, ma di una manciata di canzoni, pensate e concepite all’impronta, seguendo comunque una sorta di fil rouge che è il blues, del 21° secolo se volete, ma che ricorda molto quello del 20°, secondo il motto che nulla si crea e forse si rinnova, ma comunque si perpetua nel tempo. Ed ecco quindi Charlie Musselwhite, Alvin Youngblood Hart, Jimbo Mathus, il bassista Chris Chew come ospite, e tre membri della famiglia Dickinson, Luther, Cody e il babbo Jim, ognuno a portare al mulino delle idee una serie di brani per concretizzare questa riunione di amici, del quale forse Musselwhite è stato l’istigatore principale. Proprio lui apre le danze con Oh Blues, Why You Worry Me?, un pezzo che tanto gli piaceva da inciderlo anche nel recente disco in coppia con Elvin Bishop https://discoclub.myblog.it/2020/10/01/piu-di-150-anni-in-due-per-rendere-omaggio-a-un-secolo-di-blues-elvin-bishop-charlie-musselwhite-100-years-of-blues/ : si tratta di un classico shuffle con uso armonica, dove su una base di chitarre, elettriche e slide, piano e una sezione ritmica pimpante, Charlie canta con assoluta nonchalance e calore, come lui sa fare quando è particolarmente ispirato,

Nel secondo brano una cover di Pony Blues dal repertorio di Robert Johnson, Alvin Youngblood Hart passa alla guida del combo con la sua elettrica suonata in fingerpicking e la sua voce roca da bluesman senza tempo, ben sorretto da tutti i suoi pard, che continuano a sparare 12 battute da slide, piano, chitarre assortite e una ritmica volutamente discreta ma incalzante, Jimbo Mathus offre un proprio brano, lo slow lento e scivolante Night Time, dove il suono si fa più “moderno”, ma con moderazione, tutti molto impegnati a regalare profondità a questo gioiellino, soprattutto Jim Dickinson che comincia a scaldare i tasti del suo piano sullo sfondo, mentre le chitarre agiscono in primo piano, poi tocca proprio a Jim ad andare di barrelhouse in una sorniona Come On Down To My House, che sembra sbucare da qualche vecchio juke-joint, mentre dal nulla sbucano anche un mandolino (Hart), un violino, non si sa suonato da chi e un basso tuba suonato da Paul Taylor, mentre il vecchio Dickinson officia il rito con la sua voce vissuta. K.C. Moan in modalità Memphis Jug Band degli anni ‘20 (del secolo scorso) è un blues primigenio cantato da Musselwhite, mentre poi tutti si divertono in una potente e tirata Let’s Work Together che sarebbe piaciuta sia a Dr. John, come ai Canned Heat e magari anche agli Stones, con Dickinson che va di organetto, mentre canta di gusto.

La travolgente Strange Land di e con Musselhite, è l’occasione per Luther, alla slide, Alvin e Jimbo, per scaldare le sei corde mentre Charlie soffia con forza nella sua armonica e Jim magheggia con il piano in sottofondo e pure a Jimbo Mathus non dispiace gigioneggiare a tempo di ragtime in una ondeggiante Shake It And Brake It dove tutti si divertono. A questo punto Alvin Youngblood Hart deve avere detto, perché non facciamo un pezzo di quel bluesman di Seattle? E allora tutti ci danno dentro di brutto in una cover di Stone Free di Jimi Hendrix, dove l’assolo non è affidato al wah-wah ma alla armonica di Musselwhite. L’attizzato Hart guida i soci anche in una antica Stop And Listen Blues dei Mississippi Sheiks, dove il suono fa di nuovo un consistente salto all’indietro nel tempo. Loro si sono sicuramente divertiti ad improvvisare allora, ma noi oggi possiamo ascoltare con grande piacere i frutti di quella festa tra amici.

Bruno Conti

Dai Sobborghi Di Brooklyn Alle Rive Del Mississippi, Un’Altra Grande Voce. Bette Smith – The Good The Bad And The Bette

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Bette Smith – The Good The Bad The Bette – Ruf Records

Pettinatura Afro, corporatura prorompente, a Milano affettuosamente si dice “una bella paciarotta”, solo una piccola differenza grafica con l’altra Smith, la più famosa Bessie, anche se il genere non è proprio lo stesso, ma è passato un secolo, e non è un modo di dire: la nostra Bette Smith viene dai sobborghi di Brooklyn, NY, ha esordito tre anni fa con un disco Jetlagger, pubblicato dalla Big Legal Mess/Fat Possum Records, prodotto da Jimbo Mathus degli Squirrel Nut Zippers, che l’ha portata nel Mississippi, dove l’aspettavano Matt Patton, basso e Bronson Tew, batteria, che sono la sezione ritmica dei Drive-By Truckers, insieme ad altri musicisti, per registrare un album di funk/soul, R&B, rock, per sintetizzare diciamo blues contemporaneo, materiale in gran parte originale, ma con un paio di cover, un Isaac Hayes e I Found Love della coppia Maria McKee/Steve Van Zandt ai tempi dei Lone Justice, se vi capita cercatelo, perché ne vale le pena.

Ma stiamo parlando ora di questo The Good The Bad The Bette, chiara citazione Leone/Morricone, anzi ci siamo spinti ancora più in là, visto che la prima canzone del CD si chiama Fistful Of Dollars, ma le analogie con lo “spaghetti western” finiscono li: per la nuova missione lungo il Mississippi Patton e Tew sono sempre in pista, anzi sono loro i nuovi produttori, Jimbo Mathus era casualmente da quelle parti a dare una mano e suona organo e chitarra, l’etichetta è nuova, la tedesca Ruf Records, che se parliamo di blues e dintorni non si fa mancare nulla e quindi il risultato è di nuovo più che soddisfacente.

Adesso parliamo però di Bette Smith, cresciuta a pane e gospel, visto che il babbo era il direttore del coro di bambini della chiesa locale, ma lei era pure una grande appassionata di rock’n’roll, e nei lunghi anni di pratica di entrambe le passioni, a furia di cantare, deve avere consumato una parte della sua voce, visto che ora è roca e vissuta (si scherza), anche se questo non le impedisce di darci dentro alla grande nel nuovo album: organo, chitarra e fiati impazzano nella incalzante Fistful Of Dollars dove si apprezza la vocalità prorompente di Bette, a seguire arriva Whistle Stop una ballata delicata e malinconica dedicata alla madre scomparsa, dove la voce si fa più roca ed accorata, ben sostenuta da un arrangiamento complesso e curato.

