Questi Suonavano, Eccome Se Suonavano! Outlaws – Live: Los Angeles 1976

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Outlaws – Live: Los Angeles 1976 – Purple Pyramid – Cleopatra CD

Gli Outlaws, storica band southern rock originaria di Tampa (ed ancora in attività), non ha mai goduto della popolarità e della considerazione di illustri colleghi contemporanei quali Allman Brothers Band, Lynyrd Skynyrd o Marshall Tucker Band: obiettivamente erano un gradino (nel caso degli Allman, anche due) più in basso dei gruppi che ho citato, e negli anni si sono un po’ persi con dischi, per usare un eufemismo, non imperdibili, ma a metà dei seventies erano indubbiamente una band coi fiocchi. Questo live non fa parte della discografia ufficiale del gruppo, ma non è neppure uno di quei CD tratti da trasmissioni radiofoniche (in poche parole: bootlegs) che hanno invaso il mercato in tempi recenti: si tratta invece di una nuova pubblicazione patrocinata dalla Cleopatra, label indipendente di Los Angeles che non sempre è sinonimo di qualità (ma nella maggior parte dei casi sì), e che dei Fuorilegge aveva già pubblicato l’eccellente quadruplo Anthology: Live & Rare 1973/1981.

Come il titolo di questo nuovo live lascia intuire, stiamo parlando di un concerto (registrato ai mitici Record Plant Studios) risalente al miglior periodo della band, quello seguito alla pubblicazione dei primi due dischi della loro carriera, Outlaws e Lady In Waiting. Gli Outlaws sono una delle band che negli anni ha cambiato il maggior numero di membri, ma qui abbiamo la formazione migliore, quella con tre chitarre soliste (Hughie Thomasson, Henry Paul e Billy Jones) e la sezione ritmica (Frank O’Keefe al basso e Monte Yoho alla batteria), un combo che dal vivo, se era in serata, era capace di mettere a ferro e fuoco l’ambiente. Come dimostra questo Los Angeles 1976 (nove brani, un’ora scarsa di musica), un concentrato di rock chitarristico puro e semplice, con marcati elementi country, feeling a pacchi ed una band in forma smagliante, che in quel periodo era abbastanza vicina anche agli Skynyrd (non per niente Thomasson in seguito si unirà proprio allo storico gruppo dell’Alabama): come ciliegina, il CD è inciso professionalmente, con un suono ben bilanciato e compatto.Il breve strumentale Waterhole viene utilizzato come warm up, un bluegrass elettrico dal gran ritmo, nel quale i nostri iniziano ad arrotare le chitarre (e il banjo); con Stick Around For Rock & Roll inizia il concerto vero e proprio, una rock song dall’alto potenziale elettrico, che si sviluppa fluida per ben nove minuti: Thomasson non è un grande vocalist, ma caspita se suona, e anche gli altri non si tirano certo indietro, assoli a profusione, una goduria insomma. La potente Song In The Breeze ha stranamente qualcosa che mi ricorda i Dire Straits (che nel 1976 dovevano ancora esordire), Henry Paul canta meglio di Thomasson (nel libretto interno Hughie è accreditato come unico cantante, ma è un errore, non il primo in casa Cleopatra), ed i fraseggi chitarristici sono, in una parola, formidabili; Lover Boy è sostenuta da una solida melodia, basso e batteria vanno come uno stantuffo e le chitarre…beh, che ve lo dico a fare

Freeborn Man è un classico bluegrass di Jimmy Martin, al quale i nostri conferiscono un vestito elettrico, trasformandolo del tutto: bello il cambio di tempo a metà canzone, con uno splendido assolo dal sapore blues. Cry No More è puro rock’n’roll sudista, che per certi versi avvicina i Fuorilegge al suono della Marshall Tucker Band: gran ritmo, mood trascinante ed i nostri che smanettano che è un piacere; Knoxville Girl è un divertente bluegrass-rock dal ritmo forsennato, nel quale i cinque scaldano i muscoli per concludere con una sontuosa versione della loro signature song Green Grass & High Tides (la loro Freebird), presentata qui in una resa monstre di un quarto d’ora: inizio lento, melodia di stampo epico, poi il ritmo sale gradualmente fino al momento in cui le tre chitarre impazzite iniziano a volteggiare da tutte le parti. Non so se si può parlare di versione definitiva di questo brano, certo è che in quel periodo i ragazzi non avevano paura di nessuno, e questa esecuzione lo dimostra. Chiude il disco la tersa ed orecchiabile There Goes Another Love Song, non male anche se dopo il brano precedente qualsiasi canzone sarebbe stata in secondo piano. Un bel live, che pone l’accento su una band forse non fondamentale ma che per un certo periodo ha saputo dire la sua.

Marco Verdi