Mentre in I’m A Sinner, voce riverberata e atmosfere tra psych e garage rock anni ‘60 Jimbo Mathus scatena la sua chitarra, e anche I Felt It Too non scherza quanto a grinta, un altro pezzo corale dove i musicisti si scatenano e la Smith lascia andare divertita la sua voce, con Mathus alle prese con un assolo distorto e selvaggio, doppiato da un sax in overdrive suonato da Henry Westmoreland  degli Squirrel Nut Zippers. Visto che era disponibile nei dintorni perché non utilizzare la chitarra di Luther Dickinson, e allora vai con il southern carnale di Sign And Wonders, sempre funzionale alla vocalità esuberante, ma mai sopra le righe, di Bette Smith, e non manca neppure una ode al suo amato cane, ripreso pure in un video legato all’album, nel funky, rock and soul della potente (I Wanna Be Your) Human.

Con Song For A Friend che ci riporta all’amato soul cantato con un timbro vocale quasi fanciullesco e buffo a tratti, diciamo piacevole ma non memorabile. In Pine Belt Blues la band torna a roccare e rollare, con una pattuglia di voci aggiunte che stimolano la brava Bette a darci dentro con più impeto, mentre in Everybody Needs Love, i pard Patton e Tew invitano il loro capo Patterson Hood a duettare con la Smith in un brano che come struttura sonora e melodia, anche se con un suono decisamente più grintoso, ha parecchie analogie nel ritornello con All You Need Is Love, se i Beatles avessero voluto farne un brano soul.

Per chiudere un’altra ballatona emozionale come Don’t Skip Out On Me, una storia di redenzione dove la nostra amica ha modo di mettere in mostra le sue indubbie doti vocali ancora una volta facendo ricorso ai ricordi dell’amato gospel della gioventù, e con uno splendido assolo di tromba, sempre di Westmoreland, che è la ciliegina sulla torta del brano, per un album complessivamente molto interessante e vario.

Bruno Conti

Ancora Dell’Ottimo Gospel Soul Da Memphis. Sensational Barnes Brothers – Nobody’s Fault But My Own

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Sensational Barnes Brothers – Nobody’s Fault But My Own – Bible And Tire Recording Co./Big Legal Mess/Fat Possum

Ammetto che fino a pochi tempo fa ignoravo l’esistenza dei Sensational Barnes Brothers, ma visto che uno dei piaceri dello scrivere di musica è anche quello di scoprire nuovi nomi, e poi condividerli con chi legge, eccoci a parlare di Nobody’s Fault But My Own, eccellente esordio di questa coppia di fratelli, peraltro comunque sconosciuta ai più. Alcuni indizi: vengono da Memphis, dove ai Delta-Sonic Studios è stato registrato questo album, provengono da una famiglia che ha sempre gravitato nell’area della musica gospel, il babbo Calvin “Duke” Barnes, scomparso improvvisamente di recente,  aveva un duo con la moglie Deborah (che in passato era stata una delle Raelettes di Ray Charles), i due figli Chris (appassionato del rock di Disturbed e Dream Theater) & Courtney,  suonano anche nei Black Cream, un gruppo nello stile classico del power trio, rivisto in ottica nera, aiutati da parenti assortiti, Calvin Barnes II suona nel disco all’organo, Sister Carla, l’unica ad avere lasciato Memphis, canta pure lei, quindi la musica è un affare di famiglia.

Il disco non riporta il nome degli autori dei brani, ma tutto il materiale proviene dal catalogo della Designer Records, una sconosciuta etichetta degli anni ’70 specializzata in soul e gospel,benché nelle parole dei due fratelli avrebbe potuto essere stato scritto dalla loro famiglia, visto che coincide con quella visione musicale e religiosa. Possiamo aggiungere che il disco è prodotto da Bruce Watson (anche chitarrista e polistrumentista, nonché fondatore della Fat Possum)), uno che ha lavorato con Don Bryant (marito di Ann Peebles), nello splendido Don’t Give Up On Love, con Jd Wilkes, con Jimbo Mathus, che appare nel disco come organista aggiunto, anche con R.L. Burnside e Jumior Kimbrough, e moltissimi altri. Nel CD suonano Will Sexton alla chitarra, George Sluppick alla batteria, Mark Stuart al basso, Kell Kellum alla pedal steel, oltre agli ottimi Jim Spake e Art Edmaiston ai fiati, a dimostrazione dell’assunto che elencare i nomi dei musicisti magari può essere didattico e didascalico, ma aiuta a capire cosa stiamo per ascoltare, e come detto all’inizio si parla di deep soul gospel o Stax sound della prima ora, insomma “old school” come si suole dire: pescando a caso dal disco abbiamo la fiatistica e corale I’m Trying To Go Home, anche con coretti deliziosi femminili e un suono che sembra uscire dai Fame Studios, mentre i due fratelli “testimoniano” alla grande https://www.youtube.com/watch?v=7WlVzsCtB8M , la splendida ballata Let It Be Good. cantata divinamente dal babbo Calvin “Duke” Barnes, anche con arditi falsetti, e chitarre e organo, oltre agli immancabili coretti e il supporto del figlio Chris, tutti che agiscono in pura modalità sudista.

Why Am I Treated So Bad, con riff di fiati all’unisono, e una melodia che potrebbe rimandare a Sam & Dave, se avessero deciso di darsi al gospel anziché al soul, sempre con quel falsetto ricorrente, I Made It Over, dal ritmo incalzante ed estatico del miglior gospel quando si “ispira” anche ad una soul music più carnale, oppure Nobody’s Fault My Own (che qualche parentela, quantomeno a livello di testo) con Nobody’s Fault But Mine ce l’ha, è un R&B sincopato che istiga a muovere mani e piedi in un florilegio di chitarrine e ritmi scatenati, che accelerano e accelerano fino al classico call and response del finale. E prima ancora un’altra bellissima ballata in puro spirito sudista come I Feel Good, sempre sognante e serena, attraverso l’uso di complessi arrangiamenti vocali, I Won’t Have To Cry No More potrebbe essere un esempio di come avrebbero potuto suonare i primi Staples Singers se Pops Staples invece di una pattuglia di figlie, si fosse trovato con altrettanti figli, oppure con i Soul Stirrers di Sam Cooke. E anche It’s Your Life è un altro mid-tempo tra soul e gospel cantato con grande passione dai due fratelli, come pure la incantevole Try The Lord, con Kell Kellum ad accarezzare la sua pedal steel https://www.youtube.com/watch?v=21TJawoVGZk , ma in tutto il disco vi sfido a trovare un brano scarso, solo del sano buon vecchio soul, a tinte gospel.

Bruno Conti

Ottima Musica: Sempre Della Serie Non Solo Blues! Ian Siegal – All The Rage

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Ian Siegal – All The Rage – Nugene Records

Ian Siegal e Jimbo Mathus sono una coppia bene assortita: dopo il Live acustico del 2016 Wayward Sons https://discoclub.myblog.it/2016/05/04/coppia-bene-assortita-ian-siegal-jimbo-mathus-wayward-sons/  che seguiva un altro disco dal vivo, elettrico, del 2015, entrambi registrati in Olanda, questa volta torna in studio per proporre un album tutto composto da nuovi brani, sempre registrato nei Paesi Bassi, ad Amsterdam, visto che la sua band è composta da musicisti locali, Dusty Ciggaar (chitarre), Danny Van’t Hoff (basso), e Rafael Schwiddessen (batteria), mentre Mathus questa volta si “limita” a produrre, suona qualche strumento qui e là, e firma due brani con Siegal. Il titolo dell’album è ambivalente, in quanto in inglese All The Rage vuole dire sia “di gran moda” come pure “tutta la rabbia”, che è quella che sta infiammando il mondo dall’elezione di Trump  e dall’avvento di tutti i partiti di destra e populisti che si sono insediati in molti paesi europei, oltre alle tensioni che strisciano nel Medio e Lontano Oriente e ovunque sul pianeta.

Visto che il blues è sempre stato un genere che ha toccato questi temi, politici e sociali, Ian Siegal li ha inseriti anche nelle sue canzoni, due firmate con la coppia  Isa Azier e Mischa den Haring, mantenendo quel suo particolare stile musicale che inserisce anche elementi di Americana, country e roots music, su una base comunque decisamente blues e dove la sua chitarra è sempre un elemento importante nell’economia dei brani. L’apertura è affidata a Eagle-Vulture, uno dei suoi tipici brani di stampo blues-rock, grintosi e tirati, con la sua voce vissuta e rauca che urla la sua rabbia su una ritmica mossa e complessa, mentre la chitarra comincia a tessere le sue trame vibranti anche nella modalità slide che è uno degli stili prediletti dal musicista di Portsmouth. Bella partenza, subito ribadita in Jacob’s Ladder, uno dei pezzi scritti con i musicisti olandesi, un blues del Delta, elettrico e vibrante e che ricorda le sue collaborazioni con i fratelli Dickinson e altri musicisti dell’area del Mississippi, ma anche qualche elemento Waitsiano; ottima pure The S*it Hit uno slow blues duro e puro, dove Siegal imperversa con la sua solista in modalità bottleneck e Mathus aggiunge un pianino insinuante alle procedure, mentre il nostro Ian canta con rabbia e cattiveria. Won’t Be Your Shotgun Rider è uno dei brani dove gli elementi  roots sono più evidenti, una bella ballata ariosa e distesa ,ingentilita dalla voce femminile di Merel Moelker, e che ricorda il  miglior country-rock anni ’70, con Siegal al dobro, seguita da Ain’t You Great che introduce anche elementi latini, messicani e un pizzico di desert rock nella musica, mentre il testo è amaro e quasi apocalittico.

My Flame è un country-blues, solo voce e chitarra acustica in fingerpicking nella parte iniziale, poi entrano il piano, la ritmica discreta, una lap steel e il brano assume l’andamento delle ballate romantiche del Tom Waits anni ’70, anche grazie alla voce grave di Siegal, molto bella; One-Eyed King, firmata di nuovo dal trio, è stata definita dal suo autore una sorta di “murder” ballad”, e ci sta, anche se poi l’esecuzione vira di nuovo verso il rock-blues intenso ed atmosferico dei brani migliori del nostro, con la sua chitarra twangy in azione.  If I Live è un altro blues scarno ed amaro, con un giro musicale quasi ciclico e ripetitivo, con organo, mandolino e altri strumenti suonati da Jimbo Mathus aggiunti al menu sonoro, e Sweet Souvenir è uno splendido gospel-soul-blues di grande fascino, con cori avvolgenti e una interpretazione che fa molto deep soul , Muscle Shoals style o da quelle parti, con un paio di inserti chitarristici da manuale, non a caso gli ultimi due brani sono quelli firmati con Mathus e risentono chiaramente delle radici musicali sudiste del musicista americano. Per concludere rimane Sailor Town, una canzone firmata con il cantautore Hook Herrera, un brano che profuma nuovamente di R&B, blues e musica nera in generale, ritmata e leggera, ma di eccellente qualità, come d’altronde tutto l’album, che conferma quindi  ancora una volta l’eccellenza della musica di Ian Siegal.

Bruno Conti

Oltre Le Gambe C’è Di Più! Samantha Fish – Belle Of The West

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Samantha Fish – Belle Of The West – Ruf Records 

Nel recensire il precedente disco di Samantha Fish Chills And Fever, avevo esordito dicendo che all’incirca ogni paio di anni la musicista di Kansas City si presentava con un nuovo album http://discoclub.myblog.it/2017/05/05/comunque-lo-si-giri-un-gran-bel-disco-samantha-fish-chills-fever/ . Quasi a volermi smentire, a soli sette mesi dal precedente, la nostra amica si ripete con questo Belle Of The West. E a differenza di quel disco, dove si avvaleva dei Detroit Cobras, utilizzando un sound molto sixties, anche intriso di fiati e influenzato dal soul, dalla garage music, dal R&R, oltre all’immancabile blues, per l’occasione torna allo Zebra Ranch Studio di Independence, Mississippi, quello di Luther Dickinson, che è il produttore dell’album, oltre a suonarci chitarra e mandolino, e portandosi appresso molti dei suoi amici per la registrazione dei vari brani: Lightnin’ Malcolm, chitarra, armonica e voce, Jimbo Mathus, fender rhodes, armonica e voce, oltre ad avere composto la title track, Amy Lavere, contrabbasso e voce, Lillie Mae Rische, violino e voce, Tikyra Jackson, batteria e voce, Sharde Thomas, fife (quella sorta di piccolo piffero), batteria e voce e Trina Raimey, batteria.

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https://www.youtube.com/watch?v=d07XcKjwshE

Il risultato direi che è una sorta di country-folk-roots rock, ovviamente con molti elementi blues, quasi più un disco da cantautrice che da blueswoman https://www.youtube.com/watch?v=lQxNC-fmEQ4 , abbastanza differente dai dischi precedenti, anche da Wild Heart, che era comunque prodotto da Luther Dickinson, elementi presenti pure nel disco Blues And Ballads dove erano impiegati molti di questi musicisti, ovvero Lavere, Thomas e Rische, oltre allo stesso Luther. Alla luce di quanto detto finora il CD risulta essere un disco formato da blues e ballate, non dissimile da quello del leader dei North Mississippi Allstars, magari più variegato nello stile. Dalla iniziale American Dream, dove il fife della Thomas e il violino di Lillie Mae conferiscono un’aura quasi paesana all’arrangiamento, con il suono volutamente secco e smorzato della batteria che si sposa con il sound da traditional del pezzo; Blood In The Water, comincia ad assumere tonalità più da cantautrice, anche se il guizzante violino della Rische e il piffero di Sharde si intrecciano con la chitarra della Fish che non dimentica di essere una delle soliste più intriganti in circolazione.

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https://www.youtube.com/watch?v=88BaytsPunI

Il trittico di canzoni che seguono è di notevole qualità, la dolce e malinconica Need You More appartiene alla categoria delle “ballads”, seppure in leggero mid-tempo e con la voce espressiva della nostra amica che assume tonalità meno esplorate in passato, ancora con il violino a fare da strumento guida nell’economia della canzone; mentre Cowtown potrebbe essere quasi un brano alla Delaney & Bonnie, costruito intorno ad un riff del piano elettrico e della chitarra, con un crescendo che si fa man mano incalzante e la solista pungente nel finale travolgente, ottima anche Daughters, un pezzo che potrebbe ricordare le canzoni più mosse di Natalie Merchant (ovviamente sono impressioni personali buttate lì per dare un’idea di quanto si va ascoltando), la melodia è piacevole, le armonie vocali avvolgenti e la chitarra e il piano elettrico di Mathus che aggiungono quel tocco pepato in più al brano che ci accompagna nel nostro viaggio verso Ovest, ma anche verso Sud.  Viaggio che si arricchisce ancora delle tonalità più bluesy di una Don’t Say You Love Me con i profumi del Mississippi, dove il disco è stato registrato, che si fanno più evidenti, mentre il cantato è più indolente ed energico al tempo stesso e anche la solista si ritaglia i suoi spazi nel finale in crescendo.

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https://www.youtube.com/watch?v=MrqzKgwyDss

Belle of The West, il pezzo firmato da Jimbo Mathus, è invece una deliziosa country ballad, cantata in souplesse dalla Fish che azzecca una tonalità birichina e morbida, senza cadere troppo nella leziosità, e il pezzo risulta uno dei più godibili del disco. Poor Black Mattie, la cover di un brano di R.L. Burnside, era già nel repertorio live della Fish almeno dal 2014, viene cantata in coppia con Lightnin’ Malcolm, che anzi è la voce solista della canzone, oltre a suonare l’armonica, con Samantha che risponde al call and response tipico delle 12 battute primigenie del Delta Blues più grezzo ed elettrizzante; blues che rimane protagonista anche nel suono secco ed asciutto di No Angels, altro pezzo corale, dove tutta la truppa dei musicisti si esalta in un brano dove le chitarre slide e soliste di Fish e Dickinson si sfidano in modo coinvolgente; Nearing Home, appartiene di nuovo alla categoria delle “ballate”, cantata a due voci con Lillie Mae Rische che ne è anche l’autrice, risulta un altro momento dove il country prende il sopravvento sul blues con risultati splendidi, mentre nella conclusiva Gone For Good, una slide acustica, il contrabbasso e poche percussioni, sono gli elementi principali per un nuovo tuffo nel blues acustico, senza dimenticare la voce della nostra amica, autorevole e partecipe quanto basta per confermare la sua ascesa ad essere considerata uno dei talenti più interessanti espressi dalla musica roots americana.

Bruno Conti    

Una Coppia Bene Assortita! Ian Siegal & Jimbo Mathus – Wayward Sons

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Ian Siegal & Jimbo Mathus – Wayward Sons – Nugene Records

La Nugene Records è una piccola etichetta che ha nel suo rispettabile roster di artisti alcuni nomi legati al blues contemporaneo, tra i più noti Matt Schofield, che nel frattempo è passato alla Provogue, Simon McBride e soprattutto Ian Siegal. L’artista britannico è un habitué delle collaborazioni: prima con gli Young Sons in The Skinny, un disco prodotto da Luther Dickinson, con la partecipazione di Alvin Youngblood Hart e alcuni componenti delle famiglie Kimbrough e Burnside, poi in Candy Store Kid si aggiungevano anche Cody Dickinson e Lightnin’ Malcolm, diventando i Mississippi Mudbloods http://discoclub.myblog.it/2012/11/13/un-inglese-alle-radici-del-blues-di-nuovo-ian-siegal-the-mis/ , infine nel 2014, per il live The Picnic Sessions, viene coinvolto anche Jimbo Mathus. Nel frattempo Siegal, che non è uno poco prolifico, anzi, ha pubblicato altri due album dal vivo, uno in solitaria Man & Guitar, l’altro One Night In Amsterdam, un live elettrico con band al seguito, veramente potente.

Chi vi scrive lo preferisce nella versione elettrica e tirata, ma devo ammettere che il nostro amico è bravo anche nel formato acustico. Se poi in duo, come nel caso di questo Wayward Sons, ancora meglio. Anche Jimbo Mathus non sta mai fermo, oltre alle saltuarie reunion con gli Squirrel Nut Zippers, la collaborazione con i musicisti prima citati, nella South Memphis String Band,  pubblica molti album solisti, sempre ricchi di ospiti e collaboratori, spesso più di uno all’anno, ma su invito dell’amico Siegal, si è recato, nell’autunno del 2014, nella piccola città olandese di Hoogland, al Café De Noot, per una serata particolare, tra folk, country e blues. Il risultato dei due “Figli Ribelli” è un album dove i brani di entrambi convivono con cover di Townes Van Zandt, molti pezzi tradizionali e qualche blues. Che è la musica principale adottata: ma ci sono anche echi dylaniani, come nella iniziale In The Garden, dove la chitarra di Siegal e il mandolino e l’armonica di Mathus (che nel disco suona anche kazoo e seconda chitarra) si amalgamo alla perfezione, e armonizza, con la sua voce più rauca e vissuta, quasi da country e folk singer, sfoggiata per l’occasione, da Siegal. I due ci regalano aneddoti e presentazioni, tra il colto ed il divertito, prima, dopo e durante, quasi ogni brano. Come nel caso dell’intro alla bellissima Heavenly Houseboat Blues del citato Van Zandt, che già era apparsa a sorpresa nelle Picnic Sessions.

Nel disco non mancano tratti gospel e da songwriters, e il tutto scorre piacevole e coinvolgente, come in una collaborazione tra spiriti affini: Jesse James ha naturalmente accenti country, mentre la classica Mary Don’t You Weep, è un gospel blues, dove di nuovo mandolino, armonica e le voci dei due scorrono piacevolmente. Anche Casey Jones è un brano che tutti conosciamo, è il treno sonoro è proprio quello di un viaggio, discorsivo e intenso come la canzone richiede e pure Crazy Old Soldier ha le stimmate della grande ballata d’autore, con la voce partecipe delle disavventure del protagonista. A tratti si va nel folk puro, ma sempre ricco di tratti blues, come in Old Earl, per poi sfociare nel blues arcano di Ludella, quando Ian Siegal sfodera la sua slide e la sua voce da consumato blues singer. Scorrono anche pezzi celeberrimi come Stack’o’lee, una corale, anche se sono solo in due, Goodnight Irene, l’antico blues di nuovo ricco di spiritualità ( e di slide) I’ll Fly Away e per concludere il tutto, una bella versione di Dirty Old Town, il brano di Ewan MacColl che è ormai diventato una standard della canzone popolare “moderna”. Per chi ama dischi raccolti, ma al tempo stesso espansivi e ricchi di quella difficile arte della collaborazione che solo gli artisti di valore sanno praticare.

Bruno Conti

Novità Di Aprile Parte II. Olivia Chaney, Alabama Shakes, Bodeans, John Mayall, Jimbo Mathus, Dwight Yoakam, Villagers, Soundstage Blues Summit, Railroad Earth

Olivia Chaney The Longest River

Ultima parte dedicata alle novità in breve di Aprile, andiamo a ritroso con le uscite, magari di alcune non escludo una recensione completa, mentre quelle che non vedete la avranno sicuramente. Mi sono accorto che era rimasto indietro un titolo tra quelli in uscità il 28 aprile, cioè oggi, almeno negli Stati Uniti, in Italia uscirà il 12 maggio: si tratta dell’esordio su etichetta Nonesuch di Olivia Chaney, una cantante inglese messa sotto contratto dall’etichetta americana del gruppo Warner, che fa parte anche lei della ristretta (ma non troppo) pattuglia di nuovi talenti che vale la pena investigare. Nata a Firenze nel 1982, con mamma australiana, cresciuta a Oxford e ora basata a Londra, la Chaney, come si desume dalla nata di nascita, non è più una giovanissima, ed in effetti ha già collaborato con vari musicisti e gruppi inglesi negli anni passati, dagli Zero 7 a Seth Lakeman, nel penultimo disco di Alasdair Roberts A Working Wonder Stone, ai collettivi Folk Police e Concerto Caledonia, oltre ad altri, quindi discograficamente e in concerto Olivia è sempre stata molto attiva, ma in effetti questo The Longest River è il suo disco d’esordio (a parte un EP pubblicato nel 2010) https://www.youtube.com/watch?v=v0lr8ax_mm4 . In possesso della classica voce da folksinger, chiara e cristallina, il repertorio di Olivia Chaney oscilla tra proprie composizioni, brani tradizionali folk, il tutto con arrangiamenti dove la chitarra acustica o il piano https://www.youtube.com/watch?v=-rGUInwyCRQ , vengono arricchiti da arrangiamenti di archi, tocchi di harmonium suonati dalla stessa Chaney, violino e viola, chitarre eletriiche arpeggiate, sonorità che ci catapultano nel classico mondo del british folk degli anni ’70, quello dei Fairport, dei Pentangle, dell’Albion Band delle sorelle Collins, quindi bella musica tra le influenze della nostra amica, che cita anche Dylan, sui dischi del quale ha imparato a suonare la chitarra, aggiungerei anche le prime Judy Collins e Joni Mitchell, quelle più classiche. Comunque se volete verificare (e finché dura, poi rimarranno validi gli altri due link) qui potete ascoltare l’intero album in streaming nel soundcloud http://www.thebluegrasssituation.com/read/listen-olivia-chaney-longest-river

alabama shakes sound & color

Il primo disco degli Alabama Shakes di Britanny Howard era stato un fulmine a ciel sereno: rock alla Janis Joplin, soul della Stax, southern rock, blues elettrico, il tutto miscelato alla perfezione e veicolato dalla poderosa voce della ragazza di Athens, Alabama. Per questo nuovo Sound And Color, pubblicato il 21 aprile, come il precedente etichetta Rough Trade, si segnala un passaggio verso sonorità più “moderne”: prodotto da Blake Mills, autore lo scorso anno del buon Heigh Ho, in questo album c’è molto meno rock classico e più contemporary soul (qualcuno ci ha visto l’impronta di Prince per il falsetto o della Winehouse per il suono ricco di eco, ma il funky non lo ha inventato l’amico di Minneapolis e il falsetto lo usava spesso anche Joan Armatrading) https://www.youtube.com/watch?v=iraraKH0_Tk , per cui meno ruspante e genuino del precedente, diciamo che l’effetto è meno immediato, ma nell’insieme non mi dispiace, anzi, a tratti è intrigante https://www.youtube.com/watch?v=-oib0a2_itA  e comunque non mancano brani vicini al sound di Boys And Girls https://www.youtube.com/watch?v=x-5OX7CO26c . Questo è uno di quelli che vorrei recensire più approfonditamente, e sempre tempo permettendo, lo sto ascoltando con attenzione, quindi rimando il giudizio definitivo, per il momento positivo con riserva, però preferisco il precedente.

bodeans i can't stop

Secondo album in studio della formazione dei Bodeans senza Sam Llanas ( e dodicesimo complessivamente); Kurt Neumann e il nuovo Sam Hawksley, si dividono le parti di chitarra e basso, la produzione del disco e in alcuni brani anche la batteria, quando non c’è Kenny Aronoff che è una garanzia, almeno sulla carta. Alle tastiere c’è il pavese Stefano Intelisano, da quasi tre lustri trasferitosi in quel di Austin, Texas. Il CD si chiama I Can’t Stop, etichetta Free And Alive Records, non ho avuto occasione di sentirlo, quindi mi astengo dai giudizi anche se ho letto delle critiche positive, ma i tempi gloriosi degli anni ’80 e ’90 mi sembrano passati.

john mayall live in 1967

Questo tecnicamente farebbe parte dei “bootleg ufficiali radiofonici” recensiti recentemente, ma esce per una fantomatica Forty Below Records e si tratta di un rarissimo concerto dei Bluesbreakers di John Mayall, anzi una serie di concerti, tenuti nel brevissimo periodo, tre mesi nel 1967, da qui il titolo, in cui quelli che sarebbero diventati da lì a poco i Fleetwood Mac, Peter Green, John McVie e Mick Fleetwood divisero il palco con Mayall https://www.youtube.com/watch?v=GRA33BMkuZE , anche se solo Green partecipò poi alla registrazione di A Hard Road. Chi legge il Blog sa che Peter Green è uno dei miei chitarristi preferiti in assoluto e quindi non potrei mai parlare male di questo CD, però la qualità a tratti è veramente scadente, mentre soprattutto in alcuni dei blues lenti https://www.youtube.com/watch?v=rgFIGZ4xspo si gode della tecnica e del feeling di colui  https://www.youtube.com/watch?v=OwCAPDwYic0 che allora sostituì Eric Clapton nella formazione, senza farlo assolutamente rimpiangere https://www.youtube.com/watch?v=irhdeQhurj8 . Valore storico 10, qualità sonora complessiva 6.5, quelli che ho linkato sono tutti incisi piuttosto bene per l’epoca, considerando che vengono da vecchi bootleg.

jimbo mathus blue healer

Dovrebbe essere il dodicesimo album solista di Jimbo Mathus questo Blue Healer, Live e dischi come Tri-State Coalition compresi, ma esclusi quelli registrati con il suo primo gruppo Squirrel Nut Zippers, in teoria ancora in attività e con la South Memphis String Band . Il disco, il terzo per la Fat Possum, è la consueta miscela di rock-blues, country, ballate sudiste, southern rock tirati come l’iniziale Shoot Out The Lights, con Eric Ambel alla chitarra solista https://www.youtube.com/watch?v=1RHIn8zbloE, i tempi scanditi dall’organo e ancora dalla chitarra della poderosa title-track https://www.youtube.com/watch?v=vydkLzSTJQM o mid-tempo tra country e New Orleans come la pianistica Love And Affection https://www.youtube.com/watch?v=5jlco87Rfqo e sembra quindi uno tra i suoi migliori in assoluto, tutti i dodici brani di ottima qualità, senza cedimenti, e che confermano la classe e la bravura di questo musicista di Oxford, quella del Mississippi però!

dwight yoakam second hand

Dwight Yoakam sono parecchi anni che non sbaglia un album, dopo “le tre pere” del 2012 http://discoclub.myblog.it/2012/09/26/tre-pere-e-palla-al-centro-dwight-yoakam-3-pears/, l’artista che tutti pensano californiano, per il suo amore per il Bakersfield sound del suo idolo Buck Owens o al limite di Nashville, per la sua chiara estrazione country (rock), ma in effetti è nato a Pikeville, piccola località del Kentucky, centra ancora l’obiettivo con Second Hand Heart, quattordicesimo album in quasi 30 anni di carriera (se non contiamo i dischi di cover, quelli natalizi, i Live, le compilations). Uno dei rari casi in cui il successo di vendita, con i dischi sempre nelle Top 20 generali e Top 5 country, questo nuovo compreso, e quello di critica, quasi unanime nei giudizi favorevoli, coincidono https://www.youtube.com/watch?v=J3mazds9omg . Dieci brani, otto nuovi firmati da Dwight, una cover del traditional Man Of Constant Sorrow, legata agli Stanley Brothers https://www.youtube.com/watch?v=bYfAON5WM64  e una scritta da Anthony Crawford (collaboratore storico di Yoakam e leader dei Sugarcane Jane, con la moglie Savana Lee), dal titolo criptico di V’s Of Birds  https://www.youtube.com/watch?v=nd5U3tgcGGw una bella ballata. Il CD è uscito il 14 aprile per la Warner Nashville, è prodotto dallo stesso Dwight Yoakam ed è il solito classico country, ma di quello buono, lontano mille miglia dal sound ammuffito di molte produzioni attuali provenienti da Nashville https://www.youtube.com/watch?v=UaSf947O38Y

villagers darling arithmetic

Nuovo disco, il terzo per i Villagers, gruppo irlandese che ruota intorno alla personalità di Conor O’Brien, piccolo genietto della musica britannica. Lo stile viene definito indie folk, ma secondo chi scrive, da subito affascinato dalla sua musica e dal suo talento http://discoclub.myblog.it/2010/06/18/anche-lui-di-nome-fa-conor-the-villagers-becoming-a-jackal/, poi ribadito nel successivo (Awayland), tutti su Domino, come anche questo Darling Arithmetic, il nostro è un degno successore della grande tradizione della buona musica che viene dal Regno Unito (ma non solo). Il nuovo album, come al solito giustamente incensato dalla rivista Mojo (e da tutte le altre) https://www.youtube.com/watch?v=_hD0wd2HUVs , ha un suono ancora più intimo e tranquillo dei precedenti https://www.youtube.com/watch?v=8UsYbProrac , registrato in solitaria da O’Brien in una piccola località nei pressi di Dublino, contiene nove bozzetti delicati (undici nella versione Deluxe per il download) dove si può gustare il raffinato gusto per i particolari di questo talentuoso musicista https://www.youtube.com/watch?v=icaRVYQ5-Nc .

soundstage blues summitrailroad earth live red rocks

Per concludere un paio di segnalazioni di DVD musicali, entrambi usciti solo sul mercato americano. Il primo, Soundstage Blues Summit In Chicago, 1974 attribuito a Muddy Waters and Friends, è sicuramente molto interessante, però NTSC Regione 1, durata solo 59 minuti, etichetta Sony Legacy. Per il resto, a giudicare dai contenuti e dai musicisti presenti, si tratta di una piccola chicca:

  1. Blow Wind Blow – Introduction performed by Muddy Waters
  2. Long Distance Call performed by Muddy Waters
  3. Messin’ with the Kid performed by Nick Gravenites & Junior Wells
  4. Stop Breaking Down performed by Junior Wells
  5. Mannish Boy performed by Muddy Waters
  6. Wang Dang Doodle performed by Willie Dixon & KoKo Taylor
  7. Walking Through the Park performed by Johnny Winter
  8. Hootchie Kootchie Man performed by Muddy Waters & Willie Dixon
  9. Sugar Sweet performed by Dr John
  10. Got My Mojo Workin’ performed by Muddy Waters

Tra i musicisti presenti in questo concerto registrato nel luglio del 1974, oltre a quelli citati, anche Mike Bloomfield, Phil Guy, Luther Snake Boy Johnson, Robert Margolin alle chitarre, Jerry Portnoy all’armonica (che si aggiunge a Junior Wells), Buddy Miles e Willie  Big Eyes Smith alla batteria e Pinetop Perkins al piano e Calvin Fuzz Jones e Rollo Radford al basso.

L’altro DVD come durata non ha problemi, anzi, sono circa 180 minuti, quasi tre ore, Live At Red Rocks, come recita il titolo, quindi nello stupendo anfiteatro naturale nei pressi di Denver, Colorado, nel luglio del 2013. In questo caso la difficoltà sta nella reperibilità, distribuito direttamente negli Stati Uniti dai Railroad Earth attraverso la loro etichetta Black Bear Records https://www.youtube.com/watch?v=GSthr–YsR4e nel prezzo, oltre i 30 dollari più le spese di spedizione (ma cercando si trova anche a meno). Ne varrebbe la pena perché la grass jam band del New Jersey è fantastica dal vivo (ma anche in studio http://discoclub.myblog.it/2014/01/24/gli-ultimi-fuorilegge-del-jam-roots-grass-railroad-earth-last-of-the-outlaws/), la location è suggestiva, il suono e le immagini sono fantastiche.

E’ tutto, alla prossima, vado a vedermi Beth Hart!

Bruno Conti

Novità Di Gennaio Parte II. West Of Memphis, Yo La Tengo, Villagers, Laura Nyro, Christopher Owens,Jimbo Mathus, Jeff Black, Eccetera

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 Eccomi di nuovo con le principali uscite relative al 15 gennaio e qualcosa già uscito. Intanto vi ricordo, perché lo avrete visto nei negozi di dischi (che a dispetto di quanto professano molti, per fortuna, esistono ancora), che, solo per il mercato italiano, in America e Inghilterra uscirà il 22, è uscito il doppio CD 12-12-12, distribuito dalla Sony Music.

Sempre la Sony/Bmg pubblica il 15-01 la colonna sonora del documentario West Of Memphis Voices For Justice, che racconta la storia del famoso crimine avvenuto a West Memphis in Arkansas nel 1993, nel corso del quale furono assassinati tre bambini di 8 anni e al termine di un nebuloso processo furono condannati 3 giovani, di cui uno solo maggiorenne, che dopo 18 anni e un altro “strano” processo, sono stati condannati (senza essere colpevoli, ma in seguito ad un accordo tra accusa e difesa) a 18 anni e 78 giorni e rilasciati subito dopo perché avevano scontato tutta la pena. Il documentario, presentato al Sundance Festival del 2012, diretto da Amy Berg e prodotto da Peter Jackson e Fran Walsh (quelli del Signore degli Anelli) e sponsorizzato, tra gli altri, da Eddie Vedder, Henry Rollins e Johnny Depp (che negli anni era diventato amico intimo di Damien Echols, l’unico maggiorenne tra gli accusati, all’epoca), già nel 2000 era stato oggetto di un progetto da parte dal mondo della musica per raccogliere fondi e tenere viva la vicenda (e Echols, che, non dimentichiamolo, era nel Braccio della morte) Free The West Memphis 3, con la partecipazione di Tom Waits, Steve Earle, Mark Lanegan, Joe Strummer, Eddie Vedder, John Doe e molti altri. Ora per questa nuova colonna sonora, che si annuncia come uno dei dischi più interessanti di questo inizio 2013, anche per la vicenda che tratta, sono stati coinvolti:

Track Listing:

1. Henry Rollins (feat. Nick Cave & Warren Ellis original score) – Damien Echols Death Row Letter Year 9
2. Natalie Maines – Mother
3. Lucinda Williams – Joy
4. Camp Freddy – The Jean Genie
5. Tonto’s Giant Nuts feat. Johnny Depp & Bruce Witkin – Little Lion Man
6. Marilyn Manson – You’re So Vain
7. Band of Horses – Dumpster World (Live)
8. Citizen Cope – DFW
9. Eddie Vedder – Satellite
10. Bill Carter – Anything Made of Paper
11. The White Buffalo – House of Pain
12. Bob Dylan – Ring Them Bells
13. Nick Cave & Warren Ellis – West of Memphis Score Suite
14. Tonto’s Giant Nuts feat. Johnny Depp (feat. Nick Cave & Warren Ellis original score) – Damien Echols Death Row Letter Year 16

Bonus Track:
15. Patti Smith – Wing (Recorded Live at Voices For Justice Benefit Concert – August 28, 2010)

Digital Only Bonus Track:
16. Bill Carter – Road to Nowhere

L’unico pezzo edito è quello di Dylan, il resto sono tutti brani inediti o versioni live di brani già noti.
 
 
Nuovo album per gli Yo La Tengo, si intitola Fade, uscito il 15 per la Matador e, a detta di molti ciritici, il loro miglior album da molti anni a questa parte (ma ne hanno mai fatti di brutti?). Registrato a Chicago con la produzione di John McEntire (Tortoise), se non frequentate già potrebbe essere l’occasione per ascoltare una delle migliori formazioni americane dell’ultimo trentennio. Non sembra ma sono in pista dal 1984 e l’alternative rock con cui vengono catalogati è un termine molto riduttivo, anche i Velvet Underground e i Television ai tempi erano “alternativi”, ma a cosa?
 
 
Secondo album per i Villagers, ovvero Conor J. O’Brien,con la partecipazione del chitarrista Tommy McLaughlin e anche se questa volta O’Brien non suona tutti gli strumenti come nel precedente Becoming A Jackal (che mi era piaciuto una cifra, come potete verificare anche-lui-di-nome-fa-conor-the-villagers-becoming-a-jackal.html ) questo nuovo Awayland mi sembra sempre molto buono (ho appena finito di sentirlo, poi se riesco ci torno in modo più dettagliato, ma non prometto). Etichetta Domino Records, è uscito anche questo il15 gennaio e ci sarebbe pure una versione Deluxe in vendita sul sito dell’etichetta, in tiratura limitata di 500 pezzi (con 5 brani extra, Live At Attica, bellissimi, quasi meglio del resto del disco). L’irlandese è un vero talento, se non avete l’altro album, magari iniziate da lì, ma sono eccellenti entrambi, consigliato!
 
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Il nuovo album di Jeff Black è il secondo capitolo della serie B-Sides And Confessions Volume Two, il titolo, viene autodistribuito tramite il suo sito su etichetta Lotos Nile, quindi non è di facile reperibilità, ma come il primo volume, che essendo uscito per la Dualtone è ancora reperibile, si situa tra le cose migliori di questo grande cantautore, residente nella Nashville “alternativa” Tra gli ospiti Sam Bush, Jerry Douglas, Matraca Berg e Gretchen Peters, con una giusta alternanza di brani acustici ed elettrici.
 
 
Nel 1976 Laura Nyro realizzò il suo ultimo grande tour americano, accompagnata da una band incredibile, dove spiccavano il chitarrista John Tropea, Mike Mainieri al vibrafono, Andy Newmark alla batteria, Carter Collins alle percussioni e Richard Davis al basso (mi sa che li ho detti tutti). Da quella tournée venne estratto il disco dal vivo Season Of Lights, inizialmente pensato dalla Columbia come un doppio LP, ma alla fine pubblicato come singolo (la Iconoclassic nella ristampa in CD del 2008 recuperò anche i brani mancanti). Quel disco proveniva da diverse date del tour, mentre questo Live At Carnegie Hall, pubblicato dalla All Access, riporta l’intero broadcast radiofonico del marzo 1976, con una ottima qualità sonora, nonostante la provenienza dubbia, e la stessa band stellare del live ufficiale. Un must per i fans (e non solo) di quella che è stata una delle più grandi cantautrici americane degli anni ’70 e probabilmente di tutti i tempi. Il dischetto è già disponibile da qualche settimana, anche se non di facile reperibilità
 

Christopher Owens, è uno dei nomi emergenti del nuovo rock americano, ex leader del gruppo indie Girls, con cui ha pubblicato due album, ora fa il suo esordio come cantautore per la Fat Possum/Turnstile con il disco Lysandre, un disco ricco di ballate dal suono melodico e molto curato, interessante.
 
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Manifestra di Erin McKeown viene pubblicato dalla etichetta personale della cantautrice americana, la TVT Records e, come ultimamente spesso è usanza, è stato finanziato con una raccolta di fondi attraverso la rete da parte dei fans, che in soli sei giorni, a tempo di record, hanno raccolto il denaro sufficiente per registrare questo nuovo album. Il disco esce anche in versione doppia, con il secondo CD che raccoglie i dieci brandi del disco in versione acustica, solo chitarra e voce. La McKeown fa parte di quel filone diciamo di folk-rock militante e alternativo da cui provengono Ani DiFranco, Josh Ritter, le Indigo Girls, Melissa Ferrick, Thea Gilmore e molti altri. Ma non disdegna anche del buon pop radiofonico come testimonia il brano Instant Classic. Partecipano al disco Anais Mitchell, Polly Paulusma, Sean Hayes e Ryan Montbleau che duetta nel brano citato.
 

Jimbo o James Mathus che dir si voglia, ex leader degli Squirrel Nut Zipper e di molte altre formazioni o in veste da solista, questa volta si avvale dei Tri-State Coalition per White Buffalo che viene pubblicato (la data ufficiale è il 22 gennaio, un anticipo delle uscite della settimana prossima) dalla Fat Possum. Lo stile oscilla tra country-roots stile Band, blues, rock, ballate e musica del sud degli States in generale e da quello che ho sentito mi sembra un gran bel disco.

Henry Wagons, era il leader, non so se ricordate, dei Wagons, una band australiana che però faceva un country-rock che più americano non si poteva in un disco omonimo molto bello, pubblicato nel 2011. Questo mini album con 7 pezzi Expecting Company?, in Australia è gia uscito da ottobre dello scorso anno, ma ora viene distribuito anche in America ed Europa la settimana prossima, tramite la Thirty Tgers. Come lascia intuire il titolo si tratta di una serie di duetti con Robert Forster dei Go-Betweens, Alison Mosshart dei Kills, Patience Hodgson dei Grates, Sophia Brous, per uno stile che mescola country, brani alla Nick Cave, gothic rock e Johnny Cash o Willie Nelson con ottimi risultati, da sentire!

Alla prossima (so che che questa è la rubrica più letta del Blog)!

Bruno Conti